La via per eccellenza dell’amore
“E ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza”. — 1 Cor. 12:31.
1. Chi dobbiamo amare per avere la vita eterna, e perché?
GEOVA ha una via d’amore. Per mezzo di essa si è distinto, ed è sui principi dell’amore che egli opera nell’universo. È per lui una eccellente via per governare tutte le sue creature intelligenti. Con questa via mantiene tutte le sue creature fedeli indissolubilmente vincolate a lui. Pone il modello dell’amore, e richiede che tutte le sue creature intelligenti lo imitino. Solo a quelli che si comportano così sarà permesso di vivere per sempre. Essi devono amarlo ritenendolo degno della loro affezione e della loro completa devozione, rispondendo in tal modo al suo grande amore per loro. Devono amare le altre creature come lui le ama. Facendo così rassomigliano a Dio. L’amato Figlio di Dio disse che i due grandi comandamenti erano questi: (1) “Tu amerai dunque l’Eterno [Geova], il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze”. (2) “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. (Deut. 6:5 e Lev. 19:18; Matt. 22:37-40) Per dimostrarci degni della vita eterna in qualche parte dell’universo di Dio dobbiamo osservare questi comandamenti e seguire questa via eccellente di amore.
2, 3. Quale organizzazione ha goduto di più l’amor di Dio? Perché?
2 Non c’è nessuna organizzazione nell’intera creazione che più della Sua organizzazione o chiesa abbia sentito e tratto beneficio da questo tenero attributo di Dio. Benché ebbe inizio solo nel primo secolo della nostra èra comune, questa congregazione o chiesa fu prefigurata molti secoli prima dalla congregazione dell’antico popolo eletto di Geova, la nazione d’Israele. Egli ne ebbe cura perché amò i loro antenati. Il suo profeta Mosè disse alla nazione: “E perch’egli ha amato i tuoi padri, ha scelto la loro progenie dopo loro, . . .. perché l’Eterno vi ama, perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, l’Eterno vi ha tratti fuori con mano potente e vi ha redenti dalla casa di schiavitù”. — Deut. 4:37 e 7:8.
3 Solo un piccolo rimanente di quella nazione privilegiata si dimostrò degno di essere trasferito nella nuova congregazione o chiesa e di formarne il nucleo. La volontà di Dio per la nuova organizzazione di sua scelta era che dovrebbe essere perfezionata nella sua dedizione a lui e in tutte le qualità divine, fra le quali principalmente quella dell’amore. Non intendiamo dire che questa nuova organizzazione sia quella che pretende di essere la “cristianità”, poiché questa non è la Sua organizzazione più di quanto lo sia il resto del mondo del quale è la parte predominante. Intendiamo la vera organizzazione messianica o cristiana, la “chiesa di Dio” fondata nel primo secolo. Esiste una enorme differenza fra la cosiddetta cristianità e la vera congregazione di Geova Dio. La cristianità non ha mai camminato nella via per eccellenza, ma è stata sempre egoista, crudele e mondana. Quantunque si sia trovata in mezzo alla cristianità, la vera chiesa di Dio non ne ha mai fatto parte, ma ha sinceramente cercato di imitare Iddio e di camminare nella sua eccellente via. L’egoista e crudele spirito mondano della cristianità le ha impedito di imitare Geova Dio e di costituire una benedizione per il genere umano, e perciò essa sarà tosto distrutta nella battaglia di Harmaghedon. Ma la vera chiesa sussisterà per sempre per la lode di Geova e per la benedizione di tutti gli uomini di buona volontà.
4, 5. Come ha dato prova Iddio di avere assunto la nuova organizzazione?
4 Non è facile stabilire una nuova organizzazione e dimostrare che Dio ha trasferito ad essa il suo favore e la sua benedizione dopo aver trattato esclusivamente con una precedente antica organizzazione per oltre millesettecento anni. Quindi, per dar la prova che la chiesa cristiana di recente stabilita era la sua congregazione eletta e per aiutarla a sormontare il difficile periodo della sua infanzia e il suo trapasso dal vecchio sistema di cose al nuovo, Geova Dio fece una speciale manifestazione del suo spirito o forza attiva sulla nuova organizzazione del suo popolo devoto, i seguaci del Messia, Gesù Cristo.
