Soddisfazione nel lavoro
“Se uno mangia, beve e gode del benessere [o frutto] in mezzo a tutto il suo lavoro, è un dono di Dio”. — Eccl. 3:13.
1. Quale condotta è scelta da Geova, e che cosa ne risulta per lui?
GEOVA è supremo in tutto l’universo. Non c’è nessun capo su di lui. Egli non riceve ordini da nessuno. Non deve render conto a nessuno. Ha libertà assoluta di fare quel che gli piace, di far questo o quello o qualche altra cosa. Sceglie la condotta che lo rende felice ed è conosciuto come il Dio felice. La condotta soddisfacente ch’egli sceglie è quella di lavoro. Non si stanca di lavorare: “[Geova] è l’Iddio d’eternità, il creatore degli estremi confini della terra. Egli non s’affatica e non si stanca”. Quindi non poteva essere nel senso di dover ricuperare le forze ch’egli si riposò alla fine del sesto giorno creativo: “In sei giorni l’Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò”. Geova non desistette o si riposò da ogni lavoro, ma solo da questa particolare opera creativa, e al completamento di essa la osservò e notò che era molto buona, all’altezza della sua misura di perfezione, e fu sollevato e soddisfatto dall’aver compiuto quest’opera di altissima qualità. Vedere compiuta questa bella opera fu una gioia, una soddisfazione e un sollievo per Geova il Creatore. — Isa. 40:28; Eso. 31:17.
2. Qual è la scelta di Gesù, e con quali risultati?
2 Come prova che Geova continua ad operare durante il sabato o settimo giorno della settimana creativa abbiamo le parole di Gesù: “Il Padre mio ha continuato a operare fino ad ora, e io continuo a operare”. Queste parole indicano pure che Gesù lavora. Egli compie il lavoro che Geova gli affida. Fa il lavoro di Dio prontamente e volenterosamente, ed esprime la sua contentezza nel fare la volontà di Geova. Egli trovò che questo è tanto nutriente, soddisfacente e delizioso quanto il cibo; anzi di più, perché in una circostanza quando i suoi discepoli lo esortarono a mangiare egli rispose: “Il mio cibo è che io faccia la volontà di colui che mi ha mandato e finisca la sua opera”. Alla fine dell’opera la gioia del successo l’avrebbe sollevato, dileguando ogni stanchezza e lasciandolo soddisfatto e rallegrato. — Giov. 5:17; 4:34, NM.
3. Come fu l’uomo dotato per lavorare, e quale compito gli fu affidato dopo essere stato creato?
3 L’uomo fu creato ad immagine e somiglianza di Dio e di Cristo, con una certa misura dei loro attributi di sapienza, potenza, giustizia e amore. Mediante la sua sapienza l’uomo avrebbe saputo come fare dei lavori, mediante la sua potenza sarebbe stato in grado di effettuarli, mediante il suo senso di giustizia avrebbe potuto usare il frutto del suo lavoro in modo equo, e mediante la sua qualità dell’amore avrebbe potuto oltrepassare la giustizia con una condotta generosa e altruistica. Fu creato con la capacità di fare del buon lavoro e gli fu dato lavoro da fare. Quando l’uomo fu creato, “Geova Dio prese l’uomo e lo stabilì nel giardino d’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse”. All’uomo e a sua moglie fu detto: “Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e assoggettatevela, e tenete sottomessi i pesci del mare e le creature volatili dei cieli ed ogni creatura vivente che striscia sopra la terra”. Quale compito meraviglioso venne affidato alla prima coppia umana quando la terra con la sua vita vegetale e animale fu posta sotto la loro cura ed essi avrebbero dovuto riempirla con la loro progenie, e Geova li ebbe dotati delle capacità mentali e fisiche per compiere perfettamente il mandato! — Gen. 2:15; 1:28, NM.
4. Perché Geova affidò all’uomo l’incarico di lavorare, e quali rivelazioni ora mostrano la sapienza di questa disposizione?
