Ho partorito a casa
Una donna spiega perché ha preferito partorire a casa e come si è preparata all’avvenimento.
ANCHE qui negli Stati Uniti si sente a volte che un bambino lascia di stucco i suoi genitori nascendo, contrariamente a quanto era stato progettato, in un luogo che non è l’ospedale. Ma di rado si sente che questo era stato predisposto dai genitori. Comunque, questo è ciò che facemmo noi. Perché?
Sebbene il lato finanziario influisse sulla nostra decisione, non eravamo così poveri da non poterci permettere di pagare l’ospedale. Né fu una decisione affrettata, presa ignorando i rischi cui possono andare incontro madre e figlio, incluse le possibili complicazioni al momento del parto.
La nostra decisione, invece, fu presa in base a un’equilibrata veduta di tutti gli aspetti della cosa: primo, i rischi del parto, che, secondo noi, non sono così grandi come pensa la maggioranza, e, secondo, il valore dell’assistenza ospedaliera, che, sempre a nostro avviso, non è così grande come pensa la maggioranza.
Assistenza ospedaliera
Da ragazza credevo, come forse la maggioranza, che l’ospedale fosse un luogo in cui i malati sono sotto la stretta sorveglianza di personale altamente qualificato. Tuttavia, a diciannove anni lavorai come aiuto infermiera in un piccolo ospedale di un centro rurale nel sud della California.
È vero che negli ospedali moderni ci sono meravigliose attrezzature e personale qualificato pronto ad aiutare i pazienti nei casi di emergenza. Ma mi sorprese vedere che l’assistenza ricevuta e pagata non è per la massima parte di natura specializzata. Ebbi l’impressione che molti pazienti avrebbero potuto ricevere un’assistenza simile a casa, in un ambiente più amorevole e meno costoso.
Ricordo il primo giorno che lavorai in ospedale: fui assegnata alla sala parto in ostetricia. Mi accompagnarono da una donna in travaglio e mi spiegarono quanto avveniva alla paziente senza neppure dirle un semplice “buongiorno”. Ricordo che pensai: ‘In uno dei momenti più importanti della sua vita, questa donna è divenuta un semplice argomento di conversazione distaccata’. Mi presentai e scoprii che era una brava signora che, pur stando male fisicamente, si manteneva molto calma.
Le chiesi quanti bambini aveva. Questo era il settimo. Mi fece la stessa domanda e le dissi che non ero sposata. Mi diede un colpetto su una mano e sorrise come per dire: “Non si preoccupi; la aiuterò e tutto andrà bene”.
Dopo un po’ disse che era pronta a partorire e mi chiese di chiamare l’infermiera, ciò che feci. Ma l’infermiera mi informò che il medico aveva controllato fino a che punto era dilatata o aperta la bocca dell’utero, e che non era ancora sufficiente per il parto. Così io, una vergine adolescente, riattaccai il telefono e la informai che il suo bambino non stava ancora nascendo. Tuttavia, il bambino numero sette mise fuori la testa un minuto più tardi. Il medico non arrivò che a parto quasi ultimato. E devo dire che questo accadde anche in altri casi a cui fui presente in seguito.
Atteggiamento degli ostetrici
La sfacciata arroganza di certi ostetrici che osservai da vicino nella sala parto mi irritava spesso. Privi di benignità umana e di normale cortesia parlavano di rado alle madri durante il parto, e quando parlavano erano sgarbati. “Si sbrighi”. “Alzi le gambe”. “Chi è il dottore qui, io o lei?” “Vuol fare come le dico, o devo andarmene?”
Naturalmente, non tutti i medici sono così insensibili e bruschi; molti sono compassionevoli. E comprendo che alcuni sono oberati di lavoro, e questo contribuisce senz’altro alla loro impazienza. Ma ciò nonostante mi faceva male vedere come non tenevano in nessun conto i desideri della paziente. Per esempio, una donna supplicò che non l’anestetizzassero, per il fatto che nei parti precedenti l’anestesia le aveva messo lo stomaco sottosopra. Ma il suo desiderio fu ignorato, senza che le dessero nessuna spiegazione o si scusassero.
