Archeologia
[gr. arkhaiologìa, discorso su cose antiche].
L’archeologia biblica è lo studio dei popoli e degli avvenimenti biblici attraverso affascinanti documenti sepolti. L’archeologo riporta alla luce e analizza rocce, mura ed edifici in rovina e città distrutte, scopre ceramiche, tavolette d’argilla, iscrizioni, tombe e altri resti o manufatti antichi da cui racimola informazioni. Tali studi spesso aiutano a capire meglio le circostanze in cui fu scritta la Bibbia e in cui vissero antichi uomini di fede, e anche le lingue parlate da loro e dai popoli circostanti, e forniscono particolari su tutte le regioni menzionate nella Bibbia: Palestina, Egitto, Persia, Assiria, Babilonia, Asia Minore, Grecia e Roma.
Le numerose informazioni ambientali aiutano a capire i riferimenti biblici a molti aspetti della vita: famiglia, figli, vestiario, casa, clima, vegetazione, animali, raccolti, scambi commerciali, gruppi nazionali e usanze religiose. Assai utile è stata l’identificazione della posizione geografica di città, villaggi e luoghi menzionati nella storia biblica. L’archeologia rivela molte cose della depravata religione dei popoli cananei. Illustra vividamente la loro credenza nell’immortalità dell’anima umana. Conferma la descrizione biblica della Palestina antica, paese governato da numerosi re locali, costantemente in guerra uno contro l’altro. Mostra attraverso i bassorilievi assiri come vestivano i semiti, e ci aiuta ad avere un’idea della vita ai giorni di Giacobbe, all’epoca di Eliseo e durante il ministero terreno di Cristo.
Le scoperte archeologiche hanno confutato molte insinuazioni di quei critici della Bibbia, i quali ad esempio asserivano che Mosè non sapesse scrivere, negavano la storicità di Baldassarre [ebr. Belsa’tsar] (Dan. cap. 5) e sostenevano che la storia biblica dei patriarchi ebrei fosse ‘un’invenzione basata sulla vita dei beduini nell’Israele dell’VIII o IX secolo’. Mentre i critici un tempo dicevano che l’adorazione d’Israele derivava dalle idee dei popoli vicini, l’archeologia ha dimostrato l’impressionante differenza fra l’adorazione divinamente ispirata degli israeliti e quella delle nazioni circostanti.
METODI DI SCAVO
Le scoperte archeologiche sono frutto di pazienti scavi. A volte le rovine di antichi regni e nazioni sono sepolte solo sotto qualche metro di terra. Le antiche città del Medio Oriente furono ricostruite molte volte. Nuove costruzioni venivano sovrapposte a mura sgretolate, rovine precedenti e fondamenta di antichi edifici, finché queste città diventavano grandi colline artificiali. In tali colline o “tell”, ogni nuovo strato racchiude la storia di epoche precedenti. Infatti oggi gli archeologi spesso non devono fare altro che cominciare dalla cima di un colle e continuare a scavare portando alla luce una città dopo l’altra, finché raggiungono la città più antica, costruita migliaia d’anni fa.
Avendo scelto un tell o colle in cui compiere gli scavi, l’archeologo prepara una fossa preliminare per identificare gli strati esistenti. Ogni periodo di insediamento è riconoscibile da uno strato ben delineato del terreno. Ogni superficie su cui si è camminato per un certo periodo di tempo, e ogni strato di detriti, è contrassegnato da mutamenti di consistenza, colore e struttura del suolo, e quando si osserva lo spaccato di uno scavo è visibile nel terreno come una fascia ben distinta. (Vedi l’illustrazione acclusa). Gli strati successivi sono come le pagine di un libro: nella misura in cui si possono capire narrano la storia ininterrotta della città per centinaia, forse migliaia d’anni. E come un libro, devono essere studiati nel giusto ordine. Perciò l’archeologo comincia a rimuovere, in un’area precisa, solo uno strato alla volta, onde evitare di confondere periodi diversi. Analizza e annota con cura ogni oggetto, a volte setacciando la polvere per scoprire piccoli frammenti. Cosa ancora più importante, nota le circostanze esatte in cui è stato scoperto ogni frammento, nel tentativo di assegnarlo all’epoca giusta.
INTERPRETAZIONE
Molto dipende dallo spirito d’osservazione dell’archeologo. Dallo spessore di un pilastro può cercare di calcolare l’altezza originale di un locale. Dalla forma di un edificio, può essere abbastanza evidente il suo uso. I frammenti di ceramica che scopre possono indicare il livello di civiltà della popolazione a cui appartenevano. L’improvvisa comparsa di perfezionati arnesi di rame di un tipo scoperto in un altro paese è ritenuta una valida prova di contatti commerciali. Un repentino cambiamento nello stile delle ceramiche (essendo la fabbricazione di ceramiche un’attività prettamente locale) può indicare una conquista straniera. Se il nuovo stile delle ceramiche è conosciuto, può identificare gli antichi conquistatori. Ceneri sparse, con segni di fuoco sulle pareti, parlano della distruzione della città. Uno strato di sabbia trasportata dal vento probabilmente indica che il luogo era rimasto abbandonato per qualche tempo. In Palestina tali cambiamenti si riscontrano alla presunta epoca delle conquiste egiziane, come pure a quella della conquista israelita.
Ornamenti di pietre preziose, scoperti lontano dal loro luogo d’origine, possono dimostrare l’estensione del commercio nell’antichità. Ossa sparse tra le rovine indicano quali animali domestici si allevavano, e anche quali animali selvatici venivano cacciati e mangiati. Il contenuto di antiche giare indica quali granaglie e frutti mangiava la popolazione. Riguardo a tutti questi metodi d’interpretazione, però, bisogna dire che le conclusioni variano fra gli archeologi e idee un tempo ritenute valide possono essere poi abbandonate.
