Venuta di Gesù o presenza di Gesù?
“Quale sarà il segno della tua presenza e del termine del sistema di cose?” — MATTEO 24:3.
1. Che ruolo ebbero le domande nel ministero di Gesù?
MEDIANTE l’abile uso di domande, Gesù induceva i suoi ascoltatori a riflettere e anche a vedere le cose da una prospettiva diversa. (Marco 12:35-37; Luca 6:9; 9:20; 20:3, 4) Possiamo pure essere grati che rispondesse a varie domande. Le sue risposte fanno luce su verità che altrimenti non avremmo potuto conoscere o comprendere. — Marco 7:17-23; 9:11-13; 10:10-12; 12:18-27.
2. A quale domanda dovremmo ora rivolgere la nostra attenzione?
2 In Matteo 24:3 troviamo una delle domande più importanti a cui Gesù abbia mai risposto. La sua vita terrena volgeva al termine e Gesù aveva appena avvertito che il tempio di Gerusalemme sarebbe stato distrutto, cosa che avrebbe posto fine al sistema giudaico. Il racconto di Matteo aggiunge: “Mentre sedeva sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si accostarono privatamente, dicendo: ‘Dicci: Quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua presenza [“venuta”, CEI] e del termine del sistema di cose?’” — Matteo 24:3.
3, 4. Quale differenza significativa c’è nel modo in cui le traduzioni bibliche rendono una parola chiave in Matteo 24:3?
3 Milioni di lettori della Bibbia si sono chiesti: ‘Perché i discepoli fecero questa domanda, e in che modo la risposta che diede Gesù influisce su di me?’ Nella sua risposta Gesù disse che dall’aspetto delle foglie di un albero si può capire che l’estate “è vicina”. (Matteo 24:32, 33) Perciò secondo ciò che insegnano molte chiese gli apostoli stavano chiedendo un segno della “venuta” di Gesù, il segno dell’imminenza del suo ritorno. Credono che la “venuta” sia il momento in cui Gesù porterà i cristiani in cielo e poi recherà la fine del mondo. Pensate che questa spiegazione sia giusta?
4 Invece di “venuta”, alcune traduzioni della Bibbia, fra cui la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, usano la parola “presenza”. È possibile che ciò a cui si riferivano i discepoli nella loro domanda e Gesù nella sua risposta sia diverso da ciò che insegnano le chiese? Su cosa verteva realmente la domanda? E cosa rispose Gesù?
Cosa stavano chiedendo?
5, 6. Cosa possiamo concludere riguardo a ciò che avevano in mente gli apostoli quando fecero la domanda riportata in Matteo 24:3?
5 Alla luce di ciò che Gesù disse riguardo al tempio, è probabile che i discepoli avessero in mente il sistema giudaico quando chiesero ‘un segno della sua presenza [o “venuta”] e del termine del sistema di cose [letteralmente “dell’età”]’. — Confronta “mondo” in Galati 1:4, CEI.
6 In quel tempo gli apostoli avevano solo un intendimento limitato degli insegnamenti di Gesù. In precedenza avevano immaginato che “il regno di Dio stesse per manifestarsi istantaneamente”. (Luca 19:11; Matteo 16:21-23; Marco 10:35-40) E anche dopo la conversazione avvenuta sul Monte degli Ulivi, ma prima di essere unti con lo spirito santo, chiesero a Gesù se intendeva ristabilire allora il regno di Israele. — Atti 1:6.
7. Perché era ragionevole che gli apostoli chiedessero a Gesù informazioni sul suo ruolo futuro?
7 In effetti però sapevano che se ne sarebbe andato, perché poco tempo prima aveva detto: “La luce sarà fra voi ancora per poco tempo. Camminate mentre avete la luce”. (Giovanni 12:35; Luca 19:12-27) È quindi del tutto possibile che si siano chiesti: ‘Se Gesù deve andare via, come riconosceremo il suo ritorno?’ Quando era apparso come Messia, la maggioranza non lo aveva riconosciuto. E dopo più di un anno c’era ancora chi si chiedeva se avrebbe compiuto tutto ciò che il Messia doveva fare. (Matteo 11:2, 3) Perciò gli apostoli avevano ragione di fare domande circa il futuro. Ma, di nuovo, stavano chiedendo un segno dell’imminenza della sua venuta o di qualcos’altro?
