Libertà di scegliere i trattamenti sanitari: Il parere dei giudici
TRE recenti casi giudiziari potrebbero influire sulla vostra vita e sull’assistenza medica che potete ricevere. Medici, personale ospedaliero, giudici e testimoni di Geova hanno prestato molta attenzione a questi casi. Tutti quelli che conoscono i fatti possono essere grati dell’effetto che questi casi hanno sui diritti dell’uomo, sulle garanzie della legge e sul rispetto per le leggi di Dio.
Il caso Randolph: decesso postrasfusionale
Potrebbe esservi difficile capire bene il primo caso. Perché? Perché molti giornali e pubblicazioni mediche presentarono un quadro distorto. Anzi, questo travisamento evidentemente dispiacque al giudice Bambrick, della Corte Suprema dello stato di New York, che aveva presieduto il processo. Scrisse un parere chiarificatore di 53 pagine.1
In esso il giudice Bambrick osservò che “il quarto potere, la stampa”, aveva talmente travisato i fatti che egli aveva dovuto “rettificare quanto era stato detto ed esporre in altre parole le leggi attinenti al caso così come erano state presentate alla giuria”. Purtroppo la stampa non ha parlato di questo prezioso parere che metteva in luce la loro mancanza. Ma siamo felici di farvi conoscere alcune informazioni essenziali tratte da quanto ha scritto il giudice Bambrick. Il suo accurato resoconto può avere relazione con la vostra libertà in campo medico, sia che siate medici, avvocati o semplici cittadini preoccupati per i vostri diritti inerenti ai trattamenti sanitari.
Apprendiamo i fatti fondamentali dal parere del giudice che è stato pubblicato, mettendo in corsivo i punti notevoli: Nel luglio del 1975 la signora Bessie Randolph (45 anni) fu ricoverata per partorire il suo quarto figlio mediante taglio cesareo. Nella cartella clinica fu specificato che, come testimone di Geova, non avrebbe accettato sangue.a Il suo medico accettò le sue convinzioni religiose profondamente radicate, poiché la donna aveva preso la sua decisione come adulta cosciente e capace di intendere. Dopo il parto felicemente portato a termine, a causa di un disturbo uterino fu sottoposta a isterectomia totale. Ma il giudice Bambrick afferma: “Sia a causa del disturbo della signora Randolph che della tecnica chirurgica [impiegata dal medico], sopravvenne una forte emorragia”.
Nell’ora circa che seguì perse molto sangue. Alle 12,45 il medico cominciò a trasfonderle un’unità di sangue e alle 13,30 gliene trasfuse una seconda. Tuttavia il cuore della signora Randolph si fermò e alle 14,00 ne fu constatato il decesso. In seguito il marito (non testimone di Geova) citò i medici e l’ospedale. Un medico arrivò a una transazione extragiudiziale. Quindi nel febbraio del 1984 una giuria emise un verdetto favorevole al signor Randolph. Questo verdetto fu piuttosto criticato dalla stampa. Una pubblicazione legale dichiarò: “Una giuria ha concesso un milione e duecentocinquantamila dollari al marito di una paziente testimone di Geova morta dopo avere rifiutato una trasfusione di sangue”. Queste notizie davano l’impressione che i medici avessero rispettato la decisione di una Testimone e che tuttavia fossero stati citati. A causa di questo travisamento dei fatti da parte della stampa, altri medici si sono chiesti se debbano cooperare con i testimoni di Geova. Alcuni ospedali hanno anche stabilito la norma di rifiutare i pazienti che non acconsentono ad accettare sangue. Queste norme sono poco sagge sotto l’aspetto legale e finanziario, perché la legge federale protegge dalla discriminazione basata su razza, religione o colore.