DATAZIONE
Gli edifici vengono datati secondo quello che è rinvenuto sulle loro pareti, o immediatamente sotto il pavimento. A partire dal V secolo a.E.V., e specialmente dal III secolo, le monete diventano numerose, e sono di valido aiuto nel datare gli edifici in cui vengono trovate. I templi della Mesopotamia possono essere datati grazie a mattoni che spesso portano non solo il nome del tempio e del dio a cui era dedicato, ma anche il nome del re in onore del quale era costruito. In Egitto su pietre angolari e fondamenta era a volte indicato il nome del faraone durante il cui regno fu costruito l’edificio.
Un metodo più ingegnoso per determinare le date relative fu ideato nel 1890 dal famoso archeologo Flinders Petrie. Nell’antica città biblica di Lachis egli studiò attentamente coppe e boccali, caraffe e orci da cui diverse generazioni avevano mangiato e bevuto: oggetti della vita d’ogni giorno, che quando si rompevano venivano prontamente scartati. Scoprì che lo stile di queste ceramiche cambiava in strati successivi, e compilò un grafico in cui ogni tipo di recipiente aveva il suo posto in una sequenza storica. Umili cocci (frammenti di ceramica) si trovano in quantità in ogni scavo, a volte anche da cinquanta a cento ceste in un solo giorno. Quando un tipo già indicato sul grafico di Petrie viene scoperto anche in una città vicina, si presume sia approssimativamente della stessa epoca.
LUOGHI E REPERTI IMPORTANTI
L’archeologia ha contribuito ad avvalorare argomenti un tempo discussi dai critici moderni e a confermare molti aspetti storici della Bibbia relativi ai seguenti paesi:
Babilonia
Gli scavi nell’antica città di Babilonia e nei dintorni hanno rivelato l’ubicazione di diverse ziqqurat, torri templari a gradini, simili a piramidi, fra cui le rovine del tempio di Etemenanki all’interno delle mura di Babilonia. La frase “la sua cima raggiungerà i cieli” è ripetuta in documenti e iscrizioni relativi a tali templi, e al re Nabucodonosor sono attribuite le parole: “Ho innalzato la sommità della Torre a gradini di Etemenanki tanto che la sua cima gareggiava coi cieli”. Un frammento scoperto a N del tempio di Marduk a Babilonia descriveva con queste parole la caduta di una ziqqurat: “La costruzione di questo tempio offese gli dèi. In una notte essi abbatterono quello che era stato costruito. Li dispersero lontano, e resero strano il loro linguaggio. Il progresso impedirono”. Si scoprì che la ziqqurat di Uruk (Erec nella Bibbia) era stata costruita con argilla, mattoni e bitume. — Confronta Genesi 11:1-9.
Presso la porta di Ishtar a Babilonia sono state scoperte circa trecento tavolette cuneiformi che risalgono al periodo del regno di Nabucodonosor. Fra gli elenchi di artigiani e prigionieri che vivevano allora a Babilonia e a cui erano date razioni di viveri compare il nome di “Yaukin, re del paese di Yahud”, cioè “Ioiachin, re di Giuda”, che era stato portato a Babilonia quando Nabucodonosor aveva conquistato Gerusalemme nel 618–617 a.E.V., ma era stato liberato dalla casa di detenzione da Evil-Merodac, successore di Nabucodonosor, che gli concesse una razione giornaliera di cibo per il resto della sua vita. (II Re 25:27-30) Su queste tavolette sono pure menzionati cinque dei suoi figli. — I Cron. 3:17, 18.
Gli scavi compiuti nella seconda metà del XIX secolo presso la moderna Baghdad portarono alla scoperta di numerosi cilindri e tavolette d’argilla, fra cui le Cronache di Nabonedo, ora famose. Tutte le obiezioni a quanto riportato in Daniele capitolo 5 a proposito del fatto che Baldassarre regnava in Babilonia al tempo della sua caduta sono state dissipate da questo documento, comprovante che Baldassarre, figlio maggiore di Nabonedo, governava insieme al padre e che nell’ultima parte del suo regno Nabonedo gli aveva affidato il governo di Babilonia.
Ur, l’antica patria di Abraamo (Gen. 11:28-31), città sumera sull’Eufrate vicino al Golfo Persico, era un’importante metropoli altamente civilizzata. Gli scavi compiuti da sir Leonard Woolley indicano che era all’apogeo del potere e del prestigio all’epoca della partenza di Abraamo per Canaan (prima del 1943 a.E.V.). Fra quelli scoperti il suo tempio ziqqurat è il meglio conservato. Le tombe dei re a Ur fruttarono una quantità di oggetti d’oro e gioielli di grandissimo valore artistico; e anche strumenti musicali, come l’arpa. (Confronta Genesi 4:21). È stata rinvenuta anche un’accetta d’acciaio (non semplicemente di ferro). (Confronta Genesi 4:22). Anche qui migliaia di tavolette d’argilla hanno rivelato molti particolari sulla vita di quasi quattromila anni fa. In seguito a queste scoperte Woolley ebbe a dire: “Dobbiamo modificare radicalmente la nostra opinione sul patriarca ebreo [Abraamo] visto che trascorse i suoi primi anni in un ambiente così raffinato”.
Dove sorgeva l’antica Sippar, sull’Eufrate a una trentina di chilometri da Baghdad, è stato scoperto un cilindro d’argilla che menziona il re Ciro, conquistatore di Babilonia. Questo cilindro descrive con quanta facilità Ciro conquistò la città e parla della sua politica di rimpatriare i prigionieri residenti a Babilonia, in armonia con quanto dice la Bibbia di Ciro, predetto conquistatore di Babilonia, e del ritorno degli ebrei in Palestina durante il suo regno. — Isa. 44:28; 45:1; II Cron. 36:23.
