Regno di Dio
L’espressione e l’esercizio della sovranità universale di Dio nei confronti delle creature, oppure il mezzo o strumento da lui impiegato a tal fine. (Sal. 103:19) Per “regno di Dio” s’intende in particolare l’espressione della Sua sovranità per mezzo di un’amministrazione regale con a capo suo Figlio, Cristo Gesù.
Il termine reso “regno” nelle Scritture Greche Cristiane è basilèia, che significa “regno, reame, regione o paese governato da un re; potere, autorità, dominio regale; dignità regale, titolo e onore di re”. (The Analytical Greek Lexicon, p. 67) L’espressione “regno di Dio” è usata spesso da Marco e Luca, mentre in Matteo ricorre una trentina di volte l’espressione analoga “regno dei cieli”. — Confronta Marco 10:23 e Luca 18:24 con Matteo 19:23, 24.
LA SOVRANITÀ DI DIO ALL’INIZIO DELLA STORIA UMANA
Le prime creature umane, Adamo ed Eva, sapevano che Geova Dio era il Creatore del cielo e della terra. Ne riconoscevano l’autorità, il diritto di emanare ordini, di esigere che svolgessero certi compiti o evitassero certe azioni, di assegnare la terra da abitare e coltivare, e anche di delegare l’autorità su altre sue creature. (Gen. 1:26-30; 2:15-17) Benché Adamo avesse la capacità di coniare parole (Gen. 2:19, 20) non c’è alcuna prova che abbia inventato il titolo “re [mèlekh]” da rivolgere al suo Dio e Creatore, pur riconoscendo l’autorità suprema di Geova.
Come risulta dai primi capitoli di Genesi, in Eden Dio esercitava la sua sovranità sull’uomo in modo benevolo e non eccessivamente restrittivo. La relazione tra Dio e l’uomo richiedeva ubbidienza come quella che un figlio mostra al padre. (Confronta Luca 3:38). L’uomo non doveva osservare un minuzioso codice di leggi (confronta I Timoteo 1:8-11); le esigenze di Dio erano semplici e avevano uno scopo preciso. Nulla indica che Adamo si sentisse inibito da una costante, critica sorveglianza di ogni sua azione; anzi, sembra che Dio comunicasse con l’uomo perfetto periodicamente, secondo necessità. — Gen. capp. 1-3.
Nuova espressione della sovranità di Dio
L’aperta violazione del comando di Dio da parte della prima coppia umana, istigata da un figlio spirituale di Dio, fu in effetti una ribellione contro l’autorità divina. (Gen. 3:17-19) La posizione assunta dall’avversario (ebr. satàn) spirituale di Dio costituiva una sfida che richiedeva una prova, poiché la questione in gioco era la legittimità della sovranità universale di Geova. La terra, dove fu sollevata la questione, è proprio il luogo dove sarà risolta. — Riv. 12:7-12.
Nel momento in cui emanò il verdetto sui primi ribelli, Geova Dio pronunciò una profezia, espressa in linguaggio simbolico, che dichiarava il suo proposito di servirsi di un agente, un “seme”, per eliminare definitivamente i ribelli. (Gen. 3:15) Il governo di Geova, l’espressione della sua sovranità, avrebbe assunto un nuovo aspetto in seguito alla rivolta che era avvenuta. La progressiva rivelazione dei “sacri segreti del regno” (Matt. 13:11) mostrò che questo nuovo aspetto riguardava la formazione di un governo supplementare, un corpo direttivo capeggiato da un governante delegato. La promessa del “seme” si realizza nel regno di Cristo Gesù insieme agli eletti. (Riv. 17:14) Dal tempo della promessa edenica in poi il progressivo sviluppo del proposito di Dio di produrre questo “seme” del regno diventa il tema della Bibbia e la chiave per comprendere come agisce Geova nei confronti dei suoi servitori e nei confronti dell’umanità in generale.
Anche se la terra era diventata un focolaio di ribellione, Geova non rinunciò al dominio su di essa. Il diluvio universale fu la prova che Dio aveva sempre la potenza e la capacità di far rispettare la sua volontà sulla terra. Anche nel periodo che precedette il diluvio mostrò similmente di esser disposto a guidare e dirigere le azioni di coloro che si rivolgevano a Lui, come Abele, Enoc e Noè. Il caso di Noè in particolare illustra in che modo Dio esercita autorità su un volontario suddito terreno, impartendogli ordini e istruzioni, proteggendo e benedicendo lui e la sua famiglia, e anche dando prova del dominio che ha su tutte le altre creature terrestri, animali e uccelli. (Gen. 6:9-7:16) Geova rese pure chiaro che non avrebbe permesso alla società umana estraniata da lui di rovinare la terra all’infinito; che non si era imposto delle limitazioni in quanto a eseguire i suoi giusti giudizi contro i trasgressori quando e come riteneva opportuno. Inoltre dimostrò la sua capacità sovrana di controllare l’atmosfera della terra e gli elementi creati. — Gen. 6:3, 5-7; 7:17—8:22.
La prima società postdiluviana e i suoi problemi
Dopo il Diluvio la struttura fondamentale della società umana era evidentemente un ordinamento patriarcale, che assicurava una certa stabilità e ordine. Il genere umano doveva ‘riempire la terra’, cosa che non richiedeva soltanto di procreare ma anche di estendere continuamente la zona abitata dall’uomo su tutto il globo. (Gen. 9:1, 7) Di per sé questi fattori avrebbero dovuto ragionevolmente tendere a limitare qualsiasi problema sociale nell’ambito della cerchia familiare, evitando l’attrito che spesso si produce con la densità della popolazione o il sovraffollamento. Ma l’impresa non autorizzata di Babele richiedeva di prendere una strada diversa, di concentrare la popolazione, evitando di essere “dispersi su tutta la superficie della terra”. (Gen. 11:1-4) Inoltre Nimrod si discostò dall’ordinamento patriarcale e istituì il primo “regno” (ebr. mamlakhàh). Egli, cusita della discendenza di Cam, invase il territorio semita, il paese di Assur (o Assiria), e vi costruì delle città che facevano parte del suo regno. — Gen. 10:8-12.