8. In che lingua probabilmente gli apostoli parlavano con Gesù?
8 Immaginate di essere un uccellino e di aver sentito la conversazione sul Monte degli Ulivi. (Confronta Ecclesiaste 10:20). Probabilmente avreste udito Gesù e gli apostoli parlare in ebraico. (Marco 14:70; Giovanni 5:2; 19:17, 20; Atti 21:40) È probabile comunque che conoscessero anche il greco.
Cosa scrisse Matteo, in greco
9. Su cosa si basa la maggioranza delle traduzioni moderne di Matteo?
9 Secondo fonti che risalgono al II secolo E.V. Matteo scrisse il suo Vangelo prima in ebraico. In seguito a quanto pare lo scrisse in greco. Molti manoscritti in greco sono giunti fino ai nostri giorni e in base ad essi il suo Vangelo è stato tradotto nelle lingue di oggi. Cosa scrisse Matteo in greco descrivendo quella conversazione avvenuta sul Monte degli Ulivi? Cosa scrisse in merito alla “venuta” o “presenza” oggetto della domanda dei discepoli e della risposta di Gesù?
10. (a) Quale termine greco tradotto “venire” usa spesso Matteo, e quali significati può avere? (b) Quale altra parola greca ci interessa?
10 Nei primi 23 capitoli di Matteo ricorre più di 80 volte un comune verbo greco, èrchomai, tradotto “venire”. Spesso esprime l’idea di avvicinarsi, come in Giovanni 1:47: “Gesù vide venire verso di sé Natanaele”. Secondo il contesto, il verbo èrchomai può significare “arrivare”, “andare”, “entrare” o “giungere”. (Matteo 2:8, 11; 8:28; Giovanni 4:25, 27, 45; 20:4, 8; Atti 8:40; 13:51) Ma in Matteo 24:3, 27, 37, 39, Matteo usò una parola diversa, un sostantivo che non ricorre in nessun altro punto dei Vangeli: parousìa. Dato che fu Dio a ispirare la stesura della Bibbia, perché spinse Matteo a scegliere questa parola greca nei suindicati versetti quando scrisse il suo Vangelo in greco? Cosa significa questa parola e perché dovrebbe interessarci?
11. (a) Cosa significa parousìa? (b) In che modo esempi tratti dagli scritti di Giuseppe Flavio avvalorano il nostro intendimento di parousìa? (Vedi nota in calce).
11 Parousìa significa precisamente “presenza”. Un dizionario dei termini neotestamentari dice: “PAROUSIA, . . . let[teralmente], presenza, para, con, e ousia, l’essere (da eimi, io sono) indica sia un arrivo che una successiva presenza. Per esempio, in una lettera papiracea una signora parla della necessità della sua parousia in un luogo al fine di occuparsi di faccende relative alla sua proprietà”. (W. E. Vine, Expository Dictionary of New Testament Words) Altri lessici spiegano che parousìa indica ‘la visita di un governante’. Perciò non si riferisce semplicemente al momento dell’arrivo, ma a una presenza che si estende dall’arrivo in poi. Fatto interessante, è in questo senso che lo storico ebreo Giuseppe Flavio, contemporaneo degli apostoli, usò parousìa.a
12. In che modo la Bibbia stessa ci conferma il significato di parousìa?
12 Anche se il significato “presenza” è chiaramente attestato nella letteratura antica, ai cristiani interessa in particolare sapere com’è usato parousìa nella Parola di Dio. La risposta è la stessa: presenza. Lo dimostrano alcuni esempi tratti dalle lettere di Paolo. Per esempio, ai filippesi scrisse: “Nel modo in cui avete sempre ubbidito, non solo durante la mia presenza, ma ora ancor più prontamente durante la mia assenza, continuate a operare la vostra salvezza”. Parlò anche di dimorare con loro affinché potessero esultare ‘mediante la sua presenza [parousìa] di nuovo con loro’. (Filippesi 1:25, 26; 2:12) Altre traduzioni hanno: “Per la mia presenza di nuovo in mezzo a voi” (Versione Riveduta), “per la mia presenza di nuovo tra voi” (La Nuova Diodati), “quando sarò di nuovo fra voi” (Jerusalem Bible; New English Bible) e “quando mi avrete di nuovo fra voi”. (Twentieth Century New Testament) In 2 Corinti 10:10, 11, Paolo contrappone la “sua presenza personale” alla sua ‘assenza’. In questi esempi è evidente che non stava parlando del suo avvicinarsi o del suo arrivo; usò parousìa nel senso di essere presente.b (Confronta 1 Corinti 16:17). Che dire, comunque, dei riferimenti alla parousìa di Gesù? Hanno il senso di “venuta” o indicano una presenza che dura nel tempo?