Assiria
A Khorsadab, su un affluente settentrionale del Tigri, fu scoperto nel 1843 il palazzo di Sargon II re d’Assiria, che aveva un’estensione di circa 10 ettari, e successive ricerche archeologiche fecero luce su questo re, menzionato in Isaia 20:1, attribuendogli una posizione d’importanza storica. In uno dei suoi annali egli descrive la cattura di Samaria (740 a.E.V.) come un’eccezionale impresa del suo regno. Ricorda anche la caduta di Asdod descritta in Isaia 20:1. Un tempo ritenuto inesistente da molti eminenti studiosi, Sargon II è ora uno dei più noti re d’Assiria.
A Ninive, capitale dell’Assiria, gli scavi riportarono alla luce l’immenso palazzo di Sennacherib, di ben 71 stanze con 3.011 m di bassorilievi che ne ricoprivano le pareti, uno dei quali raffigura prigionieri giudei condotti in cattività dopo la caduta di Lachis nel 732 a.E.V. (II Re 18:13-17; II Cron. 32:9) Ancora più interessante fu la scoperta fatta a Ninive (la moderna Quyunjik) degli annali di Sennacherib scritti su prismi (cilindri d’argilla). Su un prisma Sennacherib descrive la campagna assira contro la Palestina durante il regno di Ezechia (732 a.E.V.), ma, si noti, il vanaglorioso monarca non dice di aver conquistato la città, confermando così il racconto biblico. (Vedi SENNACHERIB). Anche l’assassinio di Sennacherib per mano dei figli è descritto in un’iscrizione di Esar-Addon, successore di Sennacherib, ed è ricordato in un’iscrizione del successivo re Assurbanipal. (II Re 19:37) Oltre al re Ezechia menzionato da Sennacherib, i nomi dei re di Giuda Acaz e Manasse, e dei re d’Israele Omri, Ieu, Menaem e Oshea, e anche di Azael di Damasco, compaiono tutti in documenti cuneiformi di vari imperatori assiri.
Persia
Presso Bisutun, nell’Iran (antica Persia), il re Dario I (521–485 a.E.V.; Esd. 6:1-15) fece scolpire su una rupe calcarea un’enorme iscrizione, a ricordo dell’unificazione dell’impero persiano e per attribuirne il successo al dio Ahura Mazda. Di primaria importanza è il fatto che fu redatta in tre lingue, babilonese (accadico), elamitico e persiano antico, fornendo così la chiave per decifrare il cuneiforme assiro-babilonese, fino a quel momento indecifrato. Grazie a quest’opera ora si possono leggere migliaia d’iscrizioni e tavolette d’argilla nella lingua di Babilonia.
A Susa (Susan), teatro degli avvenimenti descritti nel libro di Ester, archeologi francesi compirono scavi fra il 1880 e il 1890. Venne scoperto il palazzo reale di Serse, dell’estensione di un ettaro circa, testimonianza dello splendore e del fasto dei re persiani. Le scoperte hanno confermato l’esattezza dei particolari circa l’amministrazione del regno di Persia e la costruzione del palazzo menzionati dallo scrittore del libro di Ester. Ira Price, nel libro The Monuments and the Old Testament (p. 408), osserva: “Non c’è avvenimento descritto nell’Antico Testamento il cui ambiente strutturale possa essere ricostruito dagli effettivi scavi in modo tanto vivido e accurato come ‘il Palazzo di Susan’”.
Egitto
Nella Bibbia la descrizione più particolareggiata dell’Egitto è quella relativa alla venuta di Giuseppe e al successivo arrivo e soggiorno dell’intera famiglia di Giacobbe nel paese. Le scoperte archeologiche dimostrano che questo quadro è estremamente accurato, e non avrebbe ragionevolmente potuto essere presentato in tal modo da uno scrittore vissuto in epoca molto più tarda (come alcuni critici hanno cercato di insinuare a proposito dello scrittore di questa parte di Genesi). Come dichiara Garrow Duncan nel libro New Light on Hebrew Origins (p. 174) a proposito dello scrittore della storia di Giuseppe: “Ricorre al corretto titolo in uso ed esattamente com’era usato nel periodo in questione, e, dove non c’è un equivalente ebraico, semplicemente adotta il termine egiziano e lo traslittera in ebraico”. I nomi egiziani, la posizione di Giuseppe, economo della casa di Potifar, le case di detenzione, i titoli “capo dei coppieri” e “capo dei panettieri”, l’importanza attribuita dagli egiziani ai sogni, l’usanza dei panettieri egiziani di portare ceste di pane sulla testa (Gen. 40:1, 2, 16, 17), l’incarico di primo ministro e amministratore annonario concesso a Giuseppe dal faraone, il modo in cui fu investito di tali poteri, l’avversione degli egiziani per i pastori di pecore, la grande influenza dei maghi alla corte egiziana, il soggiorno degli israeliti nella terra di Gosen, le usanze funerarie egiziane: tutti questi particolari e altri ancora descritti nella Bibbia sono chiaramente convalidati dall’evidenza archeologica prodotta in Egitto. — Gen. 39:1—47:27; 50:1-3.