Confondendo il linguaggio umano Dio disperse la popolazione che si era concentrata nella pianura di Sinar, ma il tipo di governo iniziato da Nimrod fu generalmente adottato nei paesi in cui migrarono le varie famiglie dell’umanità. Ai giorni di Abraamo (ca. 2018-1843 a.E.V.) esistevano regni dalla Mesopotamia, in Asia, fino all’Egitto, in Africa, dove il re aveva il titolo di “Faraone” invece di Mèlekh. Ma quei regni non portarono sicurezza. Ben presto i re fecero alleanze militari, combattendo per aggredire, saccheggiare e fare prigionieri. (Gen. 14:1-12) In alcune città gli stranieri furono oggetto di attacchi da parte di omosessuali. — Gen. 19:4-9.
IL POTERE SOVRANO DI DIO NEI CONFRONTI DI ABRAAMO E DEI SUOI DISCENDENTI
Coloro che riconoscevano Geova Dio quale loro Capo non erano senza problemi e contrasti personali. Ma furono aiutati a risolverli (o a sopportarli) in armonia con le giuste norme di Dio e senza degradarsi. Ebbero da Dio protezione e forza. — Gen. 13:5-11; 14:18-24; 19:15-24; 21:9-13, 22-33; Sal. 105:7-15.
I fedeli patriarchi non si unirono alle città-stato o ai regni di Canaan o di altri paesi. Invece di cercare protezione in qualche città sotto la dominazione politica di un re umano, vissero in tende come forestieri, “estranei e residenti temporanei nel paese”, poiché aspettavano con fede “la città che ha reali fondamenta, il cui edificatore e creatore è Dio”. Riconoscevano Dio quale loro Sovrano, attendevano un futuro ordinamento o strumento celeste per governare la terra, solidamente fondato sulla sua volontà e autorità sovrana, anche se la realizzazione di questa speranza era allora assai remota. (Ebr. 11:8-10, 13-16) Perciò Gesù, già unto da Dio per essere re, poté dire in seguito: “Abraamo si rallegrò grandemente alla prospettiva di vedere il mio giorno, e lo vide e si rallegrò”. — Giov. 8:56.
Geova fece fare un passo avanti alla realizzazione della sua promessa relativa al “seme” del regno (Gen. 3:15) stipulando un patto con Abraamo. (Gen. 12:1-3; 22:15-18) A questo proposito predisse che da Abraamo (Abramo) e da sua moglie ‘sarebbero venuti dei re’. (Gen. 17:1-6, 15, 16) Anche se i discendenti di Esaù nipote di Abraamo formarono sceiccati e regni, la promessa profetica di Dio che avrebbe avuto discendenti regali fu ripetuta all’altro nipote di Abraamo, Giacobbe. — Gen. 35:11, 12; 36:9, 15-43.
Formazione della nazione israelita
Secoli dopo, nel tempo stabilito (Gen. 15:13-16), Geova Dio intervenne a favore dei discendenti di Giacobbe, che ora si contavano a milioni, proteggendoli durante una campagna di genocidio promossa dal governo egiziano (Eso. 1:15-22) e infine liberandoli dalla dura schiavitù al regime dell’Egitto. (Eso. 2:23-25) Il comando dato da Dio al faraone, per mezzo di Mosè e Aaronne suoi rappresentanti, venne respinto dal sovrano egiziano che lo considerò proveniente da una fonte che non aveva autorità sull’Egitto. Il ripetuto rifiuto del faraone di riconoscere la sovranità di Geova provocò manifestazioni di potenza divina sotto forma di piaghe. (Eso. capp. 7-12) In questo modo Dio dimostrò che il suo dominio sugli elementi e le creature della terra era superiore a quello di qualsiasi re terreno. (Eso. 9:13-16) Coronò questa manifestazione di potere sovrano distruggendo gli eserciti del faraone in un modo che nessun vanaglorioso re guerriero delle nazioni avrebbe mai potuto replicare. (Eso. 14:26-31) A ragione Mosè e gli israeliti cantarono: “Geova regnerà a tempo indefinito, sì, per sempre”. — Eso. 15:1-19.
In seguito Geova diede ulteriore prova del suo potere sulla terra, sulle sue importanti risorse idriche e sui volatili, e della sua capacità di proteggere e sostenere la nazione anche in un ambiente desertico e ostile. (Eso. 15:22—17:15) Dopo aver fatto tutto questo, si rivolse al popolo liberato, dicendo che, se ubbidiva alla sua autorità e al suo patto, avrebbe potuto diventare una sua speciale proprietà di fra tutti gli altri popoli, “perché l’intera terra appartiene a me”. Avrebbe potuto diventare “un regno di sacerdoti e una nazione santa”. (Eso. 19:3-6) Quando gli israeliti dimostrarono di essere pronti a sottomettersi alla sua sovranità, Geova in qualità di regale Legislatore diede loro decreti reali sotto forma di un vasto codice di leggi, accompagnando tutto ciò con una dimostrazione dinamica e maestosa della sua potenza e gloria. (Eso. 19:7—24:18)
Un tabernacolo o tenda di adunanza, e in particolare l’arca, doveva simboleggiare la presenza dell’invisibile celeste Capo dello Stato. (Eso. 25:8, 21, 22; 33:7-11; confronta Rivelazione 21:3). Benché Mosè e altri uomini avessero l’incarico di giudicare la maggioranza dei casi, facendosi guidare dalla legge di Dio, a volte Geova intervenne personalmente per esprimere giudizi e imporre sanzioni contro i violatori della legge. (Eso. 18:13-16, 24-26; 32:25-35) Il sacerdozio aveva l’incarico di mantenere buone relazioni tra la nazione e il suo Sovrano celeste, aiutando la popolazione nello sforzo di conformarsi alle alte norme del patto della Legge. Così il governo di Israele era una vera “teocrazia”. — Deut. 33:2, 5.
Quale Dio e Creatore, avente per diritto sovranità su tutta la terra, e anche quale “Giudice di tutta la terra” (Gen. 18:25), Geova aveva assegnato il paese di Canaan al seme di Abraamo. (Gen. 12:5-7; 15:17-21) Detenendo quale Sovrano il potere esecutivo, Dio ordinò ora agli israeliti di procedere con la forza all’esproprio del territorio occupato dai condannati cananei, e anche a eseguire la loro condanna a morte. — Deut. 9.1-5.