4 Geova non affidò questo lavoro all’uomo per scaricarsene egli stesso. Glielo affidò per il suo bene, perché l’uomo era in grado di lavorare e avrebbe provato felicità nell’eseguire quel lavoro che era nell’ambito delle sue capacità. Geova gli assegnò lavoro adeguato per il piacere, il godimento e la soddisfazione dell’uomo. Tale lavoro avrebbe riempito la sua vita, avrebbe scacciato qualsiasi possibilità di monotonia o noia, e avrebbe dato all’uomo la soddisfacente sensazione di essere utile. Invece di esser repressi, frustrati o intorpiditi dall’inattività, i divini attributi potevano essere manifestati dovutamente e pienamente nel fare il lavoro assegnato da Geova. Recenti studi scientifici confermano la verità scritturale che l’uomo fu fatto per lavorare. Hanno dimostrato che la gran parte di persone anziane che godono buona salute non vuol andare in pensione, che mettersi al riposo spesso produce noia invece di felicità, ed esperti ritengono che le persone annoiate ed inattive perdano il desiderio di vivere e che l’ozio effettivamente abbrevi la durata della loro vita. Le passioni nella vita dei pensionati non sostituiscono il lavoro in modo soddisfacente. Coltivate per poche ore alla settimana come cambiamento e svago dal lavoro regolare, esse diventano noiose quando sono assecondate per tutto il tempo. Inoltre, le passioni di solito non raggiungono questo requisito, come fu riportato in un articolo: “Per conservare la salute mentale l’uomo deve sentire che fa lavoro che serve ad uno scopo utile”. Ritirarsi da un lavoro buono è piuttosto un castigo che una benedizione. Quindi Geova agì per il benessere dell’uomo quando diede all’uomo un’assegnazione di lavoro.
5. Qual è la volontà di Dio riguardo ai frutti del lavoro dell’uomo?
5 Geova non vuole che il lavoratore sia sfruttato o privato del frutto del suo lavoro. Paolo scrisse: “Il lavoratore che fatica dev’essere il primo ad aver la sua parte de’ frutti”. Precedentemente egli aveva esposto questo divino principio in modo più rilevante, dicendo: “Chi è che pianta una vigna e non ne mangia del frutto? O chi è che pasce un gregge e non si ciba del latte del gregge? Dico io queste cose secondo l’uomo? Non le dice anche la legge? Difatti, nella legge di Mosè è scritto: Non metter la musoliera al bue che trebbia il grano. Forse che Dio si dà pensiero de’ buoi? O non dice Egli così proprio per noi? Certo, per noi fu scritto così; perché chi ara deve arare con speranza; e chi trebbia il grano deve trebbiarlo colla speranza d’averne la sua parte”. Anche i buoi dovevano partecipare ai frutti del lavoro. Ma si dà forse principale importanza ai buoi? Se Geova protegge gl’interessi della bestia che fatica, quanto di più difenderà il benessere dei lavoratori! Paolo non annulla qui la regola divina di mostrare considerazione per i buoi, ma mediante una vigorosa costruzione retorica mostra che in paragone agli uomini i buoi sono come nulla, e se il principio umanitario si applica ai buoi, si applica al genere umano con una forza incomparabilmente maggiore, e specialmente a quelli che faticano nel servizio di Geova e che seminano cose spirituali negli interessi degli altri. — 2 Tim. 2:6; 1 Cor. 9:7-11.
6, 7. Come dimostra Deuteronomio 20:1, 5, 6 in modo notevole che l’uomo deve godere i risultati del suo lavoro?
6 La legge concernente i buoi citata da Paolo si trova in Deuteronomio 25:4, e in questo stesso libro Geova si occupa direttamente degli uomini e dei loro diritti di godere i risultati delle loro fatiche. La storia precedente è importante. La nazione d’Israele aveva appena finito di soggiornare nel deserto e si trovava sulla pianura di Moab pronta per entrare nella Terra Promessa. Questo paese era occupato da orde battagliere di adoratori di demoni. L’entrata d’Israele avrebbe precipitata la guerra e in battaglia Israele si sarebbe trovato numericamente in svantaggio: “Quando andrai alla guerra contro i tuoi nemici e vedrai cavalli e carri e gente in maggior numero di te, non li temere, perché [Geova], il tuo Dio, che ti fece salire dal paese d’Egitto, è teco”. Tuttavia, malgrado l’urgenza della guerra teocratica e la necessità di servirsi di ogni uomo abile come combattente, notate queste esenzioni dal servizio militare: “C’è qualcuno che abbia edificata una casa nuova e non l’abbia ancora inaugurata? Vada, torni a casa sua, onde non abbia a morire in battaglia, e un altro inauguri la casa. C’è qualcuno che abbia piantato una vigna e non ne abbia ancora goduto il frutto? Vada, torni a casa sua, onde non abbia a morire in battaglia, e un altro ne goda il frutto”. — Deut. 20:1, 5, 6.