13, 14. (a) Perché dobbiamo concludere che una parousìa è qualcosa che si estende nel tempo? (b) Cosa si può dire circa la durata della parousìa di Gesù?
13 Ai giorni di Paolo i cristiani unti con lo spirito erano interessati alla parousìa di Gesù. Ma Paolo li avvertì di non essere ‘scossi dalla loro ragione’. Prima doveva comparire “l’uomo dell’illegalità”, che è risultato essere il clero della cristianità. Paolo scrisse che “la presenza dell’illegale è secondo l’operazione di Satana con ogni opera potente, e segni e portenti di menzogna”. (2 Tessalonicesi 2:2, 3, 9) È ovvio che la parousìa, o presenza, dell’“uomo dell’illegalità” non era un semplice arrivo momentaneo: si sarebbe estesa nel tempo, durante il quale sarebbero stati prodotti segni di menzogna. Perché questo è degno di nota?
14 Considerate il versetto immediatamente precedente: “Sarà rivelato l’illegale, che il Signore Gesù sopprimerà con lo spirito della sua bocca e ridurrà a nulla mediante la manifestazione della sua presenza”. Proprio come la presenza dell’“uomo dell’illegalità” si sarebbe protratta per un periodo di tempo, così la presenza di Gesù avrebbe avuto una certa durata e sarebbe culminata con la distruzione dell’illegale, il “figlio della distruzione”. — 2 Tessalonicesi 2:8.
In ebraico
15, 16. (a) Quale particolare termine è usato in molte traduzioni ebraiche di Matteo? (b) Com’è usato bohʼ nelle Scritture?
15 Come si è detto, risulta che Matteo abbia scritto il suo Vangelo prima in ebraico. Quale parola ebraica usò dunque in Matteo 24:3, 27, 37, 39? Le versioni di Matteo tradotte in ebraico moderno usano una forma del verbo bohʼ, sia nella domanda degli apostoli che nella risposta di Gesù. La traduzione potrebbe essere: “Quale sarà il segno della tua [bohʼ] e del termine del sistema di cose?” e: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la [bohʼ] del Figlio dell’uomo”. Qual è il significato di bohʼ?
16 Pur avendo vari significati, il verbo ebraico bohʼ significa basilarmente “venire”. Il Grande Lessico dell’Antico Testamento dice: ‘Ricorrendo 2532 volte bohʼ è uno dei verbi più usati nell’Antico Testamento ed è il primo di quelli che esprimono un movimento’.c (Genesi 7:1, 13; Esodo 12:25; 28:35; 2 Samuele 19:30; 2 Re 10:21; Salmo 65:2; Isaia 1:23; Ezechiele 11:16; Daniele 9:13; Amos 8:11) Se Gesù e gli apostoli avessero usato una parola con una tale vasta gamma di significati, il senso si presterebbe a varie interpretazioni. Ma fu questa la parola che usarono?
17. (a) Perché molte traduzioni ebraiche moderne di Matteo potrebbero non rispecchiare ciò che Gesù e gli apostoli dissero effettivamente? (b) Dove possiamo trovare un altro indizio sulla parola che Gesù e gli apostoli possono aver usato, e per quale altra ragione questo è fonte di interesse per noi? (Vedi nota in calce).
17 Tenete presente che le versioni ebraiche moderne sono traduzioni, le quali potrebbero non rispecchiare con esattezza ciò che Matteo scrisse in ebraico. Gesù può benissimo aver usato una parola diversa da bohʼ, una che corrispondesse al senso di parousìa. Lo si comprende da un libro pubblicato nel 1995 dal prof. George Howard sul Vangelo di Matteo in ebraico. (Hebrew Gospel of Matthew) Il libro prende in esame un trattato polemico anticristiano scritto nel XIV secolo dal medico ebreo Shem-Tob ben Isaac Ibn Shaprut. Quest’opera contiene un testo ebraico del Vangelo di Matteo. Si ha motivo di ritenere che, anziché essere una retroversione dal latino o dal greco fatta all’epoca di Shem-Tob, questo testo di Matteo sia molto antico e sia stato scritto sin dall’inizio in ebraico.d Potrebbe quindi portarci più vicino a ciò che fu detto sul Monte degli Ulivi.