A Karnak (l’antica Tebe), parecchie centinaia di chilometri a monte del Nilo, sulla parete S di un grande tempio c’è un’iscrizione a conferma della campagna di Palestina del re d’Egitto, Sisac (Sheshonk I), descritta in I Re 14:25, 26 e II Cronache 12:1-9. Il gigantesco rilievo che ne descrive le vittorie raffigura 156 prigionieri palestinesi ammanettati, ciascuno in rappresentanza di una città o villaggio, il cui nome è indicato nei geroglifici. Fra i nomi identificabili ci sono quelli di Rabbit (Gios. 19:20), Taanac, Bet-Sean e Meghiddo (dov’è stata rinvenuta parte di una stele o colonna con iscrizioni di Sisac) (Gios. 17:11), Sunem (Gios. 19:18), Reob (Gios. 19:28), Afaraim (Gios. 19:19), Gabaon (Gios. 18:25), Bet-Oron (Gios. 21:22), Aialon (Gios. 21:24), Soco (Gios. 15:35) e Arad (Gios. 12:14). Egli elenca perfino il “Campo di Abraamo” fra le sue conquiste, il più antico riferimento ad Abraamo in documenti egiziani. Pure in questa zona fu rinvenuto un monumento di Meneptah, figlio di Ramsete II, con un inno in cui compare l’unica menzione del nome “Israele” in testi egiziani.
A Tell el-Amarna, sul Nilo circa 480 km più a N di Karnak, una contadina trovò per caso delle tavolette d’argilla che portarono alla scoperta di almeno 377 documenti in accadico provenienti dagli archivi reali di Amenofi III e di suo figlio Ekhnaton. Le tavolette comprendono la corrispondenza fra il faraone e i principi vassalli di numerose città-stato della Siria e della Palestina, fra cui alcune lettere del governatore di Urusalim (Gerusalemme), e rivelano un quadro di violente faide e intrighi del tutto concorde con la descrizione che ne fanno le Scritture. Gli “habiru”, contro i quali in queste lettere si levano numerose proteste, sono stati messi in relazione con gli ebrei, ma l’evidenza tende a indicare che si trattava invece di vari popoli nomadi che occupavano un infimo rango nella società dell’epoca.
A Elefantina, isola del Nilo dal nome greco all’estremo S dell’Egitto (presso Assuan), dopo la caduta di Gerusalemme nel 607 a.E.V. si stabilì una colonia ebraica. Nel 1903 vi furono scoperti numerosissimi documenti, principalmente su papiro, che risalgono al V secolo a.E.V. e all’epoca dell’impero medo-persiano. Scritti in aramaico, i documenti fanno menzione di Sanballat, governatore di Samaria. (Nee. 4:1) Comunque, rivestono particolare interesse principalmente per il fatto che sono quasi contemporanei alla corrispondenza di cui si parla nel quarto capitolo di Esdra, scambiata fra il re persiano e gli avversari degli ebrei verso il 522 a.E.V. In precedenza eminenti studiosi avevano criticato la menzione di queste lettere nella Bibbia, ritenendole non autentiche e non rappresentative dell’epoca. I papiri di Elefantina, però, confermano il racconto biblico dimostrando che l’aramaico del libro di Esdra è caratteristico di quel periodo e che le lettere riportate sono scritte in uno stile e linguaggio simile a quello di detti papiri.
Senza dubbio le più importanti scoperte fatte in Egitto sono state quelle di frammenti papiracei e parti di libri biblici, sia delle Scritture Ebraiche che di quelle Greche, che risalgono al II e III secolo E.V. Il clima asciutto e il terreno sabbioso dell’Egitto ne hanno fatto il posto ideale per conservare tali documenti papiracei.
Palestina e Siria
In queste regioni si sono compiuti scavi in circa seicento località databili. Molti dei dati ottenuti sono di natura generale, sostengono la Bibbia nel suo complesso più che riferirsi specificamente a certi particolari o avvenimenti. Per esempio, in passato si era cercato di screditare la storia biblica della completa desolazione di Giuda durante la cattività babilonese. Ma gli scavi nell’insieme confermano la Bibbia. Infatti W. F. Albright dichiara: “Non si conosce un solo caso in cui una città di Giuda sia stata occupata in continuità durante il periodo dell’esilio. Quasi a rendere più chiaro il contrasto, Bethel, che sorge subito fuori di quello che era il confine settentrionale di Giuda all’epoca pre-esilica, non venne distrutta nel periodo di tempo che consideriamo, ma venne ininterrottamente occupata fin verso gli ultimi anni del VI secolo”. — L’archeologia in Palestina (Sansoni, 1958), p. 181.
A Bet-San (Bet-Sean), antica città fortificata che difendeva l’entrata alla valle di Esdrelon da E, furono compiuti importanti scavi che portarono alla luce diciotto diversi strati di insediamento e richiesero di scendere a una profondità di oltre 21 m. Il racconto scritturale spiega che Bet-San non era fra le città occupate in origine dagli israeliti e che al tempo di Saul era abitata da filistei. (Gios. 17:11; Giud. 1:27; I Sam. 31:8-12) Gli scavi confermano in genere queste informazioni e fanno risalire la distruzione di Bet-San a qualche tempo dopo la sconfitta degli israeliti presso Silo. (Ger. 7:12) Di particolare interesse è stata la scoperta presso Bet-San di certi templi cananei. In I Samuele 31:10 si legge che i filistei misero l’armatura del re Saul “nella casa delle immagini di Astoret, e fissarono il suo cadavere alle mura di Bet-San”, ma in I Cronache 10:10 si legge: “Misero la sua armatura nella casa del loro dio, e il suo teschio lo fissarono alla casa di Dagon”. Due dei templi scoperti erano dello stesso periodo e uno risulta essere stato il tempio di Astoret, mentre l’altro si ritiene fosse quello di Dagon, in armonia coi versetti citati sopra in quanto all’esistenza di due templi a Bet-San.
