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  • g98 8/3 pp. 13-18
  • Cos’è accaduto agli apache?

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  • Cos’è accaduto agli apache?
  • Svegliatevi! 1998
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  • “Le tigri della specie umana”
  • Come sopravvissero all’inizio
  • Chi furono i primi scotennatori?
  • Le riserve risolsero il problema?
  • Quali problemi hanno oggi?
  • Progresso economico degli apache
  • Il trionfo della giustizia
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Svegliatevi! 1998
g98 8/3 pp. 13-18

Cos’è accaduto agli apache?

DI CHI è stato detto: “Mai si vide una faccia più feroce”? Eppure, chi era conosciuto per il suo coraggio e la sua determinazione fuori del comune? L’ultimo capo apache arresosi all’esercito americano. Visse 80 anni e morì nel 1909 nell’Oklahoma, presumibilmente come seguace della Chiesa Riformata Olandese. Era Goyathlay (si pronuncia Goyahkla), meglio conosciuto con il nome di Geronimo, l’ultimo grande capo apache.

Si dice che gli venisse dato questo nome perché i soldati messicani impauriti invocarono “san” Gerolamo (Jerónimo) quando Goyathlay li attaccò. Verso il 1850 i soldati messicani uccisero 25 donne e bambini apache che erano accampati alla periferia di Janos, in Messico. Fra loro c’erano la madre, la giovane moglie e i tre bambini di Geronimo. A quanto si dice, “per il resto della vita Geronimo odiò tutti i messicani”. Animato dal desiderio di vendetta, divenne uno dei più temuti capi apache.

Ma cosa sappiamo degli indiani apache, presentati così spesso in veste di cattivi nei film di Hollywood? Esistono ancora? In tal caso, come vivono e quale futuro hanno?

“Le tigri della specie umana”

Gli apache (pare che il loro nome derivi dal termine zuñi ápachu che significa “nemico”) erano noti come guerrieri intraprendenti e senza paura. Il generale George Crook, famoso nel secolo scorso perché combatteva contro gli indiani, li definì “le tigri della specie umana”. Tuttavia una pubblicazione dice che “dopo il 1500 tutte le tribù apache messe insieme non superarono mai le seimila unità”. Ma poche decine di guerrieri potevano tenere impegnato nella guerriglia un intero esercito nemico!

Comunque una fonte apache dichiara: “A differenza delle idee popolari inventate da spagnoli, messicani e americani, gli apache non erano selvaggi bellicosi e sanguinari. Facevamo razzie solo nei periodi in cui i viveri scarseggiavano. Le guerre non erano combattimenti casuali, ma in genere erano campagne ben pianificate per vendicare le ingiustizie subite”. E di ingiustizie ce n’erano tante!

Una mostra al Centro Culturale Apache di San Carlos, a Peridot, in Arizona, spiega la storia degli apache dal loro punto di vista: “L’arrivo di forestieri nella regione provocò ostilità e cambiamenti. I nuovi venuti davano poca importanza ai nostri legami con la terra. Nel tentativo di proteggere le nostre tradizioni e la nostra cultura, i nostri antenati combatterono e vinsero molte battaglie contro soldati e cittadini spagnoli, messicani e americani. Ma sopraffatti dalla superiorità numerica e dalla tecnologia moderna, i nostri nonni e i nostri bisnonni si videro infine costretti ad accettare le richieste del Governo americano. Fummo costretti a rinunciare alla vita nomade e a vivere nelle riserve”. La frase ‘costretti a vivere nelle riserve’ suscita profondi sentimenti in circa mezzo milione di persone confinate nelle riserve (degli oltre due milioni di nativi americani) delle 554 tribù degli Stati Uniti e delle 633 bande del Canada. Gli apache sono circa 50.000.*

Come sopravvissero all’inizio

La maggioranza degli esperti di storia dei nativi americani accetta la teoria secondo cui le tribù originarie vennero dall’Asia, attraversarono lo Stretto di Bering e poi si spostarono lentamente verso sud e verso est. Secondo i linguisti la lingua degli apache è affine a quella delle genti di lingua athabasca dell’Alaska e del Canada. Thomas Mails scrive: “Secondo le stime attuali, il tempo del loro arrivo nel Sud-Est americano oscilla fra il 1000 e il 1500 d.C. Sull’esatto percorso seguito e sulla velocità della migrazione gli antropologi non sono ancora d’accordo”. — The People Called Apache.

