“Sono sopravvissuto all’affondamento del Titanic”
ERO andato a Jacksonville, in Florida, a trovare i miei anziani genitori e mio zio. È stato alcuni mesi fa, poco prima che mio zio morisse. Come di consueto, la domenica mattina andammo alla Sala del Regno dei Testimoni di Geova per ascoltare un discorso pubblico. Udimmo un bel discorso intitolato: “Sopravvivrete agli ‘ultimi giorni’?” Sulla via del ritorno, mio zio disse: “Quel discorso mi ha fatto ricordare un terribile disastro a cui sono sopravvissuto”. Fece una breve pausa poi aggiunse: “Come ben sai, sono sopravvissuto all’affondamento del Titanic”.
In seguito chiesi a mio zio, Louis Garrett, di raccontarmi la sua vicenda sul Titanic.
“Cominciamo dal principio”, disse. “Nacqui nel 1900 nel Libano, ad Hakoor, un piccolo villaggio di montagna 130-140 chilometri a nord di Beirut. La mia famiglia possedeva un mulino ad acqua, e mio padre era il mugnaio del paese. Si decise di emigrare tutti negli Stati Uniti. Nel 1904 mia madre e le mie due sorelle lasciarono il Libano. In seguito, nel 1906, partì per gli Stati Uniti il mio fratello maggiore. Mio padre, mia sorella ed io saremmo dovuti partire per gli Stati Uniti nel 1912, e così l’intera famiglia sarebbe emigrata.
“Nel marzo del 1912 andammo a Marsiglia, in Francia. Lì prenotammo la traversata sul Titanic che avrebbe fatto il suo viaggio inaugurale per New York. La data della partenza era il 10 aprile 1912. Mio padre dovette rimanere a Marsiglia perché non aveva superato il richiesto esame medico a causa di un’infezione agli occhi”. Lo zio sorrise ed esclamò: “Fu una fortuna per lui che le cose andassero così!”
“Mia sorella aveva 14 anni”, continuò, “e io 12 quando salimmo a bordo del Titanic. Ci dispiacque separarci da nostro padre, ma eravamo eccitati per il fatto di trovarci a bordo del Titanic, la più grande, la più veloce e la più lussuosa nave dell’epoca, che si diceva anche fosse inaffondabile! C’erano più di 2.200 persone a bordo, tra cui alcuni degli uomini più ricchi e più influenti del tempo. Molti erano sul Titanic per celebrare il suo viaggio inaugurale. Era un segno di prestigio per chi aveva un posto importante nella società. La nave viaggiava alla velocità prevista. L’arrivo a New York era previsto per mercoledì 17 aprile. Le acque erano calme, il tempo piuttosto freddo per aprile.
“La domenica 14 aprile, il nostro quinto giorno di viaggio, si fece straordinariamente freddo, così freddo che sul ponte di passeggio non c’era molta gente. Sentimmo che erano stati avvistati degli iceberg nella zona. Ma poiché non ne era previsto nessuno sulla rotta del Titanic, la nave proseguì a tutto vapore. Ad ogni modo il capitano del Californian, un’altra nave in viaggio nell’Atlantico del Nord, avvisò per radio il Titanic che erano stati avvistati iceberg sulla nostra rotta. Ma l’avvertimento fu ignorato. L’eccessiva sicurezza del capitano Smith fu pagata a carissimo prezzo: quasi 700 membri dell’equipaggio e oltre 800 passeggeri.
“Verso le 23,45 di domenica 14 aprile mia sorella ed io fummo svegliati da una scossa. Mia sorella, che dormiva nella cuccetta in alto, gridò: ‘Cos’è successo?’
“‘Torna a dormire’, le dissi. ‘Ti preoccupi troppo’. Subito un uomo anziano che avevamo conosciuto a bordo e che si era paternamente interessato di noi venne nella nostra cabina e ci disse con calma: ‘Uscite dalla cabina e salite sul ponte di coperta. Non portate con voi le vostre cose. Tornerete poi a prenderle’.
“Viaggiavamo in terza classe e quindi potevamo salire sul ponte di seconda classe. Ma quelli della seconda e della terza classe non potevano attraversare una porta sorvegliata che conduceva al ponte di coperta della prima classe. Ma ci fu detto che avremmo fatto bene a raggiungere il ponte di coperta della prima classe per avere maggiori probabilità di salire su una scialuppa di salvataggio. L’unico modo per arrivarci era quello di salire da una scala di ferro che dal ponte della terza classe portava alle scialuppe, cinque o sei ponti più in alto. Ci riuscimmo con molta difficoltà, perché era faticoso per mia sorella salire sulla scala di ferro. Ma con l’aiuto di altri ce la facemmo.