A Debir (Tell Beit Mirsim), nel S di Giuda, gli archeologi rinvennero ben dieci strati durante scavi compiuti su un’area di quasi tre ettari. Il luogo rivelava segni di distruzione violenta, e di quella che è considerata una prova dell’occupazione israelita. Strati successivi indicavano una distruzione parziale del tempo di Sennacherib; si trovarono i segni di due invasioni di Nabucodonosor, la seconda delle quali provocò una distruzione totale, dopo di che il luogo rimase disabitato. (II Re capp. 24, 25) Si è scoperto che Debir era stata un importante centro di industrie tessili e tintorie, con venti o più impianti di tintoria. È stata scoperta una colonna istoriata su cui è raffigurata una dea-serpente cananea.
A Ezion-Gheber, città portuale di Salomone sul golfo di ‘Aqaba, gli scavi compiuti nel 1937–40 hanno rivelato segni di un impianto per la fusione del rame; scorie di rame e frammenti di minerale sono stati trovati su una montagnola della zona. Tuttavia le prime conclusioni dell’archeologo Nelson Glueck sono state completamente ridimensionate da lui stesso in un articolo apparso su The Biblical Archaeologist (Vol. XXVIII, settembre 1965). La sua idea che ci fosse un sistema di “altiforni” per la fusione si basava sulla scoperta nell’edificio principale di quelli che vennero ritenuti dei “camini”. Egli è poi giunto alla conclusione che quei fori nelle pareti dell’edificio siano il risultato del “crollo e/o incendio delle travi di legno poste trasversalmente per tutta l’ampiezza delle pareti come rinforzo e sostegno”. L’edificio, già ritenuto una fonderia, si pensa ora sia stato un magazzino di granaglie. Pur ritenendo ancora che vi si svolgessero attività metallurgiche, queste non sono più viste nelle proporzioni immaginate in precedenza. Ciò sottolinea il fatto che i dati archeologici dipendono principalmente dall’interpretazione soggettiva dell’archeologo, interpretazione che non è mai infallibile. La Bibbia stessa non parla di industrie del rame a Ezion-Gheber, mentre descrive la fusione di oggetti di rame solo in una località della valle del Giordano. — I Re 7:45, 46.
A Gerusalemme nel 1867 si scoprì un’antica galleria per l’acqua, con un pozzo verticale che dalla sorgente di Ghihon risale la collina fino a quella che era stata l’antica città di Gebus. Questo può spiegare quanto riferito in II Samuele 5:6-10 circa la conquista della città da parte di Davide. Nel 1909–11 fu sgombrato l’intero sistema di gallerie collegato con la sorgente di Ghihon. Una galleria, nota come la galleria di Siloe, era alta in media m 1,8 e consisteva in un traforo scavato nella viva roccia per 533 m, da Ghihon fino alla piscina di Siloe nella valle del Tyropeon (all’interno della città). Questa è dunque l’impresa del re Ezechia descritta in II Re 20:20 e II Cronache 32:30. Di grande interesse è l’iscrizione in antichi caratteri ebraici rinvenuta sulla parete della galleria, che descrive come era avvenuto il traforo e la sua lunghezza. Questa iscrizione serve da termine di paragone per datare altre iscrizioni ebraiche.
A Lachis fu scoperta l’impronta di un sigillo d’argilla con la scritta: “Ghedalia che è capo della casa”. Ghedalia era il nome del governatore di Giuda nominato da Nabucodonosor dopo la caduta di Gerusalemme e molti ritengono probabile che l’impronta del sigillo si riferisca a lui. — II Re 25:22; confronta Isaia 22:15; 36:3.
Meghiddo era una cittadella situata in un punto strategico che dominava un importante passo della valle di Esdrelon. Fu ricostruita da Salomone ed è menzionata insieme alle città del suo regno in cui erano sistemati i magazzini e i carri. (I Re 9:15-19) Gli scavi compiuti sul posto (Tell el-Mutesellim), collinetta che misura 5,3 ettari, portarono alla luce quello che sembra un complesso di scuderie, con pali di pietra per attaccare i cavalli e mangiatoie, per circa 450 cavalli e 150 carri. Lo strato in cui furono scoperte alcune di queste è attribuito al periodo del regno di Salomone.
Samaria, la ben fortificata capitale del regno settentrionale d’Israele, era costruita su un colle che si elevava di oltre 90 m sul fondovalle. La sua capacità di resistere a lunghi assedi, come quello descritto in II Re 6:24-30 posto dalla Siria, e in II Re 17:5 da parte del potente esercito assiro, è dimostrata dai resti di robuste mura doppie, che in alcuni punti formano un baluardo largo quasi 10 m. Il muro di pietra scoperto sul posto, ritenuto dell’epoca dei re Omri, Acab e Ieu, è di splendida fattura. Quello che sembra il piazzale del palazzo misura 95 m da N a S. Frammenti, placche e pannelli d’avorio furono scoperti in gran quantità nell’area del palazzo e potevano appartenere alla casa d’avorio di Acab menzionata in I Re 22:39. (Confronta Amos 6:4). Sulla sommità, nell’angolo NO, è stata scoperta una grande piscina cementata lunga circa 10 m e larga 5,2. Poteva essere la “piscina di Samaria”, in cui fu lavato il carro di Acab sporco del suo sangue. — I Re 22:38.
Degni di nota sono una sessantina di cocci con iscrizioni a inchiostro (ostraca) che si pensa risalgano all’VIII secolo a.E.V. Ricevute della spedizione di vino e olio inviati a Samaria da altre città rivelano un sistema israelita di scrivere i numeri con tratti verticali, orizzontali e inclinati. Una ricevuta tipica dice quanto segue:
Nel decimo anno
A Gaddiyau [probabilmente l’amministratore del tesoro].
Da Aza [forse il villaggio o distretto che inviava vino e olio].
Abi-ba‘al 2
Acaz 2
Seba 1
Meriba‘al 1
Tali ricevute rivelano inoltre il frequente uso del nome “Baal” come parte dei nomi propri; circa sette nomi propri includono questo nome su undici che contengono qualche forma del nome Geova, probabilmente a indicare l’infiltrazione dell’adorazione di Baal descritta nella Bibbia.