7 Geova stabilisce che l’uomo deve godere il frutto del suo lavoro, che le sue fatiche non devono essere compiute invano, senza il premio di goderne i beni. Questo doveva avvenire anche nell’emergenza della guerra, quando c’era grande bisogno di ogni uomo abile. Ognuno doveva provare la soddisfazione di gioire del proprio lavoro piuttosto che andare al fronte di battaglia non sapendo se sarebbe tornato per godere la sua casa, o se l’avrebbe abitata qualcun altro. Il costruttore doveva essere il primo a godere i risultati di questo lavoro. Poi, in seguito, avrebbe accettata la chiamata alla guerra e avrebbe potuto combattere con indivisa attenzione, senza essere agitato dal pensiero di non poter mai godere la casa che aveva fabbricata, poiché allora avrebbe già provato quella gioia. Lo stesso avveniva nel caso di un uomo che aveva piantato una vigna. Doveva mangiarne il frutto prima di andare alla guerra. Ciò avrebbe potuto significare un’esenzione di parecchi anni, dato che la legge stipulava che nessun frutto doveva essere usato per i primi tre anni, che la produzione del quarto anno doveva essere offerta a Geova, e non prima del quinto anno era permesso di usare il frutto per motivi personali o generali. Tuttavia, l’esenzione era in vigore finché il coltivatore non aveva partecipato alla raccolta. — Lev. 19:23-25.
8. Come illustrò Gesù che il lavoro in se stesso è una ricompensa?
8 Con un’illustrazione Gesù mostrò che il lavoro ricompensa con la gioia. Un uomo stava per intraprendere un viaggio, ma prima di partire radunò i suoi schiavi e affidò loro i suoi interessi, distribuendo i suoi beni secondo le varie capacità dei suoi schiavi. Dopo una lunga assenza ritornò per fare un rendiconto. Lavorando diligentemente, quello a cui erano stati affidati cinque talenti li aveva raddoppiati, e quello incaricato di due talenti li aveva raddoppiati, ma il terzo che aveva ricevuto un talento fu pigro e non ne aveva fatto nulla e quindi non guadagnò nulla. Ora, come furono premiati i due lavoratori diligenti? Fu forse ordinato loro di andare in vacanza al mare o in montagna? Fu questo il loro premio? No, il loro premio per lo strenuo lavoro non fu una vacanza; anzi, fu maggior lavoro! A ciascuno di essi il padrone disse: “Bene, schiavo buono e fedele! Sei stato fedele in poche cose, io ti stabilirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo signore”. La gioia del signore derivava da questo lavoro, e ottenendo maggior lavoro da fare gli schiavi diligenti entravano più pienamente nella gioia del loro signore. E lo schiavo pigro che non voleva lavorare? Che cosa gli accadde? La decisione era: “Toglietegli dunque il talento, e datelo a colui che ha i dieci talenti”. Ciò avrebbe dovuto rendere felice il pigro dato che non voleva lavorare. Ora il lavoro gli fu tolto ed egli avrebbe potuto trascorrere la sua vita in ozio. Ma invece di rallegrarsi per non dover lavorare se ne andò piangendo e digrignando i denti. — Matt. 25:14-30, Co.
9. A che scopo servono le vacanze?
9 Per essere felici dobbiamo lavorare. È vero che abbiamo bisogno di un po’ di riposo, di uno svago per la mente e per il corpo, per rafforzare i nervi esauriti e ricuperare le forze fisiche. La disposizione sabatica della legge mosaica provvedeva tale cambiamento ricreativo dopo un periodo d’intenso lavoro. Le vacanze di breve durata sono inestimabili per rinnovare le forze. Ma quando le energie fisiche, mentali e nervose sono state ripristinate con una piacevole vacanza, cominciamo a divenire inquieti. La vacanza ha servito al suo scopo. Siamo stati rinvigoriti per l’attività e siamo pronti per rimetterci al lavoro. Prolungare ancora la vacanza significa entrare in un periodo di noia e inquietudine e corteggiare il pericolo pernicioso dell’ozio. Abbiamo il desiderio di tornare al lavoro. Ci mancano la gioia e la soddisfazione derivanti da un’utile occupazione.
