L’unità nel modo di vivere del nuovo mondo è una realtà
1, 2. Come si può capire che la vita familiare ha una parte importante nella struttura teocratica?
LA VITA familiare ha una parte importante nella struttura teocratica della congregazione cristiana. Questo avviene perché Geova Dio ha ordinato teocraticamente la disposizione familiare come fece in principio con Adamo e in seguito con la nazione d’Israele. Mentre da una parte era vero riguardo agli Israeliti che essi eran Giudei per nascita e d’altra parte è vero che i Cristiani d’oggi sono testimoni di Geova per determinazione e associazione, ciò nonostante l’ordine familiare prevale in tutta l’organizzazione. Quando una persona lascia la società del vecchio mondo e si separa dalla morente famiglia che è sotto la condanna di Adamo deve necessariamente, se vuole ricevere la vita, associarsi con la società del Nuovo Mondo e divenire un membro della famiglia di Dio. Egli fa questo accettando Gesù Cristo come suo padre in luogo di Adamo e, se è ricevuto da Dio, è giustificato e reso figlio spirituale di Dio oppure è riservato alla vita eterna sulla terra e riceve questa giusta posizione alla fine del regno millenniale di Cristo.
2 Anche quelli che son posti nella congregazione con incarichi di responsabilità come sorveglianti sono scelti secondo la maniera in cui dirigono le loro proprie famiglie se sono sposati. (1 Tim. 3:4, 5) E allorché Paolo mostra la corretta attitudine che dev’esser tenuta da quelli sono in tali incarichi la paragona all’associazione familiare. “Non criticare severamente un anziano. Al contrario, supplicalo come padre, i giovani come fratelli, le donne anziane come madri, le giovani come sorelle con ogni castità”. (1 Tim. 5:1, 2, NW) L’organizzazione teocratica è dunque realmente una famiglia e Dio richiede da quelli che partecipano all’attività e ai benefici della famiglia di condividerne anche le responsabilità lavorando per i migliori interessi della famiglia.
IL FALSO ORGOGLIO FAMILIARE LÀ UN LACCIO
3. Quale attitudine circa gli antenati familiari hanno alcuni, e perché non è saggia?
3 Qualcuno potrebbe concludere che siccome Dio fu colui che istituì la disposizione della famiglia umana, tale relazione familiare sia inviolabile e che l’assoluta lealtà ai legami carnali sia un’esigenza; che nulla dovrebbe poter interrompere o infrangere la pace o unità familiare e che contro qualsiasi cosa che la minacciasse, indipendentemente dalla fonte dalla quale potrebbe venire, si dovrebbe resistere con qualunque misura necessaria per respingerla. Come risultato di questa credenza le persone che hanno tale mente divengono eccessivamente conscie della “famiglia” e difendono con gelosia il nome della famiglia a qualsiasi prezzo, qualche volta violandone perfino i giusti principi. Essi son contrari ad ogni associazione o matrimonio con qualsiasi persona che non sia di uguale “preminenza” e quindi erigono per loro conto una certa distinzione di classe, una superba casta sociale. Ma, la ragione che porta a questa condotta non è basata sui saggi e immutabili princìpi dell’Altissimo. Paolo scrisse a Timoteo: “Comandi a certuni di non occuparsi di false storie e di genealogie che non conducono a nulla che provocano domande per ricerche anziché una dispensazione di qualche cosa mediante Iddio in relazione con la fede”. (1 Tim. 1:3, 4, NW) Chiunque sia più interessato negli antenati familiari che nel vivificante messaggio della fede dovrebbe considerare bene questo punto. Tutte le genealogie familiari, se sono seguite abbastanza, finiscono in Adamo; e quale reale o supposta “superiorità” si può avere in relazione con lui? La sola cosa di effettivo valore che si possa ricevere come eredità, cioè, la vita eterna, non stava a lui di darla. Quindi nessuno dei suoi discendenti, per quanto fossero “preminenti” nelle questioni del mondo, può avere qualche effettiva pretesa di superiorità o dimostrare dei vantaggi permanenti che si ricevano dalla relazione con lui.
