Il “pastore eccellente” e le sue “altre pecore”
“E ho altre pecore che non sono di questo ovile; quelle pure devo condurre”. — Giov. 10:16.
1. Che differenza c’è fra il “pastore eccellente” e un “salariato”?
UN BUON pastore differisce da un salariato che si interessa solo della paga dovutagli. Gesù disse: “Io sono il pastore eccellente; il pastore eccellente cede la sua anima a favore delle pecore. Il salariato, che non è pastore e a cui le pecore non appartengono come sue proprie, vede venire il lupo e abbandona le pecore e fugge — e il lupo le porta via e le disperde — perché è un salariato e non si cura delle pecore”. — Giov. 10:11-13.
2. (a) Dicendo che “il pastore eccellente cede la sua anima a favore delle pecore”, a quale momento della sua stessa vita si riferiva Gesù? (b) A quale scopo generale servì la rinuncia di Gesù alla sua anima umana?
2 In Medio Oriente, nell’antichità, pascolare le pecore comportava dei pericoli. Ricordiamo che una volta il giovane pastore Davide dovette uccidere un orso e un leone per salvare la vita alle pecore di suo padre Iesse. (I Sam. 17:34-36) Gesù parlò di lupi che portavano via le pecore. Per scacciare un lupo, il pastore rischiava di ferirsi. Un buon pastore non sarebbe fuggito in cerca di sicurezza come un salariato, ma avrebbe protetto le pecore dagli animali da preda. Il “pastore eccellente” sarebbe stato pronto anche a ‘cedere la sua anima a favore delle pecore’, pur di non perderne nemmeno una. Richiamando l’attenzione su questo fatto, Gesù prediceva la sua stessa morte come anima umana a favore delle “pecore” di Geova. Gesù era pronto a mostrarsi all’altezza di questa caratteristica di un “pastore eccellente”. Il suo Padre celeste, Geova Dio, il Proprietario delle “pecore” terrene, era disposto a lasciare che suo Figlio cedesse la sua anima umana a favore delle “pecore” che il Padre amava moltissimo. L’“anima” umana di Gesù fu offerta come sacrificio di riscatto per riacquistare il genere umano dalla morte ereditata dal peccatore Adamo.
3. (a) In base a Giovanni 10:14, 15, a cosa si paragonò Gesù in relazione al Padre? (b) Per condividere la promessa abraamica col “piccolo gregge”, cosa fu disposto a fare Gesù?
3 Un “pastore eccellente” conosce anche intimamente ciascuna pecora del gregge e le dà un nome col quale chiamarla per poterla accarezzare o averne cura. Avendo in mente questa caratteristica di un pastore mediorientale, Gesù proseguì dicendo: “Io sono il pastore eccellente, e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre; e io cedo la mia anima per le pecore”. (Giov. 10:14, 15) Gesù stesso si considerava una simbolica “pecora”. Era “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. (Giov. 1:29) Nell’ultimo libro della Bibbia, Rivelazione, egli è chiamato l’“Agnello” 28 volte. Gesù sapeva di essere stato prefigurato dal montone offerto dal patriarca Abraamo al posto di Isacco, il figlio che Abraamo si era mostrato pronto a offrire in sacrificio dietro comando di Geova. (Gen. 22:1-13) Isacco ricevette la promessa abraamica e la trasmise a Giacobbe. Come Isacco, Gesù ereditò la promessa abraamica e fu disposto a sacrificarsi per poterla condividere con il suo “piccolo gregge”.
4. Gesù aveva forse ‘portato via’ il “piccolo gregge” alla mano del Padre, e in che modo Gesù considerava quel “gregge”?
4 È chiaro, quindi, che Gesù s’interessava sinceramente della salvezza del “piccolo gregge” racchiuso nell’“ovile” della disposizione del patto abraamico. Considerava quel “gregge” un preziosissimo dono del suo Padre celeste. Infatti disse: “Ciò che il Padre mio mi ha dato è qualche cosa di più grande di tutte le altre cose, e nessuno può portarle via alla mano del Padre”. — Giov. 10:29.
“HO ALTRE PECORE”
5. Cosa indica che Gesù non si interessa di salvare soltanto pecorelle umane per la vita celeste?
5 Anche se le chiese della cristianità non la pensano così, Gesù non s’interessa soltanto di salvare creature umane per la vita celeste. Gesù disse: “E ho altre pecore che non sono di questo ovile; quelle pure devo condurre, ed esse ascolteranno la mia voce, e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”. (Giov. 10:16) Chi sono queste “altre pecore”?