10. Che cosa oggi sostituisce l’amore per il lavoro, e che cosa ne risulta?
10 Geova vuole che gli uomini prendano piacere nel lavoro e godano i suoi frutti: “Io ho riconosciuto che non v’è nulla di meglio per loro del rallegrarsi e del procurarsi del benessere durante la loro vita, ma che se uno mangia, beve e gode del benessere in mezzo a tutto il suo lavoro, è un dono di Dio”. (Eccl. 3:12, 13) Molti oggi si affaticano, ma pochi vi trovano profonda gioia. La soddisfazione di aver compiuto un lavoro come premio delle fatiche umane diminuisce continuamente; lo scopo degli sforzi degli uomini è sempre più il denaro. Questa è l’èra del materialismo, in cui l’orgoglio di un buon lavoro è stato consumato dall’avidità, e lo zelo per il successo artistico si piega davanti all’idolo del guadagno commerciale. Sostituire l’amore per il lavoro con l’amore del denaro produce una deficienza nella qualità del lavoro e nel successo artistico. Il denaro governa, e la gente degenerata paga per acquistare prodotti scadenti. La gente potrà possedere materialmente di più, ma possiede di meno spiritualmente. Invece di trovare la loro soddisfazione nel lavoro molti la cercano accumulando denaro, ma le loro ansie, le loro nevrosi e le loro infermità mentali testificano il fallimento della loro condotta. Nei secoli scorsi gli uomini scrissero o dipinsero o composero musica in quartieri sudici e terminarono la vita nell’oscurità, ma per le loro fatiche furono premiati con la soddisfazione, e questo loro zelo stimolante produsse i noti capolavori nella letteratura, nell’arte e nella musica. Gli avidi di denaro di questi giorni ricevono il premio che cercano, come gli scribi, i Farisei e i Sadducei che operavano per essere veduti dagli uomini; ma tutti questi non provano il profondo piacere, la contentezza, e la soddisfazione di un lavoro ben fatto. Creati per lavorare ed esserne felici, molti oggi odiano il lavoro e lo scansano; corteggiano invece la ricchezza divenendo schiavi dei desideri della carne e ben presto si trovano immersi nella
VANITÀ DEL MATERIALISMO
11. Perché sembra che Salomone si contraddica sul soggetto del lavoro?
11 Mentre Salomone era ancora fedele a Geova fu usato per scrivere molti profondi proverbi e detti, e nel libro di Ecclesiaste scritto da lui sono ripetutamente messe in risalto le vanità nella vita degli uomini sulla terra. Il lavoro vi è spesso menzionato e qualche volta sembra che Salomone si contraddica sul soggetto, dicendo a volte che è vano e inutile e in un altro caso lodandolo come una gioia dell’uomo e un dono di Dio. Per esempio, in Ecclesiaste 3:13, scrittura basilare di questo articolo, Salomone disse che mangiare, bere e godere il lavoro era per l’uomo un dono di Dio. Eppure in Ecclesiaste 1:2, 3 egli scrive: “Vanità delle vanità; tutto è vanità. Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che dura sotto il sole?” Nel successivo capitolo racconta molto del suo lavoro e dice: “Il mio cuore si rallegrava d’ogni mia fatica, ed è la ricompensa che m’è toccata d’ogni mia fatica”. Ma subito dopo aggiunge che è tutta vanità perché egli morrà come lo stolto e i risultati della sua fatica saranno lasciati ad altri invece di essere goduti dal faticatore: “Ho odiata ogni fatica che ho durata sotto il sole, e di cui debbo lasciare il godimento a colui che verrà dopo di me. E chi sa s’egli sarà savio o stolto? Eppure sarà padrone di tutto il lavoro che io ho compiuto con fatica e con saviezza sotto il sole. Anche questo è vanità”. Tuttavia, egli torna subito a ripetere che il lavoro è un piacere: “Non v’è nulla di meglio per l’uomo del mangiare, del bere, e del far godere all’anima sua il benessere in mezzo alla fatica ch’ei dura; ma anche questo ho veduto che viene dalla mano di Dio. Difatti, chi, senza di lui, può mangiare o godere?” — Eccl. 2:10, 18, 19, 24, 25.
