Mosè
[tratto fuori, salvato dall’acqua].
“L’uomo del vero Dio”, condottiero della nazione di Israele, mediatore del patto della Legge, profeta, giudice, comandante, storico e scrittore. (Esd. 3:2) Mosè, figlio di Amram, nipote di Cheat e pronipote di Levi, nacque in Egitto verso il 1593 a.E.V. Sua madre Iochebed era sorella di Cheat. Mosè era di tre anni più giovane di suo fratello Aaronne. Miriam loro sorella aveva qualche anno di più. — Eso. 6:16, 18, 20; 2:7.
PRIMI ANNI DI VITA IN EGITTO
Mosè, bambino “divinamente bello”, fu salvato dal genocidio decretato dal faraone che aveva ordinato di uccidere ogni maschio ebreo appena nato. La madre lo tenne nascosto per tre mesi, poi lo depose in un’arca di papiro sul Nilo, dove la figlia del faraone lo trovò. Grazie alla sagacia della madre e della sorella, Mosè fu allattato e allevato dalla propria madre al servizio della figlia del faraone, che l’aveva adottato come figlio suo. Essendo entrato a far parte della famiglia del faraone, fu “istruito in tutta la sapienza degli Egiziani” e diventò “potente in parole e in opere”, poiché senza dubbio aveva notevoli doti fisiche e mentali. — Eso. 2:1-10; Atti 7:20-22.
Nonostante la posizione di favore e le opportunità che aveva in Egitto, il cuore di Mosè era col popolo di Dio reso schiavo. Infatti egli sperava di essere usato da Dio per liberarlo. Nel quarantesimo anno di vita, mentre osservava i carichi che gli ebrei suoi fratelli portavano, vide un egiziano colpire un ebreo. Per difendere l’israelita uccise l’egiziano e lo seppellì nella sabbia. Fu a questo punto che Mosè prese la decisione più importante della sua vita: “Per fede Mosè, quando fu cresciuto, rifiutò d’esser chiamato figlio della figlia di Faraone, scegliendo d’essere maltrattato col popolo di Dio piuttosto che avere il temporaneo godimento del peccato, perché stimò il biasimo del Cristo [cioè di essere un profeta nominato da Dio] come ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto”. In tal modo Mosè rinunciò all’onore e alla ricchezza che avrebbe potuto avere come componente della famiglia del potente faraone. — Ebr. 11:24-26.
In realtà Mosè aveva pensato che fosse venuto il momento di intervenire per salvare gli ebrei. Ma essi non apprezzarono i suoi sforzi e, quando il faraone seppe dell’uccisione dell’egiziano, Mosè fu costretto a fuggire dall’Egitto. — Eso. 2:11-15; Atti 7:23-29.
QUARANT’ANNI IN MADIAN
Dopo un lungo viaggio nel deserto, Mosè cercò rifugio in Madian. Là, presso un pozzo, furono di nuovo evidenti il suo coraggio e la sua prontezza ad agire risolutamente per aiutare quelli che subivano ingiustizie. Quando dei pastori scacciarono le sette figlie di Ietro e il loro gregge, Mosè aiutò le donne e abbeverò per loro il gregge. Perciò fu invitato in casa di Ietro, fu assunto come pastore delle sue greggi e infine ne sposò una delle figlie, Zippora, che gli diede due figli, Ghersom e Eliezer. — Eso. 2:16-22; 18:2-4.
NOMINATO LIBERATORE
Verso la fine dei quarant’anni trascorsi in Madian, Mosè stava pascolando il gregge di Ietro presso il monte Horeb quando rimase sbalordito vedendo un cespuglio in fiamme che non veniva però consumato dal fuoco. Come si avvicinò per osservare il grande fenomeno, un angelo di Geova parlò dalla fiamma, rivelando che era giunto il tempo stabilito da Dio per liberare Israele dalla schiavitù, e dando a Mosè l’incarico di andare nel Suo memorabile nome, Geova. (Eso. 3:1-15) Geova, per mezzo dell’angelo, provvide le credenziali che Mosè avrebbe potuto presentare agli anziani di Israele: come segno avrebbe compiuto tre miracoli. Qui, per la prima volta nelle Scritture, leggiamo di un essere umano che ricevette il potere di compiere miracoli. — Eso. 4:1-9.
