Riscatto
Il termine italiano “riscatto” ha significato affine a quello del termine “redenzione”, che deriva dal latino redemptio, a sua volta derivato dal verbo redimere, che è definito “ricomprare,.. liberare a prezzo, redimere, riscattare”. (Dizionario Enciclopedico Italiano, Treccani, 1959, Vol. X, p. 195; F. Calonghi, Dizionario latino-italiano, III ed., 1965) Questi due vocaboli (in origine sinonimi) sono usati per tradurre diversi termini ebraici e greci. In tutti questi termini l’analogia sta nell’idea di pagare un prezzo o cosa di valore per effettuare il riscatto o la redenzione. Il significato di scambio, come pure quello di corrispondenza, equivalenza o sostituzione, è infatti comune a tutti. Vale a dire, una cosa viene data in cambio di un’altra, soddisfacendo le esigenze della giustizia e riequilibrando le cose.
Il sostantivo ebraico kòpher deriva dal verbo kaphàr, che fondamentalmente significa “coprire”, come nel caso di Noè che coprì l’arca di catrame. (Gen. 6:14) Kaphàr tuttavia è usato quasi esclusivamente nel senso di appagare la giustizia coprendo o espiando i peccati. Il sostantivo kòpher si riferisce alla cosa data per ottenere questo, al prezzo del riscatto. (Sal. 65:3; 78:38; 79:8, 9) La copertura deve corrispondere alla cosa che copre, sia nella forma (come il “coperchio [ebr. khappòreth]” dell’arca del patto (Eso. 25:17-22), che in quanto a valore (come in un pagamento per coprire il costo dei danni arrecati da una ferita).
Al fine di soddisfare la giustizia e mettere le cose a posto col suo popolo Israele, Geova, nel patto della Legge, ordinò vari sacrifici e offerte per espiare o coprire i peccati, inclusi quelli dei sacerdoti e dei leviti (Eso. 29:33-37), di altri singoli individui o della nazione intera (Lev. 1:4; 4:20, 26, 31, 35), e per purificare l’altare e il tabernacolo, facendo espiazione a motivo dei peccati di coloro che vi stavano intorno. (Lev. 16:16-20) In effetti la vita dell’animale sacrificato prendeva il posto della vita del peccatore, e il suo sangue faceva espiazione sull’altare di Dio, almeno per quanto poteva farlo. (Lev. 17:11; confronta Ebrei 9:13, 14; 10:1-4). Il “giorno dell’espiazione [yohm hak-kippurìm]” potrebbe giustamente chiamarsi anche “giorno dei riscatti”. (Lev. 23:26-28) Questi sacrifici erano necessari affinché la nazione e la sua adorazione avessero e conservassero il beneplacito e l’approvazione del giusto Iddio.
Il significato di scambio o redenzione è ben illustrato dalla legge relativa al proprietario di un toro che si sapeva solito cozzare, il quale lasciava libero l’animale che finiva per uccidere qualcuno. Il proprietario doveva essere messo a morte, pagare con la propria vita la vita dell’ucciso. Tuttavia, dal momento che non aveva ucciso direttamente o intenzionalmente, se i giudici ritenevano opportuno imporgli invece un “riscatto [kòpher]”, egli doveva pagare quel prezzo di redenzione. Era come se la somma stabilita e pagata avesse preso il posto della sua stessa vita e compensato per la vita perduta. (Eso. 21:28-32; confronta Deuteronomio 19:21). Viceversa non si poteva accettare riscatto per l’assassino volontario; solo la sua stessa vita poteva coprire la morte della vittima. (Num. 35:31-33) Poiché un censimento riguardava delle vite, quando veniva fatto per ogni maschio al di sopra dei vent’anni si doveva dare a Geova per la sua anima un riscatto (kòpher) di mezzo siclo, lo stesso prezzo sia che l’individuo fosse ricco o povero. — Eso. 30:11-16.
Poiché non fa piacere a Dio, e neanche agli uomini, che la giustizia rimanga in qualche modo insoddisfatta, il riscatto poteva avere l’ulteriore effetto di allontanare o placare l’ira. (Confronta Geremia 18:23; e anche Genesi 32:20, dove kaphàr è tradotto ‘placare’). Il marito adirato con l’uomo che ha commesso adulterio con sua moglie rifiuta però qualsiasi “riscatto [kòpher]”. (Prov. 6:35) Questo termine può essere usato anche a proposito di chi dovrebbe far giustizia ma invece accetta un regalo come “prezzo [kòpher] del silenzio” per nascondere la trasgressione. — I Sam. 12:3; Amos 5:12.
