Caffè, ieri e oggi
Dal corrispondente di “Svegliatevi!” in Brasile
GRADIRESTE un cafezinho, appena fatto e bollente? Per alcuni è un’usanza in declino, ma i Brasiliani godono ancora la fama di bere caffè dalla mattina presto fino a notte tarda.
L’esorbitante costo del caffè non ha spinto a passare frettolosamente ad altre bevande. Infatti, un terzo della popolazione mondiale beve ancora caffè. Per esempio, ogni anno un Belga beve 149 litri di caffè, rispetto a soli sei litri di tè. L’Americano medio beve 10 tazze di caffè per ogni tazza di tè. Nel mondo occidentale, solo gli Inglesi fanno eccezione alla regola generale consumando in media annualmente sei litri di caffè contro 261 di tè.
Il Brasile detiene il titolo di maggior produttore ed esportatore di caffè del mondo. Nei primi quattro mesi del 1977, le entrate per le esportazioni di questo “oro bruno” toccarono l’enorme cifra di 1.000.000.000 di dollari per 4,5 milioni di sacchi di caffè, un primato.
Tuttavia, il caffè non è affatto originario del Brasile. Vi piacerebbe sapere come sorse l’uso di questa bevanda quasi universale, dove ebbe origine, e come giunse in Brasile?
Origine e impiego
La parola caffè viene dall’arabo qahwa, che significa forza, e ci è pervenuta attraverso il turco kahvé. La scoperta del caffè è avvolta nella leggenda. Si narra fra l’altro che Kaldi, un giovane capraio arabo, notò che le sue capre si comportavano stranamente dopo avere rosicchiato i frutti e le foglie di un certo cespuglio sempreverde. Spinto dalla curiosità, assaggiò le misteriose piccole drupe e fu sbalordito dal loro effetto eccitante. La voce si sparse e il “caffè” era nato.
In origine, il caffè fu utilizzato come alimento solido, poi come vino, in seguito come medicinale e, infine, come bevanda. Come medicinale era ed è ancora prescritto per la cura dell’emicrania, dei disturbi cardiaci, dell’asma e dell’idropisia. (L’uso smodato, comunque, può determinare un’eccessiva secrezione di succhi gastrici, causare nervosismo e accelerare il battito cardiaco. Il comune “bruciore di stomaco” è attribuito al caffè). Per utilizzarlo come alimento, i chicchi erano schiacciati, vi si aggiungeva grasso e il miscuglio era messo in forme rotonde. Anche oggi alcune tribù africane “mangiano” il caffè. In seguito, dai chicchi di caffè si ricavò un tipo di vino. Altri ottenevano una bevanda versando acqua bollente sui gusci essiccati. In seguito, i semi furono essiccati e tostati, mischiati all’involucro, e con ciò si fece una bevanda. Infine, qualcuno macinò i grani in un mortaio, il precursore del macinino da caffè.
Caffè brasiliano
Anche se probabilmente il caffè ebbe origine in Etiopia, gli Arabi furono i primi a coltivarlo, nel quindicesimo secolo. Ma il loro monopolio fu di breve durata. Nel 1610, furono piantati in India i primi alberelli del caffè. Gli Olandesi cominciarono a studiarne le tecniche di coltivazione nel 1614. Nel 1720, l’ufficiale della marina francese Gabriel Mathieu de Clieu partì da Parigi diretto nelle Antille, portando con sé alcune piantine di caffè. Ne sopravvisse una, che fu portata nella Martinica. Dalla Guiana Olandese il caffè si diffuse attraverso le Antille nella Guiana Francese, e di lì l’ufficiale dell’esercito brasiliano Francisco de Melo Palheta lo introdusse a Belém, in Brasile, verso il 1727. Ai primi del diciannovesimo secolo, ebbe inizio la coltivazione del caffè a Campinas e in altre città dello stato di San Paolo, e ben presto si estese ad altri stati, specialmente nel Paraná.
Oggi, il caffè è coltivato nelle piantagioni secondo rigorosi sistemi. Invece di seminare il seme nel campo, le piantine sono coltivate in semenzai ombreggiati. Una quarantina di giorni dopo la semina, il chicco di caffè germina. Il suo inequivocabile aspetto gli fruttò il nome di “fiammifero”. Dopo un anno di assidue cure in semenzaio, le piantine sono messe a dimora fuori.
