Il mio scopo nella vita
Narrato da Florence Manso
IN UNA calda sera d’estate, a Chicago, poco dopo il mio diciottesimo compleanno, mio padre tentò di convincermi con le botte che la vita di ministro non era per me. “Come le altre ragazze della tua età, lo scopo della tua vita dovrebbe essere quello di sposarti e far famiglia”, egli esclamò. Grazie a Geova, non rinunciai al ministero, col risultato che Geova mi benedì concedendomi sia il ministero che un’amorevole famiglia. Questa è composta da un bel numero di figli: alcuni piuttosto nuovi alla verità, altri abbastanza maturi da badare ai propri figli.
Cominciai ad imparare la verità dalla Bibbia quando frequentavo la scuola media. A causa della crisi economica non fui in grado di continuare a frequentare la costosa scuola parrocchiale, e per la prima volta ebbi l’esperienza di trovarmi con compagni di scuola di altre religioni. Cominciai presto a pormi delle domande: Perché ogni venerdì devo avere un panino senza carne per colazione? Perché la Chiesa Cattolica omette il secondo comandamento e divide il decimo in due? Perché la parola “purgatorio” non esiste nella Bibbia? Queste e molte altre domande mi turbavano facendomi realizzare che ero stata allevata nella credulità e non nella fede basata sull’accurata conoscenza. Mentre cercavo risposta a tali domande ruppi ogni legame con la Chiesa Cattolica. Varie dottrine protestanti furono pure portate alla mia attenzione, ma senza risultato.
La ricerca terminò la mattina in cui un anziano Testimone venne alla mia porta col libro Ricchezza e rispose alle mie domande. Convinta dalle Scritture, sei mesi dopo simboleggiai la mia dedicazione.
Cominciò l’opposizione in famiglia, che s’accentuò quando, dopo aver compiuto i diciott’anni, rivendicai decisamente i miei diritti di ministro. Dovevo scegliere fra cedere o andarmene di casa, e scelsi quest’ultima alternativa. Sei anni dopo, nell’autunno del 1944, durante l’annuale convegno amministrativo della Società a Pittsburgh, il contegno e la conversazione di molti pionieri furono contagiosi. Finalmente mi svegliai. Nell’aprile seguente cominciai ad adempiere lo scopo della mia vita come ministro pioniere al servizio del nostro regnante Re, Cristo Gesù. Come sono stata felice d’allora in poi!
Fino ad ora è stato un susseguirsi di esperienze meravigliose. Prima, due anni meravigliosi di servizio di pioniere a Benton Harbor, nel Michigan. Poi ci fu Galaad, l’undicesima classe di cui non ho che piacevoli ricordi di fratellanza nella società del Nuovo Mondo e il rinnovato desiderio di continuare a seguire lo scopo della mia vita. Ricevetti l’assegnazione per andare in Corea, ma per un anno e mezzo aspettammo, facendo i pionieri speciali nel Long Island a New York, sempre con l’ansia di partire per la Corea. Quando ci fu annunciata finalmente la data della partenza, noi quattro ragazze ci rallegrammo molto. Essendo partite dal porto di New York il 14 gennaio, raggiungemmo dopo cinquantotto giorni il porto di Inchon, in Corea. Gli Steeles, missionari che ci avevano preceduto, e molti Coreani sorridenti ci accolsero affettuosamente in quel freddo giorno di marzo del 1950.