Non viene squalificato per la sua timidezza
Ma Mosè si mostrò restio, adducendo la scusa che era incapace di parlare correntemente. Era cambiato, era ben diverso dal Mosè che, di propria iniziativa, si era offerto di liberare Israele quarant’anni prima. Continuò a fare le sue rimostranze a Geova, chiedendogli infine di dispensarlo dall’impresa. Anche se questo suscitò l’ira di Dio, egli non rigettò Mosè ma gli provvide suo fratello Aaronne come portavoce. Così, quale rappresentante di Dio, Mosè diventò come “Dio” per Aaronne, che parlava in vece sua. Durante la successiva adunanza con gli anziani di Israele e gli incontri col faraone sembra che Dio desse istruzioni e comandi a Mosè, e questi a sua volta li riferisse ad Aaronne; quindi in effetti fu Aaronne a parlare davanti al faraone (il successore del faraone da cui Mosè era fuggito quarant’anni prima). (Eso. 2:23; 4:10-17) Più tardi Geova disse che Aaronne era “profeta” di Mosè, nel senso che, come Mosè era profeta di Dio, diretto da lui, così Aaronne doveva essere diretto da Mosè. Inoltre a Mosè fu detto che doveva diventare “Dio per Faraone”, cioè gli era data potenza e autorità divina sul faraone, quindi non c’era nessun bisogno di aver paura del re d’Egitto. — Eso. 7:1, 2.
Pur riprendendolo, Dio non tolse l’incarico a Mosè per la sua riluttanza ad assumere l’arduo compito di liberatore di Israele. Mosè non aveva esitato a motivo di vecchiaia, anche se aveva ottant’anni. Quarant’anni dopo, all’età di 120 anni, Mosè era ancora pieno di vigore e vitalità. (Deut. 34:7) Durante i quarant’anni trascorsi in Madian, Mosè aveva avuto molto tempo per meditare, e aveva capito l’errore che aveva fatto cercando di liberare gli ebrei di propria iniziativa. Ora si rendeva conto della propria inadeguatezza. E dopo tutto quel tempo, isolato da tutti gli avvenimenti esterni, fu senza dubbio uno shock ricevere improvvisamente tale incarico.
DAVANTI AL FARAONE D’EGITTO
Mosè e Aaronne annunciarono ciascuna delle dieci piaghe. Le piaghe vennero come annunciato, a riprova dell’incarico di Mosè quale rappresentante di Geova. Il nome di Geova era proclamato e se ne parlava molto in Egitto, e questo ebbe l’effetto sia di intenerire che di indurire: intenerire gli israeliti e alcuni egiziani, indurire il faraone e i suoi consiglieri e sostenitori. (Eso. 9:16; 11:10; 12:29-39) Anziché credere di aver offeso i loro dèi, gli egiziani sapevano che Geova giudicava i loro dèi. Dopo la nona piaga anche Mosè era diventato “molto grande nel paese d’Egitto, agli occhi dei servitori di Faraone e agli occhi del popolo”. — Eso. 11:3.
Ci fu un netto cambiamento anche negli uomini di Israele. In un primo momento essi avevano accettato le credenziali di Mosè ma, visto che per ordine del faraone il loro lavoro era diventato più duro, si lamentarono contro di lui al punto che Mosè scoraggiato si rivolse a Geova. (Eso. 4:29-31; 5:19-23) Geova allora lo rafforzò rivelandogli che stava per adempiere quello che Abraamo, Isacco e Giacobbe avevano atteso, cioè rivelare il pieno significato del suo nome, Geova, liberando Israele e facendone una grande nazione nel paese della promessa. (Eso. 6:1-8) Neanche ora gli uomini di Israele diedero ascolto a Mosè. Ma poi, dopo la nona piaga, furono tutti solidali con lui, pronti a collaborare, così che, dopo la decima piaga, poté organizzarli e condurli via in modo ordinato, “in formazione di battaglia”. — Eso. 13:18.