Quindi è comprensibile che il giudice Bambrick abbia voluto “rettificare quanto era stato detto”. Nel suo parere ribadì che il processo era stato intentato non perché una paziente fosse morta avendo i medici rispettato il suo rifiuto fatto con cognizione di causa. Si trattava piuttosto di un processo per inadempienza di obbligo professionale. Egli spiegò:
“È indiscusso che Bessie Randolph era un’adulta capace di intendere e di volere che aveva inequivocabilmente indicato agli imputati il suo rifiuto di qualsiasi proposta trasfusione di sangue in qualsiasi circostanza. Il diritto legale di rifiutare un trattamento, si è notato, fa parte del diritto all’autodeterminazione riconosciuto dal diritto consuetudinario o del diritto all’integrità fisica. . . .
“Si deve ricordare che non si tratta di un caso in cui fosse in gioco il ‘diritto di morire’. Al contrario Bessie Randolph desiderava moltissimo vivere. Ma dato che le sue credenze religiose le vietavano di ricevere vitali trasfusioni di sangue, lo spirituale ‘diritto alla vita eterna’ era più importante per Bessie Randolph. . . . Si potrebbe anche ragionare che, dal punto di vista di un testimone di Geova, accettare una trasfusione e così rinunciare alla vita eterna equivale per il credente al ‘suicidio spirituale’”.
Si può capire che i medici erano in una situazione difficile quando videro che la loro paziente poteva morire. Tuttavia il giudice Bambrick disse: “La legge attuale considera il diritto del paziente di decidere le proprie cure in base a un consenso informato superiore a quello che altrimenti potrebbe essere l’obbligo del medico di provvedere le necessarie cure mediche. . . . L’integrità etica dei medici non è macchiata quando un adulto capace di intendere e di volere rifiuta un trattamento proposto, anche un trattamento che può salvare la vita, e un medico rispetta la scelta del suo paziente fatta con cognizione di causa”.
Che dire dell’interesse dello stato che i figli non venissero abbandonati? Il giudice Bambrick fece notare che il signor Randolph era un poliziotto e in grado di sostenere i suoi figli e averne cura. Quindi il giudice scrisse: “Date le circostanze, il signor Randolph era in grado di mantenere i suoi figli e non c’è mai stato veramente il problema dell’abbandono”.
Se aveste fatto parte della giuria, avreste conosciuto questi fatti relativi alla signora Randolph e al diritto legale di rifiutare una trasfusione esonerando i medici da ogni responsabilità. Alla giuria era stato detto: “All’adulto capace di intendere, il diritto consuetudinario riconosce il diritto di rifiutare o accettare un trattamento medico nonostante il fatto che il trattamento sia utile o anche necessario per salvare la vita al paziente. Il diritto del paziente o della paziente di determinare il proprio trattamento sanitario è superiore a ciò che altrimenti potrebbe essere l’obbligo del medico di provvedere le necessarie terapie.
“Perciò gli imputati . . . non possono considerarsi colpevoli di essere venuti meno ad alcuna responsabilità legale o professionale quando hanno rispettato il diritto di Bessie Randolph di rifiutare un trattamento medico, nel caso specifico di non essere trasfusa”.
Perché allora la giuria ha emesso quel verdetto e concesso il risarcimento?
Il giudice Bambrick scrisse: “Se [il medico] avesse seguito sino in fondo le istruzioni della signora Randolph non somministrando assolutamente nessuna trasfusione di sangue, non sarebbe stato ritenuto responsabile di aver omesso di trasfonderla, neppure se tale omissione fosse stata considerata la causa immediata della sua morte. . . . Le cose, però, sono andate così: alle 12,45 del 17 luglio 1975 [egli] somministrò una trasfusione di sangue a Bessie Randolph, e le conseguenze di questo intervento divennero un problema da sottoporre a una giuria”.
Durante il processo la giuria ascoltò la testimonianza degli esperti sulla natura e sulla qualità del trattamento somministrato una volta che il medico aveva iniziato a trasfondere la paziente contro i desideri della stessa. La questione riguardava dunque l’inadempienza di obbligo professionale. Il giudice riferisce: “La giuria fu unanimemente d’accordo che gli imputati . . . erano stati . . . negligenti nel curare Bessie Randolph; e che tale negligenza era stata una causa immediata della sua morte. . . . Perciò la Corte conclude che l’unanime verdetto della giuria a favore del querelante [il signor Randolph] sulla questione della responsabilità non era contrario al peso delle prove ed era corretto secondo la legge”.