L’archeologia e le Scritture Greche Cristiane
Quanto dice Luca (2:1-3) del censimento che costrinse Giuseppe e Maria ad andare a Betleem un tempo era da molti considerato inaccurato per ciò che riguardava il censimento stesso, la posizione di Quirinio come legato in Siria nella data indicata, e l’obbligo che tutti i censiti si recassero al luogo d’origine. Ma sono stati scoperti documenti papiracei indicanti che tale censimento veniva fatto periodicamente e che Quirinio era stato legato di Siria non una ma due volte, e anche un editto del governatore romano d’Egitto del 104 E.V. che imponeva a coloro che dovevano essere censiti di recarsi nel luogo d’origine.
Che Gesù si sia servito di un denaro con l’effigie di Tiberio Cesare (Mar. 12:15-17) è confermato dalla scoperta di un denaro d’argento con l’effigie di Tiberio e posto in circolazione verso il 15 E.V. (Confronta Luca 3:1, 2). Il fatto che Ponzio Pilato era procuratore romano della Giudea è dimostrato anche da una lapide scoperta a Cesarea che porta i nomi Pontius Pilatus e Tiberius in latino.
Gli Atti degli Apostoli, che forniscono chiara evidenza di esser stati scritti da Luca, contengono numerosi riferimenti a città e relative province e a funzionari di diverso grado con vari titoli, in carica in una data particolare, tutti riferimenti suscettibili di errore da parte dello scrittore. (Nota anche Luca 3:1, 2). Eppure l’archeologia ha dimostrato in modo rimarchevole l’accuratezza di Luca. Infatti, in Atti 14:1-6, Luca pone Listra e Derbe nella Licaonia ma sottintende che Iconio era in un’altra regione. Alcuni scrittori romani, fra cui Cicerone, menzionarono Iconio come se fosse in Licaonia. Tuttavia un monumento scoperto nel 1910 spiega che Iconio era considerata senz’altro una città della Frigia e non della Licaonia.
Similmente, a Soli, sulla costa N dell’isola di Cipro, è stata scoperta un’iscrizione che menziona il “proconsole Paolo” (Atti 13:7); un’iscrizione scoperta a Delfi conferma che Gallione era proconsole dell’Acaia nel 52 E.V. (Atti 18:12) Diciannove iscrizioni che risalgono al periodo dal II secolo a.E.V. al III secolo E.V. confermano la correttezza di Luca nell’usare il titolo “capi della città” (politàrkhes, sing.) parlando delle autorità di Tessalonica (Atti 17:6, 8), e cinque di tali iscrizioni si riferiscono proprio a questa città; pure corretto è il riferimento a Publio come “l’uomo principale” (pròtos) di Malta (Atti 28:7); tale era l’esatto titolo in uso, com’è indicato dalla sua presenza in due iscrizioni maltesi, una in latino e una in greco. Testi di magia sono stati scoperti a Efeso, e anche il tempio di Artemide (Atti 19:19, 27); qui gli scavi hanno riportato alla luce un teatro capace di 25.000 persone e iscrizioni che menzionano “commissari delle feste e dei giochi”, come quelli intervenuti a favore di Paolo, e pure un “cancelliere”, come quello che placò la turba in quell’occasione. — Atti 19:29-31, 35, 41.
Alcune di queste scoperte spinsero Charles Gore a scrivere nel New Commentary on the Holy Scriptures a proposito dell’accuratezza di Luca: “Si dovrebbe, naturalmente, riconoscere che l’archeologia moderna ha quasi costretto i critici di S. Luca a emettere un verdetto di notevole accuratezza in tutte le sue allusioni a fatti e avvenimenti secolari”.
VALORE COMPARATIVO DELL’ARCHEOLOGIA
L’archeologia ha fornito informazioni utili che hanno contribuito all’identificazione (spesso ipotetica) di luoghi biblici, alla scoperta di documenti scritti che hanno consentito una migliore comprensione delle lingue originali in cui fu scritta la Bibbia, e ha fatto luce sulle condizioni di vita e le attività di sovrani e popoli antichi menzionati nelle Scritture. Eppure, per quanto riguarda l’autenticità e attendibilità della Bibbia e la fede nella Bibbia, nei suoi insegnamenti e nella sua rivelazione dei propositi e delle promesse di Dio, bisogna dire che l’archeologia è un contributo non essenziale e una conferma non richiesta della veracità della Parola di Dio. Come dice l’apostolo Paolo: “La fede è la sicura aspettazione di cose sperate, l’evidente dimostrazione di realtà benché non vedute. Per fede comprendiamo che i sistemi di cose furono posti in ordine dalla parola di Dio, per cui ciò che si vede è sorto da cose che non appaiono”. “Camminiamo per fede, non per visione”. — Ebr. 11:1, 3; II Cor. 5:7.
Ciò non significa che la fede del cristiano non abbia alcuna base in quello che si può vedere né che riguardi solo l’intangibile. Ma è vero anzi che in ogni periodo ed epoca gli uomini hanno avuto in ciò che li circonda, e anche in loro stessi e nelle proprie esperienze, prove atte a convincerli che la Bibbia è la vera fonte della rivelazione divina e non contiene nulla che non sia in armonia coi fatti dimostrabili. (Rom. 1:18-23) La conoscenza del passato alla luce delle scoperte archeologiche è interessante e apprezzata, ma non indispensabile. Solo la conoscenza del passato alla luce della Bibbia è essenziale e veramente fidata. La Bibbia, con o senza l’archeologia, dà vero senso al presente e illumina il futuro. (Sal. 119:105; II Piet. 1:19-21) La fede che ha bisogno di essere rafforzata e sostenuta da mattoni sbriciolati, vasi rotti e mura cadenti è davvero una fede debole.