Il periodo dei giudici
Dopo la conquista dei numerosi regni di Canaan da parte di Israele, per tre secoli e mezzo Geova Dio fu l’unico re della nazione. A varie riprese, giudici scelti da Dio guidarono la nazione o parti di essa in guerra e in pace. In seguito alla sconfitta di Madian da parte del giudice Gedeone il popolo gli chiese di diventare sovrano della nazione, ma egli rifiutò, riconoscendo che il vero sovrano era Geova. (Giud. 8:22, 23) Il suo ambizioso figlio Abimelec stabilì per breve tempo un regno su un piccolo settore della nazione, ma fece una fine disastrosa. — Giud. 9:1, 6, 22, 53-56.
CHIESTO UN RE UMANO
Quasi quattrocento anni dopo l’Esodo e oltre ottocento anni dopo che Dio aveva fatto il patto con Abraamo, gli israeliti chiesero di avere un re umano, come le altre nazioni. Questa richiesta indicava che non volevano riconoscere il potere regale che Geova esercitava su di loro. (I Sam. 8:4-8) Il popolo si aspettava giustamente phe Dio stabilisse un regno in armonia con la promessa. fatta ad Abraamo e a Giacobbe, di cui si è già parlato. Questa speranza era stata confermata dalla profezia relativa a Giuda pronunciata da Giacobbe in punto di morte (Gen. 49:8-10), dalle parole rivolte a Israele da Geova dopo l’Esodo (Eso. 19:3-6), da una clausola inclusa nel patto della Legge (Deut. 17:14, 15) e anche da una parte del messaggio che Dio fece pronunciare dal profeta Balaam. (Num. 24:2-7, 17) La fedele Anna, madre di Samuele, espresse in preghiera questa speranza. (I Sam. 2:7-10) Tuttavia Geova non aveva rivelato pienamente il “sacro segreto” relativo al Regno, non aveva indicato quando sarebbe giunto il tempo da lui stabilito per la sua istituzione né la struttura e composizione di quel governo, se sarebbe stato terrestre o celeste. Fu dunque presunzione da parte del popolo chiedere allora un re umano.
La minaccia di un’aggressione da parte di filistei e ammoniti spiegava il desiderio degli israeliti di avere un re visibile come comandante in capo. Ma in tal modo manifestarono mancanza di fede nella capacità di Dio di proteggerli, guidarli e provvedere per loro, come nazione o come singoli. (I Sam. 8:4-8) Il motivo era sbagliato; eppure Geova Dio accolse la loro richiesta, non principalmente per amor loro, ma per attuare il suo buon proposito nella progressiva rivelazione del “sacro segreto” del suo futuro regno retto dal “seme”. Un regno umano avrebbe tuttavia comportato dei problemi e una spesa per Israele, e Geova spiegò al popolo come stavano le cose. — I Sam. 8:9-22.
Da quel momento in poi i re nominati da Geova dovevano servire quali suoi agenti terreni, senza limitare minimamente la sovranità di Geova sulla nazione. Il trono era in effetti di Geova ed essi vi salivano come re delegati. (I Cron. 29:23) Geova ordinò l’unzione del primo re, Saul (I Sam. 9:15-17), denunciando allo stesso tempo la mancanza di fede manifestata dalla nazione. — I Sam. 10:17-25.
ESEMPLARE GOVERNO DI DAVIDE
La mancanza di rispetto del beniaminita Saul per l’autorità superiore e le disposizioni della “Eccellenza d’Israele” provocò lo sfavore di Dio e costò alla sua famiglia la perdita del trono. (I Sam. 13:10-14; 15:17-29; I Cron. 10:13, 14) Col governo del suo successore, Davide di Giuda, la profezia pronunciata da Giacobbe in punto di morte ebbe un ulteriore adempimento. (Gen. 49:8-10) Benché Davide commettesse errori per debolezza umana, il suo governo fu esemplare grazie alla sincera devozione a Geova Dio e all’umile sottomissione alla Sua autorità. — Sal. 51:1-4; I Sam. 24:10-14; confronta I Re 11:4; 15:11, 14.
Mentre l’arca del patto, che simboleggiava la presenza di Geova, veniva portata nella capitale, Gerusalemme, Davide cantava: “Si rallegrino i cieli, gioisca la terra, e dicano fra le nazioni: ‘Geova stesso è divenuto re!’” (I Cron. 16:1, 7, 23-31) Questo illustra il fatto che, anche se la sovranità di Geova risale all’inizio della creazione, egli può esprimerla in modo particolare o costituire certi suoi rappresentanti così che in un determinato momento o in una determinata occasione si può dire che ‘Geova diventa re’.
Il patto per un regno
Geova fece con Davide un patto per un regno che sarebbe stato stabilito in modo permanente con la sua discendenza. (II Sam. 7:12-16; I Cron. 17:11-14) Questo patto in vigore per la dinastia davidica costituiva un’ulteriore prova dell’attuazione della Sua promessa edenica riguardante il suo regno retto dal predetto “seme” (Gen. 3:15), e forniva un ulteriore mezzo per identificare quel “seme” quando sarebbe comparso. (Confronta Isaia 9:6, 7; 1 Pietro 1:11). I re nominati da Dio ricevevano l’incarico mediante unzione, quindi il termine “messia”, che significa “unto”, ben si addiceva loro. (I Sam. 16:1; Sal. 132:13, 17) È dunque chiaro che il regno terreno stabilito da Geova su Israele servì come tipo o rappresentazione in scala ridotta del futuro Regno del Messia, Gesù Cristo, il “figlio di Davide”. — Matt. 1:1.
DECLINO E CADUTA DEI REGNI ISRAELITI
I re umani non risolsero però i problemi di Israele. Le condizioni esistenti già alla fine di tre regni e all’inizio del quarto produssero un grave malcontento che portò alla rivolta e alla scissione della nazione (997 a.E.V.). Si formarono un regno settentrionale e un regno meridionale. Il patto fatto da Geova con Davide rimase comunque in vigore per i re del regno meridionale di Giuda. Nel corso dei secoli in Giuda ci furono alcuni re fedeli, nel regno settentrionale di Israele nessuno. La storia del regno settentrionale è una storia di idolatria, intrighi e assassini, di re che spesso si seguivano in rapida successione. La popolazione subì ingiustizie e oppressione. Dopo circa duecentocinquant’anni, Geova permise che il re d’Assiria abbattesse il regno settentrionale a motivo del suo comportamento ribelle a Dio (740 a.E.V.). — Osea 4:1, 2; Amos 2:6-8.