Il termine ebraico padhàh, secondo il lessicografo Gesenius, fondamentalmente significa “liberare” o “lasciare andare” mediante il pagamento di un prezzo di redenzione (pidhyòn: Eso. 21:30). Quindi questo termine dà risalto alla liberazione ottenuta mediante il prezzo di redenzione mentre kaphàr pone l’accento sulla qualità o sul contenuto del prezzo stesso e sulla sua efficacia per equilibrare la bilancia della giustizia. Si può ottenere liberazione o redenzione (padhàh) dalla schiavitù (Lev. 19:20; Deut. 7:8), da qualche altra condizione penosa o ingiusta (II Sam. 4:9; Giob. 6:23; Sal. 55:18) oppure dalla morte e dalla tomba. (Giob. 33:28; Sal. 49:15) Spesso viene menzionato il fatto che Geova redense la nazione di Israele dall’Egitto perché divenisse sua “privata proprietà” (Deut. 9:26; Sal. 78:42), e molti secoli dopo la redense dall’esilio in Assiria e Babilonia. (Isa. 35:10; 51:11; Ger. 31:11, 12; Zacc. 10:8-10) Anche in questi casi la redenzione richiese un prezzo, uno scambio. Nel redimere Israele dall’Egitto, Geova fece evidentemente pagare il prezzo all’Egitto. Israele era in effetti il “primogenito” di Dio e Geova avvertì il faraone che l’ostinato rifiuto di liberare Israele sarebbe costato la vita del primogenito del faraone e dei primogeniti di tutto l’Egitto, sia degli uomini che degli animali. (Eso. 4:21-23; 11:4-8) Similmente in cambio della vittoria riportata da Ciro su Babilonia e della liberazione degli ebrei esiliati, Geova diede ‘l’Egitto come riscatto [forma di kòpher] per il suo popolo, l’Etiopia e Seba’ in cambio. Infatti l’impero persiano in seguito conquistò quelle regioni e quindi ‘gruppi nazionali furono dati al posto delle anime di israeliti’. (Isa. 43:1-4) Questi scambi sono in armonia con l’ispirata dichiarazione che “il malvagio è [o serve come] un riscatto [kòpher] per il giusto; e chi si comporta slealmente prende il posto dei retti”. — Prov. 21:18.
Un altro termine ebraico che ha relazione con la redenzione è gaʼàl, che ha il significato principale di reclamare, ricuperare o riacquistare. (Ger. 32:7, 8) L’analogia con padhàh è evidente dall’uso che ne viene fatto in un parallelismo in Osea 13:14: “Li redimerò [padhàh] dalla mano dello Sceol; li ricupererò [gaʼàl] dalla morte”. (Confronta Salmo 69:18). Gaʼàl dà risalto al diritto di redenzione o ricompra, sia da parte di uno stretto parente di colui la cui proprietà o persona stessa dev’essere riacquistata o redenta, che di colui che ha venduto se stesso o la sua proprietà. Un parente stretto, chiamato go’èl, era dunque il “ricompratore” (Rut 2:20; 3:9, 13), o se si trattava di un omicidio, il “vendicatore del sangue”. — Num. 35:12.
La Legge prevedeva che se un israelita povero era costretto dalle circostanze a vendere le terre che aveva avute in eredità, la casa in città, o anche se stesso come schiavo, “un ricompratore che gli [era] parente stretto”, cioè un go’èl, aveva diritto di “ricomprare [gaʼàl] ciò che il suo fratello [aveva] venduto”, oppure lo poteva fare il venditore stesso se aveva i fondi necessari. (Lev. 25:23-27, 29-34, 47-49; confronta Rut 4:1-5). Se un uomo aveva fatto voto di offrire a Dio una casa o un campo e poi desiderava ricomprarli, doveva versare una somma corrispondente al valore della proprietà più un quinto del suo valore. (Lev. 27:14-19) Tuttavia non si poteva dare nulla in cambio di qualche cosa “votata alla distruzione”. — Lev. 27:28, 29.