Prima della decima piaga, Mosè ebbe il privilegio di istituire la Pasqua. (Eso. 12:1-16) Presso il Mar Rosso dovette affrontare nuove lamentele del popolo, che si sentiva intrappolato e sul punto di essere massacrato. Ma sotto la potente mano di Geova, egli espresse la fede di un vero condottiero, rassicurando Israele che Geova avrebbe annientato l’esercito egiziano inseguitore. In tale crisi Mosè evidentemente gridò a Geova Dio, che gli disse: “Perché continui a gridare a me?” Quindi gli comandò di alzare la verga e stendere la mano sul mare e separarlo. (Eso. 14:10-18) Secoli dopo l’apostolo Paolo disse a proposito del passaggio di Israele attraverso il Mar Rosso: “I nostri antenati furono tutti sotto la nube e tutti passarono attraverso il mare e tutti furono battezzati in Mosè mediante la nube e il mare”. (I Cor. 10:1, 2) Geova li battezzò. Per essere liberati dai feroci inseguitori, gli antenati ebrei dovettero unirsi a Mosè loro capo e seguirlo mentre li guidava attraverso il mare. L’intera congregazione di Israele così fu in effetti immersa nel liberatore e condottiero Mosè.
MEDIATORE DEL PATTO DELLA LEGGE
Nel terzo mese dopo l’esodo dall’Egitto, Geova dimostrò di fronte a tutto Israele la grandezza dell’autorità e responsabilità affidate al suo servitore Mosè, e la posizione di intimità con Dio di cui godeva. Davanti a tutto Israele, radunato ai piedi del monte Horeb, Geova invitò Mosè a salire sul monte e, per mezzo di un angelo, gli parlò. In un’occasione Mosè ebbe il privilegio di avere quella che probabilmente fu l’esperienza più straordinaria che qualsiasi uomo abbia mai avuto prima della venuta di Gesù Cristo. Lassù sul monte Geova diede a Mosè, mentre era solo, una visione della sua gloria, mettendo su di lui la sua “palma” per fargli schermo, consentendogli di vederlo “di dietro”, evidentemente di vedere il riverbero di tale divina manifestazione di gloria. Poi, per così dire, parlò personalmente a Mosè. — Eso. 19:1-3; 33:18-23; 34:4-6.
Geova disse a Mosè: “Tu non puoi vedere la mia faccia, perché nessun uomo può vedermi e vivere”. (Eso. 33:20) E secoli dopo l’apostolo Giovanni scrisse: “Nessun uomo ha in nessun tempo veduto Dio”. (Giov. 1:18) Il martire cristiano Stefano disse agli ebrei: “[Mosè] è colui che fu tra la congregazione nel deserto, con l’angelo che gli parlò sul monte Sinai”. (Atti 7:38) Sul monte Geova era dunque rappresentato da un angelo. Tuttavia la gloria di Geova manifestata dal suo rappresentante angelico era tale che la pelle del volto di Mosè emetteva raggi e i figli di Israele non potevano sostenerne la vista. — Eso. 34:29-35; II Cor. 3:7, 13.
Dio costituì Mosè mediatore del patto della Legge stipulato con Israele, posizione confidenziale che nessun uomo ha mai avuta davanti a Dio, tranne Gesù Cristo, il Mediatore del nuovo patto. Col sangue di sacrifici animali Mosè asperse il libro del patto, che rappresentava un “contraente”, Geova, e il popolo (senza dubbio gli anziani che lo rappresentavano), l’altro “contraente”. Lesse il libro del patto al popolo, che rispose: “Noi siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito e a ubbidire”. (Eso. 24:3-8; Ebr. 11:19) In qualità di mediatore Mosè ebbe il privilegio di sovrintendere all’erezione del tabernacolo e alla fabbricazione dei suoi utensili, di cui Dio gli diede il modello, e di insediare il sacerdozio, ungendo il tabernacolo e il sommo sacerdote Aaronne con olio speciale. Quindi presiedette alle prime funzioni ufficiali del sacerdozio appena consacrato. — Eso. capp. 25-29; Lev. capp. 8,’9.
