Nota in calce
a Vedere la causa The United States v. George Wilson, che sorse perché quest’uomo si rifiutò di accettare il perdono presidenziale concessogli dal presidente Andrew Jackson il 14 giugno 1830. La decisione della Corte Suprema insistette “Che la corte non può dare al prigioniero il beneficio del perdono, se egli non ne chiede il beneficio, e non fa assegnamento su di esso mediante domanda o mozione. La forma in cui può chiederlo non ha importanza per questa inchiesta; ma la richiesta dev’essere fatta in qualche forma da lui. È una concessione che gli è fatta; è sua proprietà; ed egli può accettarlo o no come preferisce. . . . il perdono può essere concesso a una condizione precedente o susseguente, e la persona è soggetta alla punizione se la condizione non è soddisfatta. . . . Supponete che il perdono sia concesso a delle condizioni, che il prigioniero sceglie di non accettare? Supponete che la condizione sia l’esilio, ed egli pensi che la sentenza sia una punizione più leggera? Supponete che egli pensi sia suo interesse sottostare alla punizione, per fare la pace col pubblico per un reato commesso a causa di improvvisa tentazione? . . .”
Il giudice presidente Marshall pronunciò il parere della Corte Suprema, rammentando al Governo degli Stati Uniti che “Il perdono può essere condizionale; e la condizione può essere più ripugnante della punizione inflitta dal giudizio. . . . Questa corte è dell’opinione che il perdono nei procedimenti menzionati, non essendo stato portato giudiziariamente dinanzi alla corte mediante domanda, mozione o altrimenti, non può essere notato dai giudici. . . .”
Quindi non si permise che il perdono che avrebbe risparmiato la vita a George Wilson influisse sul giudizio della legge contro di lui. — Vedere 32 U.S. (7 Peters), pagina 150 e seguenti.