18. Quale interessante parola ebraica usa Shem-Tob, e cosa significa?
18 In Matteo 24:3, 27, 39, nel testo di Matteo di Shem-Tob non c’è il verbo bohʼ. C’è il sostantivo affine biʼàh. Nelle Scritture Ebraiche questo sostantivo si trova solo in Ezechiele 8:5, dove significa “ingresso”. Anziché esprimere l’azione del venire, in questo versetto biʼàh si riferisce all’entrata di un edificio: se uno è nell’ingresso o sulla soglia, è nell’edificio. Anche testi religiosi extrabiblici che si trovano fra i Rotoli del Mar Morto spesso usano biʼàh per indicare l’arrivo o l’inizio dei turni sacerdotali. (Vedi 1 Cronache 24:3-19; Luca 1:5, 8, 23). E una traduzione ebraica del 1986 dell’antica Pescitta siriaca (o aramaica) usa biʼàh in Matteo 24:3, 27, 37, 39. Si ha dunque ragione di pensare che anticamente il significato del sostantivo biʼàh potesse essere alquanto diverso da quello del verbo bohʼ usato nella Bibbia. Che importanza ha questo?
19. Se Gesù e gli apostoli usarono biʼàh, cosa potremmo concludere?
19 È possibile che gli apostoli nella loro domanda e Gesù nella sua risposta abbiano usato il sostantivo biʼàh. Anche se gli apostoli avevano in mente solo il futuro arrivo di Gesù Cristo, egli può aver usato biʼàh per includere qualcosa di più ampio di quello che pensavano loro. Gesù potrebbe essersi riferito al suo arrivo per intraprendere un nuovo incarico; il suo arrivo sarebbe stato l’inizio del suo nuovo ruolo. Questo corrisponderebbe al senso di parousìa, termine usato in seguito da Matteo. Come si può comprendere, tale uso di biʼàh sosterrebbe ciò che da tempo insegnano i testimoni di Geova, e cioè che il “segno” composito dato da Gesù sarebbe servito a rendere evidente che egli era presente.
Attendiamo il culmine della sua presenza
20, 21. Cosa possiamo capire da ciò che Gesù disse circa i giorni di Noè?
20 Lo studio della presenza di Gesù dovrebbe influire direttamente sulla nostra vita e sulle nostre aspettative. Gesù esortò i suoi seguaci a essere vigilanti. Diede un segno per poter riconoscere la sua presenza, anche se la maggioranza non se ne sarebbe accorta: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la presenza del Figlio dell’uomo. Poiché come in quei giorni prima del diluvio mangiavano e bevevano, gli uomini si sposavano e le donne erano date in matrimonio, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si avvidero di nulla finché venne il diluvio e li spazzò via tutti, così sarà la presenza del Figlio dell’uomo”. — Matteo 24:37-39.
21 Ai giorni di Noè la maggioranza delle persone di quella generazione continuava a svolgere i normali affari della vita. Gesù predisse che la stessa cosa sarebbe avvenuta al tempo della “presenza del Figlio dell’uomo”. I contemporanei di Noè forse pensavano che non sarebbe successo nulla. Come sapete, le cose andarono diversamente. Quei giorni, che si estesero per un certo periodo di tempo, giunsero al culmine allorché “venne il diluvio e li spazzò via tutti”. Luca fa una narrazione simile, in cui Gesù paragona “i giorni del Figlio dell’uomo” ai “giorni di Noè”. Gesù avvertì: “La stessa cosa avverrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo sarà rivelato”. — Luca 17:26-30.
22. Perché la profezia di Gesù riportata nel capitolo 24 di Matteo dovrebbe interessarci particolarmente?
22 Tutto questo ha per noi un significato speciale perché viviamo in un tempo in cui vediamo avverarsi gli avvenimenti predetti da Gesù: guerre, terremoti, pestilenze, penuria di viveri e persecuzione dei suoi discepoli. (Matteo 24:7-9; Luca 21:10-12) Queste cose sono state evidenti fin dal conflitto che cambiò il corso della storia e che fu significativamente chiamato prima guerra mondiale, benché la maggioranza delle persone le consideri come normali fatti storici. I veri cristiani, però, colgono il significato di questi avvenimenti di grande importanza, proprio come le persone deste capiscono che l’estate è vicina quando un fico mette le foglie. Gesù avvertì: “Così anche voi, quando vedrete avvenire queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino”. — Luca 21:31.