Mediatore idoneo
Mosè si recò più volte sul monte Horeb, in due occasioni vi rimase quaranta giorni e quaranta notti. (Eso. 24:18; 34:28) La prima volta tornò con due tavolette di pietra “scritte col dito di Dio”, che contenevano le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti, le fondamentali leggi del patto della Legge. (Eso. 31:18; Deut. 4:13) In quella prima occasione Mosè dimostrò di essere un idoneo mediatore fra Geova e Israele e condottiero di quella grande nazione composta forse di tre milioni di individui o più. Mentre era sul monte Geova informò Mosè che il popolo si era volto all’idolatria, e disse: “Or dunque, lasciami stare, affinché la mia ira divampi contro di loro e io li stermini, e fammi fare di te una grande nazione”. L’immediata risposta di Mosè rivelò che la santificazione del nome di Geova aveva per lui la massima importanza, che era assolutamente altruista e non desiderava la propria fama. Mosè non chiese nulla per sé, ma piuttosto si preoccupava per il nome di Geova che era stato poco prima esaltato col miracolo del Mar Rosso, e rispettava la promessa che Dio aveva fatto a Abraamo, Isacco e Giacobbe. Geova, approvando la supplica di Mosè, risparmiò il popolo. Quindi evidentemente riteneva che Mosè assolvesse in modo soddisfacente il ruolo di mediatore, e rispettava la disposizione presa affidandogli tale incarico. Perciò Geova decise di fare altrimenti circa il “male che aveva proferito di fare al suo popolo”. — Eso. 32:7-14.
Quando scese dal monte Mosè manifestò il proprio zelo per la vera adorazione quale mediatore a favore di Dio. Vedendo gli idolatri gaudenti, gettò per terra le tavolette spezzandole, e chiamò quelli che volevano stare dalla sua parte. La tribù di Levi si unì a lui ed egli comandò loro di mettere a morte quelli che si erano dati alla falsa adorazione, col risultato che furono uccisi circa tremila uomini. Poi tornò da Geova, riconoscendo il grave peccato del popolo e supplicando: “Ma ora, se vuoi, perdona il loro peccato, e se no, cancellami, ti prego, dal tuo libro che tu hai scritto”. L’intercessione supplichevole di Mosè non dispiacque a Dio, che anzi rispose: “Chi ha peccato contro di me, quello cancellerò dal mio libro”. — Eso. 32:19-33.
In molte occasioni Mosè rappresentò la parte di Geova nel patto, prendendo la direttiva nella vera, pura adorazione e giudicando i disubbidienti. Più di una volta si interpose affinché la nazione o i singoli non fossero distrutti per mano di Geova. — Num. cap. 12; Num. 14:11-21; 16:20-22, 43-50; 21:7; Deut. 9:18-20.
ALTRUISMO, UMILTÀ, MANSUETUDINE
I principali interessi di Mosè erano il nome di Geova e il Suo popolo. Perciò non cercava gloria o preminenza. Quando lo spirito di Geova scese su certi uomini nell’accampamento ed essi cominciarono ad agire quali profeti, Giosuè aiutante di Mosè voleva trattenerli, evidentemente pensando che sminuissero la gloria e l’autorità di Mosè. Ma egli replicò: “Senti gelosia per me? No, io vorrei che tutto il popolo di Geova fosse profeta, perché Geova porrebbe su di esso il suo spirito!” — Num. 11:24-29.
Pur essendo il condottiero nominato da Geova della grande nazione di Israele, Mosè era pronto ad accettare consigli, specie quando potevano essere utili per la nazione. Poco dopo che gli israeliti avevano lasciato l’Egitto, Ietro, portando con sé la moglie e i figli di Mosè, gli fece visita. Osservò come fosse duro il lavoro di Mosè che si consumava per risolvere i problemi di chiunque venisse da lui. Saggiamente suggerì a Mosè di delegare una certa autorità ad altri per alleggerire il proprio incarico. Mosè accettò e seguì il consiglio di Ietro, e organizzò il popolo in gruppi di mille, cento, cinquanta e dieci, costituendo un giudice per ciascun gruppo. Solo i casi difficili venivano sottoposti a Mosè. Si noti inoltre che Mosè, spiegando a Ietro ciò che faceva, disse: “Allorché sorge fra loro una causa, essa deve venire a me e io devo giudicare fra una parte e l’altra, e devo far conoscere le decisioni del vero Dio e le sue leggi”. Così dimostrò di riconoscere che aveva il dovere di giudicare non secondo le proprie idee, ma secondo le decisioni di Geova e, soprattutto, che aveva la responsabilità di aiutare il popolo a conoscere e rispettare le leggi di Dio. — Eso. 18:5-7, 13-27.