12. In che modo la fatica è una delusione, e perché è inutile il lavoro di alcuni?
12 Quindi la delusione della fatica consiste nel fatto che non sempre i suoi frutti potevano essere goduti dal lavoratore a causa dell’intervento della morte. C’erano poi alcuni il cui lavoro diveniva vano perché mentre erano ancora in vita non ne godevano i frutti, ma erano avari, privandosi del bene per conservare le loro ricchezze: “E ho visto anche un’altra vanità sotto il sole: un tale è solo, senz’alcuno che gli stia da presso; non ha né figlio né fratello, e nondimeno s’affatica senza fine, e i suoi occhi non si sazian mai di ricchezze. E non riflette: Ma per chi dunque m’affatico e privo l’anima mia d’ogni bene? Anche questa è una vanità e un’ingrata occupazione”. “Ne gode uno straniero. Ecco una vanità e un male grave”. Ricordate voi i casi scritturali menzionati prima in cui è mostrato che Geova desidera che ognuno goda i frutti del proprio lavoro? Se questo non avviene il lavoro è inutile e vano per il lavoratore. — Eccl. 4:7, 8; 6:2.
13. Quale spirito rovina oggi molto lavoro, e qual è il concetto equilibrato?
13 “E ho visto che ogni fatica e ogni buona riuscita nel lavoro provocano invidia dell’uno contro l’altro. Anche questo è vanità e un correr dietro al vento. Lo stolto incrocia le braccia e mangia la sua propria carne. Val meglio una mano piena di riposo, che ambo le mani piene di travaglio e di corsa dietro al vento”. (Eccl. 4:4-6) Per molti, l’incentivo per lavorare non è il compimento di qualche cosa che ne valga la pena, ma uno spirito di rivalità invidiosa ed ansiosa di sorpassare il proprio simile. È la pressione della competizione e dell’avidità che spinge gli uomini a lavorare più strenuamente e meglio del loro prossimo, e con spirito di gelosia cercano di uguagliare o sorpassare il materialismo del loro prossimo. Secondo un concetto moderno, ambiscono di raggiungere un lusso pari a quello del loro vicino. Questo è egoistico, inquietante, affannoso e vano. L’altro estremo è lo stolto che incrocia le braccia nella pigrizia, è sopraffatto dalla miseria, e consuma la propria carne mentre muore di fame. È meglio seguire una condotta equilibrata, lavorare con tranquillità e pacificamente, senza agitarsi o invidiare i beni altrui, e godere una mano sufficiente e piena di riposante contentezza, che gelosamente aggrappare due mani piene, guadagnate con l’amara competizione o mettersi a sedere nel bisogno con due mani vuote a causa della stolta pigrizia. Non è bene avere né troppo né poco; aver troppo induce gli uomini a sentirsi indipendenti da Dio e aver poco è una tentazione a rubare: “Non mi dare né povertà né ricchezze, cibami del pane che m’è necessario, ond’io, essendo sazio, non giunga a rinnegarti, e a dire: ‘Chi è [Geova]?’ ovvero, diventato povero, non rubi, e profani il nome del mio Dio”. — Prov. 30:8, 9.