In seguito fui colpita leggendo che durante il parto c’è il pericolo che la madre, stesa sul dorso e stordita dai farmaci, possa soffocarsi col proprio vomito e che l’anestesia può contribuirvi. Malgrado il fatto che molti sanitari ritengano pericoloso l’eccessivo uso di farmaci, questi sono spesso somministrati automaticamente alle madri. Ho letto pure che questi farmaci attraversano la placenta e raggiungono il bambino, concentrandosi nel fegato e nel cervello. Ogni trentacinque bambini americani uno è notevolmente ritardato, e mi chiedo quanto di questo danno sia causato dai medici con l’abuso di farmaci e con pratiche artificiali, come quella di provocare le doglie.
In quell’ospedale vidi solo un caso di morte per ragioni associate al parto. Avvenne a causa di una sfavorevole reazione al sangue trasfuso nella madre. Notai che, nonostante i rischi connessi alle trasfusioni di sangue, molti ostetrici le prescrivevano quasi per abitudine dopo il parto. Non posso fare a meno di chiedermi se quella donna non sarebbe viva oggi qualora fosse stata troppo povera per partorire in ospedale.
Non c’è dubbio che nel reparto maternità vengono salvate delle vite. Ma quante, in realtà? E quante sono in paragone con le vite perdute? Nel 1972, quindici paesi del mondo registrarono una mortalità infantile inferiore a quella degli Stati Uniti. Nel 1965 circa il 69 per cento dei bambini nati in Olanda nacque a casa, tuttavia la mortalità infantile fu solo del 14,4 per mille (nati). Ma, ahimè, in America, dove oltre il 97 per cento dei bambini nacque in ospedale, la mortalità fu del 24,7 per mille!
Vertiginoso aumento dei costi: una conseguenza?
Mia madre fu la prima donna in tutte le generazioni della nostra famiglia a partorire in ospedale. Ora la maggioranza pare non credere che i bambini potessero nascere in qualche altro posto. E poiché il numero delle donne che partoriscono all’ospedale è aumentato, sono aumentati anche i prezzi.
Quando nacqui trentadue anni fa, mio padre spese 75 dollari per il medico e altri 75 dollari per dieci giorni di degenza in ospedale a Los Angeles, per mia madre e me. Oggi in California una famiglia può aspettarsi di spendere da 620 a 1.500 dollari o più per una gravidanza e un parto normali!
Cura del neonato
Nell’ospedale dove lavoravo i bambini erano affidati in pratica alle cure di una aiuto infermiera. Benché fosse una donna intelligente e gentile, non era più qualificata di molti genitori. Il fatto che era madre di vari bambini era considerato sufficiente a renderla qualificata per il lavoro.
Tuttavia, se questo la rendeva qualificata per aver cura dei neonati, perché non rende qualificati genitori, nonni, zie e zii per aver cura dei bambini nati nella loro propria famiglia? Chi pensate che si occuperà maggiormente del vostro bambino, esaminandolo, baciandolo, prendendolo in braccio, annusandolo e guardandolo, i familiari compiaciuti o una aiuto infermiera che deve badare a tanti bambini?
Un caso pertinente è quello di una famiglia della nostra città. Dopo la solita degenza in ospedale la madre portò a casa la bambina che aveva avuta. Il secondo giorno che era a casa la madre cominciò a preoccuparsi. La bambina non era andata di corpo. La portò dal medico per farla visitare. Egli le riscontrò un’anomalia. Non era senz’altro andata di corpo neppure una volta dalla nascita, ma nei quattro giorni di degenza in ospedale la cosa era passata inosservata. Non credete che la madre se ne sarebbe accorta prima se si fosse occupata della sua bambina a casa sin dall’inizio?
