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  • E... la fotografia vide la luce
  • Svegliatevi! 2006
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Svegliatevi! 2006
g 6/06 pp. 20-23

E... la fotografia vide la luce

DALLA SVEZIA

Si racconta che gli ospiti dello scienziato italiano Giambattista Della Porta (1535 ca.-1615) rimasero scioccati. Di fronte a loro, sulla parete della stanza, si muovevano delle immagini rimpicciolite e capovolte di persone. Gli spettatori in preda al panico scapparono via. E Della Porta fu accusato di stregoneria.

TUTTO questo per aver cercato di intrattenere i suoi ospiti esibendo una camera oscura. Il principio su cui questa si basa è semplice, ma i risultati possono essere spettacolari. Come funziona?

Quando in una scatola o in una camera buia la luce entra attraverso un piccolo foro, sulla parete opposta viene proiettata un’immagine capovolta di ciò che si trova all’esterno. Ciò che gli ospiti di Della Porta videro erano attori che stavano recitando all’esterno. La camera oscura fu il prototipo della macchina fotografica. Oggi forse siete fra i milioni di persone che hanno una macchina fotografica o che magari hanno usato le economiche e diffusissime macchine fotografiche usa e getta.

Ai giorni di Della Porta la camera oscura non era una cosa completamente nuova. Già Aristotele (384-322 a.E.V.) aveva osservato il fenomeno che sta alla base della camera oscura, poi nel X secolo questo fenomeno fu descritto vividamente dall’astronomo arabo Alhazen, e nel XV secolo Leonardo da Vinci fece riferimento alla camera oscura nei suoi appunti. Nel XVI secolo l’applicazione di una lente alla camera oscura migliorò la qualità delle immagini, e così molti artisti poterono realizzare opere con notevole precisione prospettica. Nonostante i molti tentativi, però, fino al XIX secolo non si riuscì a rendere le immagini permanenti.

Il primo fotografo

L’inventore francese Joseph-Nicéphore Niepce iniziò probabilmente già nel 1816 a cercare il modo di creare immagini fotografiche permanenti. Ma i suoi sforzi conobbero una svolta decisiva quando, facendo esperimenti di litografia, notò che una sostanza chiamata bitume di Giudea era sensibile alla luce. Verso la metà degli anni ’20 del XIX secolo mise una lastra di peltro spalmata con questo bitume in una camera oscura davanti a una finestra della sua tenuta, e la lasciò esposta alla luce per otto ore. Oggi nemmeno il più inesperto dei fotografi amatoriali andrebbe fiero dell’immagine sfocata che Niepce ottenne e che ritraeva un edificio, un albero e un granaio. Lui però aveva tutte le ragioni per esserne orgoglioso: quell’immagine fu molto probabilmente la prima fotografia.

Per sviluppare ulteriormente il suo metodo, nel 1829 Niepce si associò con un dinamico imprenditore, Louis Daguerre. Niepce morì nel 1833 e negli anni successivi Daguerre fece alcuni importanti passi avanti. Si servì di lastre di rame ricoperte di ioduro d’argento, una sostanza più sensibile alla luce rispetto al bitume di Giudea. Per caso scoprì che, se la lastra veniva trattata con vapori di mercurio dopo l’esposizione, l’immagine latente appariva nitida. Questa scoperta ridusse in modo drastico il tempo di esposizione. In seguito Daguerre scoprì che lavando la lastra con una soluzione salina l’immagine non si scuriva con il passare del tempo. La fotografia era pronta per riscuotere un successo travolgente.

Presentata al pubblico

Nel 1839 l’invenzione di Daguerre, chiamata dagherrotipia, venne presentata al pubblico e fu accolta con grande entusiasmo. Nel suo libro La storia della fotografia lo studioso Helmut Gernsheim scrive: “Forse nessun’altra invenzione soggiogò l’immaginazione di tutto il pubblico e conquistò il mondo intero con rapidità fulminea come la dagherrotipia”. Quando fu presentata quest’invenzione un testimone oculare riferì: “Un’ora dopo tutti i negozi d’ottica erano assediati, ma non poterono mettere insieme una scorta sufficiente di strumenti per soddisfare l’esercito avanzante di coloro che volevano improvvisarsi dagherrotipisti; qualche giorno dopo in tutte le piazze di Parigi si potevano vedere [camere oscure] piazzate, su cavalletti a tre gambe, davanti a chiese e palazzi. Tutti i fisici, i chimici e gli uomini di cultura della capitale lucidavano lastre argentate, e anche ai migliori droghieri era impossibile negarsi il piacere di sacrificare parte delle loro mercanzie sull’altare del progresso, facendole evaporare nello iodio e consumandole nei vapori di mercurio”. La stampa parigina battezzò immediatamente quell’entusiasmo dagherrotipomania.a

La buona qualità dei dagherrotipi spinse lo scienziato britannico John Herschel a scrivere: “Non è affatto esagerato definirli un miracolo”. Alcuni attribuirono persino poteri magici a quell’invenzione.

Non tutti però furono entusiasti della nuova invenzione. Nel 1856 il re di Napoli vietò la fotografia, forse perché si riteneva che fosse associata al “malocchio”. Quando vide un dagherrotipo, il pittore francese Paul Delaroche esclamò: “Da oggi la pittura è morta!” Inoltre l’invenzione causò molta preoccupazione fra i pittori che videro minacciata l’attività con cui si sostentavano. Un commentatore espresse i timori di alcuni quando disse: “Producendo immagini otticamente esatte, la fotografia rischia di annullare il concetto soggettivo di bellezza”. Inoltre le immagini fotografiche erano addirittura oggetto di critiche per il loro inesorabile realismo, che mandava in fumo le agognate illusioni di bellezza e giovinezza.

