Spirito
(ebr. rùahh; gr. pnèuma].
Il sostantivo italiano “spirito” deriva dal verbo latino spirare, che significa “respirare” (sostantivo, spiritus, “alito”, “respiro”). Similmente il sostantivo greco pnèuma deriva dal verbo pnèo, che significa “respirare o soffiare”, e si ritiene che anche l’ebraico rùahh derivi da una radice che ha lo stesso significato.
I sostantivi rùahh e pnèuma, quindi, significano fondamentalmente “alito” o “respiro”, ma hanno anche molti altri significati. (Confronta Abacuc 2:19; Rivelazione 13:15). Possono significare vento; la forza vitale delle creature viventi; il proprio spirito; persone spirituali, inclusi Dio e le creature angeliche; e la forza attiva o spirito santo di Dio. (Confronta Koehler e Baumgartner, Lexicon in Veteris Testamenti Libros, pp. 877-879; Brown, Driver e Briggs, Hebrew and English Lexicon of the Old Testament, pp. 924-926; il Grande lessico del Nuovo Testamento di Kittel, Vol. X, col]. 767-1103). Tutti questi significati hanno qualche cosa in comune: si riferiscono a qualcosa di invisibile agli occhi umani e che dà prova di forza in movimento. Tale forza invisibile è in grado di produrre effetti visibili.
Anche un altro termine ebraico neshamàh (Gen. 2:7). significa alito” o “respiro”. ma ha un significato meno ampio di rùahh. Il greco pnoè sembra avere pure significato limitato (Atti 17:25), ed è stato usato dai traduttori della Settanta per rendere neshamàh.
VENTO
Consideriamo per primo il significato che forse è più facile da afferrare. Il contesto in molti casi indica che rùahh significa “vento”. per esempio “vento orientale” (Eso. 10:13), “quattro venti”. (Zacc. 2:6) La menzione di cose come nubi, uragani, pula soffiata via, e simili nel contesto spesso rende evidente questo significato. (Num. 11:31; I Re 18:45; 19:11; Giob. 21:18, ecc.) Poiché i quattro venti sono spesso usati per indicare i quattro punti cardinali — est, ovest, nord e sud - rùahh a volte si pub tradurre direzione o ‘lato’. — I Cron. 9:24. Ger. 49:36; 52:23; Ezec. 42:16-20; vedi VENTO
PERSONE SPIRITUALI
Dio è invisibile agli occhi umani (Eso. 33:20; Giov. 1:18; I Tim. 1:17), è vivo ed esercita insuperata forza nell’intero universo. (II Cor. 3:3; Isa. 40:25-31) Cristo Gesù afferma: “Dio è Spirito [Pnèuma]”. L’apostolo scrive: “Ora Geova è lo Spirito”. (Giov. 4:24; II Cor. 3:17, 18) Il tempio costruito su Cristo quale pietra angolare di fondamento è “un luogo che Dio abiti mediante lo spirito”. — Efes. 2:22.
Questo non significa che Dio sia una forza impersonale, incorporea come il vento. Le Scritture inequivocabilmente attestano la sua personalità; egli ha inoltre una sede, tanto che Cristo poté dire che ‘se ne andava al Padre’, e questo “per apparire . . . dinanzi alla persona di Dio [lett. “faccia di Dio”] per noi”. (Giov. 16:28; Ebr. 9:24; confronta I Re 8:43; Salmo 11:4; 113:5, 6). Per ulteriori particolari, vedi GEOVA (La persona identificata dal nome).
L’espressione “il mio spirito” (rùahh) usata da Dio in Genesi 6:3 può significare “Io, lo Spirito”, come l’uso che Dio fa dell’espressione “la mia anima” (nèphesh) significa “Io, la persona” o “la mia persona”. (Isa. 1:14; vedi ANIMA Dio ha animai). Egli in tal modo contrappone la sua celeste posizione spirituale a quella del terreno uomo carnale.
Il Figlio di Dio
Il “figlio unigenito” di Dio, la Parola, era una persona spirituale come il Padre, quindi ‘esisteva nella forma di Dio’ (Filip. 2:5-8), ma poi ‘divenne carne’ e risiedette fra il genere umano come uomo, Gesù. (Giov. 1:1,,14) Al termine della sua vita terrena, venne “messo a morte nella carne, ma [fu] reso vivente nello spirito”. (I Piet. 3:18) Il Padre lo risuscitò, accolse la richiesta del Figlio di essere glorificato presso di Lui con la gloria che aveva avuta nella sua condizione preumana (Giov. 17:4, 5), e lo rese uno “spirito vivificante”. (I Cor. 15:45) Così il Figlio tornò a essere invisibile agli occhi umani, a dimorare “in una luce inaccessibile, che nessuno degli uomini ha visto né può vedere”. — I Tim. 6:14-16.
Altre creature spirituali
In diversi versetti i termini rùahh e pnèuma indicano angeli. (I Re 22:21, 22; Ezec. 3:12, 14; 8:3; 11:1, 24; 43:5; Atti 23:8, 9; I Piet. 3:19, 20) Nelle Scritture Greche Cristiane la maggior parte di questi riferimenti riguardano creature spirituali malvage, demoni. — Matt. 8:16; 10:1; 12:43-45; Mar. 1:23-27; 3:11, 12, 30; ecc.
Il Salmo 104:4 afferma che Dio “fa i suoi angeli spiriti, i suoi ministri un fuoco divoratore”. Alcune traduzioni rendono come segue questo versetto: “Fa dei venti i suoi messaggeri, delle fiamme di fuoco i suoi ministri”. (VR, ATE, CEI) Il testo ebraico ammette una traduzione del genere (confronta Salmo 148:8); tuttavia la citazione che ne fa l’apostolo Paolo (Ebr. 1:7) coincide con la Settanta e concorda con la versione riportata per prima. (Nel testo greco di Ebrei 1:7 l’articolo determinativo [tous] è premesso a “angeli”, non a “spiriti [pnèumata]”, facendo degli angeli il soggetto logico della proposizione dipendente). In una nota su Ebrei si legge: “Si deve presumere che [Paolo] il quale conosceva bene la lingua ebraica, avrebbe avuto migliore opportunità di noi di conoscerne [riferendosi al Salmo 104:4] la costruzione giusta; ed è molto probabile che avrebbe usato il brano [in un’argomentazione] come era comunemente inteso da coloro a cui scriveva: cioè a persone che avevano familiarità con la lingua e la letteratura ebraica”. — Barnes’ Notes on the New Testament; confronta Ebrei 1:14.