E molti medici ammettono che il regime ospedaliero non favorisce un buon allattamento materno. Perché ci sia una buona quantità di latte è necessario che il seno sia stimolato di frequente dal lattante, tuttavia in molti ospedali l’allattamento materno è scoraggiato, e a volte il bambino non è portato alla madre perché lo allatti che diciotto ore dopo il parto. Anche quando il bambino nato in ospedale è finalmente portato alla madre, di solito è solo per breve tempo e a intervalli rigidamente rispettati.a
Fu dunque per varie ragioni che mio marito e io decidemmo di far nascere a casa il nostro terzo bambino. Comprendiamo che altri possono aver avuto esperienze diverse e quindi non saranno d’accordo con noi sulla decisione che abbiamo presa. Non intendiamo raccomandare ad altre donne di partorire a casa, specialmente le donne che sono al primo parto, dato che in genere è più difficile. Tuttavia, dopo attenta considerazione, pensammo che almeno per noi i vantaggi di partorire a casa erano superiori ai possibili svantaggi. Così procedemmo nei preparativi.
Preparativi anticipati
Capisco perfettamente che è utile che una madre riceva cure speciali prima della nascita del suo bambino. Possono esserci complicazioni: una donna può non avere un’apertura abbastanza larga per un parto normale, oppure il feto può presentarsi in posizione podalica, nel qual caso il bambino non si presenta come di solito prima con la testa, oppure può trattarsi di un parto multiplo. In passato, tali condizioni o circostanze erano spesso causa di morte, ma le moderne tecniche mediche salvano molti di questi bambini. Quindi consultai un medico in anticipo e seppi che secondo ogni indicazione avrei avuto un parto normale.
Desideravo essere assistita da una levatrice di professione. Ma in California è illegale esercitare la professione di levatrice; solo un medico autorizzato può farsi pagare. Tuttavia, le autorità con cui parlai della cosa, tra cui una persona dell’ufficio del procuratore distrettuale, dissero che una donna può farsi aiutare da chiunque purché non lo paghi. Così disposi che un’amica mi facesse da “levatrice”.
Devo dire che spesso mi sorprende la scarsa conoscenza che hanno molte donne sul parto, incluse quelle che hanno partorito sotto l’effetto di forti sedativi. Chiedono: “Chi ha fatto respirare il bambino?” “Hai dovuto massaggiargli il cuore?” “Come facevi a sapere quello che dovevi fare?” “Non avevi paura di commettere qualche errore grave?” “A che cosa è legato il cordone ombelicale?” “Come hai fatto a legarlo e tagliarlo?” “Quale attrezzatura è necessaria per partorire a casa?”
In questi giorni in cui l’atteggiamento verso tante istituzioni prese per scontate per lungo tempo sta cambiando, forse è bene che le donne sposate in età da avere figli si informino sul soggetto del parto. Fanno bene a considerare quello che farebbero se, per scelta o per circostanze indipendenti dalla loro volontà, dovessero partorire non in ospedale.
Cosa occorre per partorire a casa? Anzitutto, un posto pulito in cui accoccolarsi o in cui sdraiarsi, se lo si preferisce. Solo questo. Quali speciali istruzioni sono necessarie? In effetti il grande Datore della vita si è occupato di tutti i particolari importanti, lasciando all’istinto e all’intelligenza della madre solo ciò che è del tutto ovvio. Durante le doglie e il parto la madre fa quello che il corpo la spinge a fare per partorire il bambino, e questo è proprio ciò che occorre.
Per motivi di comodità e d’igiene, feci certi semplici preparativi. Avrei partorito sul tavolo da cucito di mia madre. Quindi acquistai un paio di grandi fogli di plastica in un negozio di vernici per proteggere il tavolo. Lavai anche alcuni vecchi lenzuoli e asciugamani. Quando si furono asciugati, li chiusi in un sacco di carta da imballaggio e li lasciai per varie ore nel forno a bassa temperatura. I lenzuoli sarebbero serviti per accoccolarmici sopra e gli asciugamani sarebbero stati usati secondo le necessità. Le terribili infezioni puerperali del passato non erano generalmente contratte da madri che partorivano a casa, ma trasmesse dal personale medico alle madri assistite in ospedale.
