Dal latte alla feta
Dal corrispondente di Svegliatevi! in Grecia
I PADRONI di casa newyorkesi avevano preparato alcuni piatti tradizionali che pensavano sarebbero stati particolarmente graditi al loro ospite greco. Tuttavia, quando fu portato in tavola l’ultimo piatto, l’insalata greca, l’ospite disse scherzando: “Ma dov’è la feta?”
Oh, sì, la feta, il formaggio! Quando si pensa al cibo greco, una delle prime cose che vengono in mente è la feta, fresca, bianca, morbida e piccante. In Grecia la feta è d’obbligo in qualsiasi pasto tradizionale e, naturalmente, è uno dei principali ingredienti della famosa insalata greca. Di recente, nell’ambito dei provvedimenti presi per proteggere la tipicità di questo formaggio, l’Unione Europea ha riconosciuto ufficialmente che il nome “feta” si applica esclusivamente a questo prodotto greco, distinguendolo dai formaggi bianchi prodotti altrove. Per soddisfarne gli amanti in ogni parte del mondo, la Grecia ne esporta ogni anno più di 9.000 tonnellate.
Un po’ di storia
La fabbricazione del formaggio ha una storia molto antica. Giobbe, un personaggio biblico vissuto nel XVII secolo a.E.V. in quella che oggi è l’Arabia, descrisse con linguaggio poetico com’era stato formato nel grembo materno, dicendo al suo Creatore: “Non mi versavi come il latte stesso e mi rapprendevi come il formaggio?” (Giobbe 10:10) Si crede che l’arte di fare il formaggio sia stata introdotta in Europa da un popolo marinaro, i fenici, che fondarono colonie a Cipro e nelle isole dell’Egeo.
Resti di utensili usati per fare il formaggio sono stati scoperti sia in Grecia che nelle isole dei dintorni, Creta compresa. Almeno un’isola dell’Egeo coniò monete su cui erano rappresentate piccole forme di formaggio e gli atleti dell’antichità che si preparavano per le Olimpiadi seguivano una dieta a base di formaggio. Nell’Odissea, Omero fa fare a Polifemo, il mitico ciclope, il cacio con latte di pecora, forse il precursore della feta, che stagionava in cesti di vimini nella sua spelonca. Infatti la parola italiana formaggio e quella francese fromage vengono dal greco formòs, che significa “cesto”, il cesto di vimini usato per scolare il formaggio.
Come si fa la feta
Torniamo comunque alla feta. Ciò che rende diversa la vera feta è che viene prodotta esclusivamente con latte di capra o di pecora. In Grecia la feta deve contenere, per legge, almeno il 70 per cento di latte di pecora, essendo consentito non più del 30 per cento di latte di capra; il latte di vacca è severamente vietato, cosa che non avviene per la “feta” prodotta altrove. La feta non viene né cotta né pressata, ma stagionata per breve tempo in una soluzione salina che aggiunge una punta di salato al sapore forte del latte.
Visitiamo un piccolo caseificio sui monti del Peloponneso e seguiamo le operazioni che vengono compiute per fare la feta. Thanassis, il proprietario, formaggiaio da decenni, è al lavoro dalle prime ore del mattino per raccogliere latte di pecora e di capra dai produttori locali. Al nostro arrivo sta scremando, pastorizzando e raffreddando il latte con un aggeggio che somiglia a un radiatore.
“Una capra o una pecora produce circa un chilo di latte al giorno”, ci informa Thanassis, “e ci vogliono da 4 a 4 chili e mezzo di latte per fare un chilo di feta”.
