Greco
Lingua che appartiene alla famiglia delle lingue indoeuropee, parlate, si pensa, dagli abitanti di quella parte della terra che dall’Europa orientale andava fino all’India. (L’ebraico appartiene invece alla famiglia delle lingue semitiche). In greco furono scritte in origine le Scritture Cristiane (a parte il Vangelo di Matteo, che forse fu scritto prima in ebraico) e fu fatta la prima traduzione completa delle Scritture Ebraiche, la Settanta. È una lingua flessiva, che raggiunge una grande varietà d’espressione mediante radici, prefissi e desinenze. L’epoca della lingua greca koinè, mescolanza di diversi dialetti greci dei quali l’attico era il più influente, va dal 330 a.E.V. al 330 E.V. La sintesi della koinè è dovuta alle campagne militari di Alessandro Magno, nel cui esercito erano rappresentate tutte le genti greche, e le cui conquiste fecero della koinè una lingua internazionale.
Koinè
La koinè aveva un netto vantaggio sulle altre lingue del tempo, in quanto era quasi universalmente conosciuta. Koinè significa lingua o dialetto comune a tutti. Quanto fosse esteso l’uso della koinè greca si comprende dal fatto che i decreti dei procuratori imperiali e del senato romano venivano tradotti in lingua koinè per essere inviati in tutto l’impero romano. Perciò l’accusa affissa sopra la testa di Gesù Cristo al palo era scritta non solo nel latino ufficiale e in ebraico, ma anche nella lingua greca (koinè). — Matt. 27:37; Giov. 19:19, 20.
A proposito dell’uso del greco nel paese di Israele, uno studioso osserva: “Benché la maggioranza della popolazione ebraica fosse contraria all’ellenismo e alle sue usanze, non rifuggiva dai contatti con i popoli greci e dall’uso della lingua greca. . . . Gli insegnanti palestinesi guardavano con favore la traduzione greca delle Scritture, considerandola un mezzo per portare la verità ai Gentili”. (Norman Bentwich, Hellenism, 1919, pp. 115-117) Naturalmente la Settanta era una traduzione destinata prima di tutto agli ebrei, specie a quelli della Diaspora, i quali non parlavano più l’ebraico puro, ma conoscevano il greco. Gli antichi termini ebraici relativi all’adorazione furono sostituiti da termini di origine greca. La parola synagogè, che significa “riunione”, è un esempio di termini greci adottati dagli ebrei.
La koinè degli scrittori cristiani ispirati
Gli scrittori delle ispirate Scritture Greche Cristiane si preoccupavano di trasmettere il loro messaggio in modo comprensibile a tutti, perciò non ricorsero alla lingua greca classica, ma alla koinè. Quegli scrittori erano tutti ebrei. Pur essendo semiti, non intendevano divulgare il semitismo, ma la verità del puro cristianesimo, e per mezzo della lingua greca potevano raggiungere più persone. Potevano meglio assolvere l’incarico di ‘fare discepoli delle persone di tutte le nazioni’. (Matt. 28:19, 20) Inoltre la koinè era un ottimo strumento con cui potevano esprimere bene i difficili concetti che volevano spiegare.
Col loro eccelso messaggio gli scrittori cristiani ispirati conferirono alla lingua greca koinè forza, dignità e calore. Nel contesto delle Scritture ispirate i termini greci assunsero un significato più ricco, più pieno e più spirituale.
ALFABETO
Tutti gli alfabeti europei moderni derivano direttamente o indirettamente dall’alfabeto greco. Tuttavia i greci non inventarono il loro alfabeto, ma lo presero a prestito dai semiti. Questo è reso evidente dal fatto che le lettere dell’alfabeto greco (circa del VII secolo a.E.V.) erano simili ai caratteri ebraici (circa dell’VIII secolo a.E.V.). Seguivano, con poche eccezioni, lo stesso ordine generale. Inoltre la pronuncia dei nomi di alcune delle lettere è molto simile; per esempio: àlpha (greco) e ’àleph (ebraico), bèta (greco) e behth (ebraico), dèlta (greco) e dàleth (ebraico) e molte altre. La koinè aveva ventiquattro lettere. Nell’adattare l’alfabeto semitico alla lingua greca, certe consonanti semitiche assunsero suono vocalico.