In caso di omicidio volontario, l’assassino non poteva trovare protezione nelle apposite città di rifugio, ma, dopo un’udienza, i giudici lo consegnavano al “vendicatore [go’èl] del sangue”, uno stretto parente della vittima, che lo metteva quindi a morte. Poiché non si poteva pagare un “riscatto [kòpher]” per l’assassino e poiché il parente stretto avente diritto di ricompra non poteva redimere o ricuperare la vita del parente defunto, giustamente esigeva la vita di colui che aveva tolto la vita al suo parente. — Num. 35:9-32; Deut. 19:1-13.
Non si trattava sempre di un prezzo tangibile
Come si è detto, Geova ‘redense (padhàh) o ‘reclamò’ (gaʼàl) Israele dall’Egitto. (Eso. 6:6; Isa. 51:10, 11) In seguito, dato che gli israeliti “si vendevano per fare ciò che era male” (II Re 17:16, 17), Geova più volte ‘li vendette nelle mani dei loro nemici’. (Deut. 32:30; Giud. 2:14; 3:8; 10:7; I Sam. 12:9) Il loro pentimento lo indusse a ricomprarli o liberarli dall’afflizione o dall’esilio (Sal. 107:2, 3; Isa. 35:9, 10; Mic. 4:10), agendo in tal modo quale Go’el, Ricompratore, loro parente in quanto la nazione era la sua sposa. (Isa. 43:1, 14; 48:20; 49:26; 50:1, 2; 54:5-7) Quando li ‘vendette, Geova non ricevette alcun compenso materiale dalle nazioni pagane. Il ricavato della ‘vendita’ poteva non essere qualcosa di tangibile, come beni o denaro. Per esempio, gli israeliti ‘si erano venduti’ per trarre piacere dalla trasgressione, come il re Acab si era venduto per fare ciò che era male e provare questo piacere. (I Re 21:20) Quindi anche Geova, ma con giusti motivi, poté ‘vendere’ il suo popolo per qualche cosa che non era tangibile, e il pagamento fu la soddisfazione della sua giustizia e l’adempimento del suo proposito di farli correggere e disciplinare per la loro condotta ribelle e irrispettosa. — Confronta Isaia 48:17, 18.
Similmente la ‘ricompra’ da parte di Dio non richiede il pagamento di qualcosa di tangibile. A parte il caso di Ciro che di buon grado liberò gli israeliti in esilio, nel liberare il suo popolo Geova non pagò nulla alle nazioni che li avevano oppressi, poiché queste avevano agito senza giusto motivo e con intenzione malvagia. Anzi Geova esigeva il prezzo dagli oppressori stessi, costringendoli a pagare con la loro stessa vita. (Confronta Salmo 106:10; Isaia 41:11-14; 49:26). Il fatto di esser stato venduto a nazioni pagane non fruttò “nulla” al suo popolo in quanto a vero beneficio o sollievo da chi lo aveva reso schiavo e quindi Geova non doveva effettuare alcun pagamento per saldare i conti coi catturatori. Dio effettuò la ricompra grazie al potere del “suo santo braccio”. — Isa. 52:3-10; Sal. 77:14, 15.
Il ruolo di Go’èl richiedeva dunque che Geova vendicasse i torti fatti ai suoi servitori ed ebbe come risultato la santificazione e rivendicazione del suo stesso nome di fronte a coloro che avevano approfittato della calamità di Israele per biasimare lui. (Sal. 78:35; Isa. 59:15-20; 63:3-6, 9) Quale stretto Parente e grande Redentore sia della nazione che dei singoli individui che la componevano, Dio difese la loro “causa” per fare giustizia. — Sal. 119:153, 154; Ger. 50:33, 34; Lam. 3:58-60; confronta Proverbi 23:10, 11.
IL RUOLO DI CRISTO GESÙ QUALE REDENTORE
Le precedenti informazioni sono fondamentali per capire il riscatto provveduto per mezzo del Figlio di Dio, Cristo Gesù, per l’umanità. La necessità di riscattare il genere umano sorse in seguito alla ribellione in Eden. Adamo si era venduto a fare il male per il piacere egoistico di prestare ascolto alla voce della moglie e rimanere in compagnia della peccatrice, e per ricevere da Dio la stessa condanna. In tal modo vendette se stesso e i suoi discendenti in schiavitù al peccato e alla morte, prezzo richiesto dalla giustizia di Dio. (Rom. 5:12-19; confronta Romani 7:14-25). Poiché aveva posseduto la perfezione umana, Adamo rinunciò a quel prezioso possedimento per sé e per tutti i suoi discendenti.