Anche se il regno di Giuda godette maggiore stabilità grazie alla dinastia davidica, alla fine il regno meridionale superò quello settentrionale in quanto a decadimento morale, nonostante gli sforzi di re timorati di Dio, come Ezechia e Giosia, per arrestare il declino verso l’idolatria e il rifiuto di riconoscere la parola e l’autorità di Geova. (Isa. 1:1-4; Ezec. 23:1-4, 11) Ingiustizia sociale, tirannia, avidità, disonestà, corruzione, perversione sessuale, criminalità e spargimento di sangue, insieme a ipocrisia religiosa che trasformò il tempio di Dio in una “spelonca di ladroni”, tutto ciò venne denunciato dai profeti di Geova nei messaggi ammonitori rivolti alle autorità e al popolo. (Isa. 1:15-17, 21-23; 3:14, 15; Ger. 5:1, 2, 7, 8, 26-28, 31; 6:6, 7; 7:8-11) Né l’appoggio di sacerdoti apostati né alcuna alleanza politica con altre nazioni poté evitare il crollo di quel regno infedele. (Ger. 6:13-15; 37:7-10) Nel 607 a.E.V. la capitale, Gerusalemme, fu distrutta e Giuda desolato dai babilonesi. — II Re 25:1-26.
La posizione regale di Geova rimane intatta
La distruzione dei regni di Israele e di Giuda non influì in alcun modo sulla qualità del regno stesso di Geova Dio, né indicò in alcun modo debolezza da parte sua. Durante tutta la storia della nazione israelita, Geova rese evidente che quello che gli premeva era l’ubbidienza e il servizio volonteroso. (Deut. 10:12-21; 30:6, 15-20; Isa. 1:18-20; Ezec. 18:25-32) Dio istruiva, riprendeva, disciplinava, avvertiva e puniva, ma non usò la sua potenza per costringere il re o il popolo a seguire la retta via. Le tristi condizioni in cui si trovavano, la sofferenza, il disastro che si abbatté su di loro, avvenne tutto per colpa loro, perché si ostinarono a indurire il proprio cuore e insisterono nel tenere un comportamento indipendente, che stupidamente nuoceva ai loro stessi interessi. — Lam. 1:8, 9; Nee. 9:26-31, 34-37; Isa. 1:2-7; Ger. 8:5-9; Osea 7:10, 11.
Geova manifestò il suo potere sovrano trattenendo le aggressive, rapaci potenze assira e babilonese fino al tempo da lui stabilito, e giunse persino a farle agire in modo da adempiere le sue profezie. (Ezec. 21:18-23; Isa. 10:5-7) Quando alla fine Geova smise di difendere la nazione, lo fece per esprimere il suo giusto giudizio di Sovrano Signore. (Ger. 35:17) La desolazione di Israele e di Giuda non giunse come una brutta sorpresa per gli ubbidienti servitori di Dio che erano stati preavvertiti dalle sue profezie. L’umiliazione di alteri sovrani esaltava la “splendida superiorità” di Geova. (Isa. 2:1, 10-17) Ma soprattutto, egli aveva dimostrato la sua capacità di proteggere e preservare i singoli individui che lo riconoscevano come loro Re, anche quando erano afflitti da carestia, malattie e uccisioni in massa, oltre a essere perseguitati da coloro che odiavano la giustizia. — Ger. 34:17-21; 20:10, 11; 35:18, 19; 36:26; 37:18-21; 38:7-13; 39:11-40:5.
L’ultimo re della nazione di Israele fu avvertito che gli sarebbe stata presto tolta la corona, che rappresentava l’unzione quale regale rappresentante di Geova. Il potere regale dell’unta dinastia davidica non sarebbe stato più esercitato “finché venga colui che ha il diritto legale, e a lui [io, Geova,] lo devo dare”. (Ezec. 21:25-27) Così il regno tipico, ormai in rovina, cessò di funzionare, e l’attenzione fu rivolta di nuovo al futuro “seme”, il Messia.
VISIONI DEL REGNO DI DIO Al GIORNI DI DANIELE
L’intera profezia di Daniele dà grande risalto al tema della Sovranità Universale di Dio, facendo maggior luce sul proposito di Geova. Esiliato nella capitale della potenza mondiale che aveva abbattuto Giuda, Daniele fu impiegato da Dio per rivelare il significato di una visione avuta dal monarca babilonese, e in tal modo predire il succedersi delle potenze mondiali e la loro distruzione finale ad opera di un regno eterno istituito da Geova stesso. Senza dubbio con grande stupore della sua corte, Nabucodonosor, il conquistatore di Gerusalemme, fu ora spinto a prostrarsi per rendere omaggio all’esiliato Daniele e riconoscere il Dio di Daniele quale “Signore di re”. (Dan. 2:36-47) Un’altra volta, mediante la visione di un ‘albero abbattuto’ avuta in sogno da Nabucodonosor, Geova fece chiaramente comprendere che “l’Altissimo domina sul regno del genere umano e che lo dà a chi vuole, e stabilisce su di esso perfino l’infimo del genere umano”. (Dan. cap. 4) Con l’adempimento del sogno che si riferiva a lui, Nabucodonosor, sovrano di un impero, fu indotto ancora una volta a riconoscere che il Dio di Davide era “il Re dei cieli”, Colui che “fa secondo la sua propria volontà fra l’esercito dei cieli e gli abitanti della terra. E non esiste nessuno che possa fermare la sua mano o che gli possa dire: ‘Che cosa hai fatto?’” — Dan. 4:34-37.