“Che spettacolo! Le scialuppe di salvataggio se ne erano andate quasi tutte. L’equipaggio permetteva di salirvi solo alle donne e ai bambini: non ce n’erano abbastanza per tutti. C’erano donne che piangevano, non volendo separarsi dai mariti; mariti che supplicavano le mogli e i figli di far presto e di salire nelle scialuppe. In mezzo a questo caos completo e a questo isterismo collettivo ci trovammo io e mia sorella, due piccoli emigranti che non sapevano parlare l’inglese, spaventati oltre ogni dire, in lacrime e in cerca d’aiuto.
“Stavano caricando l’ultima scialuppa. Un signore di mezza età era insieme alla giovanissima moglie incinta. L’aiutò a entrare nella scialuppa, poi riguardò sul ponte e vide altri che volevano salire sulla scialuppa. Salutò la moglie con un bacio, e, tornato sul ponte, afferrò la prima persona che gli capitò davanti. Per fortuna, mi trovai al posto giusto nel momento giusto e mi mise nella scialuppa. Urlai il nome di mia sorella che era rimasta raggelata dalla paura. Con l’aiuto di altri anche lei fu spinta nella scialuppa. Chi era quell’uomo coraggioso che aveva compiuto questo nobile gesto? Ci dissero che era John Jacob Astor IV. A quell’epoca aveva 48 anni e sua moglie, Madeleine, 19. Stavano andando negli Stati Uniti perché volevano che il loro figlio nascesse lì. Molti giornali scrissero articoli su John Jacob Astor che aveva rinunciato alla sua vita per un piccolo emigrante. I documenti della famiglia Astor indicano che, secondo la signora Astor, suo marito era venuto a diverbio con un uomo dell’equipaggio che aveva cercato di impedirgli di far salire sua moglie sulla scialuppa. Ve l’aveva caricata ugualmente e, come ho detto, la baciò; poi, tornato sul ponte, aiutò altri a salire sulla scialuppa.
“Fui felice di trovarmi nella scialuppa, ma provavo tanta tristezza per quelli che erano rimasti sul Titanic. Voltandomi a guardare quella grande e bella nave, la vedevo in una prospettiva diversa, ed essendo alcune luci ancora accese, essa risaltava in tutta la sua grandezza e bellezza. Nella quiete della notte ed essendo il suono trasportato così bene dall’acqua, si poteva sentire la banda suonare sul ponte e la gente cantare ‘Nearer My God to Thee’ (‘Più vicino a te mio Dio’). L’equipaggio remava per allontanarsi il più possibile dalla nave. Si temeva che la nave, quando sarebbe scesa infine negli abissi marini, avrebbe prodotto un risucchio. Ma non accadde, né ci fu alcuna esplosione come invece alcuni avevano temuto. Quella notte le acque erano insolitamente calme e fu un bene, perché la maggioranza delle scialuppe erano cariche di gente.
“Il Titanic affondò verso le 2,20 di mattina del 15 aprile 1912, secondo gli archivi. Lo vidi scomparire inghiottito dall’oceano. Il momento in cui affondò — il suono lugubre dei gemiti e degli urli frenetici di gente che chiedeva aiuto, mentre precipitava nelle acque gelide — è un ricordo che ancor oggi mi perseguita. Quasi tutti morirono a causa delle acque fredde. Per circa tre quarti d’ora sentimmo dei rumori, finché cessarono del tutto”.
Mio zio tacque per un po’, immerso nei ricordi. Poi continuò: “Verso mezzanotte era stato lanciato l’SOS. Fu ricevuto dal piroscafo Carpathia della Cunard White Star Line che si trovava a una novantina di chilometri. Il piroscafo invertì immediatamente la rotta — stava andando a Gibilterra — e avanzò a tutto vapore per venire in nostro soccorso. Arrivò verso le 4,30 del mattino. Un fatto interessante è che il piroscafo Californian si trovava solo a una trentina di chilometri dal punto dove il Titanic affondò ma il radiotelegrafista non ricevette il segnale di SOS perché era fuori servizio. In seguito si seppe che il Californian aveva visto dei bagliori nella notte, ma avevano pensato che i passeggeri del Titanic stessero facendo i fuochi d’artificio per festeggiare il viaggio inaugurale.