6. (a) Cosa insegnano le chiese della cristianità riguardo a “questo ovile” e alle “altre pecore”? (b) Cosa indicano l’accenno di Gesù al paradiso in Luca 23:43 e la sua parabola delle pecore e dei capri?
6 Le chiese della cristianità affermano che l’“ovile” di cui Gesù parlava doveva contenere solo cristiani giudei, mentre le “altre pecore” sarebbero quelli che diventano cristiani di fra i non giudei o gentili; e che sia i credenti giudei che i credenti gentili divengono “un solo gregge” sotto il “solo pastore” nell’unico ovile spirituale. Ma questo insegnamento non è in armonia con altri brani biblici che trattano il soggetto. Anche se l’apostolo Giovanni non lo menziona nel suo Vangelo, Gesù parlò in effetti di un paradiso terrestre sotto il suo regno, e si riferì ad altri come a “pecore” oltre al “piccolo gregge” dei suoi coeredi celesti. Secondo il racconto di Matteo, Gesù concluse la profezia sul “segno” della sua presenza (allora futura) e del termine del sistema di cose narrando la parabola delle pecore e dei capri. Quelle “pecore” erano diverse dai “fratelli” spirituali di Cristo ai quali tali simboliche pecore facevano del bene. — Luca 23:43; Matt. 24:3; 25:31-46.
7. Perché Giovanni poteva ricordare bene la parabola di Gesù delle pecore e dei capri e avere le idee chiare sul numero degli appartenenti a ciò che è chiamato “questo ovile”?
7 L’apostolo Giovanni conosceva quella parabola, perché egli e suo fratello Giacomo, insieme a Pietro e ad Andrea, erano stati quelli che avevano spinto Gesù a pronunciare quella profezia, chiedendogli privatamente informazioni sul “segno”, e Giovanni aveva sentito quella profezia per intero. (Mar. 13:3, 4) Perciò, quando scrisse le parole di Gesù circa le “altre pecore”, poté ben ricordarsi della parabola delle pecore e dei capri. Egli fu anche l’anziano apostolo che ricevette la Rivelazione, secondo cui le dodici tribù dell’Israele spirituale sarebbero state composte di soli 144.000 membri. Sapeva quindi che l’“ovile” in cui si trova il “piccolo gregge” avrebbe contenuto solo un numero limitato di tutti i salvati.
8. A quale parte di un albero l’apostolo Paolo paragona le dodici tribù dell’Israele spirituale, e, in modo tipico, cosa rappresentavano le parti principali di quell’albero simbolico?
8 In Romani capitolo 11, l’apostolo Paolo paragona quelle dodici tribù dell’Israele spirituale ai rami di un ulivo coltivato. La radice di quel simbolico ulivo fu prefigurata dal patriarca Abraamo, l’antenato della nazione d’Israele secondo la carne. Il tronco dell’albero rappresentava quindi i successivi patriarchi, Isacco, Giacobbe e i dodici capi patriarcali delle dodici tribù dell’Israele naturale. (Atti 7:8) I rami che crescevano dal tronco rappresentavano i componenti giudei delle dodici tribù del circonciso Israele naturale. Per nascita questi erano eredi della promessa abraamica relativa al “seme” per mezzo del quale tutte le famiglie e le nazioni della terra si sarebbero benedette con la prospettiva della vita eterna. Per questa ragione i circoncisi giudei naturali furono i primi ad avere l’opportunità di entrare a far parte di quel ‘seme di Abraamo’.
9. Data la loro natura, cos’erano quei simbolici “rami”, e chi era quindi la vera “radice” e chi il tronco?
9 Sappiamo però che quel “seme” è un seme spirituale, i cui componenti sono generati da Geova Dio per essere suoi figli spirituali. Egli era la vera “radice” di quell’ulivo spirituale. Suo Figlio, Gesù Cristo, era il componente principale ed essenziale di quel “seme” del più grande Abraamo, Geova Dio, e quindi Gesù Cristo era rappresentato dal tronco di quell’ulivo simbolico. Di conseguenza, i “rami” di tale albero rappresenterebbero i fedeli discepoli che divengono suoi coeredi quali componenti secondari dello spirituale ‘seme di Abraamo’. Ebbene, il numero di quei rami era illimitato?