Nei primi secoli gli apache sopravvissero spesso compiendo razzie a danno dei loro vicini ispano-messicani. Thomas Mails scrive: “Queste scorrerie proseguirono per quasi duecento anni, cominciando nel 1690 e continuando fin verso il 1870. Tali razzie non sorprendono visto che in Messico le cose necessarie abbondavano”.

Chi furono i primi scotennatori?

A causa dei perenni conflitti fra il Messico e la nazione apache, il governo di Sonora “tornò al vecchio metodo spagnolo” di offrire taglie in cambio di scalpi. Questa non era un’innovazione spagnola: era un’usanza già seguita in precedenza da inglesi e francesi.

I messicani scotennavano per riscuotere la taglia e a volte non aveva importanza se lo scalpo era apache oppure no. Nel 1835 fu approvata in Messico una legge sulle taglie in virtù della quale venivano offerti 100 pesos per lo scalpo di un guerriero. Due anni dopo il prezzo includeva 50 pesos per lo scalpo di una donna e 25 per quello di un bambino! Dan Thrapp scrive in un suo libro: “In effetti questa tattica mirava allo sterminio, segno che il genocidio ha radici estese e non è un’invenzione moderna di una singola nazione”. Egli continua: “Gli apache stessi non scotennavano”. (The Conquest of Apacheria) Tuttavia Mails dice che i chiricahua a volte prendevano scalpi, ma non spesso, “perché avevano paura della morte e degli spiriti”. E aggiunge: “Scotennavano solo per rappresaglia dopo che i messicani avevano introdotto questa pratica”.

Thrapp dice che i minatori “spesso si radunavano insieme . . . e andavano a caccia di indiani. Quando riuscivano a prenderli in trappola, uccidevano tutti gli uomini e, a volte, anche tutte le donne e i bambini. Gli indiani, naturalmente, facevano altrettanto con i bianchi e con le altre tribù”.

La guerra con gli apache a un certo punto divenne profittevole per lo stato dell’Arizona, dice Charles Lummis, dato che “la continuazione della guerra con gli apache [significava] che il Dipartimento della Guerra avrebbe fatto affluire entro i confini dell’Arizona oltre 2 milioni di dollari all’anno”. Thrapp afferma: “C’era gente potente e senza scrupoli che non voleva la pace con gli apache, poiché se fosse venuta la pace, i fiumi di denaro spesi dai militari si sarebbero prosciugati”.

Le riserve risolsero il problema?

I continui scontri fra i coloni bianchi invasori e gli abitanti apache indussero il governo federale a risolvere il problema confinando gli indiani nelle riserve, che spesso erano tratti di terra inospitale che avrebbero dovuto offrire loro i mezzi per sopravvivere. Le riserve per gli apache furono stabilite nel 1871-72.

Dal 1872 al 1876 gli apache chiricahua ebbero le loro riserve. Questi nomadi abituati a vagare liberi si sentivano prigionieri. Anche se erano da 400 a 600 e avevano oltre un milione di ettari di terra, questo territorio essenzialmente arido non era abbastanza per la caccia e i raccolti. Il governo doveva provvedere loro razioni ogni 15 giorni per tenere lontana la fame.

Nonostante ciò i coloni bianchi pensarono che la riserva separata dei chiricahua fosse terra sprecata e che gli apache dovessero essere concentrati in un’unica riserva. Il malanimo dei coloni bianchi crebbe dopo la morte del rispettato capo Kociss nel 1874. Avevano bisogno di una scusa per cacciare gli apache chiricahua dalla riserva. Cosa accadde? “Nel 1876 si trovò un pretesto. Due venditori illegali di whisky furono uccisi da due chiricahua quando si rifiutarono di vendergliene dell’altro. Anziché arrestare i sospettati, l’agente [governativo] della riserva di San Carlos giunse accompagnato da uomini armati e scortò [la tribù dei] chiricahua fino a San Carlos. La riserva dei chiricahua fu chiusa”.

Agli indiani, tuttavia, era ancora permesso di muoversi liberamente fuori dei confini della riserva. La cosa non era gradita ai coloni bianchi. “In risposta alle richieste dei coloni, il governo trasferì gli apache San Carlos, White Mountain, cibecue e tonto, oltre alle numerose bande comprendenti gli apache chiricahua, nell’agenzia di San Carlos”. — Creation’s Journey—Native American Identity and Belief.

A un certo punto erano migliaia gli apache occidentali, i chiricahua e gli yavapai confinati nella riserva. Questo causò tensione e sospetti, dato che alcune di queste tribù erano nemiche di vecchia data. Come reagirono alle restrizioni imposte nella riserva? Gli apache rispondono: “Non potendo vivere secondo le nostre tradizioni, eravamo affamati in senso fisico, emotivo e spirituale. Ci era stata tolta la libertà”.