Ora è il momento di aggiungere caglio e yogurt, gli ingredienti necessari per far coagulare il latte. “Il caglio è una sostanza presente nella mucosa dello stomaco dei ruminanti”, fa notare Thanassis, “e contiene un enzima detto rennina. Quando la rennina viene messa nel latte, ne provoca la cagliatura e avviene la separazione in cagliata e siero”. Il latte contenuto nelle grandi vasche appare ingannevolmente immobile. Ma se potessimo guardare con un microscopio, vedremmo che c’è grande attività, perché avvengono delle reazioni chimiche che cambiano la natura e la composizione del latte. Guardando sopra le vasche, Thanassis osserva: “A questo punto la temperatura deve rimanere costante”. Ribadisce che si tratta in realtà di un equilibrio delicato. “Un grado in più o in meno e il mio formaggio è rovinato”.
Successivamente vengono aggiunti al miscuglio grossi cristalli di sale grezzo. Tre quarti d’ora dopo, la trasformazione che il latte ha subìto è ben evidente. Ora è denso e bianco, come un miscuglio di gelatina e yogurt, e galleggia nel siero color giallo cupo, da cui si ricava un formaggio piuttosto dolce. Il sapore del latte coagulato non ha niente a che vedere con quello salato e piccante della feta nella quale alla fine si trasformerà. Omogeneo, caldo e dolce, ha un sapore strano.
Rottura e salatura della cagliata
Ora è tempo che il formaggiaio compia un’azione più drastica. Thanassis prende uno strumento particolare, un lungo telaio di acciaio inossidabile munito di fili metallici uniformemente distanziati a circa tre centimetri l’uno dall’altro, e lo passa nella vasca prima in senso orizzontale e poi verticale, sminuzzando la pasta. Quindi agita la cagliata servendosi di una lunga pala di legno con grossi buchi.
Dopo essere stata agitata, la pasta viene messa in stampi rotondi di acciaio inossidabile, scanalati, per farla scolare e il siero giallo viene estratto. La cagliata rimane negli stampi.
Apprendiamo che la consistenza della cagliata in ciascuno stampo è della massima importanza per la qualità del prodotto finito. Il formaggiaio sala il contenuto degli stampi e poi, circa un’ora dopo, lo gira e lo sala di nuovo. Nel corso di quella giornata e la mattina seguente la cagliata viene girata e salata un paio di volte.
Gli ultimi tocchi
Ora la cagliata è abbastanza solida da poter essere trasferita in fusti più o meno grandi. Questa operazione viene chiamata lanza. La cagliata rimane nei fusti per un periodo che va da tre a cinque giorni. Poi viene tirata fuori, lavata e messa in altri fusti. Rimarrà lì per un periodo che varia da due settimane a 40 giorni per fermentare, maturare e liberarsi dell’acqua salata. Infine i fusti vengono messi in frigorifero dove resteranno almeno due mesi prima che il formaggio possa essere venduto. Per conservarsi per mesi la feta dovrebbe essere tenuta in una soluzione fortemente salata, in acqua o latte. Benché la feta per l’esportazione venga messa in scatolette, in Grecia è di solito venduta in fusti di legno, che ne migliorano il sapore.
“D’inverno il latte è più cremoso e più dolce”, dice Thanassis, “ma non altrettanto saporito. Da aprile a ottobre, quando il latte è più leggero ma più profumato, la feta verrà più consistente”.
Quando Thanassis prende un pezzetto di feta fresca dal fusto, il latte salato gli gocciola fra le dita. Ce ne fa assaggiare un po’ insieme a un pezzo di pane caldo appena tirato fuori dal forno a legna e ci rammenta che, come tutti i migliori formaggi, la feta è stata molto imitata ma mai uguagliata. Più tardi, tra gli squisiti piatti mediterranei che vengono serviti durante il pranzo a casa sua lì vicino, la feta ha un posto di primo piano.
Ora che sapete qualcosa di più su come si fa questo formaggio unico, perché non allargate le vostre conoscenze gastronomiche assaggiando un po’ di feta fresca e saporita? Nel farlo, pensate a tutto il tempo e il lavoro che ci sono voluti per produrre questo squisito formaggio: dal giorno in cui la capra o la pecora è stata munta al momento in cui vi è stato servito il prodotto finito.
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Gli ingredienti della tipica insalata greca