Gli imputati si sono appellati contro questa sentenza. Possiamo attendere la decisione della corte d’appello. Ma qualunque sia l’esito dell’appello, il parere del giudice Bambrick merita la nostra attenzione. Chiarisce ciò che è accaduto e mostra che il travisamento dei fatti da parte della stampa ha ingiustamente influenzato l’opinione medica, interferendo così nei diritti di pazienti innocenti.
Il caso Doreen Shorter: utero lacerato e perforato
L’11 gennaio 1985 la Corte Suprema dello stato di Washington, sull’altro lato del continente, decise in merito a un altro caso.2 Anch’esso riguardava l’inadempienza di obbligo professionale. Ma questa volta le notizie di cronaca furono accurate e favorevoli. Diedero risalto a un passo utile che i testimoni di Geova fanno per alleviare il personale medico dalla preoccupazione di eventuali responsabilità. I Testimoni firmano documenti legali in cui dichiarano che non riterranno altri responsabili dei danni apparentemente risultanti dal fatto che non accettano sangue. Anche se non siete Testimoni, il caso di Doreen Shorter ha relazione con i vostri diritti in campo medico.
Doreen ed Elmer Shorter firmarono un tale documento quando lei fu ricoverata in ospedale. Questa coppia cristiana aveva appreso che il feto che Doreen portava in grembo era morto, ma non era stato espulso. Il parere della Corte Suprema dello stato riferisce che il suo medico, il dott. Drury, raccomandò di sgombrare l’utero mediante “dilatazione del collo e raschiamento dell’utero”, intervento che consiste nel ripulire attentamente le pareti dell’utero.
La Corte spiegò: “L’operazione non andò bene. Circa un’ora dopo l’intervento la signora Shorter cominciò a perdere sangue internamente ed ebbe un collasso. Un intervento esplorativo di emergenza effettuato da altri chirurghi rivelò che il dott. Drury aveva procurato alla signora Shorter gravi lacerazioni uterine”. Morì dissanguata.
“Successivamente il signor Shorter intentò questa causa per omicidio colposo sostenendo che la negligenza del dott. Drury era stata la causa immediata della morte della signora Shorter . . . La giuria ritenne il dott. Drury colpevole di negligenza e che la sua negligenza era stata ‘una causa immediata della morte di Doreen Shorter’. Fu stabilita la somma di 412.000 dollari a titolo di risarcimento danni”. Tuttavia la giuria sostenne che la presa di posizione degli Shorter aveva contribuito all’esito, per cui la somma assegnata come risarcimento fu cambiata in 103.000 dollari.
Un aspetto importante era la validità di un documento che esonerasse dalla responsabilità per il mancato uso di sangue, come quello firmato dagli Shorter. È appropriato che i testimoni di Geova firmino documenti del genere?b Salvaguardano essi i medici e gli ospedali interessati? Tali documenti inoltre esonerano il personale medico da ogni responsabilità, inclusa la negligenza (inadempienza dell’obbligo professionale) durante gli interventi chirurgici?
La Corte Suprema dello stato disse: “Dati i particolari problemi che si affrontano quando per motivi religiosi un paziente rifiuta di permettere trasfusioni di sangue necessarie o consigliabili, crediamo sia appropriato usare un modulo come quello firmato nel caso in questione. . . . L’alternativa in cui medici e ospedali rifiutano di curare i testimoni di Geova ripugna in una società che si sforza di rendere l’assistenza medica accessibile a tutti i cittadini.
“Crediamo che la procedura seguita qui, la firma volontaria di un documento che protegga sia i medici e l’ospedale che il paziente, sia un’alternativa appropriata non contraria all’interesse pubblico”.
Ma forse vi chiedete: ‘Che dire se un chirurgo è colpevole di negligenza durante un intervento? È ancora responsabile di inadempienza di obbligo professionale?’
Si noti ciò che ha detto la Corte: “Sebbene la signora Shorter accettasse le conseguenze derivanti dal rifiuto di sottoporsi a una trasfusione di sangue, non accettava le conseguenze della negligenza del dott. Drury che, come ha riscontrato la giuria, è stata una causa immediata della morte della signora Shorter”.
