Il tessitore dell’ovest africano all’opera
Dal corrispondente di Svegliatevi! in Liberia
IN UN secolo così complicato come il nostro, con le sue fabbriche computerizzate per la produzione in serie, com’è piacevole osservare un artigiano che fa bei lavori più o meno come si faceva nei tempi biblici.
Un giorno feci visita a Mustafà e lo trovai che lavorava al telaio. In passato la tecnica della tessitura era un’arte segreta, per cui secondo la tradizione locale nessuno poteva stare alle spalle di un tessitore per vederlo lavorare. Mustafà mi spiegò che un tempo, nella tribù dei mende, i tessitori appartenevano tutti a una famiglia nell’area sotto la giurisdizione di un capo. Anche allora solo pochi conoscevano effettivamente il procedimento, e solo i capi supremi potevano permettersi di assumere un tessitore.
Quando un capo supremo ne assumeva uno, si faceva un po’ di spazio nella vicina foresta e si costruiva un recinto di foglie di palma per chiudere l’area dove si sarebbe fatto il lavoro. Secondo una comune credenza, uno spirito aiutava il tessitore nell’intricato lavoro di disegnare il tessuto; quindi il recinto impediva a chiunque di entrare senza che il tessitore ne fosse avvertito.
Il tessitore veniva assunto dal capo supremo per fare uno gbalee, che consisteva di varie strisce cucite in modo da ottenere un pezzo alquanto più grande di un copriletto. Il tessitore e la sua famiglia, insieme a un aiutante, andavano a stare nel recinto del capo, dov’erano provveduti loro una capanna e il vitto quotidiano. Il tessitore non si affrettava eccessivamente e poteva impiegare anche un anno per terminare due gbalee. Quando un funzionario governativo o un altro personaggio importante veniva in visita, gli era offerto in dono lo gbalee. Il lavoro del tessitore non era pagato con denaro, ma poteva essergli data una mucca o una vergine.
Tuttavia i tessitori moderni come Mustafà svolgono la loro attività a livello commerciale. Mustafà ha anche ottenuto un contratto per curare l’arredamento della Sala delle Conferenze dell’Organizzazione per l’Unità Africana a Monrovia. Con lo sviluppo del turismo c’è una crescente richiesta di tuniche, camice, copriletti, tovagliette e altri articoli tessuti a mano.
Le materie di base
Le materie di base, appresi, vengono tutte ottenute localmente. Il filato si fa col cotone. Ce ne sono sostanzialmente di due tipi: bianco e marrone. Quindi il cotone viene separato in base al colore — marrone, marrone chiaro e bianco — e messo poi nei kinjas (cesti).
Fui invitato ad andare a trovare una donna anziana, Siah, per vedere a quali procedimenti è sottoposto il cotone prima che arrivi al tessitore. Fu molto fiera di darmi una prova della sua abilità.
Il primo passo è quello di separare i semi dal cotone. A tal fine il cotone viene steso su un blocco di legno e vi si passa sopra un bastone o un pezzo di ferro con un movimento rotatorio. La pressione fa uscire i semi dal cotone. Quindi i pezzi di fibra sgranata sono posti in cesti in attesa del prossimo procedimento, la cardatura.
È un procedimento affascinante da osservare. Le fibre di cotone sono piegate sulla corda di un arco, che viene pizzicata ripetutamente per allentare il cotone, che alla fine diventa lanuginoso. Quindi dei pezzi grandi quanto il palmo di una mano vengono strappati, pressati e messi in strati non uniformi nei cesti, pronti per la filatura.
Il procedimento successivo, la filatura, viene effettuato soprattutto da donne. Questo fa venire in mente la lode rivolta nella Bibbia alla moglie capace: “Ha steso le sue mani alla conocchia, e le sue proprie mani afferrano il fuso”. (Proverbi 31:19) Questa è un’accurata descrizione di un metodo ancor oggi in uso, di cui Siah ci dà una dimostrazione.
Prima avvolge alla buona il cotone cardato attorno a un’asta liscia, la conocchia. Reggendo la conocchia in alto con la sinistra, tira giù le fibre con la destra, torcendole nello stesso tempo per formare un filo grosso. Il filo è attaccato al fuso e viene ulteriormente ritorto facendo ruotare il fuso rapidamente.
Dal momento che il cotone è sostanzialmente bianco o marrone, mi chiedevo come si ottenessero i colori brillanti. Ebbene, bollendo la corteccia di un albero (Baphia nitida) si ottiene una tinta di colore rosso vivo. La tinta gialla si ricava dalla pianta di curcuma. Per ottenere la tinta marrone si lavora allo stesso modo una radice. Si aggiunge cenere di legna per fissare i colori.
L’azzurro vivo si ricava dalle foglie giovani e tenere dell’indigofera. Le foglie sono stese su una stuoia e schiacciate con i piedi, dopo di che vengono lasciate a seccare al sole per tre o quattro giorni. Successivamente sono messe alla rinfusa in cesti appesi poi sotto le grondaie della casa. In seguito le sostanze coloranti vengono prese da questi cesti e mescolate con acqua. Sono quindi conservate in grossi vasi d’argilla coperti che si possono vedere davanti o dietro alla casa, anche affondati nel terreno. Il filato è immerso nella tinta dov’è lasciato per tutto un giorno, e si ottengono varie sfumature secondo il numero di volte che vi è immerso.
L’arte della tessitura è usata da secoli per produrre svariati articoli che rendono la vita più piacevole. È stato davvero interessante per me apprendere direttamente alcuni particolari su questa tecnica.