10. In che modo, in Romani 11:11-32, Paolo fa capire che il simbolico ulivo avrebbe avuto solo un limitato numero di “rami”?
10 L’apostolo Paolo mostra che quell’ulivo spirituale avrebbe avuto solo un limitato numero di “rami”. In che modo? Indicando che quando uno dei rami naturali veniva reciso, l’albero non ne produceva un altro al suo posto. Invece vi veniva innestato un ramo proveniente da un ulivo selvatico. Per cui il ramo trapiantato, proveniente dall’ulivo selvatico, non aumentava il numero dei rami dell’albero. Il numero di rami sul tronco di quell’albero restava invariato. Così, quando i circoncisi giudei naturali furono recisi da quell’albero spirituale per la loro incredulità, che li aveva spinti a rigettare Gesù Cristo quale principale seme del più grande Abraamo, allora persone non giudee o gentili vennero innestate al posto dei “rami” naturali recisi. — Rom. 11:11-32.
11. In Galati 3:26-29, come mostra Paolo che gli appartenenti all’ovile dell’Israele spirituale non si devono distinguere in giudei e gentili?
11 Appropriatamente, dunque, quei rami sull’albero del patto abraamico non devono essere considerati come giudei naturali e gentili stranieri. Devono essere tutti considerati come israeliti spirituali. È l’apostolo Paolo stesso a indicarlo. Dopo aver parlato della promessa abraamica e del seme di Abraamo, egli prosegue dicendo: “Infatti, siete tutti figli di Dio per mezzo della vostra fede in Cristo Gesù. Poiché tutti voi che foste battezzati in Cristo avete rivestito Cristo. Non c’è né Giudeo né Greco, non c’è né schiavo né libero, non c’è né maschio né femmina; poiché siete tutti una persona unitamente a Cristo Gesù. Inoltre, se appartenete a Cristo, siete realmente seme di Abraamo, eredi secondo la promessa”. — Gal. 3:8, 16, 26-29.
12-14. (a) In Galati 4:21-31, di quale loro madre spirituale Paolo parla ai cristiani della Galazia? (b) Quindi, Paolo dà forse risalto a qualche elemento giudaico nel “piccolo gregge” all’interno di “questo ovile”?
12 L’apostolo Paolo scrisse la lettera ai Galati verso il 50-52 E.V., cioè almeno 17 anni dopo che Geova aveva inchiodato il patto della Legge al legno su cui era stato appeso suo Figlio Gesù Cristo. Eppure nelle congregazioni della Galazia c’erano alcuni cristiani che volevano divenire schiavi della Legge di quel patto che aveva avuto come mediatore Mosè al monte Sinai, in Arabia. Sotto questo aspetto imitavano gli oppositori giudei del cristianesimo, che si attenevano alla Gerusalemme terrena e al tempio materiale costruitovi da Erode il Grande, il re che aveva cercato di far uccidere il bambino Gesù. Quella Gerusalemme era stata prefigurata da Agar, la schiava di Abraamo, ed era come una madre per i giudei che volevano ancora essere schiavi della legge mosaica anziché accettare Gesù Cristo come il più grande Mosè. Di conseguenza, in riferimento a questo, Paolo scrisse:
13 “Ma la Gerusalemme di sopra è libera, ed essa è nostra madre. . . . Ora noi, fratelli, siamo figli appartenenti alla promessa, come lo fu Isacco. . . . Per cui, fratelli, noi siamo figli non della servitrice, ma della donna libera. Per tale libertà Cristo ci rese liberi. Perciò state saldi e non vi fate confinare di nuovo in un giogo di schiavitù”. — Gal. 4:21–5:1.
14 Isacco, figlio di Abraamo, non era giudeo o israelita. Figlio della donna libera di Abraamo, Sara, egli divenne padre di Giacobbe, che fu chiamato Israele e che generò Giuda. I cristiani appartenenti al “piccolo gregge” di “questo ovile” del Pastore eccellente, Gesù Cristo, sono come Isacco in quanto eredi della promessa abraamica. La Gerusalemme celeste è la loro madre spirituale, prefigurata da Sara, madre di Isacco l’Ebreo, non giudeo.