23. Per chi le parole di Gesù riportate nel capitolo 24 di Matteo hanno un significato particolare, e perché?
23 Gran parte della risposta di Gesù sul Monte degli Ulivi era rivolta ai suoi seguaci. Erano loro quelli che dovevano compiere la salvifica opera di predicare la buona notizia in tutta la terra prima che venisse la fine. Sarebbero stati loro a discernere “la cosa disgustante che causa desolazione . . . stabilita in un luogo santo”. Sarebbero stati loro a reagire ‘fuggendo’ prima della grande tribolazione. E su di loro in particolare avrebbero influito le ulteriori parole di Gesù: “A meno che quei giorni non fossero abbreviati, nessuna carne sarebbe salvata; ma a motivo degli eletti quei giorni saranno abbreviati”. (Matteo 24:9, 14-22) Sono parole che fanno riflettere, ma cosa significano esattamente? E perché si può dire che ci aiutano a provare ora accresciuta felicità, fiducia e zelo? Il seguente studio di Matteo 24:22 risponderà a queste domande.
[Note in calce]
a Esempi tratti da Giuseppe Flavio: Al monte Sinai, tuoni e lampi “dichiararono che Dio era lì presente [parousìa]”. La miracolosa manifestazione nel tabernacolo “rivelava la presenza [parousìa] di Dio”. Mostrando al servitore di Eliseo i carri che stavano tutt’intorno, Dio rese “manifesta al suo servitore la sua potenza e presenza [parousìa]”. Quando il funzionario romano Petronio cercò di placare gli ebrei, Giuseppe Flavio dice che ‘Dio manifestò in effetti la sua presenza [parousìa] a Petronio’ facendo piovere. Giuseppe Flavio non usò il termine parousìa per indicare un semplice avvicinarsi o un evento momentaneo come un arrivo. Lo usò nel senso di presenza, di qualcosa che dura nel tempo, anche invisibile. (Esodo 20:18-21; 25:22; Levitico 16:2; 2 Re 6:15-17) — Confronta Antichità giudaiche, Libro III, v, 2 [80]; viii, 5 [203]; Libro IX, iv, 3 [55]; Libro XVIII, viii, 6 [284].
b Ethelbert W. Bullinger spiega che parousìa significa ‘l’essere o il divenire presente, quindi presenza, arrivo; una venuta che include l’idea di dimorare stabilmente da tale venuta in poi’. — A Critical Lexicon and Concordance to the English and Greek New Testament.
c A cura di G. J. Botterweck e H. Ringgreen, vol. I, col. 1083, ed. italiana a cura di A. Catastini e R. Contini, Paideia, Brescia, 1988.
d Una prova è che contiene 19 volte l’espressione ebraica “Il Nome”, scritta per esteso o abbreviata. Il professor Howard scrive: “La presenza del Nome Divino in un documento cristiano citato da un polemista ebreo è degna di nota. Se questa fosse la traduzione ebraica di un documento cristiano in greco o in latino, ci si aspetterebbe di trovare nel testo adonai [Signore], non un simbolo del nome divino ineffabile, YHWH. . . . Sarebbe inspiegabile se fosse stato lui ad aggiungere il nome ineffabile. Ci sono validi motivi per ritenere che Shem-Tob abbia ricevuto la sua copia di Matteo col Nome Divino già nel testo e che probabilmente abbia deciso di conservarlo piuttosto che incorrere nella colpa di toglierlo”. La Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture con riferimenti si avvale del testo di Matteo di Shem-Tob (J2) come sostegno per usare il nome divino nelle Scritture Greche Cristiane.
Cosa rispondereste?
◻ Perché è importante capire la differenza fra i vari modi in cui le traduzioni bibliche rendono Matteo 24:3?
◻ Qual è il significato di parousìa, e perché ci interessa?
◻ Quale corrispondenza potrebbe esistere fra il greco e l’ebraico di Matteo 24:3?
◻ Quale fattore relativo al tempo dobbiamo conoscere per comprendere il capitolo 24 di Matteo?
[Immagine a pagina 10]
Il Monte degli Ulivi, da cui si vede Gerusalemme