4. Quale pretesa ebbero gli scribi e i Farisei, eppure, in realtà, che cosa significava essa per loro?
4 Forse uno dei più notevoli esempi di tale orgoglio familiare deve trovarsi negli scribi e nei Farisei dei giorni di Gesù e, si potrebbe ragionare, se qualcuno era giustificato essi lo erano a causa della relazione della loro nazione con Dio per mezzo del loro antenato Abrahamo. Ma, è stato già dimostrato nel precedente articolo (§ 12) che questa relazione non era in se stessa un motivo di orgoglio né l’associazione familiare che i Giudei avevano come discendenti di Abrahamo poteva assicurar loro la salvezza. (Giov. 8:31-36) Se qualcuno desidera esser figlio di Adamo o di un suo qualsiasi discendente, e desidera vantarsi di tale legame carnale, gli sia noto che oltre ogni possibilità di contraddizione egli rinnega in tal modo un permanente vincolo di vita eterna a favore di un transitorio legame di estrema povertà e morte.
5. Qual è la responsabilità dei figli credenti verso i genitori non credenti?
5 D’altra parte la Cristianità non dovrebbe andare all’altro estremo pretendendo che nessun rispetto sia dovuto ai genitori carnali. Paolo non diede luogo a nessun dubbio a questo riguardo quando scrisse agli Efesini: ‘Figli, siate ubbidienti ai vostri genitori in unione col Signore, poiché questo è giusto: ‘Onora tuo padre e tua madre’; il che è il primo comandamento con una promessa: ‘Affinché tu stia bene e duri a lungo sulla terra.’ (Efes. 6:1-3, NW) Non si dovrebbe trascurare su questo punto, ad ogni modo, che Paolo dice di dover effettivamente essere ubbidienti a quei genitori “in unione col Signore”. Significa questo, quindi, che i figli credenti non siano responsabili verso i genitori increduli? No; nelle normali questioni della vita si richiederebbe che ubbidissero certamente ai loro genitori finché sarebbero dipendenti e che mostrassero rispetto verso di loro malgrado essi non fossero dipendenti. Ma, se sorgesse una contesa sulla vera adorazione di Dio o sul rendergli sacro servizio, certo la regola scritturale sarebbe in vigore: “Dobbiamo ubbidire a Dio come governatore piuttosto che agli uomini”. (Atti 5:29, NW) Ma, voi dite, questo potrebbe portare il dissenso nella famiglia e forse condurre ad una divisione! Forse, ma Gesù dichiarò abbastanza chiaramente: “Chi ha maggior affetto per padre o madre che per me non è degno di me”. (Matt. 10:37, NW) Infatti, egli disse anche più vigorosamente a questo riguardo: “Io son venuto per mettere in divisione un uomo contro suo padre, e una figlia contro sua madre, e una giovane moglie contro la suocera”. — Matt. 10:35, NW.
6. Perché Dio permette che vi siano delle divisioni nelle famiglie?
6 Non è strano, potrebbe argomentare qualcuno, che dal momento che Dio ha autorizzato la disposizione familiare egli permetta che sia infranta in questo modo? Ancora noi rispondiamo, No. Ricordate che tutte le famiglie sono ora espulse dalla grande famiglia di Dio a causa di Adamo, ma non è ragionevole attendersi che tutti in una famiglia desiderino rimaner espulsi. Però se qualcuno desidera venire nella famiglia di Dio non sarebbe neanche ragionevole attendersi che tutti gli altri venissero pertanto accettati. Significa dunque una separazione. Ma si deve notare che Dio non divide indiscriminatamente i gruppi familiari. Anzi, è dovuta alla cattiva volontà di alcuni della casa che ‘non raggiungono le necessarie esigenze unendosi a quelli che sono accettati in armonia con Geova. (Luca 17:34, 35) Poiché Dio non ha rispetto per nessuna persona e poiché non riconosce nessuna distinzione di classe e non ha costituito nessuna casta sociale, ha fatto provvedimento per quelli che vengono accettati ed entrano nella sua eletta schiera famigliare trovandoci pace. “Di certo io comprendo che Dio non è parziale, ma in ogni nazione l’uomo che lo teme e opera giustizia gli è accettevole”. “E chiunque avrà lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o terreni per amor del mio nome riceverà molte volte tanto ed erediterà la vita eterna”. (Atti 10:34, 35; Matt. 19:29, NW) Quale conclusione deduciamo da questo argomento, dunque? Noi riconosciamo che malgrado Dio provvedesse le relazioni familiari dal principio e malgrado stabilisse la disposizione familiare ed abbia perfino la sua propria grande organizzazione familiare, non ha stabilito né ha autorizzato l’istituzione di famiglie o nazioni come caste sociali; né egli si sottomette alle distinzioni di classe che esistono semplicemente perché gli uomini le hanno formate con le loro discriminazioni. Tutto questo mette in risalto l’importanza di riconoscere e apprezzare pienamente la relazione con Dio, che supera ogni stretto legame umano ed è la sola via che conduce alla salvezza.