Dovete sapere che quattro dei nove membri della Corte Suprema dello stato ritenevano che la somma assegnata come risarcimento danni non avrebbe dovuto essere ridotta sulla base del “concorso di rischio”. Scrissero infatti: “Con il modulo che avevano firmato, gli Shorter esoneravano il dott. Drury dal dovere di somministrare sangue qualora fosse stato richiesto per effettuare il trattamento senza negligenza. . . . Se il dott. Drury avesse eseguito l’operazione senza negligenza, ma la signora Shorter fosse comunque morta dissanguata, in questo caso il medico non avrebbe potuto essere ritenuto responsabile”. Tuttavia . . .
“Agli Shorter non erano mai stati spiegati completamente i pericoli di questo intervento. Non furono informati che c’erano tre metodi per eseguire l’intervento, né fu detto loro che il metodo che il dott. Drury intendeva usare era quello che provocava più probabilmente la perforazione dell’utero e forti emorragie”. Quindi questi giudici affermarono: “La negligenza del dott. Drury ha notevolmente accresciuto le probabilità della signora Shorter di morire dissanguata; così l’‘entità’ del rischio è stata accresciuta”. Questi giudici ritenevano che si dovesse riportare l’ammontare dei danni ai precedenti 412.000 dollari.
Medici e autorità ospedaliere possono vedere dai casi Randolph e Shorter che i tribunali riconoscono che è “appropriato” prendere in cura testimoni di Geova accettando documenti che esonerino da eventuali responsabilità. Il rifiuto del sangue da parte di un adulto, avvalorato da un documento del genere, può essere rispettato anche nel caso di figli minorenni e di parenti non Testimoni. Il parere relativo al caso Shorter però dichiarava: “Questo documento comunque non solleva dalle responsabilità derivanti dalla negligenza nella cura del paziente”. Questo è giusto sia nei confronti del medico che del paziente.
Nei casi Randolph e Shorter, all’asserita inadempienza di obbligo professionale fece seguito il decesso. Ma in un caso più recente l’esito è stato molto più felice.
Il caso Jackson: madre e figlia stanno bene
Ernestine Jackson era incinta di circa sei mesi e mezzo quando nel febbraio del 1984 le cominciarono le doglie. Al Mercy Hospital di Baltimora (Maryland, USA) riscontrarono che a causa di un precedente intervento e della posizione del feto la partoriente rischiava la lacerazione dell’utero. Raccomandarono il taglio cesareo. I Jackson diedero il permesso, ma chiesero di non somministrare sangue. Accettavano le credenze cristiane dei testimoni di Geova, con cui stavano studiando la Bibbia.
I sanitari di questo ospedale cattolico fecero notare che c’erano fino al 50 per cento di probabilità che la signora Jackson avesse bisogno di una trasfusione di sangue. Allorché essa “rifiutò fermamente di scendere a patti”, l’ospedale chiese al giudice Greenfeld della Corte Circoscrizionale di designare un tutore autorizzato a permettere una trasfusione. Dopo un’udienza tenuta presso il letto della paziente, il giudice Greenfeld respinse la richiesta dell’ospedale.
‘Allora cosa accadde?’, chiederete. Ebbene, non avendo il permesso di trasfondere i medici eseguirono il cesareo. Non fu necessario né venne usato sangue. Sia la madre che la figlia sopravvissero e in seguito furono dimesse. Stanno ancora bene.
Potrebbe sembrare che la cosa finisse lì. Ma non fu così. L’ospedale ricorse in appello in base alla domanda: “La . . . corte (circoscrizionale) ha sbagliato nel sostenere che una donna adulta incinta e capace di intendere abbia il supremo diritto di rifiutare il consenso a una trasfusione di sangue in base alle sue credenze religiose nelle circostanze presentate?”
La Corte Speciale di Appello del Maryland3 ammise che la questione non era più urgente perché la signora Jackson e la sua bambina erano sopravvissute all’intervento senza uso di sangue. Ma la corte decise di considerare l’appello, perché potevano sorgere altri casi del genere.