Tuttavia nel 1885 un gruppo di chiricahua guidati dal famoso capo Geronimo fuggì dalla riserva e si rifugiò in Messico. Furono inseguiti dal generale Nelson Miles con quasi 5.000 uomini e 400 guide apache, tutti decisi a stanare quelli che, a quel punto, erano solo 16 guerrieri, 12 donne e 6 bambini!

Infine il 4 settembre 1886 Geronimo si arrese. Era disposto a tornare nella riserva di San Carlos. Ma non sarebbe andata così. Gli fu detto che tutti gli apache che erano lì erano stati mandati verso est, in Florida, come prigionieri, e lì sarebbe dovuto andare anche lui. In lingua apache disse: “Łahn dádzaayú nahikai łeh niʹ nyelíí k’ehge”, che significa: “Una volta mi muovevo come il vento”. Il fiero e astuto Geronimo, ora prigioniero, non poteva più muoversi libero come il vento.

Infine gli venne consentito di spostarsi a ovest, a Fort Sill, nell’Oklahoma, dove morì nel 1909. Come tanti altri capi nativi americani, questo capo apache era stato costretto a sottostare alle opprimenti condizioni di vita delle prigioni e delle riserve.

Quali problemi hanno oggi?

Gli apache occupano parecchie riserve dell’Arizona e del Nuovo Messico. Svegliatevi! ha visitato la riserva di San Carlos e ha intervistato diversi capi apache. Segue un resoconto di tale visita.

Poco dopo essere entrati nella riserva, in una calda e secca giornata di maggio fummo ricevuti in modo ospitale da Harrison Talgo e da sua moglie. Harrison, un uomo dalla parola facile, alto più di un metro e ottanta, con un bel paio di baffi, fa parte del consiglio tribale di San Carlos. Gli abbiamo chiesto: “Quali sono alcuni problemi che incontrano oggi gli apache?”

“Stiamo perdendo i valori tradizionali. La TV ha influito molto negativamente, specie sui giovani. Un esempio è che non imparano la nostra lingua. Un altro grosso problema è quello della disoccupazione, che in alcune zone arriva al 60 per cento. È vero, abbiamo le case da gioco, ma non danno lavoro a molti della nostra gente. E l’altra faccia della medaglia è che molti della nostra gente vanno a giocarsi l’assegno pagato dal governo, che dovrebbe servire loro per vitto e alloggio”.

Quando è stato chiesto quali problemi di salute ci sono nella tribù, Harrison ha risposto senza esitazione. “Il diabete”, ha detto. “Oltre il 20 per cento della nostra gente soffre di diabete. In alcune zone più del 50 per cento”. Ha ammesso che un altro grosso problema è il flagello introdotto dai bianchi oltre 100 anni fa: l’alcool. “Fra la nostra gente c’è anche il problema della droga”. Nella riserva c’erano cartelli stradali che costituivano un’eloquente testimonianza di questi problemi. Dicevano: “Conducete una vita sobria — State lontani dalla droga” e: “Salvaguardiamo la nostra terra. Salvaguardiamo la nostra salute. Non distruggiamo la nostra ricchezza”.

Abbiamo chiesto se l’AIDS aveva raggiunto la tribù. Con evidente disgusto ha risposto: “Il pericolo è l’omosessualità. L’omosessualità sta prendendo piede lentamente nella riserva. La televisione e i vizi dei bianchi stanno indebolendo alcuni dei nostri giovani apache”.

Abbiamo chiesto se negli ultimi anni le cose nella riserva sono cambiate. Harrison ha risposto: “Negli anni ’50 l’ordine delle priorità e delle influenze era questo: Primo, la religione; secondo, la famiglia; terzo, l’istruzione; quarto, le pressioni dei coetanei; e, infine, la TV. Oggi l’ordine è invertito e la TV è l’influenza predominante. Le pressioni dei compagni — che spingono ad abbandonare le usanze apache e a seguire la corrente principale in America — vengono al secondo posto. L’istruzione è ancora al terzo posto e molti apache si avvalgono delle opportunità di andare all’università e di frequentare la scuola media e le superiori, in continuo aumento nelle riserve”.

“Che dire dell’influenza della famiglia?”, abbiamo chiesto.

“Purtroppo ora la famiglia è retrocessa al quarto posto e la religione all’ultimo, sia che si tratti della nostra religione tradizionale o delle religioni dei bianchi”.

“Come considerate le religioni della cristianità?”