Gli angeli di Dio, pur essendo in grado di materializzarsi in forma umana e apparire agli uomini, non sono di natura materiale o carnale, quindi sono invisibili. Hanno vita attiva e grande forza, e perciò i termini rùahh e pnèuma ben li descrivono.
In Efesini 6:12 si parla del combattimento cristiano, “non contro sangue e carne, ma contro i governi, contro le autorità, contro i governanti mondiali di queste tenebre, contro le malvage forze spirituali che sono nei luoghi celesti”. In greco l’ultima parte del versetto dice letteralmente: “Verso le (cose) spirituali [gr. pneumatikà] della malvagità nei [luoghi] celesti”. Quasi tutte le traduzioni moderne riconoscono che qui non si fa riferimento a qualcosa di astratto, a una “malvagità spirituale” (AV), ma alla malvagità perpetrata da persone spirituali. Infatti abbiamo versioni come queste: “gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (CEI), “le potenze spirituali della malvagità nei luoghi celesti” (Co), “gli spiriti della malvagità nelle sfere celesti” (Con), “spiriti maligni del mondo invisibile” (PS).
FORZA ATTIVA DI DIO; SPIRITO SANTO
Nella grande maggioranza dei casi rùahh e pnèuma si riferiscono allo spirito di Dio, il suo spirito santo.
Non una persona
Solo verso il IV secolo E.V. la dottrina che lo spirito santo fosse una persona e parte della “Divinità” divenne un dogma ufficiale della chiesa. I primi “padri” della chiesa non insegnavano questo; nel II secolo E.V. Giustino Martire insegnava che lo spirito santo era una ‘influenza o modo di operare della Deità’; neanche Ippolito attribuiva personalità allo spirito santo. Le Scritture stesse concordano nel dimostrare che lo spirito santo di Dio non è una persona ma la forza attiva di Dio mediante la quale adempie i suoi propositi e attua la sua volontà.
Si noti prima di tutto che le parole “nel cielo: il Padre, e la Parola, e lo Spirito Santo; e questi tre sono una stessa cosa” (Di), che si trovano nelle più antiche traduzioni in I Giovanni 5:7, sono in realtà un’aggiunta spuria al testo originale. Una nota in calce della Bibbia di Gerusalemme, una traduzione cattolica, dice che questo brano è “assente nei mss [manoscritti] greci antichi, nelle versioni antiche e nei migliori mss della volg[ata]”. Nell’insieme le traduzioni moderne, sia cattoliche che protestanti, non lo includono nel testo, poiché ne riconoscono la natura spuria.
La personificazione non è prova di personalità
È vero che Gesù parlò dello spirito santo come di un “soccorritore” e disse che questo soccorritore avrebbe ‘insegnato’, ‘reso testimonianza’, ‘dato prova’, ‘guidato’, ‘parlato’, ‘udito’ e sarebbe stato ‘ricevuto’. In questi casi il testo greco originale mostra che a volte Gesù riferiva al “soccorritore” (paracleto) il pronome personale “egli”. (Confronta Giovanni 14:16, 17, 26; 15:26; 16:7-15). Tuttavia non è insolito nelle Scritture personificare qualche cosa che in realtà non è una persona. Nel libro di Proverbi (1:20-33; 8:1-36) è personificata la sapienza, e sia nell’originale ebraico che in molte traduzioni italiane sono usate in merito forme pronominali al femminile. (CEI, NM, VR) La sapienza è personificata anche in Matteo 11:19 e Luca 7:35, dove le sono attribuiti sia “opere” che “figli”. L’apostolo Paolo personificò il peccato e la morte e anche l’immeritata benignità dicendo che ‘regnano’. (Rom. 5:14, 17, 21; 6:12) Dice che il peccato “riceve occasione”, ‘produce concupiscenza’, ‘seduce’ e ‘uccide’. (Rom. 7:8-11) Eppure è ovvio che per Paolo il peccato non era una persona.
Lo stesso si può dire delle parole di Gesù sullo spirito santo riportate da Giovanni, che vanno intese nel contesto. Gesù personalizzò lo spirito santo parlandone come di un “soccorritore” (che in greco è il sostantivo maschile paràkletos). Giustamente perciò Giovanni riporta le parole di Gesù a proposito dell’aspetto “soccorritore” dello spirito con pronomi personali maschili. Viceversa, nello stesso contesto, quando è usato il sostantivo greco pnèuma, Giovanni usa un pronome neutro riferito allo spirito santo, poiché pnèuma è neutro. Quindi nell’uso del pronome personale maschile riferito a paràkletos Giovanni rispettava le regole grammaticali, non enunciava una dottrina. — Giov. 14:16, 17; 16:7, 8.
Non ha identità personale
Dal momento che Dio stesso è uno Spirito ed è santo, e che tutti i suoi fedeli figli angelici sono spiriti e sono santi, è evidente che se lo “spirito santo” fosse una persona le Scritture dovrebbero ragionevolmente permettere in qualche modo di distinguere e identificare tale persona spirituale da tutti gli altri ‘spiriti santi’. Ci si aspetterebbe per lo meno che venisse usato l’articolo determinativo in tutti i casi in cui non viene chiamato “spirito santo di Dio” o non è accompagnato da qualche espressione analoga. Questo almeno lo distinguerebbe come LO Spirito Santo. Ma, al contrario, in moltissimi casi nel testo greco originale l’espressione “spirito santo” ricorre senza articolo, indicando così che non è una persona. — Confronta Atti 6:3, 5; 7:55; 8:15, 17, 19; 9:17; 11:24; 13:9, 52; 19:2; Romani 9:1; 14:17; 15:13, 16, 19; I Corinti 12:3; Ebrei 2:4; 6:4; II Pietro 1:21; Giuda 20 nella Kingdom Interlinear Translation o in altre versioni interlineari.