La Legge, che aveva “un’ombra delle buone cose avvenire”, provvide sacrifici animali per coprire il peccato. Questo però solo in modo simbolico, dato che quegli animali erano inferiori all’uomo; infatti, come fa notare l’apostolo, ‘non era possibile che il sangue di tori e di capri togliesse effettivamente i peccati’. (Ebr. 10:1-4) Quei sacrifici animali rappresentativi dovevano essere fatti con esemplari perfetti, senza macchia. (Lev. 22:21) Il vero sacrificio di riscatto, un essere umano effettivamente in grado di eliminare i peccati, doveva quindi essere pure perfetto, senza macchia. Per poter pagare il prezzo di redenzione che avrebbe affrancato i discendenti di Adamo dal debito, dall’impotenza e dalla schiavitù, condizione in cui si trovavano essendo stati venduti dal loro primogenitore, egli doveva corrispondere al perfetto Adamo e possedere la perfezione umana. (Confronta Romani 7:14; Salmo 51:5). Solo così poteva soddisfare la perfetta giustizia di Dio che richiede “anima per anima”. — Eso. 21:23-25; Deut. 19:21.
La rigorosa giustizia di Dio rendeva impossibile al genere umano provvedere un proprio redentore o go’èl. (Sal. 49:6-9) Ma ebbe il risultato di magnificare l’amore e la misericordia di Dio stesso in quanto soddisfece le sue stesse esigenze a un prezzo per lui enorme, dando la vita del suo stesso Figlio per provvedere il prezzo di redenzione. (Rom. 5:6-8) Questo richiese che il Figlio diventasse un essere umano corrispondente al perfetto Adamo. Dio lo rese possibile trasferendo la vita di suo Figlio dal cielo al seno della vergine giudea Maria. (Luca 1:26-37; Giov. 1:14) Poiché Gesù non ricevette la vita da un padre umano discendente del peccatore Adamo, e poiché lo spirito santo di Dio ‘aveva coperto Maria con la sua ombra, evidentemente dal momento del concepimento fino alla nascita di Gesù, questi nacque senza ereditare nessun peccato o imperfezione essendo, per così dire, “un agnello senza difetto e immacolato”, il cui sangue poteva costituire un sacrificio accettevole. (Luca 1:35; Giov. 1:29; I Piet. 1:18, 19) Egli conservò per tutta la vita quella condizione pura e quindi non si squalificò. (Ebr. 4:15; 7:26; I Piet. 2:22) Essendo ‘partecipe del sangue e della carne’, era “stretto parente” del genere umano e possedeva la cosa di valore, la propria vita perfetta mantenuta pura attraverso prove di integrità, con cui riacquistare, emancipare il genere umano. — Ebr. 2:14, 15.
Le Scritture Greche Cristiane spiegano chiaramente che la liberazione dal peccato e dalla morte avviene senz’altro mediante il pagamento di un prezzo. I cristiani, viene detto, sono stati “comprati a prezzo” (I Cor. 6:20; 7:23), avendo un “proprietario che li ha comprati” (II Piet. 2:1); e Gesù viene presentato come l’Agnello che ‘è stato scannato e col suo sangue ha comprato a Dio persone di ogni tribù, lingua e nazione’. (Riv. 5:9) In questi versetti ricorre il verbo agoràzo, che significa semplicemente acquistare al mercato (agorà). Il verbo affine exagoràzo (liberare mediante acquisto) viene usato da Paolo per mostrare che Cristo con la sua morte sul palo ha liberato “mediante acquisto quelli che erano sotto la legge”. (Gal. 4:5; 3:13) Tuttavia l’idea di redenzione o riscatto è espressa più spesso e in modo più completo dal termine greco lytron e da termini affini.