Verso la fine del dominio internazionale di Babilonia, Daniele ebbe visioni profetiche di imperi successivi, dalle caratteristiche bestiali, e vide anche la maestosa Corte celeste di Geova riunita per giudicare le potenze mondiali, decretandole indegne di governare, e osservò “qualcuno simile a un figlio d’uomo... [a cui] furono dati dominio e dignità e regno, affinché tutti i popoli, i gruppi nazionali e le lingue servissero proprio lui” nel suo “dominio di durata indefinita che non passerà”. Vide anche la guerra combattuta contro “i santi” dall’ultima potenza mondiale, che sarebbe stata annientata, mentre “il regno e il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i cieli” sarebbero stati dati “al popolo che sono i santi del Supremo”, Geova Dio. (Dan. capp. 7, 8) Così fu evidente che il promesso “seme” avrebbe incluso una compagine governativa che avrebbe avuto non solo un capo regnante, il “figlio d’uomo”, ma anche re associati, i “santi del supremo”.
ESPRESSIONI DEL POTERE REGALE DI DIO SU BABILONIA E LA MEDIA-PERSIA
L’inesorabile decreto di Dio contro la potente Babilonia venne eseguito in modo improvviso e inaspettato: i suoi giorni erano stati contati ed erano giunti alla fine. (Dan. 5:17-30) Durante la successiva dominazione meda persiana, Geova fece ulteriori rivelazioni a proposito del Regno messianico, indicando il tempo della comparsa del Messia, predicendo che sarebbe stato “stroncato”, e anche una seconda distruzione della città di Gerusalemme e del suo luogo santo. (Dan. 9:1, 24-27; vedi SETTANTA SETTIMANE). E, come aveva fatto durante la dominazione babilonese, ancora una volta Geova Dio dimostrò la sua capacità di proteggere quelli che riconoscevano la sua sovranità dall’ira di un sovrano e dalla minaccia di morte, dando prova del suo potere sia sugli elementi della terra che sugli animali. (Dan. 3:13-29; 6:12-27) Al momento stabilito fece spalancare le porte di Babilonia, consentendo al popolo del patto di avere la libertà di tornare in patria e riedificare Gerusalemme e la casa di Dio. (II Cron. 36:20-23) A motivo del suo intervento per liberare il suo popolo si poté annunciare a Sion: “Il tuo Dio è divenuto re!” (Isa. 52:7-11) In seguito cospirazioni contro il suo popolo furono rese vane, si superarono travisamento dei fatti e decreti governativi avversi, poiché Geova indusse diversi re persiani a cooperare onde si adempisse la sua volontà sovrana. — Esd. capp. 4-7; Nee. capp. 2, 4, 6; Est. capp. 3-9.
Così, per migliaia di anni si compiva l’immutabile, irresistibile proposito di Geova Dio. Nonostante la piega che prendevano gli avvenimenti sulla terra, egli dimostrò di essere sempre padrone della situazione, sempre al di sopra di ogni oppositore umano e diabolico. Nulla poteva interferire con la perfetta attuazione del suo proposito, della sua volontà. La nazione di Israele e la sua storia, mentre sono servite come tipi profetici e visioni anticipate della futura attività di Dio nei confronti degli uomini, hanno dimostrato che senza riconoscere e sottomettersi di tutto cuore all’autorità divina non ci possono essere armonia, pace e felicità durevoli. Gli israeliti avevano il vantaggio di essere di una stessa razza, discendenza, lingua e nazione. Avevano anche nemici comuni. Ma solo finché adoravano e servivano Geova Dio con piena fede e lealtà avevano unità, forza, giustizia e vera gioia di vivere. Quando i vincoli della relazione con Geova Dio si allentavano, la nazione subiva un rapido declino.
‘SI AVVICINA’ IL REGNO DI DIO
Poiché il Messia doveva essere discendente di Abraamo, Isacco e Giacobbe, appartenere alla tribù di Giuda ed essere “figlio di Davide”, doveva avere una nascita umana; doveva essere, come dichiarato dalla profezia di Daniele, “un figlio d’uomo”. Quando “arrivò il pieno limite del tempo”, Geova Dio mandò suo Figlio, che nacque da una donna e che soddisfece tutte le esigenze legali per poter ereditare “il trono di Davide suo padre”. (Gal. 4:4; Luca 1:26-33; vedi GENEALOGIA DI GESÙ CRISTO). Sei mesi prima della sub nascita era nato Giovanni, che divenne il ‘Battezzatore’, e doveva essere il precursore di Gesù. (Luca 1:13-17, 36) I genitori di entrambi mostrarono con le loro espressioni che vivevano in ansiosa aspettazione di autorevoli interventi di Dio. (Luca 1:41-55, 68-79) Alla nascita di Gesù, anche le parole della delegazione angelica inviata ad annunciare il significato dell’avvenimento additarono il glorioso intervento di Dio. (Luca 2:9-14) Così pure le parole pronunciate da Simeone e da Anna presso il tempio espressero la speranza nella salvezza e liberazione. (Luca 2:25-38) Prove sia bibliche che secolari rivelano che fra gli ebrei prevaleva un sentimento generale di speranza che la venuta del Messia fosse vicina. Molti però volevano soprattutto la libertà dal pesante giogo della dominazione romana. — Vedi MESSIA.
Giovanni aveva l’incarico di “far tornare i cuori” a Geova, ai suoi patti, al “privilegio di rendergli intrepidamente sacro servizio, con lealtà e giustizia”, in modo da preparare per Geova “un popolo ben disposto”. (Luca 1:16, 17, 72-75) Senza mezzi termini disse al popolo che li attendeva un tempo di giudizio da parte di Dio, che “il regno dei cieli si [era] avvicinato”, ed era quindi urgente che abbandonassero una condotta di disubbidienza alla volontà e alla legge di Dio, mostrandosi pentiti. Questo dava ancora una volta risalto alla norma di Geova di avere solo sudditi volonterosi, che riconoscevano e apprezzavano la giustezza delle sue vie e delle sue leggi. — Matt. 3:1, 2, 7-12.
Il Messia giunse quando Gesù si presentò a Giovanni per essere battezzato e quindi venne unto con lo spirito santo di Dio. (Matt. 3:13-17) In tal modo divenne il Re designato, al quale la Corte di Geova riconosceva il “diritto legale” al trono davidico, diritto che non era stato esercitato da sei secoli. Ma Geova fece inoltre con questo Figlio approvato un patto per un regno celeste, nel quale Gesù sarebbe stato sia Re che Sacerdote, come lo era stato Melchisedec nell’antica Salem. (Sal. 110:1-4; Luca 22:29; Ebr. 5:4-6; 7:1-3; 8:1; vedi PATTO). Essendo il promesso ‘seme di Abraamo’ questo Re-Sacerdote celeste sarebbe stato il principale Agente di Dio per benedire persone di tutte le nazioni. — Gen. 22:15-18; Gal. 3:14; Atti 3:15.