Battezzati nel suo “nome”
In Matteo 28:19 si fa riferimento al “nome del Padre e del Figlio e dello spirito santo”. Per “nome” a volte si intende qualcosa di diverso da un nome proprio di persona. Quando in italiano diciamo “in nome della legge” o “in nome della giustizia” non ci riferiamo certo a una persona come tale. Con “nome” in queste espressioni intendiamo ‘l’autorità della legge o ciò che rappresenta’ e ‘ciò che la giustizia rappresenta o richiede’. Anche il termine greco per “nome” (ònoma) può avere questo significato. Quindi benché alcune traduzioni di Matteo 10:41 seguano alla lettera il testo greco e dicano che chi “riceve un profeta nel nome di un profeta, riceverà un premio da profeta; e chi riceve un giusto nel nome di un giusto, riceverà un premio da giusto” (AV), traduzioni più moderne dicono “accoglie un profeta in quanto profeta” e “accoglie un giusto in quanto giusto” (Mar, NVB) o “accoglie un profeta appunto perché profeta” e “accoglie un giusto appunto perché giusto” (PIB) e simili. Infatti a proposito di Matteo 28:19 è stato detto: “Questo uso di nome (onoma) è comune nella Settanta e nei papiri nel senso di potere o autorità”. (A. T. Robertson, Word Pictures in the New Testament, Vol. I, p. 245) Perciò il battesimo ‘nel nome dello spirito santo’ implica il riconoscimento che questo spirito ha origine da Dio ed esercita la sua funzione secondo la divina volontà.
Ulteriore prova della sua natura impersonale
Un’altra prova che confuta l’idea che lo spirito santo sia una persona è il modo in cui viene menzionato insieme ad altre cose comuni, come l’acqua e il fuoco (Matt. 3:11; Mar. 1:8); inoltre viene detto che i cristiani sono battezzati “nello spirito santo”. (Atti 1:5; 11:16) Alcuni sono esortati a essere “pieni di spirito” non di vino. (Efes. 5:18) Di altri viene detto che sono “pieni” di spirito e di qualità quali la sapienza e la fede (Atti 6:3, 5; 11:24) o di gioia (Atti 13:52), e in II Corinti 6:6 lo spirito santo è menzionato insieme a diverse qualità del genere. È assai improbabile che espressioni simili sarebbero state usate a proposito di una persona divina. In quanto al fatto che lo spirito ‘rende testimonianza’ (Atti 5:32; 20:23), si noti che in I Giovanni 5:6-8 viene detto lo stesso “dell’acqua e del sangue”. Mentre alcuni versetti dicono che lo spirito ‘testimonia’, ‘parla’, ‘dice’ qualcosa, altri versetti spiegano chiaramente che parlava per mezzo di persone, non avendo voce propria. (Confronta Ebrei 3:7; 10:15-17; Salmo 95:7; Geremia 31:33, 34; Atti 19:2-6; 21:4; 28:25). Si può dunque paragonarlo alle onde radio, in grado di ricevere un messaggio da qualcuno che parla a un microfono e trasmetterlo a persone lontane, in effetti ‘pronunciando’ il messaggio per mezzo di una radio o un altoparlante. Dio, mediante il suo spirito, trasmette i suoi messaggi e comunica la sua volontà alla mente e al cuore dei suoi servitori sulla terra, i quali, a loro volta, possono riferire il messaggio ad altri ancora.
Ben diverso da “potenza”
Rùahh e pnèuma, quando sono usati a proposito dello spirito santo di Dio, si riferiscono alla sua invisibile forza attiva mediante la quale egli attua la sua volontà e il suo divino proposito. È “santo” perché proviene da Lui, non da una fonte terrena, ed è scevro di qualsiasi corruzione essendo “lo spirito di santità”. (Rom. 1:4) Non è la “potenza” di Geova, poiché questo termine italiano traduce più correttamente altri termini delle lingue originali (ebr. kòahh; gr. dỳnamis). Nell’uso che ne viene fatto rùahh e pnèuma sono strettamente legati o equivalgono ai termini che significano “potenza”, il che dimostra che tra loro esiste un’intima connessione eppure una precisa distinzione. (Mic. 3:8; Zacc. 4:6; Luca 1:17, 35: Atti 10:38) “Potenza” è fondamentalmente la possibilità o capacità di agire o fare e può essere inattiva, latente, potenzialmente insita in qualcuno o qualche cosa. “Forza”, viceversa, è più specificatamente l’energia proiettata ed esercitata su persone o cose, e può essere definita “causa capace di alterare lo stato di quiete o di moto di un corpo”. La “potenza” si potrebbe paragonare all’energia racchiusa in una batteria, mentre la “forza” potrebbe corrispondere alla corrente che proviene dalla batteria. “Forza” rende dunque più accuratamente il senso dei termini ebraico e greco riferiti allo spirito di Dio, e questo è confermato da un esame delle Scritture.
NELLA CREAZIONE,
Geova Dio realizzò la creazione dell’universo materiale per mezzo del suo spirito o forza attiva. In riferimento al pianeta Terra nei suoi primi stadi formativi, la Bibbia dichiara che “la forza attiva [o “spirito” (rùahh)] di Dio si muoveva sulla superficie delle acque”. (Gen. 1:2) Il Salmo 33:6 dice: “Mediante la parola di Geova furon fatti gli stessi cieli, e mediante lo spirito della sua bocca tutto il loro esercito”. Come un alito possente, lo spirito di Dio può essere emesso per esercitare potenza anche se non vi è contatto fisico con ciò su cui agisce. (Confronta Esodo 15:8, 10). Dove un artefice umano impiegherebbe la forza delle proprie mani e dita per produrre qualche cosa, Dio impiega il suo spirito. Perciò si parla di questo spirito come delle “mani” o “dita” di Dio. — Confronta Salmo 8:3; 19:1; Matteo 12:28 con Luca 11:20.
GEOVA LO USA A FAVORE DEI SUOI SERVITORI
Una delle principali operazioni dello spirito di Dio riguarda la sua capacità di informare, illuminare e rivelare cose. Perciò Davide poté pregare: “Insegnami a fare la tua volontà, poiché tu sei il mio Dio. Il tuo spirito è buono; mi conduca nel paese della rettitudine”. — Sal. 143:10; vedi ISPIRAZIONE; PROFETA; PROFEZIA.
Varietà di operazioni
Come una forza quale l’elettricità può essere impiegata per fare le cose più svariate, così lo spirito di Dio viene impiegato per affidare incarichi e permettere a determinate persone di fare una gran varietà di cose. (Isa. 48:16; 61:1-3) Dei doni miracolosi dello spirito ai suoi giorni Paolo scrisse: “Ora vi sono varietà di doni, ma vi è lo stesso spirito; e vi sono varietà di ministeri, eppure vi è lo stesso Signore; e vi sono varietà di operazioni, eppure lo stesso Dio compie tutte le operazioni in ogni persona. Ma la manifestazione dello spirito è data a ciascuno per uno scopo utile”. — I Cor. 12:4-7.