14. Come mostrò Salomone la vanità dell’accumulo di ricchezze, e come il Midrash illustra le sue parole?
14 Di quale durevole profitto sono le ricchezze accumulate con penoso e irritato spirito di competizione? Come dicono i moderni, “Non ve le potete portare via”. Salomone si espresse con maggiore eloquenza: “Uscito ignudo dal seno di sua madre, quel possessore se ne va com’era venuto; e di tutta la sua fatica non può prender nulla da portar seco in mano. Anche questo è un male grave: ch’ei se ne vada tal e quale era venuto; e qual profitto gli viene dall’aver faticato per il vento? E per di più, durante tutta la vita egli mangia nelle tenebre, e ha molti fastidi, malanni e crucci”. Il Midrash Giudaico illustra questo con una parabola. Una volpe trovò un vigneto tutto chiuso, ma vi scorse un buco attraverso il quale avrebbe potuto entrare. Era un po’ troppo grassa, perciò digiunò tre giorni e diventò magra, così riuscì a penetrare nell’apertura. Una volta dentro, fece un banchetto di grappoli d’uva finché diventò grassa di nuovo. Quindi, quando cercò di lasciare il vigneto non poté uscire dal buco. Digiunò altri tre giorni per divenire snella abbastanza da passare attraverso il buco. Quando si trovò fuori diede uno sguardo indietro al vigneto ed esclamò: “Quel che c’è dentro è veramente bellissimo, ma quale profitto se ne ottiene? Come si entra, così si esce”. Così avviene in questo mondo, dice in conclusione la parabola. Vi entriamo con nulla e lo lasciamo nello stesso modo. — Eccl. 5:15-17.
15. Secondo Salomone, dopo aver eliminato l’apparente contraddizione delle sue osservazioni sul lavoro, quale lavoro è vano e quale non lo è?
15 Che vale dunque dedicarsi al materialismo? Quale vantaggio durevole se ne ricava? È vano affaticarsi con questo scopo. Lavorare per accumulare ricchezze e preservarle è follia. Gareggiare per gelosa rivalità è un faticoso affannarsi per trovare vento. Lavorare per accumulare un tesoro materiale è tanto vano quanto è stolto l’ozio. Dovremmo lavorare per il cibo e bevanda necessari e per la pura gioia del lavoro: “Ecco quello che ho veduto: buona e bella cosa è per l’uomo mangiare, bere, godere del benessere in mezzo a tutta la fatica ch’ei dura sotto il sole, tutti i giorni di vita che Dio gli ha dati; poiché questa è la sua parte”. Salomone chiamò buona tale opera, la considerò, non come vanità, ma meritevole, e disse che era la sua parte nella vita che Geova concede all’uomo. Alla fine dell’argomento, Salomone non ignorò Geova né raccomandò una vita data ai desideri carnali senza pensare a Dio o al futuro: “Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: — Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell’uomo. — Poiché Dio farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò ch’è occulto, sia bene, sia male”. Ci sarà un rendiconto. Dobbiamo lavorare nel timore di Geova perché alla fine egli giudicherà le nostre opere, anche quelle segrete, perfino i sentimenti del nostro cuore. Il nostro lavoro è di fare il bene, in armonia con i suoi comandamenti. Tale lavoro non è vano. Esso non perisce con noi, ma continuerà nella memoria di Dio e guadagnerà per noi un giudizio favorevole. Ma di questo diremo ancora in seguito. — Eccl. 5:18; 12:13, 14, NM 12:15, 16.
16. In conseguenza dell’avanzata del materialismo, quale malattia e pericolo affronta oggi il mondo?
16 Per il momento consideriamo alcune finali osservazioni sul materialismo. Ne sentiamo dire molto oggi. Il comunismo viene denunciato come materialistico e giustamente è condannato a causa di ciò. Ma non è forse il mondo intero materialistico? Anche quelli che pretendono di parlare per Dio lavorano per il materialismo, lo considerano pratico, pongono in esso la loro fiducia, ed effettivamente ritengono stolti e privi di senso pratico quei comparativamente pochi che esercitano fede in Geova, nella sua Parola e nel suo nuovo mondo. Concentrandosi sulla scienza materialistica, essi sono spiritualmente malati e la moralità, l’integrità e la difesa dei giusti princìpi da parte degli uomini del mondo stanno scomparendo mentre motivi di convenienza e aspetti materialistici diventano sempre più attivi e preferiti nelle relazioni umane. Il progresso del materialismo è stato tanto grande quanto il regresso della spiritualità, e perfino il mondo depravato accecato dallo splendore superficiale della sua ricchezza materiale comincia a preoccuparsi delle tristi conseguenze della sua povertà spirituale. La rivista americana Newsweek del 29 marzo 1954 disse: “La magnificente mente scientifica dell’uomo ha costruito il mezzo per la distruzione totale dell’uomo. La retrograda mente politica dell’uomo vorrebbe ora contendere col problema di salvare l’uomo dalla sua propria ingegnosità”. Malenkov disse che una guerra atomica “vuol dire la morte della civiltà mondiale”. Eisenhower riconobbe che la guerra atomica significherebbe “la civiltà distrutta”.