15, 16. In Giovanni 10:16-18, Gesù dice forse che deve condurre le “altre pecore” in un unico “ovile” perché vi sia “un solo pastore”?
15 Dopo aver parlato dell’“ovile” che racchiude i membri del composito ‘seme di Abraamo’, Gesù tocca un altro punto, dicendo: “E ho altre pecore che non sono di questo ovile; quelle pure devo condurre, ed esse ascolteranno la mia voce, e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama, perché cedo la mia anima, onde la riceva di nuovo. Nessun uomo me l’ha tolta, ma io la cedo di mia propria iniziativa. Io ho l’autorità di cederla, e ho l’autorità di riceverla di nuovo. Su ciò ho ricevuto comandamento dal Padre mio”. — Giov. 10:16-18.
16 Notiamo che Gesù non dice di dover “condurre” quelle altre pecore in ciò che chiama “questo ovile”. Dice piuttosto che “diventeranno un solo gregge”, poiché non vi sarà che “un solo pastore”.
17. Cosa si potrebbe pensare per il fatto che Gesù dopo aver parlato di “questo ovile”, passa senza interruzione a parlare di “altre pecore”? Ma questa conclusione è necessariamente quella esatta?
17 Ebbene, per il fatto che Gesù passa così rapidamente dal considerare “questo ovile” al menzionare le “altre pecore”, il lettore potrebbe essere indotto a pensare che le due azioni si susseguano a breve scadenza, e non dopo un notevole lasso di tempo, certo non a secoli di distanza l’una dall’altra. Inoltre, per la stessa ragione si potrebbe pensare che Gesù si stesse riferendo al condurre dentro “questo ovile” i non giudei, i gentili, in base alla storia dell’espansione della congregazione cristiana ai giorni degli apostoli. Si potrebbe perciò concludere che Gesù non stesse facendo una profezia a lunga scadenza, su qualcosa che doveva verificarsi molto tempo dopo. Ma questa conclusione non è necessariamente quella esatta. Non distingue fra “questo ovile” e “un solo gregge”. — Confronta Rivelazione 7:8, 9.
18. Gesù era in grado di fare profezie a lunga scadenza? A cosa era condizionata la benedizione di tutte le famiglie della terra?
18 Grazie alla sua preveggenza profetica, Gesù fu in grado di pronunciare la parabola delle pecore e dei capri anche se mancavano 1.900 anni al suo adempimento. Come componente principale del promesso ‘seme di Abraamo’, egli si interessava moltissimo della salvezza di tutte le famiglie e le nazioni dell’umanità che si dovevano benedire per l’eternità tramite quel seme. Quella benedizione era condizionata al completamento di quel composito ‘seme di Abraamo’ formato di 144.000 membri sotto Gesù. Questo, come mostrano i fatti storici, avrebbe richiesto 19 secoli. È vero che quelle che si sarebbero benedette sarebbero state persone simili a pecore di tutte le famiglie e le nazioni, ma sarebbero state “altre pecore”, in quanto non appartenenti a “questo ovile” di eredi della promessa abraamica. Perciò non avrebbero potuto essere israeliti spirituali, ma, relativamente parlando, sarebbero stati gentili.
19. Alla luce di quanto detto nei primi versetti di Rivelazione 7, da chi è costituita la “grande folla” descritta in Rivelazione 7:9-17?
19 In armonia con ciò è il fatto che, dopo aver visto suggellare le dodici tribù dell’Israele spirituale, come descritto in Rivelazione 7:1-8, l’apostolo Giovanni ebbe una visione dell’innumerevole “grande folla” di non israeliti spirituali, appartenenti quindi alle “altre pecore”. Furono visti mentre stavano in piedi davanti al trono di Dio e dicevano: “La salvezza la dobbiamo al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello”. Di loro è detto che sopravvivono alla “grande tribolazione” e rendono sacro servizio a Geova Dio giorno e notte nel suo tempio. Il “pastore eccellente” ha tenera cura di queste “altre pecore”, come si legge: “L’Agnello . . . li pascerà e li guiderà alle fonti delle acque della vita”. — Riv. 7:9-17.