Mosè ripetutamente indicò che il vero Condottiero era Geova e non lui. Quando il popolo cominciò a lamentarsi per il cibo, Mosè disse: “I vostri mormorii non sono contro di noi [Mosè e Aaronne], ma contro Geova”. (Eso. 16:3, 6-8) Forse perché Miriam pensava che la sua importanza poteva essere eclissata dalla presenza della moglie di Mosè, lei e Aaronne per gelosia e mancanza di rispetto cominciarono a parlare contro Mosè e la sua autorità. La Bibbia mostra che le loro parole erano tanto più spregevoli in quanto proprio a questo punto dice: “L’uomo Mosè era di gran lunga il più mansueto di tutti gli uomini che erano sulla superficie della terra”. Mosè evidentemente esitò a imporsi, sopportando con mansuetudine l’offesa. Ma Geova ne fu indignato perché in realtà era un affronto fatto a Lui. Si occupò lui stesso della cosa e punì severamente Miriam. L’amore di Mosè per la sorella lo spinse a intercedere per lei, gridando: “O Dio, ti prego! Sanala, ti prego!” — Num. 12:1-15.
UBBIDIENZA, SOTTOMISSIONE A GEOVA
Mosè serviva Geova. Anche se è chiamato legislatore di Israele, riconobbe che le leggi non avevano avuto origine da lui. Non agiva in modo arbitrario, decidendo in base alla propria conoscenza. Nelle cause legali, quando non c’era un precedente o non riusciva a capire esattamente come applicare la legge; presentava la cosa a Geova affinché prendesse una decisione giudiziaria. (Lev. 24:1016, 23; Num. 15:32-36; 27:1-11) Seguiva con cura le istruzioni. Nel complesso lavoro per costruire il tabernacolo e fare i suoi utensili e gli abiti sacerdotali, Mosè esercitò scrupolosa sorveglianza. La Bibbia dice: “E Mosè faceva secondo tutto ciò che Geova gli aveva comandato. Egli fece proprio così”. (Eso. 40:16; confronta Numeri 17:11). Più volte troviamo altre espressioni indicanti che ogni cosa veniva fatta “proprio come Geova aveva comandato a Mosè”. (Eso. 39:1, 5, 21, 29, 31, 42; 40:19, 21, 23, 25, 27, 29) È un bene per i cristiani che sia stato così, infatti lo scrittore di Ebrei fa notare che tali cose erano “un’ombra” e una figura di cose celesti. — Ebr. 8:5.
MOSÈ SBAGLIA
Mentre Israele era accampato a Cades, probabilmente nel quarantesimo anno della loro peregrinazione, Mosè fece un grave errore. Un esame dell’episodio dà risalto al fatto che Mosè non solo aveva una posizione di grande prestigio, ma quale condottiero e mediatore per la nazione aveva anche una grave responsabilità di fronte a Geova. A motivo della scarsità di acqua il popolo cominciò a litigare aspramente con Mosè, incolpandolo di averli condotti via dall’Egitto in un deserto desolato. Mosè aveva avuto molta pazienza nel sopportare la perversità e insubordinazione degli israeliti, condividendone le privazioni e intercedendo per loro quando peccavano, ma qui perse momentaneamente la sua mansuetudine e mitezza. Esasperati e amareggiati, Mosè e Aaronne si posero davanti al popolo come Geova aveva comandato. Ma invece di richiamare l’attenzione sul fatto che era Geova a provvedere l’acqua, parlarono duramente al popolo e richiamarono l’attenzione su di sé, infatti Mosè disse: “Udite, ora, ribelli! Vi faremo uscire acqua da questa rupe?” Al che colpì la rupe e Geova fece scaturire acqua sufficiente per la moltitudine e le loro greggi. Ma Dio si dispiacque del comportamento di Mosè e Aaronne. Erano venuti meno alla loro principale responsabilità, quella di magnificare il Suo nome. Si erano comportati in modo irriverente nei confronti di Geova, e Mosè aveva ‘parlato aspramente con le sue labbra’. Più tardi Geova decretò: “Poiché non avete mostrato fede in me per santificarmi dinanzi agli occhi dei figli d’Israele, non introdurrete questa congregazione nel paese che per certo darò loro”. — Num. 20:1-13; Deut. 32:50-52; Sal. 106:32, 33.
SCRITTORE
Mosè scrisse il Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. In tutta la loro storia gli ebrei l’hanno riconosciuto come lo scrittore di questa parte della Bibbia che chiamano la Tohràh o Legge. Gesù e gli scrittori cristiani si sono spesso riferiti a Mosè quale legislatore. Generalmente gli viene attribuito il libro di Giobbe e anche un Salmo (90) e forse un altro (91). — Matt. 8:4; Luca 16:29; 24:27; Rom. 10:5; I Cor. 9:9; II Cor. 3:15; Ebr. 10:28.