“Il Carpathia portò a termine le operazioni di soccorso verso le 8,30. La nostra scialuppa fu una delle ultime ad essere raccolta. Mi fecero salire a bordo, mi infagottarono, mi diedero del tè caldo e mi misero a mio agio e io fui felice d’essere vivo, anche se il cappotto e le scarpe erano troppo grandi.
“Più tardi il capitano del Carpathia invitò tutti i superstiti a salire sul ponte per vedere l’iceberg. Nella mia mente di dodicenne fu registrato il ricordo di qualcosa alto come una casa, molto più largo e con un enorme camino. Prima di continuare il suo viaggio per Gibilterra la nave ci portò a New York, un gesto molto gentile da parte dei dirigenti della Cunard White Star Line. Arrivammo a New York alle 20,30 di giovedì 18 aprile e attraccammo ai moli della Cunard White Star.
“Ripensando alle lunghe ore trascorse nella scialuppa, ora sembra quasi un miracolo che riuscissimo a raggiungere sani e salvi il Carpathia. Il freddo era pungente, quasi insopportabile. Stavamo raggomitolati insieme per tenerci caldi. La gente era gentile. Ricordo che tirava molto vento quando fummo sul ponte del Carpathia. Soffiava a parecchi nodi all’ora. Per fortuna il vento era stato moderato per tutto il tempo che erano durate le operazioni di soccorso. Se allora le acque non fossero state calme e lisce, difficilmente le operazioni di soccorso avrebbero avuto tanto successo”.
“Morì qualcuno nelle scialuppe?” chiesi.
“So solo di una persona nella nostra scialuppa che morì assiderata. Il corpo fu avvolto in un lenzuolo e gettato in mare”.
“C’erano uomini nella vostra scialuppa?”
“Solo donne e bambini, come aveva ordinato l’equipaggio, a eccezione di alcuni membri dell’equipaggio che dovevano remare. Ci fu una giovane coppia con un bambino che riuscì a ingannare gli uomini dell’equipaggio. La moglie fu molto scaltra; fece indossare al giovane marito abiti da donna, gli avvolse uno scialle attorno alla testa e diede il bambino a lui. L’uomo era in una scialuppa e lei nella nostra. Furono entrambi soccorsi dal Carpathia.
“Al nostro arrivo a New York pensavamo che ci avrebbero portati a Ellis Island per le formalità d’immigrazione. Invece, tenuto conto di tutte le traversie dei superstiti, lasciarono perdere. Fummo consegnati alla Croce Rossa perché ci riunissimo con le nostre famiglie. Il mio fratello maggiore, Isaac, era a New York e il nostro incontro fu pieno di gioia mista a tristezza. Mio padre era ancora in Francia. Tuttavia, concludemmo che, se fosse stato sul Titanic con noi, non si sarebbe salvato perché nelle scialuppe erano ammessi solo donne e bambini. Forse non ci saremmo salvati neppure noi. Sarebbe stato difficile per noi lasciare papà sul Titanic e metterci in salvo senza di lui. Fortunatamente per lui arrivò sano e salvo tre mesi dopo su un’altra nave”.
Mio zio fece una pausa, immerso nei ricordi di quei terribili momenti. Alla fine interruppi le sue fantasticherie. “Tu sei sopravvissuto a quella tragedia. Ma quando sei venuto a conoscenza dell’imminente tribolazione degli ‘ultimi giorni’?”
“Facciamo un salto dal 1912 fino al 1930”, disse. “Un colportore di Brooklyn era venuto a Jacksonville, in Florida, dove abitavano la famiglia del mio fratello maggiore e la mia, formata da mia moglie, mio figlio e io. Il mio fratello maggiore aveva studiato la Bibbia con alcuni testimoni di Geova che parlavano arabo, ed era diventato un Testimone attivo. Il colportore, di nome George Kafoory, teneva alcune adunanze per le persone di lingua araba. Ricevetti una copia del libro L’Arpa di Dio in arabo. Dopo molte discussioni con mio fratello, mi arrabbiai tanto che alla fine gli dissi: ‘Non ti riconosco più come fratello perché hai lasciato la tua religione greco-ortodossa. Non posso credere che non farai più il segno della croce, il simbolo della Trinità’.
“Amavo mio fratello ed ero profondamente turbato per questa incrinatura che si era creata fra noi. Mesi dopo mi capitò fra le mani la copia dell’Arpa di Dio che avevo preso. Era coperta di polvere, ma l’aprii e iniziai a leggere nel tardo pomeriggio, continuando fin dopo mezzanotte. La verità della Parola di Dio cominciò a penetrare nel mio cuore. Partecipai a uno studio che si teneva in arabo e nel 1933 fui battezzato.