VOCABOLARIO
Il vocabolario greco è assai ricco e preciso. Lo scrittore greco ha a disposizione parole sufficienti che gli permettono di fare una netta distinzione e di esprimere con precisione la sfumatura voluta. Per esempio, il greco fa una distinzione fra conoscenza normale, gnòsis (I Tim. 6:20), e accresciuta conoscenza, epìgnosis (I Tim. 2:4), e fra àllos (Giov. 14:16), che significa “un altro” dello stesso genere, e hèteros, che significa “un altro” di genere diverso. (Gal. 1:6) Molti vocaboli italiani derivano da termini e radici greche, cosa che contribuisce a rendere la lingua italiana più precisa e specifica.
NOMI
I nomi in greco si declinano secondo il caso, il genere e il numero. Pronomi e aggettivi si declinano in modo da concordare col sostantivo a cui si riferiscono.
Caso
In genere si ritiene che la koinè greca avesse cinque casi. (Alcuni linguisti ne distinguono otto). In italiano i nomi cambiano desinenza solo secondo il genere e il numero. (I pronomi però subiscono più alterazioni). Invece nella koinè ciascun caso richiede di solito una forma o desinenza diversa, e ciò rende la lingua molto più complessa dell’italiano sotto questo aspetto.
ARTICOLO
In italiano ci sono articoli determinativi (“il, lo, la, i, gli, le”) e articoli indeterminativi (“un, uno, una”). Nella lingua greca koinè c’è un unico articolo ὁ (ho), che equivale all’articolo determinativo italiano “il”. Ma a questo proposito si dice che nulla sia più originale o proprio della lingua greca dell’uso dell’articolo, e che per trattare questo soggetto in modo esauriente si dovrebbe scrivere un libro; è stato pure osservato che “lo sviluppo dell’articolo greco è una delle cose più interessanti del linguaggio umano”. (A. T. Robertson, A Grammar of the Greek New Testament in the Light of Historical Research, p. 754) Sotto questo aspetto il greco si distingue nettamente da due lingue affini, il sanscrito e il latino, nessuna delle quali ha l’articolo. Inoltre l’articolo greco si declina secondo il caso, il genere e il numero, come i nomi.
L’uso dell’articolo permette di distinguere lo specifico dal generico o aggettivale. Per esempio, in Giovanni 1:1, il termine theòs, “dio”, la prima volta che ricorre nel versetto, è preceduto dall’articolo. Questo lo distingue dallo stesso termine theòs senza articolo che ricorre nel secondo caso. Parola per parola, una traduzione letterale del greco sarebbe: “In un principio era la Parola, e la Parola era con il Dio, e un dio era la Parola”. (ED) Qui il primo theòs, con l’articolo determinativo, si riferisce evidentemente al Creatore Geova Dio. Mentre il secondo theòs in greco non ha articolo. Nella traduzione viene aggiunto l’articolo indeterminativo “un” dove in greco non c’è articolo. Poiché in greco un nome privo di articolo può essere generico o aggettivale, il secondo theòs viene tradotto “la Parola era un dio” (NW) o “la Parola era dio [generico]” (NM), oppure “la Parola era divina [aggettivale]” (AT; vedi anche Mo). — Confronta The Kingdom Interlinear Translation of the Greek Scriptures.
L’articolo greco viene usato non solo per mettere in risalto i sostantivi, ma anche con verbi all’infinito, con aggettivi, avverbi, espressioni, proposizioni e interi periodi. L’uso greco dell’articolo con un aggettivo si trova in Giovanni 10:11, che alla lettera sarebbe: “Io sono il pastore l’eccellente”. Questa costruzione è più vigorosa che non dire semplicemente “Io sono il pastore eccellente”. È come sottolineare il termine “eccellente”.
Un esempio dell’articolo applicato in greco a una frase si trova in Romani 8:26, dove l’espressione “ciò che dobbiamo pregare secondo che abbiamo bisogno” è preceduta in greco dall’articolo di genere neutro. La traduzione letterale sarebbe “lo per cui dobbiamo pregare” (Int). In tal caso l’articolo determinativo ha la funzione di isolare e mettere in risalto il problema. Per rendere l’idea in italiano è utile sostituire l’articolo col pronome dimostrativo o con “il problema”, dando luogo alle espressioni “ciò che” o “ciò per cui” e “il problema per cui”. Quindi anziché dire “perché noi non sappiamo pregare come si conviene” (VR), traducendo la frase “poiché non conosciamo ciò che [ciò per cui] dobbiamo pregare” (NM) o “poiché non conosciamo il problema per cui dobbiamo pregare” (NW), si rende in modo più preciso il pensiero dello scrittore.