Lo spirito ha la forza o il potere di rendere qualificati; può rendere idonei a svolgere un lavoro o ricoprire un incarico. Probabilmente Bezalel e Ooliab conoscevano il mestiere prima di ricevere l’incarico di fare gli arredi del tabernacolo e gli abiti sacerdotali, comunque lo spirito di Dio ‘li riempì di sapienza, intendimento e conoscenza’ affinché il lavoro venisse fatto nel modo voluto. Accrebbe qualsiasi abilità naturale e conoscenza avessero già acquisita, e permise loro di ammaestrare altri. (Eso. 31:1-11; 35:30-35) I progetti architettonici per il successivo tempio furono dati a Davide per ispirazione, cioè per opera dello spirito di Dio. — I Cron. 28:12.
Lo spirito di Dio agiva su Mosè, e per mezzo di lui, permettendogli di profetizzare e compiere atti miracolosi, di guidare la nazione ed essere suo giudice, prefigurando così il futuro ruolo di Cristo Gesù. (Isa. 63:11-13; Atti 3:20-23) Ma per Mosè, essere umano imperfetto, il carico di responsabilità era troppo gravoso, e Dio ‘tolse dello spirito che era su Mosè e lo pose su settanta anziani’ affinché potessero aiutarlo a portare il carico. (Num. 11:11-17, 24-30) Lo spirito divenne operante su Davide dal momento della sua unzione da parte di Samuele, guidandolo e preparandolo per il futuro potere regale. — I Sam. 16:13.
Giosuè divenne “pieno dello spirito di sapienza” quale successore di Mosè. Ma lo spirito non produsse in lui la capacità di profetizzare e compiere opere miracolose come in Mosè. (Deut. 34:9-12) Tuttavia permise a Giosuè di guidare Israele nella campagna militare che portò alla conquista di Canaan. Similmente lo spirito di Dio “avvolse” altri uomini, quali Otniel, Gedeone, Iefte, Sansone e altri, ‘spingendoli’ a combattere a favore del popolo di Dio. — Giud. 3:9, 10; 6:34; 11:29; 13:24, 25; 14:5, 6, 19; 15:14.
Giudica e fa giustizia
Mediante il suo spirito Dio fa giustizia su uomini e nazioni, e anche esegue la condanna, punendo o distruggendo. (Isa. 30:27, 28; 59:18, 19) In questi casi rùahh si può correttamente tradurre “soffio”, come quando Geova parla di ‘scatenare nel suo furore un soffio [rùahh] di turbini’. (Ezec. 13:11, 13; confronta Isaia 25:4; 27:8). Lo spirito di Dio può arrivare dappertutto, agendo a favore o contro coloro a cui rivolge la sua attenzione. — Sal. 139:7-12.
In Rivelazione 1:4 sono menzionati i “sette spiriti” di Dio che sono davanti al suo trono e poi sono pronunciati sette messaggi, ciascuno dei quali termina con l’esortazione a udire “ciò che lo spirito dice alle congregazioni”. (Riv. 2:7, 11, 17, 29; 3:6, 13, 22) Questi messaggi contengono profonde dichiarazioni di giudizio e promesse di ricompensa per la fedeltà. Viene mostrato che il Figlio di Dio ha questi “sette spiriti di Dio” (Riv. 3:1) e questi sono definiti “sette lampade di fuoco” (Riv. 4:5), e anche sette occhi dell’agnello che è stato scannato, “i quali occhi significano i sette spiriti di Dio che sono stati mandati in tutta la terra”. (Riv. 5:6) Poiché il sette viene usato in altri brani profetici per indicare completezza (vedi NUMERO, NUMERAZIONE), sembra che questi sette spiriti rappresentino tutta l’effettiva capacità di osservare, discernere o investigare del glorificato Gesù Cristo, l’Agnello di Dio, che gli permette di passare in rassegna tutta la terra.
La Parola di Dio è la “spada” dello spirito (Efes. 6:17), che rivela ciò che uno realmente è, scopre qualità o sentimenti nascosti, e intenerisce il cuore e induce a conformarsi alla volontà di Dio espressa da quella Parola o indurisce il cuore nella ribellione. (Ebr. 4:11-13; confronta Isaia 6:9, 10; 66:2, 5). La Parola di Dio ha perciò una parte importante nel predire giudizi avversi e, poiché si deve avverare, il suo adempimento produce un’azione simile a quella del fuoco sulla paglia e di un maglio che frantuma la rupe. (Ger. 23:28, 29) Cristo Gesù, il principale Portavoce di Dio, “La Parola di Dio”, dichiara i divini messaggi di giudizio ed è autorizzato a ordinarne l’esecuzione su coloro che sono stati giudicati. Questo è senza dubbio il significato dei riferimenti al fatto che elimina i nemici di Dio “con lo spirito [la forza attivante] della sua bocca”. — Confronta II Tessalonicesi 2:8; Isaia 11:3, 4; Rivelazione 19:13-16, 21.
Un “soccorritore” per la congregazione cristiana
Come aveva promesso, una volta asceso al cielo Gesù chiese al Padre lo spirito santo o forza attiva di Dio, gli fu concessa l’autorità di usare quello spirito e il giorno di Pentecoste ‘lo versò’ sui discepoli fedeli, e da allora continua a far questo per coloro che si volgono a Dio mediante il Figlio suo. (Giov. 14:16, 17, 26; 15:26; 16:7; Atti 1:4, 5; 2:1-4, 14-18, 32, 33, 38) Come erano stati battezzati nell’acqua, ora furono tutti “battezzati in un solo corpo” mediante quell’unico spirito, essendo per così dire immersi in esso, un po’ come un pezzo di metallo può essere immerso in un campo magnetico e in tal modo assorbire forza magnetica. (I Cor. 12:12, 13; confronta Marco 1:8; Atti 1:5). Benché lo spirito di Dio avesse operato anche prima sui discepoli, com’è evidenziato dalla loro capacità di espellere demoni (confronta Matteo 12:28; Marco 3:14, 15), ora operava su di loro in maniera molto più intensa e ampia e in modi nuovi mai provati prima. — Confronta Giovanni 7:39.