17. Secondo il signor Toynbee, quali sono le necessità della vita umana perché essa possa sussistere sulla terra?
17 Scrivendo nella rivista Times di New York del 26 dicembre 1954, il celebre storico inglese Arnold J. Toynbee osservò: “Quali sono i nostri sentimenti mentre entriamo in questo nuovo anno 1955? Crediamo noi che il mondo abbia bisogno di un risveglio spirituale?” Egli dice che il mondo si trova sotto l’incanto dell’Occidente, ma che la filosofia secolare sotto la quale l’Occidente è vissuto mostra di essere una guida inadeguata. A causa del fanatismo e delle guerre delle false religioni i nostri antenati prima della fine del diciassettesimo secolo “tolsero il loro tesoro dalla religione e lo impiegarono nella scienza naturale” e questa fede nella scienza “è stata l’ispirazione direttiva dell’Occidente fino ai nostri giorni, quando finalmente le sue limitazioni e debolezze sono state smascherate come una conseguenza ironica del suo brillante successo. . . . Nel nostro tempo, la scienza ha collocato nelle mani degli uomini il potere di distruggere la vita sulla terra”. Questo insensibile vecchio mondo non ritiene appropriato l’amore, ma il signor Toynbee in seguito dichiara che esso è una necessità vitale e pratica: “‘Vedi, io ho posto oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male’. Le vitali parole di Jahvè rivolte ad Israele dovrebbero risuonare nei nostri orecchi oggi. Ora che i popoli del mondo si trovano di punto in bianco l’uno di fronte all’altro muniti di armi micidiali, le virtù della prudenza, della padronanza di sé, della tolleranza, della saggezza e, molto superiore a tutte queste, dell’amore sono divenute le necessità della vita nel senso letterale. La vita umana sulla terra non può esistere a meno che noi uomini e donne ordinari non riusciamo a praticare queste virtù in una misura assai maggiore di quella che abbiamo finora ritenuto opportuno esigere da noi stessi”.
18. Come il periodico U. S. News & World Report si rammarica per il crescente materialismo?
18 Nel periodico U. S. News & World Report del 31 dicembre 1954, David Lawrence scrisse in un articolo di fondo: “Un crasso materialismo è apparso per influire sulla mentalità dell’èra. L’Europa prospera con una nuova fortuna trovata, stimolata da dollari americani. ‘Neutralismo’ e abbandono di princìpi sono comuni. In questo Paese [Stati Uniti], dove l’alto livello della vita, gli straordinari salari settimanali, le comodità personali, le invenzioni e il lusso di una ‘vita abbondante’ non solo sono avanzati come scopo sociale ma perfino sono sostenuti come principale dovere di un governo politico, viene data sempre meno importanza alla moralità e maggiore asservimento agli dèi dell’espediente. Infatti, la filosofia dominante dell’‘intellettuale’ moderno è che ‘nell’interesse pubblico’ Pietro dev’essere derubato per pagare Paolo e che, malgrado ciò che potrebbero dire le parole della Costituzione, il fine giustifica i mezzi. Questo germe insidioso penetra nel sangue del governo”.
19. Secondo un rapporto nel Science News Letter, quale malattia è oggi una grande minaccia, quali sono i suoi sintomi, e qual è il rimedio?