Appena eravamo ben sistemate nel nostro lavoro, il 25 giugno la Corea settentrionale dichiarò guerra alla Corea meridionale. Quel giorno, alla fine di un discorso pubblico, un poliziotto entrò nella scuola dove si teneva l’adunanza e ci diede l’allarmante annuncio. Tre giorni dopo fummo costretti a lasciare la Corea. Che triste esperienza dover lasciare i fedeli fratelli coreani! Invece di parlare di ciò, vorrei ricordare quei tre mesi che precedettero la guerra. Nonostante le misere condizioni e molte difficoltà, i fratelli coreani non mancarono mai ad un’adunanza. Alcuni dovevano percorrere grandi distanze a piedi durante i rigidi mesi invernali, erano sempre in anticipo per le adunanze, e al termine dell’adunanza sempre riluttanti ad andarsene a casa. Durante le adunanze le sorelle coreane, molte delle quali avevano ben poca istruzione, trovavano i versetti nella Bibbia con gran rapidità e prestavano la massima attenzione a tutto quello che veniva detto. Mi sembra ancora di vedere le scarpe depositate fuori della Sala del Regno, e ricordo di aver avuto l’incarico di contare le paia per avere il preciso numero dei presenti. Questo avveniva otto anni e mezzo fa.
Ora sono in Giappone, dove mi trovo come a casa mia. Geova è stato molto buono. Vi sono momenti difficili, come quando si deve superare la difficoltà della lingua, o quando studenti che sembravano pieni di zelo perdono improvvisamente ogni interesse di fronte alla responsabilità del servizio, o altri fanno compromessi di fronte all’opposizione familiare, ma Geova premia la nostra fatica amorevole e il seme mette radice nel buon terreno. Quante volte si incontrano donne che esprimono il desiderio di conoscere di più riguardo a Geova ma pensano di non poter continuare a studiare a causa dei genitori del marito, a cui devono sottomissione assoluta, secondo le loro consuetudini. I vecchi dicono che il cristianesimo va bene per gli occidentali, ma non fa per loro. Alcuni che anelano alla giustizia si rendono conto che tale credenza e consuetudine religiosa sono insensati, e assorbono la conoscenza vivificante che li rende abbastanza forti da superare questi ostacoli. Circa 1.200 persone di questo paese montuoso, non più grande dello stato di California, e dove tuttavia vivono 90 milioni di persone nelle quattro isole principali, si sono rivolte al regno di Geova quale loro unica speranza e si uniscono gioiosamente a noi nel compiere la volontà divina.
I primi due anni in Giappone li trascorsi a Nagoya, poi rimasi per altri due anni e mezzo a Gifu, in entrambi i casi aiutando a formare nuove congregazioni. Quando la mia compagna sposò un altro missionario in Giappone, venni trasferita a Tokyo, dove ho lavorato con la congregazione di Shibuya.
Molte cose sono accadute durante il mio servizio in Giappone. Eventi gioiosi come l’assemblea del 1953 a New York, la visita del fratello Knorr e del fratello Franz in Giappone. Ma l’evento più importante di tutti fu il privilegio di partecipare all’Assemblea Internazionale della Volontà Divina a New York nel 1958. Ogni cosa era meravigliosa. Le disposizioni per il nostro viaggio prese dalla Società, la grandiosa affluenza al discorso pubblico, l’importante risoluzione adottata alla quale potei dire “Sì”, l’appropriato consiglio e incoraggiamento a continuare a compiere la volontà divina e, naturalmente, il ricco insegnamento su ciò che è la volontà divina; tutto contribuì a farne il più importante avvenimento della mia vita missionaria.
Dopo quella meravigliosa assemblea la mia compagna ed io fummo trasferite di nuovo, questa volta all’estremità meridionale dell’isola Kyushu, nella città di Fukuoka. Benché il nostro territorio si trovi nella sezione più povera della città, rimanendovi fedeli e confidando che Geova ci guidi verso le sue pecore, in breve abbiamo avuto il premio di avere fra noi due venti studi biblici diversi. Dove si può trovare altrove una vita così ricca? L’adempiere il mio scopo nella vita come missionaria mi ha recato vera felicità e la soddisfazione di aiutare altri come noi stessi siamo stati aiutati. Sì, stiamo veramente servendo persone di ogni condizione sociale. Com’è più piacevole questo che avere un lavoro secolare in quest’egoistico mondo materialista. Se siete scritturalmente liberi di farlo, perché non considerate devotamente la possibilità di divenire missionari anche voi? Veramente, questo merita qualunque sacrificio.