La corte osservò che il Mercy Hospital sosteneva d’essere gestito da un ordine cattolico e d’essere “dedicato a preservare la vita”. Tuttavia la corte disse che il Mercy Hospital non poteva giustamente “deplorare che le credenze religiose della signora Jackson fossero state rispettate a detrimento di quelle dell’ospedale . . . Libertà di religione significa avere il diritto di seguire le proprie credenze religiose senza interferenza da parte di altre religioni, organizzazioni non religiose o del governo”.
Che dire dell’interesse dello stato? “Lo stato del Maryland . . . ha preso parte a questo appello presentando un fascicolo in veste di perito, e malgrado l’ospedale asserisse il contrario, ha fatto notare che qualsiasi interesse dello stato nel preservare la vita non è necessariamente assoluto”. La corte inoltre osservò che il diritto positivo del Maryland “include un enfatico mandato legislativo secondo cui la decisione del paziente relativamente al tipo di trattamento a cui si sottoporrà è di suprema importanza. La legge arriva al punto di dichiarare che, in ultima analisi, è il paziente a stabilire se mai si sottoporrà a un trattamento”.
Si noti la conclusione della corte: “Respingendo la richiesta dell’ospedale di designare un tutore per la signora Jackson, il giudice Greenfeld ha detto: ‘Questa corte è dell’opinione che una donna adulta incinta e capace di intendere abbia il supremo diritto di rifiutare una trasfusione di sangue in conformità alle proprie credenze religiose, quando tale decisione è presa consapevolmente e volontariamente e non mette in pericolo la nascita, la sopravvivenza o il sostentamento del feto. Questa conclusione si concilia con il diritto del paziente di dare il suo consenso informato ai trattamenti sanitari . . . e il conseguente diritto di rifiutare quei trattamenti sanitari’. Siamo d’accordo. SENTENZA CONFERMATA”. — 4 aprile 1985.c
Questi sono casi veramente importanti. Sottolineano il fatto che ciascuno di noi ha il diritto di decidere in merito ai trattamenti sanitari e che tale decisione può rispecchiare le nostre più profonde convinzioni religiose o etiche. Medici e ospedali possono inoltre rendersi conto che è possibile offrire senza pericolo l’assistenza medica non discriminatoria che desiderano per tutti. Nel far questo, riscontreranno che i testimoni di Geova sono pazienti pronti a cooperare e riconoscenti, la cui forte volontà di vivere rappresenta un essenziale elemento in più che favorisce la loro guarigione.
[Note in calce]
a Per una trattazione dei motivi religiosi ed etici, vedi I Testimoni di Geova e il problema del sangue (1977), edito dalla Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania.
b L’Ordine dei Medici Americani provvede un modulo di questo tipo in Medicolegal Forms With Legal Analysis (1976), a pagina 85. I testimoni di Geova hanno fatto largo uso di questo modulo.
c Il 27 marzo 1985 la Quarta Corte Distrettuale d’Appello della Florida era pervenuta a una simile decisione.4 Essa affermò che anche in una situazione in cui la vita era in pericolo un 27enne poteva rifiutare una trasfusione di sangue benché partecipasse al mantenimento di un figlio minorenne. E aggiunse: “Le trasfusioni di sangue inoltre non sono esenti da rischi e prendiamo nota in sede giudiziaria delle conseguenze sfavorevoli, che forse ripugnano al ricevente e che possono derivare da una trasfusione di sangue contaminato”.
[Riferimenti bibliografici]
1. Randolph contro City of New York, N.Y.L.J., 12 ott. 1984, 6, col. 4 (N.Y. Sup. Ct. Oct. 1, 1984)
2. Shorter contro Drury, 103 Wash. 2d 645, 695 P.2d 116 (1985)
3. Mercy Hospital, Inc. contro Jackson, 62 Md. App. 409, 489 A.2d 1130 (Md. Ct. Spec. App. 1985)
4. St. Mary’s Hospital contro Ramsey, 465 So. 2d 666 (Fla. Dist. Ct. App. 1985)