5 Circa nove secoli prima degli ultimi giorni del vecchio sistema e dei primi giorni del nuovo, Iddio aveva ispirato Gioele a pronunziare una profezia su questa memorabile operazione della divina forza attiva sulla chiesa cristiana, dicendo: “E, dopo questo, avverrà che io spanderò il mio spirito sopra ogni carne, e i vostri figliuoli e le vostre figliuole profetizzeranno, i vostri vecchi avranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni; e anche sui servi e sulle serve, spanderò in quei giorni il mio spirito. E farò de’ prodigi . . . prima che venga il grande e terribile giorno dell’Eterno. E avverrà che chiunque invocherà il nome dell’Eterno [Geova] sarà salvato”. (Gioe. 2:28-32) I fatti registrati nella storia mostrano che questa profezia cominciò ad avere adempimento sul rimanente giudaico di seguaci di Gesù alla festa della Pentecoste nell’anno 33 d.C. Sotto il potere, di quello spirito di Geova Dio sparso su loro questi giudei seguaci di Gesù cominciarono improvvisamente e in modo miracoloso a parlare in lingue straniere. Sotto il potere di quella energia divina l’apostolo Pietro e quelli che erano con lui si alzarono e profetizzarono o spiegarono un certo numero di profezie relativamente a Geova Dio e Cristo Gesù, alla folla di gente meravigliata che si radunò. Mediante la stessa invisibile energia attiva essi ricevettero altresì in quell’istante certi doni di conoscenza, affinché potessero istruire quella folla. Tutta questa preannunziata manifestazione dello spirito di Dio costituì la prova ch’egli aveva scelto questa congregazione di Gesù il Messia, e in quel solo giorno tremila, Giudei e proseliti restarono convinti di questo fatto e passarono dalla rigettata vecchia organizzazione alla nuova congregazione cristiana. — Atti 2:1-41.
VIA DI SVILUPPO MEDIANTE DONI
6. Che cosa fu dispensato mediante lo spirito alla chiesa primitiva?
6 Avvenne così che fu stabilita la nuova organizzazione e dimostrò di essere la eletta organizzazione di Dio d’allora in poi con i convincenti doni miracolosi del suo spirito concessi ai membri dell’organizzazione. Uno dei Suoi ultimi membri fu l’apostolo Paolo, il quale trattò più di qualsiasi altro scrittore cristiano ispirato il soggetto di questi mirabili doni dello spirito. Nel dodicesimo capitolo della sua prima lettera ai Cristiani di Corinto egli scrisse: “Circa i doni spirituali, fratelli, non voglio che siate nell’ignoranza. Or vi è diversità di doni ma v’è un medesimo spirito. E vi è diversità di ministeri, ma non v’è che un medesimo Signore. E vi è varietà di operazioni, ma non v’è che un medesimo Iddio, il quale opera tutte le cose in tutti. Or a ciascuno è data la manifestazione dello spirito per l’utile comune. Infatti, a uno è data mediante lo spirito parola di sapienza; a un altro, parola di conoscenza, secondo il medesimo spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo spirito; a un altro, doni di guarigioni, per mezzo del medesimo spirito; a un altro, potenza di operar miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue, e ad un altro, la interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell’uno e medesimo spirito”. (1 Cor. 12:1, 1-11) La rigettata vecchia organizzazione dei Giudei fece opposizione ma non potè fermare la manifestazione dello spirito di Geova con doni miracolosi ai nuovi credenti cristiani, nè lo poterono le organizzazioni religiose pagane. Malgrado l’invidia e l’ostilità degli increduli Giudei e pagani Dio Onnipotente rivelò chi erano coloro sui quali furono posti la sua potenza e il suo spirito. Così i doni dello spirito continuavano ad essere impartiti ed esercitati dai seguaci del suo Figlio durante quei giorni apostolici.
7, 8. Quali domande si presentano sull’attuale mancanza di doni ora? Come rispondiamo noi?