Lỳtron (da lỳo che significa “sciogliere”) era particolarmente usato dagli scrittori greci per indicare il prezzo pagato per riscattare prigionieri di guerra o per liberare persone tenute in catene o in schiavitù. (Confronta Ebrei 11:35). Ricorre due volte nelle Scritture per descrivere il fatto che Cristo ha dato “la sua anima come riscatto in cambio di molti”. (Matt. 20:28; Mar. 10:45) Una forma speciale, antilytron, ricorre in I Timoteo 2:6. Questo termine è stato definito (J. Parkhurst, A Greek and English Lexicon of the New Testament, p. 47): “riscatto, prezzo di redenzione, o piuttosto riscatto corrispondente. ‘Significa correttamente prezzo mediante il quale prigionieri sono redenti dal nemico; e il genere di scambio in cui la vita di uno viene redenta con la vita di un altro’. Cos) Aristotele usa il verbo antilytroo per redimere vita con vita”. Quindi Cristo “diede se stesso quale riscatto corrispondente per tutti”. (I Tim. 2:5, 6) Altri termini affini sono lytròo, liberare dietro versamento del riscatto (Tito 2:14; I Piet. 1:18, 19), e apolytrosis, liberazione mediante riscatto. (Efes. 1:7, 14; Col. 1:14) È evidente l’analogia di questi termini con i termini ebraici già considerati: non descrivono una liberazione o un acquisto normale, ma una redenzione o riscatto, una liberazione resa possibile dal pagamento di un prezzo corrispondente.
Pur essendo alla portata di tutti, il sacrificio di riscatto di Cristo non viene accettato da tutti, e lira di Dio rimane” su coloro che non lo accettano, e ricade su quelli che prima accettano e poi rifiutano questo provvedimento. (Giov. 3:36: Ebr. 10:26-29; paragona Romani 6:9, 10). Questi non ottengono la liberazione dalla schiavitù al peccato e alla morte che regnano su di loro. (Rom. 5:21) Sotto la Legge l’omicida volontario non poteva essere riscattato. Adamo, con la sua condotta ostinata, provocò la morte di tutto il genere umano, quindi fu omicida. (Rom. 5:12) Quindi il sacrificio della vita di Gesù non viene accettato da Dio come riscatto per il peccatore Adamo.
Ma Dio si compiace di approvare l’applicazione del riscatto per redimere quei discendenti di Adamo che si avvalgono di tale liberazione. Paolo dice: “Come per mezzo della disubbidienza d’un solo uomo molti furono costituiti peccatori, similmente anche per mezzo dell’ubbidienza di una sola persona molti saranno costituiti giusti”. (Rom. 5:18, 19) Al tempo del peccato di Adamo e della sua condanna a morte, la sua progenie o razza ancora non nata era nei suoi lombi e quindi tutti morirono con lui. (Confronta Ebrei 7:4-10; Romani 7:9). Gesù, un uomo perfetto, “l’ultimo Adamo” (I Cor. 15:45), aveva nei suoi lombi una razza o progenie non nata, e quando morì innocente come perfetto sacrificio umano questa potenziale razza umana morì con lui. Egli si era volontariamente astenuto dal farsi una famiglia propria mediante procreazione naturale. Invece si avvale dell’autorità concessagli da Geova in base al riscatto di dare vita a tutti coloro che accettano questo provvedimento. — I Cor. 15:45; confronta Romani 5:15-17.
Gesù è realmente un “riscatto corrispondente”, non per la redenzione di un solo peccatore, Adamo, ma per la redenzione di tutta l’umanità discesa da Adamo. L’ha riacquistata perché potesse diventare la sua famiglia, e fece questo presentando in cielo l’intero valore del suo sacrificio di riscatto all’Iddio di assoluta giustizia. (Ebr. 9:24) In questo modo si procura una Sposa, una congregazione celeste di suoi seguaci. (Confronta Efesini 5:23-27; Rivelazione 1:5, 6; 5:9, 10; 14:3, 4). Profezie messianiche mostrano inoltre che quale “Padre eterno” avrà una “progenie”. (Isa. 53:10-12; 9:6, 7) Come tale il suo riscatto deve includere non solo quelli che fanno parte della sua “Sposa”. Oltre a questi “comprati di fra il genere umano come primizie” per costituire quella congregazione celeste, altri trarranno dunque beneficio dal suo sacrificio di riscatto e avranno vita eterna grazie all’eliminazione del loro peccati e della conseguente imperfezione. (Riv. 14:4; I Giov. 2:1, 2) Poiché quelli che fanno parte della congregazione celeste prestano servizio con Cristo come sacerdoti e “regneranno sulla terra”, gli altri che beneficeranno del riscatto devono essere i sudditi terreni del regno di Cristo, che essendo figli di un “Padre eterno” avranno vita eterna. (Riv. 5:10; 20:6; 21:2-4, 9, 10; 22:17; confronta Salmo 103:2-5). L’intera disposizione manifesta la sapienza di Geova e la sua giustizia nel ristabilire il perfetto equilibrio della bilancia della giustizia pur mostrando immeritata benignità e perdonando i peccati. — Rom. 3:21-26.