VERBI
I verbi greci si coniugano secondo il genere, il modo, il tempo, la voce, la persona e il numero, aggiungendo a una radice verbale prefissi, suffissi e desinenze. In greco lo studio dei verbi è più difficile di quello dei nomi. In anni recenti un migliore intendimento della koinè, specie per quanto riguarda i verbi, ha permesso ai traduttori di chiarire meglio le esatte sfumature e il vero significato delle Scritture Greche Cristiane di quanto non fosse stato possibile fare nelle versioni più antiche. Alcune delle più interessanti caratteristiche dei verbi greci e la loro influenza sull’intendimento biblico sono considerate nei paragrafi che seguono.
Voce
In italiano i verbi hanno solo voce attiva e passiva, mentre in greco c’è anche una “voce media”. Il medio indica un’azione che il soggetto fa con riferimento a sé. A volte l’azione si riflette sul soggetto oppure viene espressa un’azione che il soggetto compie nel proprio interesse.
Il medio è usato anche con valore intensivo. Dopo che gli era stato detto che una volta giunto a Gerusalemme lo attendevano “legami e tribolazioni”, Paolo disse: “Tuttavia, non considero la mia anima per nessun motivo a me cara, se solo posso finire il mio corso e il ministero che ho ricevuto dal Signore Gesù”. (Atti 20:22-24) La voce del verbo poièin, “fare”, qui tradotta “considero” è al medio, poioùmai. Paolo non dice di non considerare preziosa la vita, ma che l’adempimento del suo ministero è ben più importante. Questa è la sua conclusione, comunque la pensino altri.
Il medio è usato anche in Filippesi 1:27: “Solo comportatevi [politèuesthe, ‘vivete come cittadini’] in maniera degna della buona notizia del Cristo”. Il verbo politèuein, “vivere in uno stato libero” al medio significa “vivere o comportarsi come un cittadino”, vale a dire partecipare attivamente alla predicazione della buona notizia. I cittadini romani generalmente prendevano parte attiva agli affari dello stato, e la cittadinanza romana era tenuta in gran conto, specie nelle città i cui abitanti avevano ricevuto la cittadinanza da Roma, come nel caso di Filippi. Quindi qui Paolo dice ai cristiani che non devono essere inattivi avendo semplicemente la posizione di cristiani, ma devono anche prendere parte all’attività cristiana, dimostrandosi così degni della buona notizia. Questo è in armonia con le parole che rivolge loro in seguito: “In quanto a noi, la nostra cittadinanza esiste nei cieli”. — Filip. 3:20.
Tempi
Un’altra importante caratteristica particolare del greco, che contribuisce alla sua esattezza, è l’uso dei tempi del verbo. I tempi dei verbi esprimono due concetti: la qualità dell’azione (la cosa più importante) e il tempo dell’azione (di minor importanza). In greco, secondo alcuni studiosi, l’elemento tempo è solo secondario. Nella lingua greca la qualità dell’azione è vista sotto tre aspetti principali, ciascuno con caratteristiche proprie: (1) azione durativa espressa fondamentalmente col tempo presente, che indica soprattutto un’azione in corso, abituale o ricorrente; (2) un’azione compiuta espressa particolarmente col perfetto; (3) un’azione puntuale o momentanea rappresentata con l’aoristo. Ci sono naturalmente altri tempi, come l’imperfetto, il piuccheperfetto e il futuro.
Un esempio della differenza dei tempi greci si ha in I Giovanni 2:1 dove l’apostolo Giovanni dice: “Se qualcuno pecca, noi abbiamo come intercessore presso il Padre Gesù Cristo” (NVB). Il verbo greco qui tradotto “pecca” è all’aoristo, quindi indica un’azione puntuale o momentanea. L’aoristo indica un atto di peccare, mentre l’infinito presente avrebbe rivelato la condizione di essere peccatore, cioè un’azione continua o in corso in quanto al peccare. Giovanni non parla dunque di qualcuno che persiste in una pratica di peccato, ma di qualcuno che “commette un peccato” (NW). (Confronta Matteo 4:9, dove l’aoristo indica che il Diavolo non chiese a Gesù di adorarlo in modo costante o continuo, ma gli chiese “un atto di adorazione”).