IL CLERO PROVVEDE DISTINZIONI DI CLASSE
7. Quale ammonimento fece Gesù ai suoi discepoli circa la posizione da tenere nella congregazione?
7 Che dire, dunque, dell’attitudine del clero della Cristianità? Non solo la preminenza che hanno presa nella congregazione è una violazione dei giusti princìpi di Dio, ma fu espressamente proibita dal Fondatore della congregazione, Cristo Gesù stesso. Quando sorse una controversia fra i discepoli circa la posizione da occupare nel Regno, “Gesù, chiamandoli, disse: ‘Voi sapete che i capi delle nazioni le signoreggiano e i grandi esercitano autorità sopra di esse. Questa disposizione non è fra voi; ma chiunque vuol divenire grande fra di voi deve essere vostro ministro, e chiunque vuole esser primo fra di voi dev’essere vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo è venuto, non per essere servito, ma per servire.’ Nella sua pungente riprovazione degli scribi e dei Farisei, che era il suo ultimo discorso pubblico, egli fece un severo ammonimento ai suoi discepoli e a tutta la folla che ascoltava: “Ma voi, non siate chiamati ‘Rabbi’, perché uno è il vostro maestro, mentre voi siete tutti fratelli. Né siate chiamati ‘capi’, perché uno è il vostro Capo, il Cristo. Ma il più grande fra voi dev’essere vostro ministro. Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. (Matt. 20:25-28; Matt. 23:8, 10-12, NW) Erano quei capi della religione giudaica che in quel tempo si erano esaltati; tanto, in realtà, che quando il Figlio di Dio andò da loro in adempimento della Legge di Mosè non lo poterono vedere o riconoscere. Essi erano una legge a se stessi.
8. Quale esempio ha seguito il clero della Cristianità, e qual è in merito l’attitudine di Dio?
8 Seguendo il loro esempio il clero della Cristianità ha fatto le sue proprie regole circa il modo in cui la congregazione dovrebbe essere stabilita e riguardo all’autorità che dovrebbero esercitare sopra i loro “fratelli”. Trascurando completamente la saggia istruzione di Gesù che il primo o il preminente fra loro dovrebbe essere uno schiavo, hanno fatto lo stesso errore dei loro prototipi giudei e si sono fermamente stabiliti in una posizione molto preferita della società. La sapienza dei Proverbi parla contro di ciò. “Lo stolto che ricade nella sua follia, è come il cane che torna al suo vomito. Hai tu visto un uomo che si crede savio? C’è più da sperare da uno stolto che da lui. Il pigro si crede più savio di sette uomini che danno risposte sensate”. (Prov. 26:11, 12, 16) La distinzione di classe che è stata fatta dai capi della Cristianità e che è tollerata e sostenuta dalle masse degl’ingannati seguaci è tanto sgradevole a Geova Dio quanto lo fu quella degli scribi e dei Farisei, ed è certo che arrecherà lo stesso giudizio di condanna.