MORTE E SEPOLTURA
Aaronne fratello di Mosè morì all’età di 123 anni mentre Israele era accampato presso il monte Hor, alla frontiera di Edom, nel quinto mese del quarantesimo anno del loro viaggio. Mosè accompagnò Aaronne sul monte, gli tolse gli abiti sacerdotali e ne rivestì Eleazaro, il figlio maggiore di Aaronne rimasto in vita e suo successore. (Num. 20:22-29; 33:37-39) Circa sei mesi più tardi Israele giunse nelle pianure di Moab. Là Mosè in una serie di discorsi spiegò la Legge alla nazione radunata, diffondendosi sugli aggiustamenti che sarebbero stati necessari quando Israele sarebbe passato dalla vita nomade dell’accampamento a una vita stabile nel proprio paese. Nel dodicesimo mese del quarantesimo anno (nella primavera del 1473 a.E.V.), annunciò al popolo che, per volere di Geova, Giosuè avrebbe preso il suo posto di condottiero. Giosuè ricevette quindi l’incarico e fu esortato a essere coraggioso. (Deut. 31:1-3, 23) Infine, dopo aver recitato un cantico e aver benedetto il popolo, Mosè salì sul monte Nebo secondo il comando di Geova, prima per ammirare di lassù il panorama della Terra Promessa, poi per morire. — Deut. 32:48-51; 34:1-6.
Mosè aveva 120 anni quando morì. La Bibbia attesta che era ancora forte, osservando: “Il suo occhio non si era indebolito, e la sua forza vitale non l’aveva abbandonato”. Fu seppellito da Geova in un luogo rimasto sconosciuto. (Deut. 34:5-7) Questo probabilmente per impedire che gli israeliti cadessero nel laccio della falsa adorazione venerando la sua tomba. Evidentemente il Diavolo desiderava servirsi del corpo di Mosè per uno scopo del genere, infatti Giuda, discepolo cristiano e fratellastro di Gesù Cristo, scrive “Quando l’arcangelo Michele ebbe una controversia col Diavolo e disputava intorno al corpo di Mosè, non osò portare un giudizio contro di lui in termini ingiuriosi, ma disse: ‘Ti rimproveri Geova”‘. (Giuda 9) Prima di entrare in Canaan sotto la guida di Giosuè, Israele osservò trenta giorni di lutto per Mosè. — Deut. 34:8.
UN PROFETA CHE GEOVA CONOBBE “A FACCIA A FACCIA”
Mosè, anche se non vide mai letteralmente la persona stessa di Geova, ebbe con Lui un rapporto più diretto, intimo e costante di qualsiasi profeta prima di Gesù Cristo. Dicendo “gli parlo a bocca a bocca”, Geova rivelò che dava a Mosè personale udienza (per mezzo di angeli, i quali hanno accesso alla presenza stessa di Dio [Matt. 18:10]). (Num. 12:6-8; Deut. 34:10-12) Quale mediatore di Israele ebbe con Dio una comunicazione virtualmente continua mediante una conversazione a due. In qualunque momento poteva presentare a Dio problemi d’importanza nazionale e ricevere la Sua risposta. Geova affidò a Mosè ‘tutta la Sua casa’, servendosi di lui quale suo stretto rappresentante nell’organizzare la nazione. (Ebr. 3:2, 5) I profeti successivi continuarono semplicemente a edificare sul fondamento posto per mezzo di Mosè.
Il modo in cui Geova comunicava con Mosè produceva una tale impressione che era come se Mosè avesse visto effettivamente Dio con i propri occhi, invece di avere semplicemente una visione mentale o un sogno in cui udiva parlare, modo questo in cui Dio comunicava normalmente coi suoi profeti. I rapporti di Geova con Mosè erano così reali che Mosè agiva come se avesse visto “Colui che è invisibile”. — Ebr. 11:27.