20. Quando e dove cominciò ad adempiersi la visione della “grande folla”, e quale ne fu la prova?
20 Secondo l’ordine indicato in Rivelazione capitolo 7, fu nella primavera del 1935, dopo vent’anni dall’inizio (nel 1914) del “termine del sistema di cose”, che si ebbe la spiegazione della visione di Rivelazione circa la “grande folla”. Era il 31 maggio 1935, e si teneva un congresso nella capitale degli Stati Uniti d’America. In quell’occasione J. F. Rutherford, presidente della Watch Tower Bible and Tract Society, pronunciò un discorso sul tema “La grande moltitudine”, e spiegò che non si trattava di una classe celeste secondaria, ma di una classe terrena, le “altre pecore” del “pastore eccellente”. Queste informazioni furono poi pubblicate nelle colonne della rivista Torre di Guardia. Allora il “pastore eccellente” cominciò davvero a condurre le sue “altre pecore”, ed esse cominciarono ad ascoltare la sua voce e a seguirlo; il giorno successivo a quella spiegazione di Rivelazione 7:9-15, infatti, 840 persone simboleggiarono col battesimo in acqua la loro dedicazione a Dio tramite Cristo. La maggioranza d’esse professarono d’essere della “grande moltitudine” di “altre pecore” di Cristo. — Authorized Version.
21. (a) Pertanto, oltre al “piccolo gregge”, per quali altre persone il “pastore eccellente” cedette la propria anima? (b) In che modo il “pastore eccellente” ricevette di nuovo la sua anima, e come atto d’amore da parte di chi?
21 Il “pastore eccellente” cedette la sua “anima” anche per queste “altre pecore”, che non appartengono all’“ovile” degli eredi della promessa abraamica. L’apostolo Giovanni, appartenente alla classe del ‘seme abraamico’, scrisse: “Egli [Gesù Cristo] è un sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e non solo per i nostri ma anche per quelli di tutto il mondo”. (I Giov. 2:1, 2) Geova, il Padre celeste, amò suo Figlio perché si era sacrificato. Gesù, il “pastore eccellente”, disse con cuore riconoscente dinanzi ai giudei che lo odiavano: “Per questo il Padre mi ama, perché cedo la mia anima, onde la riceva di nuovo”. (Giov. 10:17) Il Padre manifestò il suo amore per l’altruista “pastore eccellente” destandolo dai morti il terzo giorno. In questo modo il Figlio di Dio ricevette di nuovo la sua “anima”, la sua esistenza, ma in una dimensione di vita celeste.
22. Benché avessero cercato di farlo, perché fino a quando Gesù pronunciò le parole di Giovanni 10:18 nessun uomo gli aveva tolto l’anima umana?
22 Quando Gesù parlò delle “altre pecore”, erano già stati fatti tentativi per togliere la vita al “pastore eccellente”. Ma egli non fece mai nulla per meritare la morte per mano degli uomini. Ecco perché disse: “Nessun uomo me l’ha tolta, ma io la cedo di mia propria iniziativa. Io ho l’autorità di cederla, e ho l’autorità di riceverla di nuovo. Su ciò ho ricevuto comandamento dal Padre mio”. — Giov. 10:18.
23. Quando e perché Gesù cedette la sua anima umana di propria iniziativa?
23 Se ne ebbe una prova pochi mesi dopo. La notte del suo tradimento nel giardino di Getsemani, quando il suo discepolo Pietro cercò di proteggerlo facendo uso della spada, Gesù disse: “Credi tu che non mi possa appellare al Padre mio perché mi provveda in questo momento più di dodici legioni di angeli? In tal caso, come si adempirebbero le Scritture secondo le quali deve accadere così?” (Matt. 26:53, 54) Pertanto, dopo aver lasciato fuggire i suoi apostoli, Gesù si arrese di propria iniziativa alle folle venute ad arrestarlo, in un ultimo tentativo di farlo mettere a morte. Così facendo Gesù non stava gettando via la propria vita.
24. Quale piena autorità circa la sua anima Gesù aveva ricevuto dal Padre, e in che modo fallì anche l’ultimo tentativo di impedirgli di esercitare tale autorità?