9. Quale condotta fu tenuta nella congregazione primitiva, e quale prova ne abbiamo?
9 In diretto contrasto con questo fu la congregazione primitiva alla quale Cristo Gesù diede inizio col primo gruppo dei testimoni cristiani di Geova di Gerusalemme. Certo le parole e il comandamento di Cristo sarebbero stati rammentati dalla potenza soccorritrice della forza attiva di Dio, che fu quindi diffusa. “Io vi do un nuovo comandamento, che vi amiate l’un l’altro; come vi ho amati io, che voi pure vi amiate l’un l’altro. Così tutti sapranno che voi siete miei discepoli, se avete amore fra di voi”. (Giov. 13:34, 35, NW) Che questo principio esisteva e fu messo in risalto nella congregazione primitiva è mostrato dall’ammonimento di uno delle dodici colonne che era pure presente con Gesù quando fu dato il comandamento. “Pascete il gregge di Dio in vostra cura, non per forza, ma volenterosamente, né per amore di disonesto guadagno, ma con premura, né come signoreggiando su quelli che sono l’eredità di Dio, ma divenendo esempi per il gregge”. Quale differenza dev’essere stata veramente questa per i Giudei retti di cuore che si separavano dall’arroganza e dall’orgoglio della nazione giudaica allora divisa in caste! Nella loro nuova relazione non c’era nessuna distinzione di classe, né vi era fra loro parzialità o favoritismo. I princìpi di giustizia ed imparzialità furono fermamente stabiliti in questo primo inizio, il vero corpo di Cristo, poiché ora si faceva una nuova piantagione, non sulla carne peccaminosa e mortale, ma questa volta sulla permanente Progenie di Abrahamo, Cristo Gesù. — 1 Pietro 5:2, 3.
LE AMICIZIE DI GESÙ NON FURONO FAVORITISMI
10. Come mostrò Gesù la sua mancanza di parzialità, favoritismi personali?
10 Ma non aveva mostrato Gesù speciale considerazione per certi suoi discepoli? E non aveva mostrato favoritismo limitando la sua predicazione e la sua opera di guarigione ai Giudei e impiegando molto del suo tempo in certe case? Alcuni credono che Giovanni, l’apostolo di Gesù, fosse il discepolo favorito di Gesù. Qualunque sia stato l’amore che Gesù nutrì per lui non gli diede una posizione di favore nel suo regno. Questo è rivelato nel racconto della controversia che sorse fra i discepoli, alla quale è stato fatto riferimento sopra. Allora Gesù mostrò che tali posizioni di favore non stava a lui di darle ed egli si rifiutò di fare parzialità. (Matt. 20:20-23) Inoltre, benché fosse specificamente inviato solo alla casa d’Israele (Matt. 15:24), non si servì di questo come di una scusa per discriminare le persone oneste e sincere delle nazioni, perché nel terzo anno del suo ministero fece un breve viaggio nella Fenicia, e fece delle guarigioni. — Mar. 7:24-30; Matt. 8:5-13.
11. Quale posizione tenne Gesù facendo di una casa la sua sede principale in una città?
11 Gesù trascorse quasi tutti e tre gli anni del suo ministero iniziale nella Galilea e nelle vicinanze e fece la sua sede principale a Capernaum nella casa di Pietro. (Matt. 8:14; Mar. 1:29; Luca 4:38) Difatti, egli stette tanto qui che Capernaum, non Nazaret, dove fu allevato, fu chiamata “la sua città”. (Matt. 9:1; 4:13) Che questo era una convenienza non soltanto per lui stesso ma per le moltitudini che erano interessate nel messaggio è dimostrato dalle parole di Marco. “Comunque, dopo alcuni giorni egli entrò di nuovo in Capernaum e si seppe che era a casa. Conseguentemente molti si radunarono”. (Mar. 2:1, 2, NW) Gesù raccomandò questa stessa condotta ai settanta discepoli quando li mandò a compiere un anticipato annuncio nella sua campagna di discorsi pubblici. Egli disse: “Dovunque entrate in una casa dite prima: ‘Questa casa abbia pace.’ E se vi è un amico della pace, la vostra pace riposerà su di lui. . . . Rimanete quindi in quella casa, mangiando e bevendo le cose che essi provvedono, poiché l’operaio è degno del suo salario. Non passate da una casa all’altra”. (Luca 10:5-7, NW) Questo avrebbe impedito che sorgessero dei malintesi e non significava mostrare favoritismo.