Quale re messianico Cristo Gesù ha “lo spirito di sapienza e d’intendimento, lo spirito di consiglio e di possanza, lo spirito di conoscenza e del timore di Geova”. (Isa. 11:1, 2; 42:1-4; Matt. 12:18-21) Questa forza tesa alla giustizia si manifesta nell’uso che egli fa dello spirito o forza attiva di Dio per dirigere la congregazione cristiana sulla terra, essendone, per incarico di Dio, il Capo, Proprietario e Signore. (Col. 1:18; Giuda 4) Come “soccorritore” quello spirito dava ora loro maggiore intendimento del proposito e della volontà di Dio e dischiudeva loro la sua Parola profetica. (I Cor. 2:10-16; Col. 1:9, 10; Ebr. 9:8-10) Infondeva loro l’energia necessaria per servire quali testimoni in tutta la terra (Luca 24:49; Atti 1:8; Efes. 3:5, 6), conferiva miracolosi ‘doni dello spirito’ che permettevano loro di parlare in lingue straniere, profetizzare, compiere guarigioni e altre attività che avrebbero facilitato la proclamazione della buona notizia e fornito la prova del mandato e appoggio di Dio. — Rom. 15:18, 19; I Cor. 12:4-11; 14:1, 2, 12-16; confronta Isaia 59:21.
Quale Sorvegliante della congregazione, Gesù usò lo spirito in funzione governativa, per guidare nella scelta di uomini a cui affidare missioni speciali e incarichi di sorveglianza, insegnamento e “raggiustamento” della congregazione (Atti 13:2-4; 20:28; Efes. 4:11, 12, NW), per spronarli, e anche frenarli, per indicare dove concentrare i loro sforzi nel ministero (Atti 16:6-10; 20:22), e per renderli efficaci scrittori di ‘lettere di Cristo, incise con lo spirito di Dio su tavolette carnali, su cuori umani’. (II Cor. 3:2, 3; I Tess. 1:5) Come promesso, lo spirito rinfrescò loro la memoria, stimolò le loro facoltà mentali e li rinfrancò quando davano testimonianza anche davanti a governanti. — Confronta Matteo 10:18-20; Giovanni 14:26; Atti 4:5-8, 13, 31; 6:8-10.
Come “pietre viventi” dovevano costituire un tempio spirituale basato su Cristo, tempio mediante il quale si potessero fare “sacrifici spirituali” (I Piet. 2:4-6; Rom. 15:15, 16) e cantare cantici spirituali (Efes. 5:18, 19), e in cui Dio potesse risiedere mediante lo spirito. (I Cor. 3:16; 6:19, 20; Efes. 2:20-22; confronta Aggeo 2:5). Lo spirito di Dio è una forza unificatrice enormemente potente e, finché permettevano che agisse liberamente fra loro, li univa pacificamente insieme in vincoli di amore e devozione a Dio, al Figlio suo, e l’uno per l’altro. (Efes. 4:3-6; I Giov. 3:23, 24; 4:12, 13; confronta I Cronache 12:18). Il dono dello spirito non li preparò a svolgere attività manuali, come era avvenuto nel caso di Bezalel e altri che fabbricarono e produssero strutture e arredi materiali, ma li preparò per compiere opere spirituali quali insegnare, guidare, pascere e consigliare. Il tempio spirituale che formavano doveva essere adorno dei bei frutti dello spirito di Dio, e il frutto di “amore, gioia, pace, longanimità, benignità, bontà, fede” e simili era chiara prova che lo spirito di Dio operava in loro e fra loro. (Gal. 5:22, 23; confronta Luca 10:21; Romani 14:17). Questo era il fattore principale e fondamentale che produceva fra loro ordine e guida efficace. (Gal. 5:24-26; 6:1; Atti 6:1-7; confronta Ezechiele 36:26, 27). Essi si sottomisero alla ‘legge dello spirito’, un’effettiva forza tesa alla giustizia che agiva per eliminare le abitudini della carne naturalmente peccaminosa. (Rom. 8:2; Gal. 5:16-21; Giuda 19-21) Essi confidavano nell’energia dello spirito di Dio operante in loro, non in un bagaglio di esperienze o capacità naturali. -I Cor. 2:1-5; Efes. 3:14-17; Filip. 3:1-8.
Quando sorgevano problemi, lo spirito santo aiutava a trovare una soluzione, come nel caso della circoncisione, risolto dal corpo o consiglio di apostoli e anziani di Gerusalemme. Pietro riferì che lo spirito era stato concesso a persone incirconcise delle nazioni, Paolo e Barnaba descrissero come aveva operato lo spirito nel loro ministero fra persone del genere, e Giacomo, senza dubbio aiutato dallo spirito santo a ricordare le Scritture, richiamò l’attenzione sulla ispirata profezia di Amos, in cui era stato predetto che il nome di Dio sarebbe stato invocato su persone delle nazioni. Così tutta l’energia o la spinta dello spirito santo di Dio puntava in un’unica direzione, e quindi, riconoscendolo, nello scrivere la lettera che esponeva la loro decisione, questo corpo o consiglio disse: “Allo spirito santo e a noi è parso bene di non aggiungervi nessun altro peso, eccetto queste cose necessarie”. — Atti 15:1-29.
Unge, genera, dà “vita spirituale”
Come Dio aveva unto Gesù con spirito santo al momento del suo battesimo (Mar. 1:10; Luca 3:22; 4:18; Atti 10:38), così ora ungeva i discepoli di Gesù. (II Cor. 1:21) Questa unzione con lo spirito era per loro una “caparra” dell’eredità celeste a cui erano ora chiamati (II Cor. 1:21, 22; 5:1, 5; Efes. 1:13, 14) e attestava loro che erano stati ‘generati’ da Dio quali suoi figli con la promessa di una vita spirituale nei cieli. (Giov. 3:5-8; Rom. 8:14-17, 23; Tito 3:5; Ebr. 6:4, 5) Erano purificati, santificati e dichiarati giusti “nel nome del nostro Signore Gesù Cristo e con lo spirito del nostro Dio”, spirito mediante il quale Gesù era stato autorizzato a provvedere il sacrificio di riscatto e diventare sommo sacerdote di Dio. — I Cor. 6:11; II Tess. 2:13; Ebr. 9:14; I Piet. 1:1, 2.
