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Vicino, prossimoAusiliario per capire la Bibbia
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... Rom. 13:10; 15:2; Efes. 4:25; Giac. 4:12”. -An Expository Dictionary of New Testament Words, ed. 1966, Vol. III, p. 107.
IL COMANDO DI AMARE IL PROSSIMO
La Bibbia, dal principio alla fine, insegna ad aiutare il prossimo con amore, benignità e generosità, sia che si tratti semplicemente di un vicino di casa, un conoscente, un compagno o un amico. La Legge ordinava: “Devi giudicare il tuo compagno [forma di ʽamìth] con giustizia... Non devi odiare nel tuo cuore il tuo fratello. Devi riprendere senz’altro il tuo compagno, per non portare peccato insieme a lui.... e devi amare il tuo prossimo [forma di rèa‘] come te stesso”. (Lev. 19:15-18) (Nella Settanta il termine rèa‘ qui viene tradotto con la locuzione greca ho plesìon). Davide loda l’uomo che “non ha calunniato con la sua lingua. Al suo compagno [forma di rèa‘] non ha fatto nulla di male, e non ha levato nessun biasimo contro il suo intimo conoscente [forma di qaròhv]”. (Sal. 15:3) Viene ripetutamente comandato di non fare del male al prossimo (rèa‘), di non disprezzarlo o di non desiderare ciò che gli appartiene. — Eso. 20:16; Deut. 5:21; 27:24; Prov. 14:21.
L’apostolo Paolo dice: “Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge”. Quindi, dopo aver citato alcuni comandamenti della Legge, conclude: “E qualsiasi altro comandamento vi sia, si riassume in questa parola, cioè: ‘Devi amare il tuo prossimo [plesìon] come te stesso’. L’amore non fa male al prossimo [plesìon]; perciò l’amore è l’adempimento della legge”. (Rom. 13:8-10; confronta Galati 5:14). Giacomo definisce il comando di amare il prossimo come se stessi la “legge regale”. — Giac. 2:8.
Il secondo comandamento in ordine di importanza
A un ebreo che aveva chiesto: “Qual bene devo fare per ottenere la vita eterna?” e che voleva sapere quali comandamenti seguire, Gesù citò cinque dei Dieci Comandamenti e aggiunse il comando di Levitico 19:18, dicendo: “Devi amare il tuo prossimo [plesìon] come te stesso”. (Matt. 19:16-19) E definì questo comando il secondo della Legge in ordine di importanza: uno dei due da cui dipendevano tutta la Legge e i Profeti. — Matt. 22:35-40; Mar. 12:28-31; Luca 10:25-28.
Chi è il mio prossimo?
Gesù inoltre fece capire ai suoi ascoltatori il significato più profondo del termine plesìon quando lo stesso uomo, ansioso di dimostrarsi giusto, chiese anche: “Chi è realmente il mio prossimo [plesìon]?” Nell’illustrazione del buon samaritano Gesù sottolineò che pur non essendo vicini di casa, parenti o amici, il vero prossimo è colui che mostra ad altri l’amore e la benignità che le Scritture comandano. — Luca 10:29-37.
CONSIGLI DEI PROVERBI
Anche se si deve aiutare e amare il prossimo, bisogna essere cauti e non voler diventare il suo amico più intimo, per evitare di approfittare di lui o prendersi delle libertà. Il proverbio esprime l’idea in questi termini: “Rendi raro il tuo piede nella casa del tuo prossimo [forma di rèa‘], affinché non ne abbia abbastanza di te e per certo ti odii”. — Prov. 25:17.
Comunque i Proverbi raccomandano la fedeltà e fidatezza di un compagno, e l’opportunità di rivolgersi a una persona del genere in momenti di necessità: “Non lasciare il tuo proprio compagno né il compagno di tuo padre, e non entrare nella casa del tuo proprio fratello nel giorno del tuo disastro. È meglio un vicino [shakhèn] accanto che un fratello lontano”. (Prov. 27:10) Qui lo scrittore sembra dire che un intimo amico di famiglia è prezioso, e si dovrebbe chiedere aiuto a lui anziché a un parente stretto come un fratello, se il fratello è lontano, perché potrebbe non essere altrettanto pronto o per lo meno in grado di offrire aiuto quanto l’amico di famiglia.