12. Come è possibile che oggi esistano strette associazioni senza formare delle cricche?
12 Nelle congregazioni dei testimoni di Geova d’oggi vi sono molte strette relazioni che sono distinte dalla comune associazione come fratelli in Cristo o come conservi. Devono forse esser condannate come cricche o come una violazione dei princìpi che sono stati esposti in questa discussione? Quelli che hanno a cuore l’unità della congregazione saranno molto cauti prima di fare un’accusa a questo riguardo come su qualsiasi altra questione relativa al giudicare. Essi riconosceranno che le vecchie amicizie esisteranno certamente fra coloro che sono stati maturi Cristiani insieme per molti anni, avendo senza dubbio molte comuni e notevoli esperienze teocratiche. Inoltre, molti che sono vicini di casa o che sono impiegati assieme vengono naturalmente portati ad una associazione nelle cose di ogni giorno oltre alla loro associazione nella Sala del Regno o nel servizio. La stessa situazione potrebbe esistere, sebbene forse in minor misura, anche fra quelli che frequentano lo stesso studio di libro di congregazione, in ispecie perché potrebbero ragionevolmente andare insieme alla Sala del Regno e uscirne insieme ed anche perché potrebbero senza dubbio formare regolari comitive per andare assieme in servizio. Tali associazioni legano i fratelli e tali intime relazioni permettono di capirsi meglio a vicenda e perciò di prestarsi reciproco e più amorevole aiuto. (Eccl. 4:9, 10) Non è dunque ragionevole che malgrado esista un sincero amore nei loro cuori per il resto della congregazione essi si sentano ciò nonostante specialmente portati verso questi intimi associati?
LA CONGREGAZIONE MODERNA LIBERA DA CASTE
13. Quale cura viene esercitata in particolare dai servitori per evitare che sia escluso lo straniero?
13 In che modo dunque potrebbero esserci divisioni e si potrebbe fare distinzioni fra il consacrato e dedicato popolo di Dio oggi? Quali sono alcune delle pratiche e delle condizioni che potrebbero esser considerate non appropriate o che mostrerebbero parzialità, e come dovrebbero esser trattate? Certo non sarebbe giusto che i servitori della congregazione avessero l’attitudine di falsi pastori. Mentre potrebbero per necessità esser portati in stretta relazione con alcuni dell’organizzazione a causa del loro lavoro, essi comunque non perderanno mai di vista la loro responsabilità verso i deboli e l’opportunità di assisterli con la loro associazione specialmente nel campo. E quelli che sono davvero maturi, sia i servitori che gli altri, benché la loro stessa maturità conduca ad una buona attività, mostreranno il loro interesse nell’espansione dell’organizzazione interessandosi nei nuovi che partecipano alle adunanze il più possibile. Molte volte questo può esser fatto semplicemente sedendo accanto a diverse persone nell’adunanza ed assistendole in questa maniera, o salutando per alcuni minuti dopo ogni adunanza prima di adempiere i soliti doveri assegnati. Questo amichevole interesse da parte di quelli che prendono l’iniziativa nell’attività dell’organizzazione è molto apprezzato da questi nuovi ed è un’amorevole espressione del principio della legge di Mosè inerente al diritto dello straniero. — Lev. 19:33, 34.
14. Quali problemi di distinzione di classe e divisione potrebbero sorgere e come potrebbero essere risolti?
14 Né saranno mostrati “atti di favoritismo” verso alcuni che potrebbero avere una certa preminenza sociale nella comunità. Non si deve trascurare che i problemi di tali persone che vengono nella verità non sono per loro maggiori di quelli che sono esperimentati da molti altri la presenza dei quali nell’organizzazione ha per Geova lo stesso valore e il cui bisogno di amorevole attenzione da parte dei fratelli è altrettanto necessario. Perciò non si può permettere che esistano “distinzioni di classe”. (Giac. 2:1-9) Né si possono permettere le “divisioni” se si vuol mantenere l’unità della congregazione, (1 Cor. 1:10-13) Il dissenso su questioni del gruppo potrebbe dar luogo a partiti che si terrebbero più stretti a certe idee che al corpo principale della congregazione. Questo è settarismo e non trova posto nella struttura teocratica. A volte anche, alcuni che sono di una certa età nel gruppo, mediante la costante associazione, potrebbero divenire alquanto intolleranti circa il punto di vista di quelli che sono di considerevole diversa età e forse perfino cominciare ad escluderli dalla loro amicizia. Questo ancora può essere evitato condividendo esperienze di campo o cercando occasioni per lavorare insieme nel servizio. Giacomo riassume la questione dicendo: Poiché dove sono gelosia e contesa, ivi sono disordine ed ogni cosa malvagia. Ma la sapienza dall’alto è prima di tutto casta, poi pacifica, ragionevole, pronta ad ubbidire, piena di misericordia e buoni frutti, non facendo parziali distinzioni, senza ipocrisia”. — Giac. 3:16, 17, NW.