7 Considerando quali testimoni di Geova Dio la sua organizzazione in questo ventesimo secolo, dobbiamo ammettere che non possiede e non esercita i miracolosi doni dello spirito che contrassegnarono e identificarono l’organizzazione dei suoi testimoni in quel primo secolo. Quelli che non comprendono perché questi doni mancano oggi possono chiedere: non è oggi il Cristianesimo uguale a quello d’allora? Non soffre oggi la chiesa cristiana di Geova di una vitale mancanza per il fatto che non ha più quei convincenti doni spirituali per operare e per predicare “questo evangelo del Regno”? In quest’ora cruciale nella quale il comunismo ateo e la mondanità religiosa si spandono dappertutto, non avremmo noi la possibilità di dare una più efficace testimonianza per il suo regno se fossimo sostenuti da questi miracolosi doni dello spirito per convincere i dubbiosi?
8 Rispondiamo che il puro Cristianesimo (ma non la sedicente cristianità) è oggi lo stesso come era nella sua infanzia. Non ha sofferto riflusso, non paralisi, non indebolimento per il fatto che la forza attiva o spirito di Dio non agisce più con gli stessi miracolosi doni spirituali. L’assenza di questi doni non ci sorprende. Fu predetta nel primo secolo dall’apostolo Paolo, il quale disse: “Quanto alle profezie, esse verranno abolite; quanto alle lingue, esse cesseranno; quanto alla conoscenza, essa verrà abolita”. (1 Cor. 13:8) La cessazione del dono di lingue e l’abolizione del dono di profezia e di conoscenza non sono segni del disfavore di Dio e neppure di qualsiasi impotenza o indebolimento del suo spirito. Questi miracolosi doni non erano per tutti i Cristiani, e non li ebbero tutti. Parlando dei suoi giorni l’apostolo Paolo chiedeva: “Tutti sono eglino apostoli? Son forse tutti profeti? Son forse tutti dottori? Fan tutti de’ miracoli? Tutti hanno eglino i doni delle guarigioni? Parlan tutti in altre lingue? Interpretano tutti?” (1 Cor. 12:29, 30) L’apostolo fa tutte queste domande in modo tale da suscitare la risposta appropriata, No! Perciò la mancanza di qualcuno di questi doni non potrebbe esser prova di disapprovazione da parte di Dio, ma mostrerebbe piuttosto che ha adottato un diverso modo di operare. Non noi controlliamo il conferimento di questi doni miracolosi, o altri doni particolari, ma Iddio, teocraticamente. Egli fornisce i membri della sua chiesa secondo il suo compiacimento da Gesù Cristo in poi. E il suo spirito può operare e opera, tanto potentemente oggi senza questi doni spirituali quanto per mezzo loro nel primo secolo. Infatti, il fedele rimanente della vera chiesa cristiana, mediante lo spirito di Geova Dio, sta oggi compiendo una testimonianza per il suo nome e per il suo regno più potente che mai nel passato durante l’èra cristiana.
9. Che cosa rende la chiesa la stessa oggi, senza nessuna perdita effettiva?
9 Poiché questi miracolosi doni spirituali sono da lungo tempo scomparsi perché non sono più necessari in questo giorno avanzato della vera chiesa, sarebbe inutile che oggi i Cristiani consacrati desiderassero ardentemente di esser dotati di qualcuno di loro, come lingue straniere, capacità di tradurle, potere di guarigioni, profetizzare o predicare mediante ispirazione, ecc. Il tempo per tali doni è passato, e Geova Dio non esaudirebbe mai le preghiere che li invocassero. Diciannove secoli fa era un mezzo buono ed efficace per stabilire ed edificare la congregazione dei Cristiani, quello di concedere tali impressionanti doni dello spirito ai suoi membri. Ma il rimanente della vera chiesa oggi guidato da Dio mediante il suo spirito sta seguendo una via più eccellente di quella dell’uso dei doni spirituali. Questa è la via dell’amore. È questa la via che rende la vera chiesa cristiana simile oggi a quello che era nel primo secolo, nella sua infanzia, quando aveva bisogno dei segni di miracolosi doni spirituali. La vera chiesa d’oggi ha la stessa, qualità essenziale d’amore dei giorni apostolici. È con la via dell’amore che essa viene edificata e compie tutte le sue opere in ubbidienza a Dio e a imitazione di Gesù Cristo. È questa permanente, importantissima via che essa ha cercato di percorrere in tutti questi diciannove secoli. Questa è una via più eccellente di quella che consiste nell’operare puramente e semplicemente per mezzo dei doni dello spirito. Per conseguenza seguendo senza deviare questa via nell’attuale punto culminante dell’èra cristiana, la chiesa non ha sofferto alcuna reale perdita, non si è trovata davanti a nessun ostacolo insormontabile, non è stata danneggiata dal fatto che non è più in possesso di tali doni. Essa è così colma di spirito come in quel lontano passato. La sua fede e la sua speranza sono tanto forti e luminose quanto nel passato, se non maggiormente, ora che siamo pervenuti alla fine di questo mondo e le profezie hanno completo adempimento.