Incertezza delle conclusioni archeologiche
Anche se le scoperte archeologiche a volte hanno dato una risposta appropriata a quelli che trovano da ridire sulla Bibbia o criticano la storicità di certi avvenimenti, e hanno contribuito a sgombrare la mente di persone sincere eccessivamente impressionate dagli argomenti di tali critici, l’archeologia non li ha però messi a tacere né è un fondamento veramente solido su cui basare la propria fede nella Bibbia. Le conclusioni tratte sulla base di gran parte degli scavi compiuti sono principalmente frutto del ragionamento deduttivo e induttivo del ricercatore che, un po’ come un detective, costruisce la sua tesi. Anche in tempi moderni, se un detective scopre e raccoglie una quantità di indizi e prove, una tesi basata unicamente su prove del genere non confermate da testimoni degni di fede direttamente interessati alla questione, in tribunale sarebbe considerata una tesi molto debole. Le sentenze basate unicamente su simili evidenze hanno provocato grossi errori e ingiustizie. Tanto maggiore è il rischio quando due o tremila anni sono intercorsi fra l’investigazione e la data dell’avvenimento.
Un esempio della grande diversità di opinioni o interpretazioni che gli studiosi possono dare ai reperti archeologici sono le rovine di certi grandi edifici a colonnati con cortili lastricati scoperti sia a Meghiddo che a Hazor. Quasi tutte le opere di consultazione li identificano come rovine di scuderie, probabilmente per i cavalli dei carri di Salomone. Ma D. J. Wiseman, professore di assiriologia presso l’università di Londra, in un articolo di The New Bible Dictionary (a cura di J. D. Douglas; p. 77) suggerisce che “potrebbero benissimo essere cancellerie o altri uffici pubblici piuttosto che edifici militari”.
L’ovvia incapacità degli archeologi di mettere a fuoco con accuratezza più che approssimativa avvenimenti dell’antico passato non è il solo problema. A complicare ulteriormente la cosa sta il fatto che, nonostante si sforzino di conservare un punto di vista puramente obiettivo nel considerare ogni scoperta, gli archeologi, come altri scienziati, sono comunque soggetti a errori umani, preferenze e ambizioni personali, che possono incoraggiare ragionamenti tutt’altro che infallibili. Mettendo in risalto il problema, il professor W. F. Albright osserva: “D’altra parte, è pericoloso tentare nuove scoperte e punti di vista inediti a discapito del più solido lavoro di un tempo. Ciò è vero particolarmente in campi come archeologia e geografia biblica, dove è così difficile essere padroni degli strumenti e dei metodi di ricerca che c’è sempre la tentazione di abbandonare un metodo solido, sostituendo abili combinazioni e brillanti congetture a un lavoro più lento e più sistematico”. — The Westminster Historical Atlas to the Bible, Edizione riveduta, p. 9.
Differenze nella datazione
È importante tener conto anche di questo problema nel considerare le date attribuite dagli archeologi alle loro scoperte. H. H. Rowley, autorità nel campo, afferma: “Non si dovrebbe dare troppo peso alle date stabilite dagli archeologi, poiché dipendono, almeno in parte, da fattori soggettivi, com’è dimostrato sufficientemente dai grandi contrasti fra loro”. (Unger, Archaeology and the Old Testament, p. 152) A riprova di ciò, Merrill F. Unger dice (p. 164, nota in calce 15): “Per esempio, Garstang fissa la data della caduta di Gerico al 1400 a.C. circa . . . ; Albright accetta la data del 1290 a.C. circa . . . ; Hugues Vincent, il celebre archeologo palestinese, sostiene la data del 1250 a.C. . . . ; mentre H. H. Rowley considera Ramsete II il Faraone dell’Oppressione, e l’Esodo avvenuto sotto il suo successore Marniptah [Meneptah] verso il 1225 a.C.”. Pur sostenendo l’attendibilità di analisi e processi archeologici moderni, il professor Albright riconosce che “riesce ancora assai difficile ai non specializzati di orientarsi fra le contraddittorie datazioni e conclusioni degli archeologi”. — L’archeologia in Palestina, p. 319.
È vero che si è ricorsi al metodo del radiocarbonio, insieme ad altri metodi moderni, per datare i reperti archeologici. Ma questo metodo non è del tutto accurato, com’è evidente dalla seguente dichiarazione di G. Ernest Wright in The Biblical Archaeologist (Vol. XVIII, 1955, p. 46): “Si noti che il nuovo metodo di datare antichi resti mediante il carbonio 14 non è risultato scevro di errori come si era sperato. . . . Certe valutazioni hanno ovviamente prodotto risultati sbagliati, probabilmente per diverse ragioni. Per il momento si può fare completo affidamento sui risultati ottenuti solo quando diverse valutazioni hanno dato risultati essenzialmente identici e quando la data sembra corretta secondo altri metodi di calcolo” (il corsivo è nostro). La continua divergenza d’opinione fra gli archeologi sulle conclusioni raggiunte indica che questo metodo non ha risolto il problema della datazione.
Valore relativo delle iscrizioni
Migliaia e migliaia di antiche iscrizioni sono state scoperte e vengono interpretate. Albright afferma: “I documenti scritti costituiscono di gran lunga la più importante singola massa di materiale scoperto dagli archeologi. È quindi estremamente importante farsi una chiara idea del loro carattere e della nostra capacità di interpretarle”. (The Westminster Historical Atlas to the Bible, Edizione riveduta, p. 11) Possono essere scritte su frammenti di ceramica, tavolette di argilla, papiro, o scolpite nella roccia granitica. Qualunque sia il materiale, le informazioni devono prima essere soppesate e vagliate per stabilirne il valore e l’attendibilità. Errori o complete falsità possono essere e spesso sono state scritte su pietra come su carta.