“C’è un altro avvenimento che ha avuto notevole importanza nella mia vita. Nel 1949 potei permettermi di fare un viaggio che sognavo da molti anni. Nel Libano avevo un fratellastro, maggiore di me, che desideravo vedere per potergli parlare della speranza del Regno. Durante il viaggio in aereo passammo sopra la Groenlandia e anche vicinissimi al punto dove il Titanic era affondato. Fui sopraffatto dall’emozione mentre guardavo le sottostanti fredde acque dell’Atlantico e riflettevo su quella triste occasione.
“Una hostess, notando il mio viso rigato di lacrime, si chinò silenziosamente su di me, mi diede un colpetto su un braccio e mi chiese: ‘Qualcosa non va? Posso esserle utile?’ Risposi: ‘No, stavo pensando a quando ero un ragazzo di dodici anni. Ero su una grande nave, il Titanic, che è affondata proprio laggiù, in quelle acque dove oltre 1.500 persone persero la vita. Non riesco ancora a dimenticare quella mattina, le frenetiche grida d’aiuto nelle tenebre e quelle acque gelide’. ‘Mi dispiace’, disse la graziosa hostess bruna. ‘Ricordo di aver letto del disastro del Titanic’.
“Giunto nel Libano, che gioia quando il mio fratellastro mostrò di interessarsi della Bibbia. In seguito anche lui divenne un dedicato testimone di Geova cristiano”.
A conclusione del suo racconto lo zio Louis menzionò la speranza che il regno di Dio sostituirà l’attuale sistema di cose satanico.
“La verità della Parola di Dio”, dichiarò, “ha guidato la mia vita. Ringrazio Geova di avermi risparmiato la vita nel disastro del Titanic e di avere avuto l’opportunità di servirlo ora in questi difficili ‘ultimi giorni’”. Ha abitato vicino al fratello maggiore e alla moglie e insieme a loro ha servito Geova come meglio ha potuto fino al giorno della sua morte. Non ha mai smesso di pregare perché la volontà di Dio sia fatta sulla terra come in cielo. (Matt. 6:9, 10) La sua viva speranza era che, se fosse morto prima di Armaghedon, Dio lo avrebbe liberato dal potere della tomba mediante la risurrezione alla vita.
[Testo in evidenza a pagina 6]
Si poteva sentire la banda suonare sul ponte e la gente cantare un inno religioso
[Testo in evidenza a pagina 6]
Lo vidi scomparire inghiottito dall’oceano
[Testo in evidenza a pagina 7]
Non riesco ancora a dimenticare quella mattina, le frenetiche grida d’aiuto nelle tenebre e quelle acque gelide
[Riquadro/Cartina a pagina 4]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
Mercoledì 10 aprile: Il “Titanic” salpò da Southampton per il viaggio inaugurale, con circa 2.200 persone a bordo. Dopo due brevi scali in Francia e in Irlanda fece rotta per New York.
Domenica 14 aprile: La temperatura era scesa molto. Il “Titanic”, avvertito che sulla sua rotta c’erano degli iceberg, proseguì a 22 nodi. Poco prima di mezzanotte entrò in collisione con un iceberg circa 150 chilometri a sud del Banco di Terranova.
Lunedì 15 aprile: Il “Titanic” affondò solo due ore e quaranta minuti dopo la collisione, e 1.500 persone persero la vita. La nave si trovava 2.570 chilometri a nord-est della sua destinazione.
[Cartina]
U.S.A.
NEW YORK
TERRANOVA
PUNTO IN CUI IL “TITANIC” È AFFONDATO
IRLANDA
INGHILTERRA
SOUTHAMPTON
FRANCIA
[Riquadro/Immagine a pagina 5]
Il “Titanic”, lungo 269 metri, era la più grande nave che avesse mai solcato i mari. Il suo dislocamento lordo superava di 5.000 tonnellate quello delle navi da guerra contemporanee. Il suo scafo era diviso in 16 compartimenti stagni, e, dato che se ne potevano allagare quattro senza che la nave affondasse, si pensava fosse inaffondabile. “In fatto di sicurezza, . . . si credeva che con la costruzione del ‘Titanic’ fosse stata detta l’ultima parola”. (“New York Times”, 16 aprile 1912) Ma quel fatale iceberg aprì nella fiancata della nave una falla di novanta metri, allagando cinque compartimenti stagni, e l’“inaffondabile” “Titanic” colò a picco.
[Immagine a pagina 8]
Alcuni passeggeri non vollero dare ascolto agli avvertimenti di abbandonare la nave