A motivo di questa chiamata ed eredità celeste, i seguaci di Gesù unti dallo spirito avevano una vita spirituale, pur vivendo ancora come creature carnali, imperfette. A questo si riferiva evidentemente l’apostolo nel fare un paragone fra i padri terreni e Geova Dio, il “Padre della nostra vita spirituale [lett. “Padre degli spiriti”]”. (Ebr. 12:9; confronta v. Ebr. 12:23) Quali coeredi di Cristo, destinati a essere risuscitati da morte con un corpo spirituale a immagine del suo corpo celeste, devono vivere sulla terra come “un solo spirito”, uniti a lui, il loro Capo, senza lasciarsi dominare dai desideri o dalle tendenze immorali della carne, cosa che potrebbe anche farli diventare “una sola carne” con una meretrice. — I Cor. 6:15-18; 15:44-49; Rom. 8:5-17.
Ricevere e conservare lo spirito di Dio
Lo spirito santo è il “gratuito dono” di Dio, che egli è ben lieto di concedere a coloro che sinceramente lo ricercano e lo chiedono. (Atti 2:38; Luca 11:9-13) Un cuore retto è il fattore fondamentale (Atti 15:8), ma è pure importante conoscere e rispettare le esigenze di Dio. (Confronta Atti 5:32; 19:2-6). Una volta ricevuto lo spirito di Dio, il cristiano non lo deve ‘contristare’ ignorandolo (Efes. 4:30; confronta Isaia 63:10), tenendo una condotta contraria alla sua direttiva, volgendo il cuore a obiettivi diversi da quelli a cui tende lo spirito e rifiutando di mettere in pratica l’ispirata Parola di Dio e i suoi consigli. (Atti 7:51-53; I Tess. 4:8; confronta Isaia 30:1, 2). Con l’ipocrisia si può ingannare lo spirito santo con cui Cristo dirige la congregazione, e coloro che in questo modo vogliono “provare” la sua potenza vanno incontro al disastro. (Atti 5:1-11; paragona Romani 9:1). La volontaria opposizione e ribellione all’evidente manifestazione dello spirito di Dio può costituire una bestemmia contro quello spirito, un peccato imperdonabile. — Matt. 12:31, 32; Mar. 3:29, 30; confronta Ebrei 10:26-31.
ALITO; ALITO DI VITA; FORZA VITALE
Nel descrivere la creazione dell’uomo viene detto che Dio formava l’uomo dalla polvere della terra e quindi “gli soffiava [naphàhh] nelle narici l’alito [neshamàh] della vita, e l’uomo divenne un’anima [nèphesh] vivente”. (Gen. 2:7) Come viene spiegato alla voce ANIMA, il termine nèphesh può essere tradotto letteralmente “uno che respira”, cioè “creatura che respira”, sia umana che animale. Neshamàh infatti è usato nel senso di “cosa [o creatura] che respira” e come tale è in effetti sinonimo di nèphesh, “anima”. (Confronta Deuteronomio 20:16; Giosuè 10:39, 40; 11:11; I Re 15:29). In Genesi 2:7 il termine neshamàh, è usato per descrivere come Dio diede vita al corpo di Adamo così che l’uomo divenne “anima vivente”. Altri versetti però spiegano che ciò comportava più che il semplice respirare aria, cioè più che la semplice introduzione ed espulsione di aria nei polmoni. Infatti in Genesi 7:22, nel descrivere la distruzione di ogni vita umana e animale fuori dell’arca al tempo del Diluvio, viene detto: “Tutto ciò nelle cui narici era attivo l’alito [neshamàh] della forza [o “spirito” (rùahh)] della vita, cioè tutto ciò che era sulla terra asciutta, morì”. Neshamàh, “alito”, è quindi associato o collegato direttamente con rùahh, che qui si riferisce allo “spirito” o “forza vitale” che è attiva in tutte le creature viventi, in tutte le anime umane e animali.
Come afferma il Grande lessico del Nuovo Testamento (Vol. X, col. 779): “In quanto è aria, e dato che questa si può avvertire solo nel movimento [per esempio il movimento del torace o il dilatarsi delle narici] e proprio in questo è segno, condizione e veicolo di vita (la quale specialmente come manifestazione sensibile appare legata al respiro)”. Quindi la neshamàh o il semplice alito è sia il prodotto della rùahh o forza vitale che un importante mezzo per sostenere quella forza vitale nelle creature viventi. Attraverso studi scientifici si sa per esempio che la vita è presente in ogni singola cellula dei miliardi di cellule del corpo e, anche se migliaia di milioni di cellule muoiono ogni minuto, continua la costante riproduzione di nuove cellule viventi. La forza vitale attiva in tutte le cellule viventi dipende dall’ossigeno che il respiro immette nel corpo, ossigeno che viene trasportato in tutte le cellule dal torrente sanguigno. Senza ossigeno alcune cellule cominciano a morire nel giro di minuti, altre dopo un periodo di tempo più lungo. Uno può stare senza respirare per alcuni minuti eppure sopravvivere, ma se nelle cellule manca la forza vitale muore senza che sia umanamente possibile rianimarlo. Le Scritture Ebraiche, ispirate dal Progettista e Creatore dell’uomo, usano evidentemente rùahh per indicare questa forza vitale che è il principio stesso della vita, e neshamàh per indicare il respiro che la sostiene.
Poiché il respiro è così inseparabilmente connesso con la vita, neshamàh e rùahh sono usati parallelamente in diversi versetti. Giobbe espresse la determinazione di evitare ogni ingiustizia ‘mentre il suo respiro [neshamàh] era ancora tutto dentro di lui, e lo spirito [rùahh] di Dio era nelle sue narici’. (Giob. 27:3-5) Eliu disse: “Se [Dio] raccoglie a sé lo spirito [rùahh] e il respiro [neshamàh] di lui, ogni carne spirerà [cioè “esalerà l’ultimo respiro”] insieme, e l’uomo terreno stesso tornerà alla medesima polvere”. (Giob. 34:14, 15) Similmente il Salmo 104:29 dice delle creature terrestri, sia umane che animali: “Se porti via il loro spirito, spirano, e tornano alla loro polvere”. In Isaia 42:5 si parla di Geova come di “Colui che stende la terra e il suo prodotto, Colui che dà alito al popolo su di essa, e spirito a quelli che vi camminano”. (NW) Il respiro o alito (neshamàh) sostiene la loro esistenza; lo spirito (rùahh) infonde energia ed è la forza vitale che permette all’uomo di essere una creatura animata, di muoversi, camminare, essere attivo. (Confronta Atti 17:28). Di non essere come gli idoli di fabbricazione umana, inanimati, privi di respiro e di vita. — Sal. 135:15, 17; Ger. 19:14; 51:17; Abac. 2:19.