“Non ci piace che le chiese cerchino di convertire la nostra gente inducendola ad abbandonare le credenze tradizionali.* I luterani e i cattolici hanno missioni qui da oltre 100 anni. Ci sono anche gruppi pentecostali che esercitano un certo richiamo emotivo.

“Dobbiamo ricreare la nostra identità culturale attraverso la famiglia e tornare a parlare la lingua apache. Al presente, si sta perdendo”.

Progresso economico degli apache

Abbiamo fatto visita a un altro apache, una persona influente, che si è espresso in termini fiduciosi riguardo alle prospettive economiche della riserva di San Carlos. Tuttavia ha spiegato che non è facile convincere gli investitori a impiegare capitali in imprese nella riserva. Un segno positivo è l’accordo con una grossa società telefonica per costituire la San Carlos Apache Telecommunication Company (ente apache per le telecomunicazioni di San Carlos). È finanziata dall’Associazione Economica Rurale e creerà altri posti di lavoro per gli apache, oltre ad ampliare e migliorare l’insufficiente rete telefonica della riserva.

Questo funzionario ha anche parlato con orgoglio del centro di emodialisi che presto sarà allestito nell’ospedale della riserva, che offrirà cure mediche migliori e più accurate. Quindi ci ha mostrato il progetto per la ricostruzione del centro commerciale di San Carlos, che dovrebbe avere inizio presto. Era ottimista per il futuro, ma ha sottolineato che alla base dev’esserci l’istruzione. ‘Istruzione significa paghe migliori, che portano un tenore di vita migliore’.

Le donne apache sono famose per la loro abilità nell’intrecciare ceste. Un manuale turistico dice che “caccia, pesca, allevamento di bestiame, legname, estrazione di minerali, divertimenti all’aperto e turismo” sono tra le voci principali dell’economia locale.

Gli apache stanno cercando di stare al passo con il mondo esterno, nonostante siano in forte svantaggio. Come tanti altri, vogliono giustizia, rispetto e una vita dignitosa.

Il trionfo della giustizia

I testimoni di Geova visitano gli apache per parlare loro del nuovo mondo che Geova Dio ha promesso di stabilire sulla terra e di cui troviamo una splendida descrizione nel libro biblico di Isaia: “Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra; e le cose precedenti non saranno ricordate, né saliranno in cuore. E certamente edificheranno case e le occuperanno; e certamente pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non faticheranno per nulla”. — Isaia 65:17, 21, 23; 2 Pietro 3:13; Rivelazione (Apocalisse) 21:1-4.

Fra breve Geova Dio purificherà il mondo sia da egoismo e corruzione che dagli abusi di cui è stata oggetto la terra. (Vedi Matteo 24; Marco 13; Luca 21). Persone di ogni nazione, inclusi i nativi americani, possono ora benedirsi volgendosi al vero Dio, Geova, attraverso Cristo Gesù. (Genesi 22:17, 18) I testimoni di Geova offrono istruzione biblica gratuita ai mansueti che desiderano ereditare una terra restaurata e che sono disposti a ubbidire a Dio. — Salmo 37:11, 19.

[Note in calce]

Gli apache sono divisi in vari sottogruppi, ad esempio, in apache occidentali, che comprendono i tonto settentrionali e meridionali, mimbreño e coyotero e apache orientali, cioè i chiricahua, mescalero, jicarilla, lipan e kiowa. Ulteriori suddivisioni sono gli apache White Mountain e gli apache San Carlos. Oggi queste tribù vivono principalmente nell’Arizona sud-orientale e nel Nuovo Messico. — Vedi la cartina a pagina 15.

In un prossimo numero di Svegliatevi! tratteremo le credenze e la religione dei nativi americani.

[Cartine/Immagine a pagina 15]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

AMERICA SETTENTRIONALE

Area ingrandita a destra

Riserve apache

ARIZONA

NUOVO MESSICO

Jicarilla

Fort Apache (White Mountain)

San Carlos

Mescalero

[Fonte]

Mountain High Maps® Copyright © 1997 Digital Wisdom, Inc.

[Immagine a pagina 13]

Geronimo

[Fonte]

Per gentile concessione dell’Arizona Historical Society/Tucson, AHS#78167

[Immagini a pagina 16]

Harrison Talgo, del consiglio della tribù

[Immagini a pagina 17]

Il capo Kociss fu sepolto nella sua roccaforte chiricahua

La TV giunge nella riserva grazie alle antenne paraboliche

[Immagine a pagina 18]

Quando gli apache vengono sepolti, i parenti depongono pietre attorno alla tomba. I nastri al vento indicano i quattro punti cardinali

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