PREFIGURÒ GESÙ CRISTO
Gesù Cristo spiegò chiaramente che Mosè aveva scritto di lui, infatti in un’occasione disse agli oppositori: “Se credeste a Mosè credereste a me, poiché egli ha scritto di me”. (Giov. 5:46) “Cominciando da Mosè e da tutti i Profeti”, quando era con i discepoli, Gesù “interpretò loro le cose che lo concernevano in‘tutte le Scritture”. — Luca 24:27, 44; confronta Deuteronomio 18:18, 19 con Atti 3:19-23; vedi TRASFIGURAZIONE.
Sotto molti aspetti c’era una vivida corrispondenza fra questi due grandi profeti, Mosè e Gesù Cristo. Entrambi nell’infanzia erano sfuggiti a una strage ordinata dai rispettivi sovrani del loro tempo. (Eso. 1:22; 2:1-10; Matt. 2:13-18) Mosè fu chiamato dall’Egitto col “primogenito” di Geova, la nazione di Israele, di cui era il condottiero. Gesù fu chiamato dall’Egitto quale Figlio primogenito di Dio. (Eso. 4:22, 23; Osea 11:1; Matt. 2:15, 19-21) Entrambi digiunarono per quaranta giorni in luoghi desertici. (Eso. 34:28; Matt. 4:1, 2) Entrambi vennero nel nome di Geova, e il nome stesso di Gesù significa “Salvezza (o Aiuto) di Geova”. (Eso. 3:13-16; Matt. 1:21; Giov. 5:43) Gesù, come Mosè, ‘dichiarò il nome di Geova’. (Deut. 32:3; Giov. 17:6, 26) Entrambi erano di una mansuetudine e umiltà eccezionale. (Num. 12:3; Matt. 11:28-30) Entrambi avevano le credenziali più convincenti che erano stati mandati da Dio: straordinari miracoli di ogni genere, in cui Gesù Cristo superò Mosè riportando in vita persone morte. — Eso. 14:21-31; Sal. 78:12-54; Matt. 11:5; Mar. 5:38-43; Luca 7:11-15, 18-23.
Mosè fu il mediatore del patto della Legge fra Dio e la nazione di Israele. Gesù fu il Mediatore del nuovo patto fra Dio e la “nazione santa”, lo spirituale “Israele di Dio”. (I Piet. 2:9; Gal. 6:16; Eso. 19:3-9; Luca 22:20; Ebr. 8:6; 9:15) Entrambi furono giudici e legislatori. (Eso. 18:13; Mal. 4:4; Giov. 5:22, 23; 13:34; 15:10) Mosè fu fedele economo della ‘casa di Dio’. Gesù mostrò similmente fedeltà nella casa di Dio; Mosè lo fece tuttavia come servitore, Cristo come Figlio. (Num. 12:7; Ebr. 3:2-6) Anche nella morte ci fu un parallelo: Dio eliminò sia il corpo di Mosè che quello di Gesù. — Deut. 34:5, 6; Atti 2:31; Giuda 9.
Dopo che Mosè prese posizione come ebreo anziché come egiziano, Geova Dio lo unse, vale a dire lo nominò suo profeta, e come tale Mosè era il “Cristo” o “Unto (Nominato)”. Lo spirito di Geova fu naturalmente su Mosè quale profeta. (Num. 11:16, 17, 24, 25) In tal modo Mosè era ‘il Cristo’ di quel tempo; ma per poter avere tale privilegio aveva dovuto rinunciare ai “tesori d’Egitto” ed essere “maltrattato col popolo di Dio” e quindi biasimato. Ma per Mosè “il biasimo del Cristo” era ricchezza maggiore di tutta la ricchezza d’Egitto. — Ebr. 11:24-26.
Questo trova un parallelo in Gesù Cristo. Secondo l’annuncio dell’angelo alla sua nascita avvenuta a Betleem, doveva diventare “un Salvatore, che è Cristo il Signore”. Diventò il Cristo o l’“Unto” dopo che il profeta Giovanni l’ebbe battezzato nel Giordano. (Luca 2:10, 11; 3:21-23; 4:16-21) Dopo di che egli dichiarò di essere “il Cristo” o il Messia. (Matt. 16:16, 17; Mar. 14:61, 62; Giov. 4:25, 26) Gesù Cristo non perse mai di vista il premio e disprezzò la vergogna, come aveva fatto Mosè. (Filip. 2:8, 9; Ebr. 12:2) La congregazione cristiana è battezzata in questo più grande Mosè, in Gesù Cristo, il predetto Profeta, Liberatore e Condottiero. — I Cor. 10:1, 2.