Di solito sui fianchi dei colli, le piantine sono sistemate in file curve per facilitare il lavoro con le macchine e impedire l’erosione del suolo. Quattro anni dopo la semina, le piante sono in grado di dare il primo raccolto. In tutto questo tempo, l’irrigazione aumenta lo sviluppo e il rendimento fino al 100 per cento.
D’altra parte, il coltivatore di caffè deve impegnare un’incessante lotta contro gli insetti e le malattie della pianta, come la ruggine e il tarlo del caffè. La ruggine è un fungo che attacca le foglie e può uccidere la pianta. Il tarlo del caffè è un verme che rovina i chicchi praticandovi dei forellini. Naturalmente, sono in commercio efficaci fungicidi e insetticidi, ma il loro continuo impiego accresce i costi di produzione.
Preparazione dei chicchi di caffè
Nella piantagione, il caffè può essere preparato con il procedimento “a umido” o “a secco”. Si riconosce che con il procedimento a umido si ottiene un prodotto di ottima qualità, dato che si scelgono solo i frutti maturi. Ma poiché richiede meno lavoro e costa meno, con il caffè brasiliano si segue di solito il procedimento “a secco”.
Prima tutti i frutti, sia quelli verdi che quelli secchi, sono fatti cadere dalla pianta mediante scotimento su grandi teli. Poi sono vagliati in stacci speciali. Successivamente, i grani sono lavati nell’acqua di canali adiacenti ai luoghi di essiccazione, per separare quelli maturi da quelli verdi ed eliminare le impurità. Dopo di che vengono stesi in strati a essiccare all’aria aperta e al sole. Sono rigirati spesso per consentire un’essiccazione uniforme. Infine, i grani secchi vengono conservati in depositi rivestiti di legno, fino a ulteriore impiego.
Fra parentesi, il processo di essiccazione è della massima importanza per la finale qualità del caffè. Alcune piantagioni, quindi, impiegano essiccatoi a legna per affrettare l’essiccazione, specialmente quando piove.
In altri paesi dell’America Latina e altrove, si segue normalmente il procedimento “a umido”, sebbene richieda più tempo e sia più costoso. Prima, una spolpatrice separa i chicchi dall’involucro. Essi cadono in grandi vasche dove restano per circa 24 ore e dove avviene una leggera fermentazione del “miele”, com’è chiamata la sostanza gelatinosa che avvolge il chicco. Dopo la fermentazione, il “miele” viene asportato in canali di lavaggio. Successivamente, il caffè viene messo a essiccare al sole, come nel procedimento “a secco”. Alcuni coltivatori impiegano essiccatoi meccanici, tamburi rotanti perforati, nei quali è insufflata aria calda sul caffè. Infine, i chicchi di caffè passano nelle sgusciatrici e nelle pulitrici. E come le migliori qualità di caffè sono raccolte a mano, così l’ispezione dei grani dopo il lavaggio si effettua a mano.
Subito dopo segue l’ultima fase: il caffè viene messo in sacchi di iuta per la spedizione. Il sacco adottato in Brasile, di 60 chilogrammi, è considerato l’unità statistica in tutto il mondo. I sacchi sono ammucchiati in magazzini puliti e ventilati. Finalmente il caffè è pronto per la vendita.
Classificazione, smercio e costo
L’Istituto Brasileiro do Café (IBC) provvede aiuti tecnici ed economici ai coltivatori brasiliani di caffè e controlla il commercio interno e le esportazioni. Per quanto riguarda la classificazione, il caffè è valutato in base al sapore e all’aroma. Non è mai stato possibile classificarne la qualità in base a esami chimici. I sensi dell’odorato e del gusto sono ancora i fattori determinanti. Secondo la provenienza, la preparazione e l’essiccazione, è classificato in molto tenero, tenero (gusto gradevole e dolce), duro (gusto acido e forte) e rio (tipo molto duro preferito a Rio de Janeiro). Altri tipi hanno un’importanza minore in commercio.