Benché a volte neshamàh (“alito”) e rùahh (“spirito”, “forza attiva”, “forza vitale”) siano usati con significato parallelo, non sono però sinonimi. È vero che a volte si parla dello “spirito” o rùahh come se fosse la respirazione (neshamàh) stessa, ma questo solo perché il respiro è la principale prova visibile che nel corpo c’è forza vitale. — Giob. 9:18; 19:17; 27:3.
Infatti in Ezechiele 37:1-10 è descritta la simbolica visione della valle piena di ossa secche, ossa che si avvicinavano fra loro, si coprivano di tendini, carne e pelle, ma “riguardo all’alito [rùahh], non ce n’era in loro”. A Ezechiele fu detto di profetizzare “al vento [rùahh]”, dicendo: “Dai quattro venti [rùahh] vieni, o vento, e soffia su questi uccisi, affinché tornino in vita”. La menzione dei quattro venti indica che in questo caso vento è l’appropriata traduzione di rùahh. Tuttavia quando questo “vento”, che è semplicemente aria in movimento, entrò nelle narici dei morti della visione diventò “alito”, che pure è aria in movimento. Quindi a questo punto della descrizione (v. 10) è più appropriato tradurre rùahh “alito” che “spirito” o “forza vitale”. Inoltre Ezechiele avrebbe visto che i corpi cominciavano a respirare, mentre non poteva vedere la forza vitale o spirito che infondeva loro energia.
Come mostrano i versetti 11-14, questa visione rappresentava un ritorno alla vita spirituale (non fisica) del popolo di Israele, che per un tempo era stato in una condizione di morte spirituale durante l’esilio in Babilonia. Poiché erano già fisicamente vivi e respiravano, è logico rendere rùahh “spirito” nel versetto 14, dove Dio dichiara che avrebbe messo ‘il suo spirito’ in loro affinché tornassero in vita spiritualmente parlando.
Una simile visione simbolica si trova in Rivelazione capitolo 11. Si vedono “due testimoni” uccisi e i loro cadaveri lasciati giacere sulla strada per tre giorni e mezzo. Poi “spirito [o alito, pnèuma] di vita da Dio entrò in loro, ed essi si rizzarono in piedi”. (Riv. 11:1-11) Questa visione si richiama ancora una volta a una realtà fisica per illustrare un ritorno alla vita spirituale. Inoltre indica che il termine greco pnèuma, come l’ebraico rùahh, può rappresentare la forza vivificante che proviene da Dio e anima la persona o anima umana. Come dice Giacomo 2:26: “Il corpo senza spirito [pnèuma] è morto”. — Int.
Perciò quando Dio creò l’uomo in Eden e gli soffiò nelle narici “l’alito [neshamàh] della vita” è evidente che in tal modo, simultaneamente, mediante la forza vitale o spirito (rùahh) Dio diede vita a tutte le cellule del corpo di Adamo. — Gen. 2:7; confronta Salmo 104:30; Atti 17:25.
Al concepimento questa forza vitale viene trasmessa dai genitori ai figli. Poiché la forza vitale dell’uomo ha avuto origine da Geova, che è anche l’Autore del processo della procreazione, si può giustamente attribuire a Lui la propria vita, non direttamente, ma indirettamente per mezzo dei propri genitori. — Confronta Giobbe 10:9-12; Salmo 139:13-16; Ecclesiaste 11:5.
La forza vitale o spirito è impersonale
Come si è visto le Scritture parlano di rùahh o forza vitale presente non solo negli esseri umani ma anche negli animali. (Gen. 6:17; 7:15, 22) Ecclesiaste 3:18-22 spiega che l’uomo muore proprio come le bestie, poiché “tutti hanno un solo spirito [rùahh], così che non c’è nessuna superiorità dell’uomo sulla bestia”, vale a dire in quanto alla forza vitale comune a entrambi. Da questo è evidente che lo “spirito” o forza vitale (rùahh) usato in questo senso è impersonale. Per fare un esempio, si potrebbe paragonarlo a un’altra forza invisibile, l’elettricità, che può far funzionare vari tipi di macchine — stufe per produrre calore, ventilatori per fare vento, calcolatori per risolvere problemi, televisori per trasmettere immagini, voci e altri suoni — eppure la corrente elettrica non assume mai le caratteristiche delle macchine che attiva o fa funzionare.
Perciò il Salmo 146:3, 4 dice che quando ‘lo spirito [rùahh] dell’uomo se ne esce, egli torna alla sua terra; in quel giorno periscono i suoi pensieri’. Lo spirito, o forza vitale, che è attivo nelle cellule del corpo umano non ritiene alcuna delle caratteristiche di quelle cellule, per esempio le cellule del cervello e la parte che hanno nei processi mentali. Se lo spirito o forza vitale (rùahh, pnèuma) non fosse impersonale, i figli di quelle vedove israelite risuscitati dai profeti Elia ed Eliseo avrebbero effettivamente avuto un’esistenza cosciente in qualche posto durante il periodo in cui erano morti. E anche Lazzaro, che fu risuscitato circa quattro giorni dopo la morte. (I Re 17:17-23; II Re 4:32-37; Giov. 11:38-44) Se le cose fossero andate così, sarebbe ragionevole pensare che avrebbero ricordato l’esistenza cosciente di quel periodo e una volta risuscitati l’avrebbero descritta, ne avrebbero parlato. Ma non c’è nessuna indicazione che abbiano fatto qualcosa del genere. Quindi la personalità del defunto non si perpetua nella forza vitale o spirito che smette di funzionare nelle cellule del suo corpo.
Ecclesiaste 12:7 dice che alla morte il corpo torna alla polvere “e lo spirito stesso torna al vero Dio che l’ha dato”. La persona non è mai stata in cielo con Dio: quello che “torna” a Dio è dunque la forza vitale che l’aveva tenuta in vita.