10. Come si può paragonare la via dell’amore ai doni spirituali, e perché?
10 È a questo che si riferisce l’apostolo quando mostra che vi è varietà di doni spirituali e chiede se i Cristiani hanno tutti gli stessi doni. Poiché vi è varietà di doni, alcuni devono essere preferiti ad altri. Ma per quanto si possano desiderare tali doni, vi è tuttavia qualche cosa d’importanza molto più grande e vitale che non si deve perdere di vista. È bene che i doni superiori siano desiderati durante il tempo che sono dispensati, ma vi è una cosa di eccellenza ben maggiore dei doni miracolosi, e che di conseguenza dev’essere desiderata di più, per la quale ci si deve adoperare con maggiore intensità di opere. Perciò l’apostolo richiama su di essa l’attenzione dicendo: “Ma desiderate ardentemente i doni maggiori. E ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza”. (1 Cor. 12:31) Noi Cristiani del giorno presente possiamo accogliere l’incoraggiamento dell’apostolo e aspirare ad acquistare questa cosa con tanto ardore e con tanta fiducia quanto i nostri fratelli ai giorni suoi. Benché ci manchino i doni miracolosi, oggi possiamo camminare così completamente e fedelmente su quella via più eccellente come vi camminarono loro nei tempi apostolici e in tal modo possiamo dimostrarci degni della salvezza eterna. Questa via è la via di Dio, quella dell’amore.
NON ESISTE GUADAGNO PERSONALE SENZA DI ESSA
11, 12. Come si può parlare lingue straniere e non essere nulla? Perché?
11 Per mostrare quanto sia superiore questa via, l’apostolo illustra come sia essenziale. Si supponga di aver avuto alcuni o tutti i doni miracolosi dispensati dallo spirito di Dio. Tuttavia se fosse stato trascurato di coltivare questa vitale qualità, l’amore, non si sarebbe venuto a capo di nulla. Continuando ancora a parlare dei doni dello spirito, l’apostolo comincia il tredicesimo capitolo della sua epistola dicendo: “Se io parlo le lingue degli uomini e degli angeli, e non ho amore, lo sono un rame risonante od un rimbombante cembalo. E se io ho [il dono di] profezia e comprendo tutti i misteri e tutta la conoscenza; e se ho tutta la fede, fino a trasportare i monti, ma non ho amore, sono nulla”. (1 Cor. 13:1, 2, Cocorda) Se c’era qualcuno qualificato per scrivere tali parole, questo era l’apostolo Paolo, poiché egli era in possesso di tutti i doni qui elencati, e lo era in misura sovrabbondante. Con l’espressione “lingue degli uomini” non si riferiva all’oratoria o eloquenza, con cui affascinar l’uditorio o piegarlo a qualsiasi opinione o azione, poiché l’apostolo confessava di non averla. Alcuni Corinzi ai quali stava scrivendo gli avevano detto: “Ben sono le sue lettere gravi e forti; ma la sua presenza personale è debole, e la sua parola è cosa da nulla”. Ed egli lo ammetteva dicendo: “Se pur sono rozzo nel parlare, tale non sono nella conoscenza”. (2 Cor. 10:10 e 11:6) Con l’espressione “lingue degli uomini” l’apostolo intendeva parlare del dono miracoloso concesso di parlare nelle lingue straniere degli uomini, e in queste “lingue degli uomini” egli poteva parlare mediante la potenza dello spirito di Dio, ossia della sua invisibile energia. Nel capitolo seguente esclama: “Io ringrazio Dio che parlo in altre lingue più di tutti voi”. — 1 Cor. 14:18.