Daguerre contro Talbot

Il fisico inglese William Henry Fox Talbot pensava di aver inventato lui la fotografia, e perciò fu colto di sorpresa dall’annuncio dell’invenzione di Daguerre. Talbot seguiva questo procedimento: esponeva nella camera oscura fogli di carta imbevuti di cloruro d’argento, cerava il negativo così ottenuto per renderlo più trasparente e lo metteva a contatto con un altro foglio di carta trattato; quindi lo esponeva alla luce ottenendo un’immagine positiva.

Anche se all’inizio riscosse molto meno successo, e i risultati erano di qualità inferiore, il procedimento fotografico inventato da Talbot aveva più possibilità di utilizzo. Permetteva di riprodurre molte copie da un unico negativo, e inoltre le copie cartacee erano più economiche e più maneggiabili dei fragili dagherrotipi. La fotografia odierna si basa ancora sul procedimento di Talbot, mentre la dagherrotipia, nonostante la sua iniziale popolarità, non aveva futuro.

Niepce, Daguerre e Talbot non furono comunque gli unici a contendersi il titolo di padre della fotografia. Dopo l’annuncio dell’invenzione di Daguerre fatto nel 1839, almeno 24 persone, dalla Norvegia fino al Brasile, rivendicarono la paternità dell’invenzione.

Il potere della fotografia

Un riformatore sociale, Jacob August Riis, considerò fin dall’inizio la fotografia un’occasione d’oro per portare all’attenzione del pubblico la povertà e la sofferenza. Nel 1880 iniziò a fotografare i quartieri poveri di New York di sera, utilizzando a mo’ di flash polvere di magnesio che bruciava in una padella, un metodo non del tutto esente da rischi. Due volte la casa in cui lavorava prese fuoco e una volta anche i suoi vestiti. A detta di alcuni, le sue fotografie furono uno dei motivi che spinsero Theodore Roosevelt, una volta insediatosi alla Casa Bianca, a intraprendere diverse riforme sociali. Inoltre il potere persuasivo di una serie di fotografie panoramiche scattate da William Henry Jackson spinse nel 1872 il Congresso degli Stati Uniti a fare di Yellowstone il primo parco nazionale del mondo.

Alla portata di tutti

Verso la fine degli anni ’80 del XIX secolo c’erano molti a cui sarebbe piaciuto cimentarsi nella fotografia, ma era un hobby costoso e complicato. Nel 1888, però, George Eastman inventò la Kodak, una macchina fotografica portatile di facile utilizzo che conteneva una pellicola su rullo. Eastman aprì la strada alla diffusione di massa della fotografia.

Dopo aver esposto la pellicola, il cliente spediva tutta la macchina fotografica alla fabbrica. Qui la pellicola veniva trattata e la macchina fotografica veniva ricaricata e rispedita al proprietario insieme alle fotografie sviluppate, tutto a un prezzo abbastanza contenuto. Lo slogan “Voi premete il bottone, noi faremo il resto” non era un’esagerazione.

Era nata la fotografia di massa, e oggi i miliardi di fotografie scattate ogni anno indicano che il consenso ottenuto dalla fotografia non è mai diminuito. Ora ad aumentare la sua popolarità ci sono le macchine fotografiche digitali, in cui la definizione dell’immagine si misura in megapixel. Le minuscole schede di memoria di queste macchine possono contenere centinaia di foto. Si possono ottenere stampe di alta qualità anche con il computer e la stampante di casa. Senza dubbio la fotografia ha fatto molta strada!

[Nota in calce]

a Gruppo Editoriale Electa, Milano, 1981, p. 31.

[Immagine a pagina 20]

Dagherrotipo panoramico di Parigi, 1845 circa

[Immagine a pagina 20]

Riproduzione di quella che è ritenuta la prima fotografia, 1826 circa

[Immagine a pagina 20]

Disegno di una camera oscura, utilizzata da molti artisti

[Immagine a pagina 21]

Niepce

[Immagini a pagina 23]

Dagherrotipo del 1844 di Louis Daguerre e la sua macchina fotografica

[Immagini a pagina 23]

Lo studio di William Talbot, 1845 circa, e le sue macchine fotografiche

[Immagini a pagina 23]

Una foto del 1890 di George Eastman che tiene in mano una Kodak n. 2, e la sua Kodak n. 1 con il rullo per la pellicola

[Immagine a pagina 23]

Foto di quello che divenne il parco nazionale di Yellowstone scattata da W. H. Jackson, 1871

[Immagine a pagina 23]

Oggi le macchine fotografiche digitali fanno fotografie costituite da megapixel

[Fonti delle immagini a pagina 20]

Panorama di Parigi: Foto di proprietà di Bernard Hoffman/Time Life Pictures/Getty Images; foto di Niepce: Foto di proprietà di Joseph Niepce/Getty Images; camera oscura: Culver Pictures

[Fonti delle immagini a pagina 22]

Pagina 23: studio di Talbot: Foto di proprietà di William Henry Fox Talbot & Nicholaas Henneman/Getty Images; macchina fotografica di Talbot: Foto di proprietà di Spencer Arnold/Getty Images; foto Kodak, macchina fotografica Kodak e macchina fotografica di Daguerre: Cortesia di George Eastman House; Yellowstone: Library of Congress, Prints & Photographs Division, LC-USZ62-52482

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