Quindi acquistai in farmacia una siringa con la punta di gomma per togliere il muco dal naso del bambino, se necessario. La bollii in acqua insieme a un paio di forbici per tagliare il cordone ombelicale. Poi misi ognuna di queste cose in un sacchetto di plastica e lo sigillai. Inoltre, comprai in un negozio di merceria un pacchetto di fettuccia bianca e lo sterilizzai nel forno. Questa doveva servire per legare il cordone ombelicale. Acquistai anche una buona provvista di assorbenti igienici grandi e, naturalmente, preparai alcuni indumenti per il bambino.
Comprendendo che è bene prevedere le possibili complicazioni, passammo in rassegna quello che avremmo fatto in caso di emergenza. Se il travaglio non avesse seguito il suo corso normale, sarei andata in ospedale. Non è lontano dalla casa dei miei genitori, ragion per cui decidemmo che avrei partorito lì. Inoltre, sarei andata all’ospedale se, dopo il parto, l’utero non si fosse rimpicciolito; avrebbe dovuto regredire e indurirsi dopo il parto per fermare la perdita di sangue.
Se il bambino avesse apparentemente avuto un’ostruzione in gola alla nascita, l’avremmo tirata fuori con un dito. Non è difficile; a volte i genitori devono fare la stessa cosa con i bambini più grandi quando gli si ferma qualcosa in gola. Se il bambino avesse tardato a respirare, lo avremmo tenuto a testa in giù, o gli avremmo fatto la respirazione a bocca a bocca. Questa è una cosa che tutti i genitori devono essere preparati a fare, perché anche i bambini ai primi passi corrono il pericolo di soffocarsi, annegare o restare fulminati, tutte situazioni che potrebbero richiedere la respirazione artificiale.
Cominciano le doglie
Le doglie cominciarono un lunedì sera. Mi fu utile l’avere appreso in anticipo cosa accade essenzialmente durante i vari stadi. La spiegazione più utile fu quella in cui l’utero era descritto come una bottiglia di gomma con la bocca, o apertura, tenuta ben chiusa da muscoli che funzionano come un elastico. All’inizio del travaglio la donna ha contrazioni intermittenti, o compressioni, dell’utero, a intervalli di venti o trenta minuti. Durano una quarantina di secondi. Se la donna si mette una mano sull’addome, sente una massa dura che si alza e poi ritorna molle verso la fine della contrazione. Questa massa è l’utero, un grosso muscolo, dov’è contenuto il bambino.
Col progredire del travaglio, le contrazioni si fanno più frequenti e più intense. L’utero si contrae finché la pressione fa aprire i muscoli che l’hanno tenuto chiuso durante la gravidanza. Questa graduale apertura della cervice, paragonabile alla bocca della bottiglia, si chiama “dilatazione”. È la prima fase del travaglio. Avviene tutto involontariamente, senza che la madre vi contribuisca.
Verso la fine del primo stadio del travaglio, quando la dilatazione è completa, le contrazioni diventano così dolorose e frequenti che la donna trova difficile pensare a qualsiasi altra cosa. Io determino il corso del travaglio non dalla crescente frequenza delle contrazioni, ma dalla mia capacità di concentrarmi. Quando non posso più concentrarmi su qualsiasi altra cosa, so che è giunto il momento di pensare ad avere il bambino. Ha così inizio il secondo stadio del travaglio.
Nelle prime ore di martedì mattina mi resi conto che si avvicinava il momento di partorire. Così, lasciati i bambini alla zia, mio marito mi accompagnò in macchina a casa dei miei genitori.
Mentre i miei genitori e mio marito se ne stavano seduti in vestaglia e pantofole, io misuravo il pavimento. Durante il travaglio la cosa più naturale da fare per me è quella di camminare su e giù. Sembra che aiuti il corpo a spingere verso il basso. Inoltre, mi aiuta a distrarmi dalla sensazione di dolore. Anche cantare ad alta voce mi è stato d’aiuto in questo e per evitare una respirazione difficile.