Per esempio, la Bibbia afferma che Sennacherib re d’Assiria fu ucciso da due figli, Adrammelec e Sarezer, e che un altro figlio, Esar-Addon, gli successe al trono. (II Re 19:36, 37) Eppure le cronache babilonesi scoperte dagli archeologi affermavano che, il 20 tebet, Sennacherib fu ucciso da suo figlio durante una rivolta. Sia Beroso, sacerdote babilonese del III secolo a.E.V., che Nabonedo, re di Babilonia del VI secolo a.E.V., nei loro scritti danno la stessa versione, secondo cui Sennacherib fu assassinato da uno solo dei figli. Ma in un frammento del prisma di Esar-Addon scoperto più di recente, il figlio succeduto a Sennacherib afferma chiaramente che i suoi fratelli (plurale) si ribellarono e uccisero il padre e poi si diedero alla fuga. Philip Biberfeld dice in proposito nell’Universal Jewish History (1948, p. 27): “Le cronache babilonesi, Nabonedo e Beroso erano in errore; solo quanto dice la Bibbia si è dimostrato corretto. È stato confermato in tutti i minimi particolari dall’iscrizione di Esar-Addon e a proposito di questo avvenimento della storia assiro-babilonese si è dimostrato più accurato delle stesse fonti babilonesi. Questo è un fatto della massima importanza per la valutazione anche di fonti contemporanee non d’accordo con la tradizione biblica”.
Problemi di decifrazione e traduzione
Inoltre il cristiano dev’essere cauto prima di accettare senza obiezione l’interpretazione delle numerose iscrizioni scoperte in diverse lingue antiche. In alcuni casi, come quello della stele di Rosetta e dell’iscrizione di Bisutun, i decifratori hanno potuto approfondire notevolmente una lingua fino ad allora sconosciuta grazie a scritti paralleli in quella e in un’altra lingua nota. Ma non bisogna aspettarsi che ciò aiuti a risolvere tutti i problemi o consenta una piena comprensione della lingua con tutte le sue sfumature ed espressioni idiomatiche. Anche la comprensione delle fondamentali lingue bibliche, ebraico, aramaico e greco, ha fatto notevoli passi avanti negli ultimi tempi e queste lingue sono ancora oggetto di studio. In quanto all’ispirata Parola di Dio, possiamo giustamente aspettarci che l’Autore della Bibbia ci permetta di avere il corretto intendimento del suo messaggio grazie alle traduzioni disponibili nelle lingue moderne.
Per illustrare la necessità di essere cauti e spiegare ancora una volta che l’obiettività nell’affrontare i problemi che si incontrano nel decifrare antiche iscrizioni spesso non è così rispettata come si potrebbe pensare, basta esaminare Il libro delle rupi: alla scoperta dell’impero degli Ittiti di C. W. Ceram (Einaudi, 1955) che riporta le seguenti informazioni su un eminente assiriologo che contribuì alla decifrazione della lingua “ittita” (pp. 125-129): “Il suo lavoro è veramente prodigioso: tanta era l’intelligenza con cui si mescolavano e si intrecciavano in esso errori veri e propri e notevoli scoperte, . . . e c’erano in lui errori motivati con tanto acume, che occorsero decenni per poterli individuare e sopprimere. È assolutamente impossibile seguire qui, sia pure nelle linee più generali, il processo del suo pensiero così traboccante di erudizione filologica”. Lo scrittore descrive poi la cocciutaggine di questo studioso che non rivedeva mai le proprie tesi: solo dopo molti anni acconsentì ad apportare alcune correzioni, ma a quelle che risultarono poi le interpretazioni giuste! A proposito della violenta polemica, piena di recriminazioni personali, fra questo studioso e un altro esperto di cuneiforme “ittita”, l’autore osserva come questo “fanatismo costituisse la forza motrice che animava gli scienziati”. Perciò, anche se il tempo e lo studio hanno eliminato molti errori nella comprensione delle iscrizioni antiche, facciamo bene a renderci conto che ulteriori ricerche porteranno probabilmente altre correzioni.
La preminenza della Bibbia, quale fonte di conoscenza fidata, di informazioni veraci e quale guida sicura, è messa in risalto da questi fattori. Questa raccolta di documenti scritti ci dà il quadro più chiaro del passato dell’uomo e ci è giunta non grazie agli scavi, ma essendo preservata dal suo Autore stesso, Geova Dio. È “vivente ed esercita potenza” (Ebr. 4:12), ed è la “parola dell’Iddio vivente e permanente”. “Ogni carne è come l’erba, e tutta la sua gloria è come il fiore dell’erba; l’erba si secca, e il fiore cade, ma la parola di Geova dura per sempre”. — I Piet. 1:23-25.
[Diagramma a pagina 95]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
Stratigrafia di uno scavo archeologico. Colline su cui sorgono alcune città si formarono in seguito a ripetuta edificazione sulle rovine di città precedenti
EPOCA PRESUNTA
Maccabei
Esilio
SCAVO STRATIFICATO
Giuda
Regno diviso
Da Saul a Salomone
FOSSA SCALINATA
Giudici
Patriarchi
SCANDAGLIO
Antichi cananei
CUMULI DI TERRA
LIVELLO DEL SUOLO
TERRENO VERGINE
[Figura a pagina 96]
Cronaca di Nabonedo
[Figura a pagina 97]
Prisma di Sennacherib
[Figure a pagina 99]
Particolare dell’iscrizione di Siloe, ritenuta dell’epoca del re Ezechia
Impronta di sigillo d’argilla di Lachis con la scritta “Ghedalia che è a capo della casa”