Negli scorsi 20 anni il caffè ha rappresentato il 50 per cento circa delle entrate che il Brasile ha ricavato dalle esportazioni. Circa 15.500.000 persone sono impiegate nella coltivazione e nel commercio del caffè. Ma Camilo Calazans de Magalhães, presidente dell’IBC, ha avvertito che nel 1978 verrà a crearsi una situazione senza precedenti nella storia del commercio del caffè. Per la prima volta, si dipenderà interamente dal raccolto, perché era previsto l’esaurimento delle scorte di caffè brasiliano al di fuori del Brasile. Inoltre, l’IBC teme che lo spettro dei problemi di gelo, insetti e malattie possa infliggere nuove perdite ai raccolti del 1977/78 e del 1978/79.
Molto recentemente, una serie di disgrazie si è abbattuta su alcuni grandi produttori di caffè del mondo, causando scarsità di prodotto, aumenti di prezzo, e forte speculazione. Tutto cominciò nel luglio del 1975. Il Brasile fu investito da un’eccezionale ondata di freddo, che distrusse quasi metà delle piantagioni, da 200 a 300 milioni di piante. Poi la siccità, seguita da piogge torrenziali, devastò le piantagioni della Colombia. In Angola e Uganda, le agitazioni politiche pregiudicarono le esportazioni. E un terremoto colpì il Guatemala. La “crisi del caffè” era cominciata!
Mentre le scorte diminuivano, negli ambienti commerciali aumentava la tensione. Il caffè brasiliano fu il primo ad aumentare di prezzo, seguito dalla varietà colombiana, la Coffea arabica, tradizionalmente più costosa perché di qualità più pregiata. La varietà africana, Coffea robusta, di solito meno pregiata, seguì la tendenza. A peggiorare le cose, il Brasile impose una tassa di 100 dollari su ciascun sacco esportato, tassa che nell’aprile del 1977 salì a 134 dollari per sacco.
Le speculazioni accrebbero la tensione, perché il caffè si acquista in anticipo. È un vero e proprio gioco d’azzardo. Commercianti e torrefattori prevedono un rincaro e ne acquistano in grandi quantità, che, però, sono consegnate solo mesi più tardi. Le trattative diventano frenetiche e i prezzi salgono alle stelle. L’IBC permette di registrare le esportazioni alcuni mesi prima della consegna del prodotto, purché si paghi la tassa di registrazione entro 48 ore. Perciò, gli esportatori spesso “corrono il rischio” registrando vendite che, in realtà, non sono ancora avvenute. Questo permette loro di favorire i clienti o di approfittare di prezzi più alti.
Nonostante la tendenza all’aumento, i Brasiliani non pagano ancora il caffè così caro come altri. Il governo brasiliano protegge i torrefattori locali, e il prezzo per chilogrammo continua a essere più basso che all’estero, essendo stato nel luglio del 1977 di 3.610 lire. Nondimeno, le statistiche rivelano che i Brasiliani bevono ora meno caffè. Nel 1976 il consumo fu di 3,5 chilogrammi di caffè macinato per persona, mentre nel 1970 era di 5,7 chilogrammi.
I produttori sembrano soddisfatti della nuova politica dei prezzi, poiché ricavano di più dal consumatore. Anche chi lavora nelle piantagioni guadagna di più. Per tenere alti i prezzi, il Brasile acquistò grandi quantità di caffè nell’America Centrale e in Africa. All’improvviso, però, gli esportatori brasiliani si trovarono senza compratori sul mercato internazionale. Come reazione immediata, i prezzi all’estero cominciarono a scendere, e nel luglio del 1977, un’improvvisa manovra nella Borsa di New York e di Londra fece diminuire ulteriormente i prezzi, per cui fu registrato un calo del 50 per cento rispetto ai prezzi record di tre mesi prima. Gli esportatori sono nervosi. I compratori chiedono: Il Brasile ridurrà il prezzo? Qual è il futuro del caffè? Il tempo lo dirà.
Intanto, il Conselho Monetário Nacional del Brasile ha approvato un programma, da attuare nel 1977/78, per ridare vitalità alle piantagioni di caffè della nazione e migliorarle, con l’aggiunta di 150 milioni di piante, che porteranno il totale a 3.000.000.000 di piante e faranno salire la produzione a 28 milioni di sacchi nel 1980. Non c’è dunque da temere che il caffè sparisca. Sebbene questa popolare bevanda sia oggi più costosa, il caffè è ancora gradito come ieri.