Dopo circa quaranta giorni trascorsi nel deserto della Giudea, il battezzato Gesù dovette affrontare il principale oppositore della sovranità di Geova. In qualche modo l’avversario spirituale fece a Gesù certe sottili proposte destinate a trascinarlo a compiere atti che avrebbero violato l’espressa volontà e parola di Geova. Satana offrì all’unto Gesù persino il dominio su tutti i regni terreni senza lotta e senza bisogno di alcuna sofferenza da parte di Gesù, in cambio di un atto di adorazione a lui. Quando Gesù rifiutò, riconoscendo che Geova era l’unico vero Sovrano da cui giustamente proviene ogni autorità e a cui spetta l’adorazione, l’avversario di Dio cominciò a fare altri piani strategici contro il Rappresentante di Geova, ricorrendo in vari modi ad agenti umani, come aveva fatto molto tempo prima nel caso di Giobbe. — Giob. 1:8-18; Matt. 4:1-11; Luca 4:1-13; confronta Rivelazione 13:1, 2.
In che senso il Regno era ‘in mezzo a loro’
Sicuro che Geova aveva il potere di proteggerlo e di fargli avere successo, Gesù iniziò il ministero pubblico, annunciando al popolo del patto di Geova che ‘il tempo fissato era compiuto’, quindi il regno di Dio era vicino. (Mar. 1:14, 15) Per determinare in che senso il Regno era ‘vicino’, si notino le parole che rivolse a certi farisei: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”. (Luca 17:21) A questo proposito il Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento (voce “Regno”, p. 1532) osserva: “La sovranità di Dio è già realtà presente nell’attività di Gesù. Per questo motivo, quando i farisei chiedono: ‘Quando viene il regno di Dio?’, Gesù può rispondere: ‘Il regno di Dio è in mezzo a voi’ (Lc 17, 20s; e non, come traduce Lutero: ‘è interiore, dentro di voi’)”. (Vedi anche le traduzioni cattoliche a cura di Nardoni e di Ricciotti). Dal momento che con “regno [basilèia]” si può intendere la “dignità regale”, è evidente che Gesù voleva dire che lui, regale rappresentante di Dio, unto da Dio per regnare, era in mezzo a loro. Non solo egli era presente come tale, ma aveva anche l’autorità di compiere opere che manifestavano la regale potenza di Dio e di preparare candidati per incarichi nel futuro governo del Regno. Per cui il Regno era ‘vicino’; era un tempo che offriva straordinarie opportunità.
Ordinamento governativo dotato di potenza e autorità
I discepoli compresero che il Regno era un effettivo governo di Dio, benché non afferrassero la portata del suo dominio. Natanaele disse a Gesù: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d’Israele”. (Giov. 1:49) Sapevano quello che era stato predetto a proposito dei “santi” nella profezia di Daniele. (Dan. 7:18, 27) Gesù promise direttamente agli apostoli che avrebbero occupato dei “troni”. (Matt. 19:28) Giacomo e Giovanni volevano certe posizioni di privilegio nel governo messianico e Gesù ammise che avrebbero avuto posizioni di privilegio, ma affermò che l’attribuzione di queste dipendeva dal Padre suo, il Sovrano Signore. (Matt. 20:20-23; Mar. 10:35-40) Quindi, anche se erroneamente pensavano che il potere regale del Messia fosse limitato alla terra e in particolare all’Israele carnale, e questo anche il giorno dell’ascensione di Gesù risorto (Atti 1:6), compresero correttamente che si trattava di un ordinamento governativo. — Confronta Matteo 21:5; Marco 11:7-10.
La sovranità di Geova nei confronti della creazione terrestre venne manifestata visibilmente in molti modi dal suo Rappresentante regale. Mediante lo spirito o forza attiva di Dio, il Figlio suo poté dominare vento e mare, vegetazione, pesci, e persino gli elementi organici presenti nel cibo, moltiplicandolo. Queste opere potenti infusero nei discepoli profondo rispetto per l’autorità che gli era stata conferita. (Matt. 14:23-33; Mar. 4:36-41; 11:12-14, 20-23; Luca 5:4-11; Giov. 6:5-15) Un’impressione ancora più profonda fu prodotta dall’impiego della potenza di Dio sui corpi umani, sanando infermità che andavano dalla cecità alla lebbra, ridando vita ai morti. (Matt. 9:35; 20:30-34; Luca 5:12, 13; 7:11-17; Giov. 11:39-47) Gesù disse ad alcuni lebbrosi guariti di andare a riferirlo come “testimonianza” ai sacerdoti che, pur ricoprendo un incarico istituito da Dio, in genere erano increduli. (Luca 5:14; 17:14) Infine mostrò la potenza di Dio su spiriti sovrumani. I demoni riconoscevano l’autorità di cui Gesù era investito e, anziché rischiare una prova decisiva della potenza che lo sosteneva, eseguirono i suoi ordini liberando persone da loro possedute. (Matt. 8:28-32; 9:32, 33; confronta Giacomo 2:19). Poiché il potere di espellere demoni proveniva dallo spirito di Dio, il regno di Dio aveva realmente “raggiunti” i suoi ascoltatori. — Matt. 12:25-29; confronta Luca 9:42, 43.