Tuttavia, traducendo I Giovanni 3:6, 9 senza tener conto del fatto che qui il verbo è al presente, come viene fatto nella versione summenzionata (NVB), sembra che Giovanni contraddica le sue stesse parole citate sopra. Questa versione dice: “Chiunque rimane in lui, non pecca”, e “Chiunque è generato da Dio non commette peccato”. Questa traduzione non rende in italiano l’idea dell’azione continua data dal tempo presente dei verbi greci. Traduzioni più accurate, invece di “non pecca” e “non commette peccato”, tengono conto dell’azione continua e traducono i verbi di conseguenza: “non pratica il peccato” (NM; Co); “non vive più nel peccato” (PS). Gesù comandò ai suoi seguaci: “Continuate dunque a cercare prima il regno” (NM), indicando uno sforzo continuo, anziché dire semplicemente “Cercate prima il regno”, come traducono altri. — Matt. 6:33.
Anche nell’imperativo negativo, il presente e l’aoristo sono nettamente diversi. Nel presente un imperativo negativo significa più che non fare una data cosa. Significa smettere di farla. Gesù Cristo, in cammino verso il Golgota, non si limitò a dire alle donne che lo seguivano “non piangete”, ma dal momento che stavano già piangendo, disse: “Smettete di piangere per me”. (Luca 23:28) Similmente, a coloro che vendevano colombe nel tempio, Gesù disse: “Smettete di fare della casa del Padre mio una casa di mercato!” (Giov. 2:16) Nel Sermone del Monte disse: “Smettete d’essere ansiosi” di ciò che mangerete, berrete o indosserete. (Matt. 6:25) Viceversa, un divieto espresso con l’aoristo era un comando di non fare una data cosa in qualsiasi momento. Gesù dice ai suoi ascoltatori: “Non siate mai ansiosi del domani”. (Matt. 6:34) Qui è usato l’aoristo, e “mai [cioè in nessun momento]” aiuta a rendere in italiano il senso del verbo.
Un altro esempio della necessità di tener conto del tempo del verbo greco nella traduzione si trova in Ebrei 11:17. Alcune traduzioni ignorano lo speciale significato del tempo del verbo. A proposito di Abraamo, la versione della CEI dice: “Lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio”. Il verbo greco qui tradotto “offrì” è all’imperfetto, tempo che può indicare l’intenzione o il tentativo di compiere l’azione, che però non si concretizza o realizza. Perciò, in armonia con ciò che è realmente accaduto, il verbo greco è più appropriatamente reso “tentò di offrire” (NM). Un altro esempio di “imperfetto di conato” si ha in Luca 1:59 dove, parlando del giorno della circoncisione di Giovanni, figlio di Zaccaria ed Elisabetta, il brano dice letteralmente: “E lo chiamavano col nome di suo padre”. Il verbo greco all’imperfetto indica che volevano chiamarlo o si accingevano a chiamarlo come suo padre. Questo è in armonia con quanto è realmente accaduto, vale a dire, col fatto che il bambino fu chiamato Giovanni, secondo le istruzioni dell’angelo Gabriele. — Luca 1:13.
Molto si potrebbe dire circa la necessità di fare attenzione ai vari aspetti caratteristici della lingua greca nel tradurre la Bibbia per rendere con maggior accuratezza le sfumature del pensiero espresso dagli ispirati scrittori delle Scritture Greche Cristiane.
TRASLITTERAZIONE
Per traslitterare i termini greci con lettere dell’alfabeto italiano, questa pubblicazione segue un metodo usato in molte opere di consultazione. Nella maggioranza dei casi la sostituzione avviene lettera per lettera: b per β, g per γ, ecc. Questo vale anche per le vocali greche, a per α, e per ε, e per η, i per ι, o per ο, y per υ e o per ω. In alcune opere di consultazione viene indicato se le vocali sono lunghe o brevi.
Dittonghi
La regola generale di sostituire lettera per lettera si applica anche a gran parte dei dittonghi: ai per αι, ei per ει, oi per οι. La lettera ỳpsilon (υ), normalmente traslitterata con y, fa eccezione nei seguenti casi: αυ è au, non ay; ευ è eu, non ey; ου è ou, non oy, υι è ui, non yi; ηυ è eu, non ey.
A volte però due vocali che solitamente formano dittongo devono essere pronunciate separatamente; in questo caso si pone una dieresi ( ͏̈) sulla seconda lettera, come ad esempio: αϋ, εϋ, οϋ, ηϋ, ωϋ, αϊ, οϊ. La dieresi su un iòta (ϊ) o un ỳpsilon (ϋ) indica che non forma dittongo con la vocale precedente. Perciò ỳpsilon con la dieresi viene traslitterato y, non u. Gli esempi menzionati sopra sarebbero rispettivamente ay, ey, oy, ey, oy, ai, oi.