Data la natura impersonale della forza vitale o spirito che si trova nell’uomo (e anche negli animali) è evidente che le parole di Davide nel Salmo 31:5, citate da Gesù in punto di morte (Luca 23:46), “nelle tue mani affido il mio spirito”, erano un’invocazione a Dio affinché ne custodisse la forza vitale o se ne prendesse cura. (Confronta Atti 7:59). Per questo non è necessario che avvenga un’effettiva e letterale trasmissione di forza da questo pianeta alla celeste presenza di Dio. Proprio come viene detto che Geova “sentiva” il profumo dei sacrifici animali (Gen. 8:20, 21), mentre quel profumo senza dubbio rimaneva all’interno dell’atmosfera terrestre, così pure Dio poteva ‘accogliere’ lo spirito o forza vitale affidata a lui in senso figurativo, cioè senza alcuna letterale trasmissione di forza vitale dalla terra. (Giob. 34:14; Luca 23:46) Quindi affidare il proprio spirito a Dio significa evidentemente riporre in Lui la speranza che in futuro quella forza vitale verrà restituita mediante una risurrezione. — Confronta Numeri 16:22; 27:16; Giobbe 12:10; Salmo 104:29,30.
FORZA ATTIVANTE
Rùahh e pnèuma sono usati entrambi per indicare la forza che permette di manifestare un determinato atteggiamento o sentimento o di seguire una determinata linea d’azione. Tale forza insita nella persona è invisibile, ma produce effetti visibili. Questo uso dei termini ebraico e greco resi “spirito”, e fondamentalmente attinenti all’alito o aria in movimento, trova un parallelo in diverse espressioni italiane. Infatti diciamo che uno ‘si dà delle arie’, oppure che ha ‘un’aria calma’ o ‘un cattivo spirito’. Parlando di un gruppo di persone e della forza attivante o motivante prevalente fra loro si può dire di ‘entrare nello spirito dell’occasione’ per cui sono riunite, o riferirsi allo ‘spirito di violenza’ di cui sono pervase. Metaforicamente possiamo riferirci a ‘un’atmosfera di malcontento’ o a ‘venti di trasformazione o rivoluzione che investono una nazione’. Con tutte queste espressioni ci riferiamo a questa invisibile forza attivante, che opera nei singoli individui e li spinge a parlare e agire in un determinato modo.
Similmente leggiamo dell’“amarezza di spirito” provata da Isacco e Rebecca a motivo del matrimonio di Esaù con donne ittite (Gen. 26:34, 35), e dello ‘spirito triste’ che aveva pervaso Acab, togliendogli l’appetito. (I Re 21:5) Uno “spirito di gelosia” poteva indurre un uomo a vedere la moglie con sospetto, al punto di accusarla di adulterio. — Num. 5:14, 30.
Il significato fondamentale di forza incentivante che determina le parole e le azioni di una persona è evidente anche nella descrizione di Giosuè come di un “uomo in cui c’è spirito” (Num. 27:18), e di Caleb che aveva manifestato uno “spirito diverso” da quello della maggioranza degli israeliti demoralizzati dalle cattive notizie avute dai dieci esploratori. (Num. 14:24) Elia era un uomo molto energico e vigoroso nel servizio zelante che rendeva a Dio, ed Eliseo, suo successore, chiese di avere “due parti” dello spirito di Elia. (II Re 2:9, 15) Giovanni il Battezzatore manifestò lo stesso vigoroso ed energico zelo di Elia e per questo faceva una profonda impressione sui suoi ascoltatori; quindi si poteva dire che era venuto “con lo spirito e la potenza di Elia”. (Luca 1:17) Viceversa la ricchezza e la potenza di Salomone fecero rimanere senza fiato la regina di Saba tanto che “non ci fu più spirito in lei”. (I Re 10:4, 5) Con questo stesso significato fondamentale, il proprio spirito o forza attivante può essere ‘eccitato’ o ‘destato’ (I Cron. 5:26; Esd. 1:1, 5; Agg. 1:14; confronta Ecclesiaste 10:4), ‘agitarsi’ o essere ‘irritato’ (Gen. 41:8; Dan. 2:1, 3; Atti 17:16), ‘calmarsi’ (Giud. 8:3), essere ‘angustiato’, ‘venir meno’ (Giob. 7:11; Sal. 142:2, 3; confronta Giovanni 11:33; 13:21), essere ‘ravvivato’ o “ristorato”. — Gen. 45:27, 28; Isa. 57:15, 16; I Cor. 16:17, 18; II Cor. 7:13; confronta II Corinti 2:13.
Viene dato grande risalto all’assoluta necessità di dominare il proprio spirito. “Come una città diroccata, senza mura, è l’uomo che non tiene a freno il suo spirito”. (Prov. 25:28) Alla minima provocazione può agire come lo stupido che, impaziente, ‘emette tutto il suo spirito’, mentre il saggio lo “tiene calmo sino alla fine”. (Prov. 29:11; confronta 14:29, 30). Una volta Mosè, eccessivamente irritato dagli israeliti che ‘avevano amareggiato il suo spirito’, ‘parlò aspramente con le sue labbra’, a suo proprio danno. (Sal. 106:32, 33) Quindi “chi è lento all’ira è migliore di un uomo potente, e chi controlla il suo spirito di uno che cattura una città”. (Prov. 16:32) Per questo ci vuole umiltà (Prov. 16:18, 19; Eccl. 7:8, 9); infatti “chi è umile di spirito afferrerà la gloria”. (Prov. 29:23) Conoscenza e discernimento permettono di essere ‘freddi di spirito’, controllando la propria lingua. (Prov. 17:27; 15:4) Geova “fa una stima degli spiriti” e giudica quelli che non ‘si guardano rispetto al proprio spirito’. — Prov. 16:2; Mal. 2:14-16.
Spirito mostrato collettivamente
Come un singolo individuo può manifestare un determinato spirito, così anche un gruppo di persone può collettivamente mostrare un determinato spirito. (Gal. 6:18; I Tess. 5:23) La congregazione cristiana doveva essere unita nello spirito, riflettendo lo spirito del proprio Capo, Cristo Gesù. — II Cor. 11:4; Filip. 1:27; confronta II Corinti 12:18; Filippesi 2:19-21.
Paolo menziona “lo spirito del mondo” in contrasto con lo spirito di Dio. (I Cor. 2:12) Dominato dall’avversario di Dio (I Giov. 5:19), il mondo mostra uno spirito che accarezza i desideri della carne decaduta, uno spirito di egoismo che causa inimicizia con Dio. (Efes. 2:1-3; Giac. 4:5) Come avvenne all’Israele infedele, l’impura motivazione del mondo produce fornicazione, sia fisica che spirituale, e idolatria. — Osea 4:12, 13; 5:4; Zacc. 13:2; confronta II Corinti 7:1.