ACCESSO AL REGNO
Gesù diede risalto al fatto che quello era un periodo di speciali opportunità. Del suo precursore, Giovanni il Battezzatore, Gesù disse: “Fra i nati di donna non è stato suscitato uno maggiore di Giovanni Battista; ma la persona che è la minore nel regno dei cieli è maggiore di lui. E dai giorni di Giovanni Battista ad ora il regno dei cieli è la mèta verso cui si spingono [biàzetai] gli uomini, e quelli che si spingono avanti [biastài] lo afferrano. (Confronta An American Translation; Zarcher Bibel]. Poiché tutti, i Profeti e la Legge, hanno profetizzato fino a Giovanni”. (Matt. 11:10-13) Quindi i giorni del ministero di Giovanni, che sarebbe presto terminato con la sua morte, segnarono la fine di un periodo e l’inizio di un altro. Del verbo greco biàzo usato in questo brano, W. E. Vine dice che “fa pensare a uno sforzo vigoroso”. (Expository Dictionary of New Testament Words, Vol. III, p. 208) E a proposito di Matteo 11:12 Heinrich Meyer afferma: “In questo modo viene descritto l’ansioso e irresistibile impegno e sforzo per raggiungere il veniente regno messianico . . . Così ansioso ed energico (non più di calma attesa) è l’interesse a proposito del regno. I Praaiac sono, quindi, credenti [non nemici attaccanti] che si sforzano vigorosamente di impossessarsene”. — Kritisch exegetisches Handbuch aber das Evangelium des Matthäus, 1864, pp. 272, 273.
Mentre l’ingresso in una città priva di mura avrebbe presentato poche o nessuna difficoltà, non sarebbe stato facile entrare a far parte del regno di Dio, poiché il Sovrano, Geova Dio, aveva posto delle barriere per escludere gli indegni. (Confronta Giovanni 6:44; I Corinti 6:9-11; Galati 5:19-21; Efesini 5:5). Per entrare bisognava percorrere una strada stretta, trovare la porta stretta, continuare a chiedere, continuare a cercare, continuare a bussare e la via sarebbe stata aperta. (Matt. 7:7, 8, 13, 14; confronta II Pietro 1:10, 11). Figurativamente parlando, per entrare potevano dover perdere un occhio o una mano. (Mar. 9:43-47) Il Regno non sarebbe stato una plutocrazia in cui si poteva comprare il favore dei Re; per un ricco (gr. ploùsios) sarebbe stato difficile entrare. (Luca 18:24, 25) Non sarebbe stato un’aristocrazia mondana; non avrebbe contato avere posizione preminente fra gli uomini. (Matt. 23:1, 2, 6-12, 33; Luca 16:14-16) Quelli che potevano sembrare “primi”, avendo un notevole passato e curriculum religioso, sarebbero stati “ultimi”, e ‘gli ultimi sarebbero stati i primi’ a ricevere gli speciali privilegi connessi con questo regno. (Matt. 19:30-20:16) Gli eminenti ma ipocriti farisei, sicuri di avere una posizione privilegiata, avrebbero visto meretrici ed esattori di tasse pentiti entrare nel Regno davanti a loro. (Matt. 21:31, 32; 23:13) Anche se chiamavano Gesù “Signore, Signore”, tutti gli ipocriti che mancavano di rispetto alla parola e alla volontà di Dio rivelata per mezzo di Gesù sarebbero stati allontanati con le parole: “Non vi ho mai conosciuti! Andatevene da me, operatori d’illegalità”. — Matt. 7:15-23.
Potevano avervi accesso quelli che mettevano al secondo posto gli interessi materiali e cercavano prima il Regno e la giustizia di Dio. (Matt. 6:31-34) Come l’unto Re di Dio, Cristo Gesù, dovevano amare la giustizia e odiare la malvagità. (Ebr. 1:8, 9) Persone di mente spirituale, misericordiose, pure di cuore, pacifiche, benché oggetto di biasimo e persecuzione da parte degli uomini, avevano la prospettiva di far parte del Regno. (Matt. 5:3-10; Luca 6:23) Il “giogo” che Gesù li invitò a portare significava sottomissione alla sua autorità regale. Era tuttavia un giogo piacevole, con un carico leggero per chi era “d’indole mite e modesto di cuore” come lo era il Re. (Matt. 11:28-30; confronta I Re 12:12-14; Geremia 27:1-7). Questo avrebbe dovuto rincuorare gli ascoltatori, assicurandoli che il suo governo non avrebbe avuto nessuna delle spiacevoli qualità di molti governanti precedenti, sia israeliti che non israeliti. Dava loro ragione di credere che il suo governo non avrebbe comportato gravosa tassazione, asservimento, né alcuna forma di sfruttamento. (Confronta I Samuele 8:10-18; Deuteronomio 17:15-17, 20; Efesini 5:5). Come mostrarono successive parole di Gesù, non solo il Capo del governo del Regno avrebbe dimostrato il suo altruismo al punto di dare la vita per il suo popolo, ma tutti quelli associati con lui nel governo sarebbero stati pronti a servire anziché essere serviti. — Matt. 20:25-28; vedi GESÙ CRISTO (Le sue opere e le sue qualità personali).
Essenziale sottomissione volontaria
Gesù stesso aveva il più profondo rispetto per la volontà e l’autorità sovrana del Padre suo. (Giov. 5:30; 6:38; Matt. 26:39) Finché era in vigore il patto della Legge, gli ebrei suoi seguaci dovevano osservarlo e farlo osservare; chiunque si fosse comportato diversamente sarebbe stato escluso dal suo regno. Il rispetto e l’ubbidienza però dovevano venire dal cuore, non essere una semplice osservanza formale o unilaterale della Legge che desse risalto a specifiche azioni richieste, ma non ne osservasse i principi fondamentali in quanto a giustizia, misericordia e fedeltà. (Matt. 5:17-20; 23:23, 24) Allo scriba che aveva riconosciuto la posizione unica di Geova e il fatto che “amarlo con tutto il cuore e con tutto l’intendimento e con tutta la forza e questo amare il prossimo come se stesso [valeva] assai più di tutti gli olocausti e i sacrifici” Gesù disse: “Tu non sei lontano dal regno di Dio”. (Mar. 12:28-34) In ogni particolare Gesù rese dunque chiaro che Geova Dio vuole solo sudditi volonterosi, che preferiscono le sue giuste vie e desiderano fervidamente vivere sotto la sua autorità sovrana.
Relazione di patto
Durante l’ultima sera trascorsa coi discepoli, Gesù parlò loro di un “nuovo patto” che sarebbe entrato in vigore per i suoi seguaci grazie al suo sacrificio di riscatto (Luca 22:19, 20; confronta 12:32), patto di cui lui stesso sarebbe stato il Mediatore tra il Sovrano Geova e i suoi stessi seguaci. (I Tim. 2:5; Ebr. 12:24) Inoltre Gesù fece personalmente un patto “per un regno” coi propri seguaci, affinché potessero godere con lui privilegi regali. — Luca 22:28-30.