15. Quale attitudine e relazione dovrebbe esistere fra datore di lavoro e lavoratore?
15 Ora potrebbe sorgere la domanda circa la giusta relazione fra un lavoratore e il datore di lavoro, specialmente se quest’ultimo è un fratello nella verità. Dovrebbe il lavoratore aspettarsi o chiedere che il fratello gli conceda certi diritti o immunità non conferiti ad altri impiegati mentre compie il suo lavoro? Oppure dovrebbe aspettarsi il datore di lavoro che la relazione fra datore di lavoro e lavoratore sia mantenuta nelle adunanze della congregazione? La risposta scritturale è: Nessuna delle due attitudini è corretta. “Quanti sono schiavi sotto un giogo continuino a considerare i loro padroni degni di ogni onore, affinché non si parli mai ingiuriosamente del nome di Dio e dell’insegnamento. Inoltre, quelli che hanno padroni credenti non li disprezzino, perché essi son fratelli. Al contrario, siano ancor più schiavi, perché quelli che ricevono il beneficio del loro buon servizio sono credenti e diletti”. (1 Tim. 6:1, 2, NW) Il consiglio che viene dato da Paolo qui non è contraddetto dalle sue parole pronunciate in un’altra occasione quando disse: “Non c’è né Giudeo né Greco, non c’è né schiavo né libero, non c’è né maschio né femmina; poiché siete tutti uno in unione con Cristo Gesù”. (Gal. 3:28, NW) Anzi, egli mostrava qui la giusta relazione reciproca.
16. Quale attitudine hanno i veri Cristiani verso le distinzioni di classe messe in vigore dalla legge delle nazioni?
16 “Mentre dinanzi a Dio, e secondo il suo modo di agire con i suoi unti figli, tutti hanno una uguale relazione nel corpo di Cristo, nel presente malvagio sistema di cose è riconosciuto tuttavia che son fatte certe distinzioni di classe e divisioni le quali sono spesso messe in vigore dalle leggi del paese. Accettare tali esigenze legali non significa far compromesso con la legge di Dio per il Cristiano. Piuttosto egli dà ascolto alla ulteriore ammonizione di Paolo: “Schiavi, siate ubbidienti a coloro che sono i vostri padroni secondo la carne, con timore e tremore nella sincerità dei vostri cuori, come al Cristo, non con un servizio per l’occhio per far piacere agli uomini, ma come schiavi di Cristo, facendo la volontà di Dio con tutta l’anima. Siate schiavi con buone inclinazioni, come a Geova, e non agli uomini, poiché voi sapete che ciascuno, qualunque sia il bene che faccia, lo riceverà indietro da Geova, sia egli schiavo o libero. Voi pure, padroni, continuate a fare le stesse cose a loro lasciando la minaccia, poiché sapete che il Padrone loro e vostro è nei cieli, e presso di lui non c’è parzialità”. — Efes. 6:5-9, NW.
17. Quale motivo di contesa rigetteranno i testimoni di Geova e che cosa continueranno a sostenere essi?
17 Perciò, qualunque sia la restrizione dell’attività o la discriminazione che potrebbe essere fatta dai governanti mondani, i testimoni di Geova non ne faranno un motivo di contesa, sapendo che non è loro compito il far giustizia dei torti sociali. Ma mentre aspetteranno la liberazione da Geova essi continueranno a tener alto lo stendardo della libertà di Dio per il nuovo mondo che sarà presto introdotto e continueranno ad insistere perché entro il nucleo di questa società già in via di formazione sia dato un esempio a tutte le persone sincere del mondo. “Ora vi esorto, fratelli, di tenere d’occhio quelli che creano divisioni e causa d’inciampo contrarie all’insegnamento che avete imparato, e di evitarli. Poiché gli uomini di questa specie sono schiavi, non del nostro Signore Cristo, ma delle loro proprie pance, e con parlar dolce e discorso lusinghevole seducono i cuori dei semplici. Da parte sua, l’Iddio che dà pace triterà fra breve Satana sotto i vostri piedi”. (Rom. 16:17, 18, 20, NW) Solo allora la vera giustizia, l’imparzialità e l’unità che ora sono una realtà nella famiglia di Dio esisteranno in tutta la terra.