In alcuni dittonghi, α, η, ω, la seconda vocale, un piccolo iòta (ι) (detto iòta sottoscritto) si scrive sotto la prima vocale. Nel traslitterare questi “dittonghi impropri” l’iòta (o i) non si mette sotto, ma subito dopo la lettera sotto cui compare. Quindi ᾳ è ai, ῃ è ei e ῳ è oi. In ogni caso la prima vocale è “lunga”.
Accenti
In greco cl sono tre tipi di accenti: l’accento acuto (΄), l’accento circonflesso ( ͏̑) e l’accento grave (`). Tuttavia per praticità in questa pubblicazione viene indicato unicamente l’accento tonico (`) sulla vocale da accentare. λόγος viene traslitterato lògos; ζῷον, zòon.
Sillabe
Un vocabolo greco ha tante sillabe quante sono le vocali o i dittonghi. Λόγος (lògos) ha due vocali e perciò due sillabe. Le due vocali di un dittongo formano un’unica sillaba, non due. Δαίμων (dàimon) ha un dittongo (ai) e un’altra vocale (o) e quindi ha due sillabe.
In greco le sillabe si dividono come in italiano secondo le seguenti regole: (1) Una sola consonante fra due vocali fa parte della sillaba che segue; quindi πατήρ sarebbe pa-tèr. (2) A volte un gruppo di consonanti compare in mezzo a una parola. Se in greco ci sono parole che iniziano con quel determinato gruppo di consonanti, questo appartiene alla sillaba seguente. Per esempio κόσμος si divide kò-smos, infatti in greco parecchie parole — come smỳrna — iniziano con quelle due consonanti. Quando nel mezzo di una parola compaiono due consonanti uguali o una combinazione di consonanti diverse che non si trova mai all’inizio di una parola, esse vengono separate. Perciò βύσσος viene diviso bys-sòs.
Spiriti
Su ogni vocale a inizio di parola si pone un segno detto “spirito” (lat. spiritus = aspirazione), che può essere “dolce” (᾿) o “aspro” (῾). Nella traslitterazione non si tiene conto dello “spirito dolce”, (᾿), mentre per indicare lo “spirito aspro” (῾) si aggiunge la lettera h all’inizio della parola. Se la prima lettera è maiuscola il segno dello “spirito” la precede. In questo caso Ἰ diventa I, mentre Ἱ viene traslitterato Hi. Quando la parola inizia con lettera minuscola, il segno dello “spirito” si pone sulla prima lettera o, nel caso della maggior parte dei dittonghi, sulla seconda lettera. Perciò αἰών diventa aiòn, mentre ἁγνός è hagnòs e αἱρέομαι è hairèomai.
Anche la lettera greca hro (ρ), traslitterata r, all’inizio di parola richiede sempre uno “spirito aspro” (῾). Perciò ῥαββί è hrabbì. A volte due hro ricorrono insieme nel mezzo di una parola e sul secondo c’è uno “spirito aspro”; in tal caso nella traslitterazione è necessario inserire la lettera h fra la prima e la seconda r. Quindi ἀῥῥητος diventa àrhretos.
[Prospetto a pagina 634]
ALFABETO GRECO
Lettera Nome Traslitterazione e
pronuncia1
Α α àlpha a
Β β bèta b
Γ γ gàmma g, duro, gutturale2
Δ δ dèlta d
Ε ε èpsilon e, breve
Ζ ζ zèta z
Η η èta e, lunga
Θ θ thèta th
Ι ι iòta i
Κ κ kàppa k
Λ λ làmbda l
Μ μ my m
Ν ν ny n
Ξ ξ xi x
Ο ο òmicron o, breve
Π π pi p
Ρ ρ hro r
Σ σ, ς3 sìgma s
Τ τ tau t
Υ υ ỳpsilon y, oppure u, come u francese
Φ φ phi ph, pronuncia f
Χ χ khi kh, aspirato
Ψ ψ psi ps
Ω ω omèga o, lunga
1 La pronuncia indicata qui differisce da quella del greco moderno.
2 Prima di κ, ξ, χ, o di un altro γ è nasale e si pronuncia come n nasale in angolo.
3 Usato solo quando sìgma ricorre in fine di parola.