Il Regno dalla Pentecoste in poi
Con l’ascensione di Gesù al cielo, quaranta giorni dopo la sua risurrezione, i discepoli cominciarono a comprendere la natura celeste del suo regno. Dieci giorni dopo, alla Pentecoste del 33 E.V., ebbero la prova che egli era stato “esaltato alla destra di Dio”, poiché versò su di loro spirito santo, autorizzandoli a prestare servizio quali suoi testimoni e ambasciatori del suo regno. (Luca 24:46-52; Atti 1:8, 9; 2:1—4, 29-33; II Cor. 5:20) Così entrò in vigore per loro il “nuovo patto” ed essi divennero il nucleo di una “nazione santa”, l’Israele spirituale. (I Piet. 2:9, 10; Gal. 6:16; Ebr. 12:22-24) Dal momento che Cristo sedeva ora alla destra del Padre suo ed era il Capo di questa congregazione, è evidente che dalla Pentecoste del 33 E.V. in poi ha esercitato il suo potere regale nei confronti dei discepoli. (Efes. 5:23; Ebr. 1:3; Filip. 2:9-11) Perciò l’apostolo poté in seguito scrivere: “[Dio] ci ha liberati dall’autorità delle tenebre e ci ha trapiantati nel regno del Figlio del suo amore”. — Col. 1:13; confronta Luca 22:53.
Ma nei confronti di coloro che non erano disposti a sottomettersi, Cristo Gesù non doveva agire allora; infatti doveva sedere “alla destra di Dio, aspettando quindi che i suoi nemici fossero posti a sgabello dei suoi piedi”. (Ebr. 10:12, 13; Atti 2:34-36; confronta Ebrei 2:8). Gesù aveva predetto che ci sarebbe stato un intervallo di tempo tra la sua ascensione al cielo e il momento di giudicare sia i sudditi approvati che gli oppositori, e fece questo paragonandosi a un uomo “di nobile nascita” che “andò in un paese lontano per assicurarsi il potere reale e tornare”. Oltre a premiare i servitori fedeli, allora avrebbe messo a morte i nemici del suo Regno. — Luca 19:11-27.
IL REGNO ASSUME PIENI POTERI
L’apostolo Giovanni, che scrisse verso la fine del I secolo E.V., previde mediante rivelazione divina il tempo futuro in cui Geova Dio, per mezzo del Figlio suo, avrebbe manifestato in modo particolare la sua sovranità; infatti, come al tempo in cui Davide portò l’Arca a Gerusalemme, si sarebbe potuto dire che Geova ‘aveva assunto il suo gran potere e aveva cominciato a regnare’. Questo perché il Re delegato, il Figlio suo, avrebbe iniziato una speciale, più estesa fase di governo e “il regno del mondo [sarebbe] divenuto il regno del nostro Signore e del suo Cristo, ed egli regnerà per i secoli dei secoli”. In quel tempo Gesù Cristo avrebbe preso tutte le misure necessarie per eliminare l’opposizione alla sovranità di Dio sia in cielo che sulla terra. — Riv. 11:15.
L’azione iniziale avviene nel reame celeste: Satana e i suoi demoni vengono sconfitti e scagliati giù nel reame terrestre. Questo ha per risultato l’annuncio: “Ora son venuti la salvezza e la potenza e il regno del nostro Dio e l’autorità del suo Cristo”. (Riv. 12:1-10) Nel breve periodo di tempo che gli rimane, questo principale avversario, Satana, continua a adempiere la profezia di Genesi 3:15 facendo guerra contro “i rimanenti” del “seme” della donna, i “santi” destinati a governare con Cristo. (Riv. 12:13-17; confronta 13:4-7; Daniele 7:21-27). I “giusti decreti” di Geova sono resi comunque manifesti, e i suoi giudizi si abbattono come piaghe su quelli che si oppongono a lui, provocando la distruzione della mistica Babilonia la Grande, la principale persecutrice dei servitori di Dio sulla terra. (Riv. 15:4; 16:1-19:6) Quindi il regno di Dio con Cristo Gesù unto Sovrano invia i suoi eserciti celesti contro i sovrani di tutti i regni terreni e i loro eserciti nella battaglia di Armaghedon, che porrà loro fine. (Riv. 16:14-16; 19:11-21) Questa è la risposta alla supplica rivolta a Dio: “Venga il tuo regno. Si compia la tua volontà, come in cielo, anche sulla terra”. (Matt. 6:10) Satana viene quindi inabissato e inizia un periodo di mille anni durante il quale Cristo Gesù e quelli che sono re e sacerdoti con lui regneranno sugli abitanti della terra. — Riv. 20:1, 6.
Anche l’apostolo Paolo descrive il regno di Cristo durante la sua presenza. Dopo aver risuscitato da morte i suoi seguaci, Cristo si accinge a ridurre “a nulla ogni governo e ogni autorità e potenza” (logicamente ogni governo, autorità e potenza che si oppone alla sovrana volontà di Dio). Quindi consegna “il regno al suo Dio e Padre”, sottomettendosi “a Colui che gli ha sottoposto tutte le cose, affinché Dio sia ogni cosa a tutti”. — I Cor. 15:21-28.
A questo segue tuttavia una prova finale dell’integrità e devozione di tutti i sudditi terreni. L’avversario di Dio viene sciolto dalla restrizione nell’abisso. Quelli che cedono alla tentazione lo fanno per la stessa questione suscitata in Eden: la legittimità della sovranità di Dio. Questo è reso evidente dal fatto che attaccano “il campo dei santi e la città diletta”. Poiché la questione è stata giuridicamente risolta e chiusa dalla Corte celeste, in questo caso non è permessa alcuna ribellione prolungata. Quelli che non rimangono leali a Dio non potranno ricorrere a Cristo Gesù come intercessore, ma Geova Dio sarà “ogni cosa” per loro, senza possibilità di appello o mediazione. Tutti i ribelli, spirituali e umani, riceveranno la divina condanna alla distruzione nella “seconda morte”. — Riv. 20:7-15.