19 Il Science News Letter (bollettino scientifico americano) dell’11 dicembre 1954 riferiva che secondo il dottor Julian P. Price del consiglio dell’Associazione Americana dei Medici “la malattia che minaccia oggi la nazione è spirituale, e non fisica o mentale”, e i sintomi della malattia comprendono un “rilassamento nella moralità del nostro governo nazionale durante gli ultimi anni, la presa che la corruzione organizzata ha sulla vita legislativa e sociale, l’aumento di delitti fra la popolazione giovanile, la slealtà e condotta illecita nei giuochi sportivi dei dilettanti, l’insensata ricerca di divertimenti che fa spendere al nostro popolo quattro volte di più per il bere di quanto spende per le attività religiose e filantropiche”. La sua ricetta? “L’unico rimedio che sia di qualche giovamento (e di questo la storia reca testimonianza) consiste in un mutamento di cuore. Io credo sinceramente che il più grande bisogno del nostro paese oggi, e della nostra professione, sia una rinascita spirituale, un ritorno a Dio e ai Suoi princìpi eterni. E la rinascita deve verificarsi nel cuore del cittadino comune”.
20. Che cosa affligge questo mondo?
20 Gli uomini cominciano a rendersi conto che è il materialismo che li affligge, che ci dev’essere un mutamento di cuore e un ritorno ai valori spirituali. Altrimenti la vita è priva delle sue gioie più profonde. La gioia del lavoro è svanita, e ogni sforzo è calcolato in denaro. Rammentate le parole di Salomone citate precedentemente; quando disse di mangiare e bere e godere il lavoro poiché ciò era stato provveduto da Dio, egli aggiunse: “Difatti, chi, senza di lui, può mangiare o godere?” (Eccl. 2:24, 25) Il lavoro dev’essere buono, fatto per giusti motivi, in armonia con i propositi di Geova, un lavoro affidato dalla sua mano, e compiuto secondo i princìpi dell’integrità e della moralità. Ma poiché i moderni non l’hanno considerato opportuno e lo ritengono un ostacolo nella loro pazzesca frenesia di ammassare denaro e beni materiali con spirito di competizione, essi l’hanno cacciato via come una catena, solo per trovarsi imprigionati e frustrati dalla propria avidità e il loro mondo terrorizzato da un materialismo moralmente decaduto di potenza atomica.
21. Di quale valore saranno le ricchezze materiali ad Armaghedon?
21 La loro sete di ricchezza materiale li danneggia ora spiritualmente, e ad Armaghedon non farà loro fisicamente del bene. In questi ultimi giorni essa è una testimonianza contro di loro: “A voi ora, o ricchi; piangete e urlate per le calamità che stanno per venirvi addosso! Le vostre ricchezze son marcite, e le vostre vesti son rose dalle tignole. Il vostro oro e il vostro argento sono arrugginiti, e la loro ruggine sarà una testimonianza contro a voi, e divorerà le vostre carni a guisa di fuoco. Avete accumulato tesori negli ultimi giorni. Voi siete vissuti sulla terra nelle delizie e vi siete dati ai piaceri”. Il loro materialismo non potrà risparmiarli dall’ira divina: “Né il loro argento né il loro oro li potrà liberare nel giorno dell’ira dell’Eterno; ma tutto il paese sarà divorato dal fuoco della sua gelosia; giacché egli farà una totale, una subitanea distruzione di tutti gli abitanti del paese”. Il loro denaro sarà così inutile che lo butteranno via: “Getteranno il loro argento per le strade, e il loro oro sarà per essi una immondezza; il loro argento e il loro oro non li potranno salvare nel giorno del furore dell’Eterno”. Scartando i giusti princìpi per non essere ostacolati nell’accumulare ricchezze, essi hanno cacciato via ciò che li avrebbe potuto liberare: “Le ricchezze non servono a nulla nel giorno dell’ira, ma la giustizia salva da morte”. — Giac. 5:1-3, 5; Sof. 1:18; Ezech. 7:19; Prov. 11:4.
22. Perché molto lavoro è oggi vano, ma quale lavoro non lo è?
22 Tanti oggi non provano più piacere nel loro lavoro, l’avidità competitrice li priva del tranquillo godimento della vita, il materialismo scientifico è una terribile minaccia alla loro esistenza, e quando muoiono non possono portarsi dietro alcuno dei frutti della loro fatica. Veramente tale lavoro è vanità. Però con l’apprezzamento dei valori spirituali l’uomo può gioire del suo lavoro, può mangiare e dormire in pace, senza nessuna paura del materialismo, e anche quando muore i frutti benèfici del suo lavoro non andranno perduti per lui. Questo lavoro non è vanità, ma produce profonda soddisfazione. L’articolo che segue fornisce altri particolari.