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LupoAusiliario per capire la Bibbia
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avidi, e spesso uccidono più pecore di quelle che possono mangiare o trascinare via. Il pastore dell’antichità doveva perciò essere coraggioso e capace di proteggere il gregge dai lupi. — Giov. 10:12, 13.
Quasi tutti i riferimenti scritturali al lupo sono illustrativi. Nella profezia pronunciata in punto di morte, Giacobbe paragonò suo figlio Beniamino a un lupo, questo senza dubbio pensando alle doti di combattenti della tribù. (Gen. 49:27; vedi BENIAMINO n. 2). I principi di Giuda senza scrupoli (Ezec. 22:27), i falsi profeti (Matt. 7:15), i malvagi oppositori del ministero cristiano (Matt. 10:16; Luca 10:3), e anche i falsi insegnanti che avrebbero compromesso la congregazione cristiana dall’interno (Atti 20:29, 30), sono paragonati a lupi. In contrasto con le note caratteristiche dei lupi (Ger. 5:6), durante il regno del Messia il lupo e l’agnello saranno in pace, mangeranno insieme. Questa descrizione è un quadro profetico che senza dubbio riguarda principalmente esseri umani. — Isa. 11:6; 65:25.
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LuttoAusiliario per capire la Bibbia
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Lutto
Presso i popoli orientali il lutto era abitualmente accompagnato da grandi manifestazioni esteriori di dolore, e ciò si riflette nelle descrizioni bibliche di periodi di lutto. Un intero libro della Bibbia, Lamentazioni, è un’espressione di cordoglio per la sorte di Gerusalemme.
MOTIVI DI LUTTO
Si faceva cordoglio per manifestare pentimento (Nee. 9:1, 2; Giona 3:5-9), nell’imminenza di una calamità (Est. 4:3; Ger. 6:26; Amos 5:16, 17) oppure per una situazione disastrosa già esistente. (Gioe. 1:5-14) Il più comune motivo di lutto era senza dubbio la morte. La morte di un parente stretto dava origine a un periodo di lutto (Gen. 23:2; 27:41; 37:33-35), e la morte di un genitore o di un figlio unico erano motivo del più profondo dolore. (Sal. 35:14; Amos 8:10; Zacc. 12:10) Per la morte di un condottiero la nazione osservava periodi di lutto che duravano dai sette ai trenta giorni. (Num. 20:29; Deut. 34:8; I Sam. 31:8, 12, 13) Gli egiziani continuarono a piangere la morte di Giacobbe padre di Giuseppe per settanta giorni, più altri sette giorni di riti funebri in Canaan. — Gen. 50:3-11.
ESPRESSIONI DI DOLORE
Si esprimeva cordoglio a parole e piangendo, come pure deturpandosi fisicamente e digiunando o astenendosi altrimenti da consuetudini normali. Il pianto poteva essere accompagnato da lamenti e da forti e amare grida (II Sam. 1:11, 12; Est. 4:1); c’era l’abitudine di battersi il petto (Isa. 32:11, 12; Naum 2:7; Luca 8:52), di strapparsi gli abiti (Giud. 11:35; II Re 22:11, 19), di cospargersi il capo di polvere o cenere e di vestirsi di sacco (II Sam. 13:19; II Re 6:30; Giob. 2:11, 12), di togliersi i sandali e di coprirsi la testa o il volto (II Sam. 15:30; 19:4), di tagliarsi o strapparsi i capelli, e di radersi la barba (Giob. 1:20; Esd. 9:3; Ger. 41:5), mentre alcuni, seguendo usanze pagane, si praticavano incisioni sul corpo. (Ger. 16:6; 47:5) Oltre a digiunare, uno poteva evitare di spalmarsi d’olio o di lavarsi gli abiti (II Sam. 14:2; 19:24; Dan. 10:2, 3), e a volte si sedeva per terra o fra la cenere. — II Sam. 13:31; Giob. 2:8; Isa. 3:26.