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VignaAusiliario per capire la Bibbia
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Vino e bevande alcolicheAusiliario per capire la Bibbia
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Vino e bevande alcoliche
Diversi vocaboli delle lingue originali indicano di solito qualche specie di vino (ebr. tiròhsh [Gen. 27:28, 37; Osea 2:8, 9, 22]; ebr. hhèmer [Deut. 32:14; Isa. 27:2] e il corrispondente aramaico hhamàr [Dan. 5:1, 2, 4, 23]; gr. glèukos [Atti 2:13, 15]). Ma il termine ebraico yàyin è quello che ricorre più spesso nelle Scritture. La prima volta in Genesi 9:20-24, dove si parla di Noè che dopo il diluvio piantò una vigna e quindi si ubriacò bevendone il vino. Il greco òinos (che corrisponde fondamentalmente all’ebraico yàyin) ricorre per la prima volta nelle osservazioni di Gesù circa l’inopportunità di mettere vino nuovo, parzialmente fermentato in otri vecchi, poiché la pressione dovuta alla fermentazione avrebbe fatto scoppiare gli otri vecchi. — Matt. 9:17; Mar. 2:22; Luca 5:37, 38.
Varie bevande fortemente alcoliche, a quanto pare derivate da melagrane, datteri, fichi, e simili, di solito erano designate dal termine ebraico shekhàr. (Num. 28:7; Deut. 14:26; Sal. 69:12) Il termine ebraico ʽasìs, nel Cantico di Salomone 8:2, si riferisce al “succo fresco delle melagrane”, ma in altri brani il contesto fa pensare che si tratti di vino. (Isa. 49:26; Gioe. 1:5) Può darsi che il termine ebraico sòve’ indicasse la birra. — Isa. 1:22; Naum 1:10.
PRODUZIONE DEL VINO
In Palestina l’uva veniva raccolta in agosto e settembre, secondo la qualità dell’uva e il clima della regione. La stagione della vendemmia era praticamente finita quando si celebrava la “festa delle capanne” all’inizio dell’autunno. (Deut. 16:13) L’uva raccolta veniva messa in vasche o tini di pietra dove i pigiatori, coi piedi scalzi, cantando calcavano lo strettoio. (Isa. 16:10; Ger. 25:30; 48:33) Con questi metodi di pigiatura relativamente delicati i piccioli e i semi non venivano frantumati, poco acido tannico della buccia veniva spremuto, e di conseguenza il vino era migliore, più dolce e piacevole al palato. (Cant. 7:9) A volte invece dei piedi si usavano pesanti pietre. — Isa. 63:3; vedi STRETTOIO.
Il primo mosto o succo che fuoriesce dagli acini d’uva, se tenuto separato dal grosso del succo spremuto, produce i vini migliori e più robusti. La fermentazione inizia sei ore dopo la pigiatura, mentre il mosto è ancora nei tini, e continua lentamente per diversi mesi. I vini naturali hanno una gradazione alcolica che va da 8º a 14º, ma questa può aumentare con l’aggiunta di zucchero durante la fermentazione o di alcool in seguito. Se l’uva è poco zuccherina, e la fermentazione continua troppo a lungo, oppure se il vino non è ben protetto dall’ossidazione, diventa aceto. — Rut 2:14.
Durante l’invecchiamento il vino era conservato in otri o giare. (Ger. 13:12) Questi recipienti venivano probabilmente arieggiati in modo che l’anidride carbonica (prodotta dalla trasformazione degli zuccheri in alcool attraverso la fermentazione) fuoriuscisse senza che l’ossigeno dell’aria venisse a contatto col vino e lo contaminasse. (Giob. 32:19) Lasciato riposare, il vino a poco a poco si chiariva, la feccia cadeva sul fondo,
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