24 Gesù aveva l’autorità dal suo Padre celeste di seguire questa condotta, ma gli fu lasciata la piena libertà di scegliere se farlo. La sua autorità di ricevere di nuovo la sua anima con la risurrezione dipendeva dal consegnarsi di sua spontanea volontà. Avendo egli effettivamente ceduto la sua anima nella morte, il suo Padre celeste lo insignì dell’autorità di riceverla di nuovo dall’Unico che poteva destarlo dai morti. Nessun potere in cielo o sulla terra poteva ostacolare questa autorità di Gesù di ricevere di nuovo la sua “anima” o vita. Quindi il sigillo del governatore apposto sulla grossa pietra che chiudeva l’entrata della tomba in cui Gesù fu sepolto dopo la morte al palo, e anche i soldati messi di guardia alla tomba per impedire che i suoi discepoli asportassero il cadavere, non riuscirono a impedire a Gesù di esercitare il terzo giorno quell’autorità datagli da Dio. — Matt. 27:62—28:15.
25. Dato che Gesù, non avendo disubbidito a Dio, non perse il diritto alla sua vita umana, che uso poté farne a favore dell’umanità?
25 In realtà Gesù aveva ricevuto comando dal Padre celeste di fare tutto questo. Perciò, il terzo giorno dalla sua morte, Geova Dio emanò il comando che il suo ubbidiente Figlio sorgesse dai morti e ricevesse di nuovo la vita nel reame spirituale col suo celeste Padre. Poiché non aveva perso la sua vita umana per disubbidienza a Dio, egli ricevette anche il diritto alla vita umana perfetta, che poté così presentare a Geova Dio nel suo tempio celeste in espiazione del peccato del mondo intero.
26. (a) In questo modo fu aperta la via perché tutte le famiglie della terra facessero che cosa? (b) Quando fu evidente che gli appartenenti alla “grande folla” delle “altre pecore” di Gesù avevano cominciato a benedirsi?
26 In tal modo fu aperta la via perché tutte le famiglie e le nazioni della terra ‘si benedicessero’ per mezzo del componente principale del ‘seme di Abraamo’. (Gen. 12:1-3; 22:15-18) Gli appartenenti alla “grande folla” di “altre pecore” del Pastore eccellente hanno cominciato a ‘benedirsi’ per mezzo suo quando si sono dedicati a Geova Dio mediante lui e hanno simboleggiato tale dedicazione col battesimo in acqua. Hanno quindi ascoltato la voce del Pastore eccellente e lo hanno seguito, insieme all’unto rimanente del seme abraamico. Questo ebbe inizio in particolare al congresso di Washington del 1935. Da allora l’unto rimanente ha lietamente accolto le “altre pecore” e, proprio come predetto da Gesù, insieme formano “un solo gregge” sotto il “solo pastore”.
27. Oltre alla “grande folla” di sopravvissuti alla “grande tribolazione”, chi altri entrerà a far parte delle “altre pecore” del Pastore eccellente, e quando?
27 Durante il regno millenario del “solo pastore”, l’intronizzato Gesù Cristo, tutti i morti redenti dell’umanità saranno destati dal sonno della morte e riceveranno l’opportunità di ‘benedirsi’ divenendo parte delle “altre pecore” del Pastore eccellente. Fra loro vi sarà anche Giovanni il Battezzatore, l’antico “portiere” dell’“ovile” che rappresenta la disposizione del patto abraamico. (Giov. 10:1-3) Gesù condurrà gli ubbidienti alle “fonti delle acque della vita”. La “grande folla” di sopravvissuti all’imminente “grande tribolazione” sarà di grande aiuto per i miliardi di risuscitati nel valersi delle “fonti delle acque della vita”. (Riv. 7:9-17) Tutte le simboliche pecore potranno unirsi alla “grande folla” nel dire: “La salvezza la dobbiamo al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello”. — Riv. 7:10; 20:11-14.
[Diagramma a pagina 26]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
La disposizione di Geova per le sue “pecore”
(1) Il “pastore eccellente”: Gesù Cristo, che cede la sua anima per le “pecore”
(2) Il “portiere”: Giovanni il Battezzatore, che presenta il “pastore” alle “pecore”
(3) L’“ovile”: L’ovile regale della disposizione del patto abraamico
(4) Le “pecore” di questo ovile: Il “piccolo gregge”, composto di giudei e gentili
(5) La “porta delle pecore”: Gesù
(6) L’“estraneo”, il “ladro”, il “salariato”: Apostati e falsi pastori
(7) Le “altre pecore”: La “grande folla” e altri che erediteranno il reame terrestre del Regno