Nel secondo stadio del travaglio l’utero, la cui bocca è ora completamente aperta, comincia a funzionare come un potente pistone. Spinge la testa del bambino contro lo stretto passaggio osseo della pelvi. Sì, travaglio è un nome appropriato. Indipendentemente da quello che i bene intenzionati dicono alle madri, è molto sgradevole.
A motivo delle contrazioni il bambino viene inesorabilmente spinto dentro e attraverso il canale del parto. La sensazione che si prova quando la testa scende sempre più in basso nella pelvi è molto inquietante. Tuttavia non serve a nulla cercar di resistere a questa forza. In ospedale ho visto ogni tanto delle donne che irrigidivano il corpo e cercavano di resistere alla forza delle contrazioni. Non riuscendovi diventavano presto isteriche.
Quando la testa del bambino arriva nella pelvi, la donna sente il bisogno di “spingere”. Ella dovrebbe assecondare questo impulso, sebbene al momento del parto sia meglio smettere di spingere, poiché un parto troppo rapido può causare lacerazioni vaginali. L’istinto mi diceva di trattenere per un attimo il fiato al culmine delle contrazioni e di spingere, come si fa quando si spinge un oggetto pesante, per esempio una macchina. Questo favorisce gli sforzi dell’utero e rende molto più facile sopportare le contrazioni.
Durante queste forti contrazioni mi era naturale smettere di camminare su e giù, allargare le gambe, accoccolarmi e poi, scusate l’espressione, grugnire. A chi è delicato questo può sembrare un po’ volgare, ma questo è il momento di dimenticare le idee infantili su ciò che è il comportamento femminile. Dopo tutto, che cos’è più prettamente femminile del parto?
Lì nel soggiorno dei miei genitori camminavo su e giù, mi accoccolavo e grugnivo. Ero confortata dai visi familiari, dalle loro voci e dai loro sorrisi. Questa era un’atmosfera buona e naturale in cui accogliere il nuovo componente della famiglia.
Il parto
Quando si ruppe il sacco delle acque (il sacco contenente il liquido amniotico), mi resi conto in base ai parti precedenti che il bambino stava per venire alla luce. Mi infilai calzettoni puliti e mio marito mi aiutò a salire sul tavolo da cucito, sul quale erano stati stesi lenzuoli puliti.
Avevo deciso di accoccolarmi sul tavolo anziché sul pavimento per essere facilmente osservata e aiutata. Durante questo evento viene per istinto di cercare aiuto e conforto, ma non ci fu realmente nessun momento durante il parto nel quale non avrei potuto fare benissimo da sola.
Durante il parto dei miei due primi bambini camminai su e giù finché il medico me lo permise, e poi poco prima del parto vero e proprio mi sdraiai controvoglia sul tavolo. Questa volta ero felice di partorire in una posizione comoda per me invece che nella posizione che andava bene al dottore. Finì che partorii semiaccoccolata. Credo che se fossi stata completamente accoccolata il parto sarebbe stato ancor più facilitato avendo qualcosa a cui appoggiarmi. Ricordai che le donne ebree, assistite da levatrici, si appoggiavano a una specie di sgabello per il parto, e capisco che un tale sostegno è veramente utile. — Eso. 1:16-19.
L’amica che aveva accettato di farmi da levatrice non era ancora arrivata. Così mia madre e mio padre stettero in piedi dietro di me, uno da ciascun lato del tavolo, e stesero le mani sul tavolo per accogliere il loro terzo nipote, un maschio. Si mise a piangere ancor prima d’essere venuto completamente alla luce. Erano le 4,15 del mattino quando sbirciai dietro di me per vedere il mio ultimo bambino, Paul.
Il cordone ombelicale attaccato al pancino di Paul era ancora unito all’altra estremità con la placenta, che era ancora dentro di me. La placenta è quel meraviglioso organo mediante il quale il nascituro respira ed elimina i rifiuti e può svolgere altre funzioni necessarie alla vita. Per parecchi minuti il cordone fu nero e pieno di sangue. Ma, mentre mia madre continuava a reggere Paul sotto il mio corpo, il sangue affluì nel corpicino del legittimo proprietario. Il cordone allora si afflosciò e non rimase altro che un pezzo di pelle bianca e senza vita. Ora ovviamente era tempo di tagliarlo.