A volte venivano composti canti funebri sotto forma di meste elegie. (II Sam. 1:17-27; 3:33, 34; II Cron. 35:25) Un particolare tipo di composizione era lo “Shiggayòn”, termine ebraico che ricorre nella soprascritta del Salmo 7 e, al plurale, in Abacuc 3:1. Era una specie di lamento e forse un canto appassionato e violento, contrassegnato da rapidi cambiamenti di ritmo. In entrambi i casi (Sal. 7; Abac. 3:1-19) fra gli elementi presenti si notano pericolo, forti espressioni di supplica o commozione, e poi di giubilo in Geova.
A volte nei funerali si ricorreva a piagnoni di professione e musicisti suonavano motivi tristi (Ger. 9:17, 18; Matt. 9:23), imitati, all’epoca del ministero terreno di Gesù, dai bambini che giocavano nelle piazze. (Matt. 11:16, 17) Per le lamentazioni lo strumento preferito era il flauto. — Ger. 48:36; Matt. 9:23; vedi Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, Libro III, cap. IX, 5.
Dopo il funerale, le donne di solito si recavano alla tomba per piangere e fare cordoglio. (Giov. 11:31) Sembra che a volte durante il periodo di lutto venisse servito un pranzo funebre, che in certi casi si trasformava in un sontuoso banchetto. — Osea 9:4; Ger. 16:5, 7.
DIVIETI RELATIVI
A volte l’intero popolo di Dio o alcuni singoli individui ebbero l’ordine di non fare cordoglio, per esempio per trasgressori condannati. (Lev. 10:1, 2, 6) Il profeta Ezechiele ricevette il comando di non adottare nessun segno di lutto per la morte della moglie, diventando così un portento per gli israeliti che erano con lui a Babilonia, i quali sarebbero rimasti così sbalorditi da non fare cordoglio per l’esecuzione del giudizio di Dio sull’infedele Gerusalemme. (Ezec. 24:15-24) Geremia ricevette istruzioni simili. — Ger. 16:5-13.
La legge mosaica vietava certe usanze relative al lutto, fra cui quella di praticarsi incisioni nella carne o prodursi “calvizie sulla fronte” (Lev. 19:28; Deut. 14:1), e l’errato uso delle decime in relazione ai morti. (Deut. 26:12-14) Per certi parenti stretti i sacerdoti potevano fare apertamente lutto, mentre il sommo sacerdote non lo poteva fare. — Lev. 21:1-6, 10-12.
NECESSARIO EQUILIBRIO
All’epoca del ministero terreno di Gesù la gente faceva lutto con molta ostentazione esteriore, rumore e confusione. (Mar. 5:38, 39) A volte Gesù pianse e ‘gemé dentro di sé’ Giov. 11:33-35, 38; Luca 19:41; Mar. 14:33, 34; Ebr. 5:7), ma non si ha notizia che ricorresse alle altre summenzionate manifestazioni esteriori. (Confronta Luca 23:27, 28). Anche i discepoli ebbero manifestazioni di cordoglio e di lutto. (Matt. 9:15; Giov. 16:20-22; Atti 8:2; 9:39; 20:37, 38; Filip. 2:27) Paolo aveva “in cuore grande dolore e incessante pena” a motivo dei parenti carnali non credenti (Rom. 9:2, 3), temeva di dover fare cordoglio per quelli della congregazione di Corinto che avevano peccato e non si erano ancora pentiti (II Cor. 12:21), e menzionò “piangendo” quelli che si erano sviati diventando “nemici del palo di tortura del Cristo”. (Filip. 3:17-19) Il suo profondo e sentito interesse per la congregazione cristiana (II Cor. 2:1-4) lo rendeva qualificato per ammaestrare altri circa la necessità di avere empatia e comprensione, ‘piangendo con coloro che piangono’. — Rom. 12:15.
Tuttavia a motivo dell’effetto debilitante del dolore e del cordoglio (Sal. 6:6, 7; Luca 22:45; Atti 21:13; II Cor. 2:6, 7), il dolore del cristiano dev’essere sempre temperato, equilibrato, e anche attenuato dalla speranza e dalla gioia che rinvigorisce. (Matt. 5:4; I Cor. 7:29, 30; II Cor. 6:10; confronta Neemia 8:9-12). Ai suoi giorni anche il re Davide manifestò al riguardo un punto di vista equilibrato, sensato e basato sui principi, tanto che, mentre il bambino concepito in seguito alla sua relazione adulterina
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