A questo punto l’amica che avrebbe dovuto farmi da levatrice era arrivata. Ella legò il cordone in due punti a pochi centimetri dal corpo di Paul, e poi lo tagliò in mezzo ai due nodi. Evidentemente non c’era nessun pericolo di emorragia, coi nodi o senza. Entro pochi giorni il resto del cordone si essiccò e si staccò.
Cure successive
Il papà e il nonno erano ben presto occupati a fare a Paul il suo primo bagno in cucina, lavandolo con olio d’oliva. Fu subito profumato come un manicaretto italiano. Per l’occasione avevamo preso a prestito una bilancia per neonati. Il bambino può senz’altro sopravvivere anche se non viene pesato alla nascita, ma è un po’ più semplice farne la denuncia, poiché molti stati degli U.S.A. desiderano registrare il peso alla nascita. Ora l’intera famiglia era in cucina a ispezionare Paul, e io rimasi sola nell’altra stanza in attesa dell’ultimo stadio del parto.
Dopo un quarto d’ora circa fu espulsa la placenta, e questo è lo stadio finale del parto. La esaminammo per vedere se appariva liscia, senza alcun segno di lesione. Se nell’utero rimane un pezzo di placenta può causare in seguito emorragia. La mettemmo in un sacco di plastica e la gettammo nel bidone dell’immondizia.
Ora, per la prima volta dall’inizio delle doglie forti, sentii il bisogno di sdraiarmi. La mia amica, che aveva cognizioni in materia, mi esaminò per vedere se avevo lacerazioni vaginali. Avevo disposto di andare al centro dell’ospedale per il trattamento dei pazienti esterni in caso avessi avuto bisogno di punti. Mia madre e la mia amica mi aiutarono a indossare una camicia pulita e mi misero gli assorbenti igienici. Scesi poi dal tavolo e andai nella camera da letto dei miei genitori, dove un letto caldo mi attendeva.
Ora Paul, vestito e avvolto in una coperta, mi fu portato da allattare. Ci divertimmo a vedere con quanta impazienza e piacere faceva il suo primo pasto all’aperto. La sua presenza mi confortava, come la consapevolezza che la sua azione di poppare faceva regredire l’utero, chiudendo così i vasi sanguigni recisi per proteggermi da eccessive perdite di sangue. Fu anche interessante leggere i recenti commenti dell’ostetrico nuovayorchese Irwin Chabon in Today’s Health: “L’utero della donna che allatta torna alle dimensioni precedenti alla gravidanza, mentre l’utero della donna che non allatta rimane sempre un po’ più grande che prima che rimanesse incinta”.
Paul si addormentò subito e noi ci riunimmo tutti attorno alla tavola per fare colazione e ripensare agli avvenimenti della mattinata. Ci sentimmo tutti un po’ più vicini e ringraziammo Geova Dio perché il nuovo componente della nostra famiglia era arrivato sano e salvo.
In conclusione, vorrei ripetere che non raccomando necessariamente a tutte le donne di partorire a casa, specie le donne che sono al primo parto. Desidero anche sottolineare che, ogniqualvolta sia possibile, le donne incinte dovrebbero farsi visitare da medici qualificati. Essi infatti sono spesso in grado di diagnosticare possibili complicazioni che potrebbero sorgere al momento del parto. Tuttavia, nello stesso tempo, credo personalmente che se una donna è bene informata e aiutata da una persona qualificata può partorire a casa, come ho fatto io. — Da una collaboratrice.
[Nota in calce]
a Vedere Svegliatevi! del 22 ottobre 1976.
[Testo in evidenza a pagina 19]
“Avrei partorito sul tavolo da cucito di mia madre”.
[Testo in evidenza a pagina 20]
“Finì che partorii semiaccoccolata”.
[Testo in evidenza a pagina 21]
“Si mise a piangere ancor prima d’essere venuto completamente alla luce”.