12 A che cosa sarebbe valso se Paolo avesse parlato mediante lo spirito in tutte queste diverse lingue e non avesse interpretato o non vi fosse stato nessuno nell’adunanza a interpretare per lui? Non avrebbe loro recato maggior bene che se avessero ascoltato un barbaro pagano. “Perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno l’intende, ma in ispirito proferisce misteri. Chi parla in altra lingua edifica sè stesso; . . . Perciò, chi parla in altra lingua preghi di poter interpretare; poiché, se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa”. Ora se Paolo avesse persistito nel parlare le lingue senza che i suoi discorsi fossero accompagnati dall’interpretazione, non sarebbe stato certamente amorevole da parte sua. I suoi ascoltatori non ne avrebbero ricavato nessun beneficio salvo quello di riconoscere che questo era un segno dello spirito operante in lui, e Paolo non avrebbe fatto altro che far mostra del suo dono. Questo comportamento non lo avrebbe edificato nell’amore e non gli avrebbe fruttato nessun beneficio permanente. Fu perchè amava quelli che cercavano l’edificazione spirituale e la salvezza che Paolo aggiunse questa determinazione: “Io ringrazio Dio che parlo in altre lingue più di tutti voi; ma nella chiesa preferisco dir cinque parole intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua”. — 1 Cor. 14:2, 4, 13, 14, 18, 19.
13, 14. Che cosa vien prima, profezia o lingue? Perché?
13 Per il medesimo saggio, amorevole motivo un predicatore del regno di Dio dovrebbe cercar di parlare nell’idioma comune adoperato e compreso dal popolo, invece di servirsi di un linguaggio di stile elevato che darebbe prova di un’alta istruzione ma che per il suo uditorio equivarrebbe a una lingua straniera. È con questo intento che la Scuola biblica Watchtower di Galaad cerca di dare ai missionari che diploma la conoscenza fondamentale della lingua del paese nel quale sono mandati. Gli angeli hanno una lingua loro propria, ma se Paolo o qualcun’altro avesse parlato in quella lingua celeste, avrebbe potuto dar prova di possedere un dono superiore, però quali creature sulla terra avrebbero tratto beneficio da quello che avrebbe detto? Per loro sarebbe stato come un rumoroso tamburo o un rimbombante cembalo. Non sarebbe stato altro che questo agli occhi di Dio. Quando gli angeli mandati da Dio apparvero a uomini e donne, parlarono nelle lingue che essi comprendevano, affinché potessero ricevere il messaggio di Dio e trarne beneficio.
14 Il dono di profezia era superiore a quello delle lingue straniere. “Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione. Chi parla in altra lingua edifica sè stesso; ma chi profetizza edifica la chiesa. Or io ben vorrei che tutti parlaste in altre lingue; ma molto più che profetaste; chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue, a meno ch’egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione. . . . Pertanto, fratelli, bramate il profetare, e non impedite il parlare in altre lingue”. (1 Cor. 14:3-5, 39) Per il suo potere di edificare i fratelli nella lingua da essi compresa, il dono di profezia doveva essere maggiormente desiderato fra tutti. Infatti Paolo elenca il dono di profezia immediatamente dopo quello di apostolo, dicendo: “Ed è lui che ha dato gli uni come apostoli; gli altri, come profeti; gli altri, come evangelisti; gli altri come pastori e dottori”. Egli elenca il dono di diverse lingue ottavo e ultimo. Il dono di profezia era impartito agli uomini e alle donne. La profezia di Gioele 2:28, 29 prediceva che lo spirito sarebbe stato sparso su entrambi i sessi, e che i figliuoli e le figliuole, i servi e le serve avrebbero profetizzato. E infatti ci è narrato che tanto le donne che gli uomini erano stati fatti partecipi di questo dono. Le quattro figliuole vergini dell’evangelista Filippo profetizzavano. Paolo scrisse per fissare la regola nell’opera di profezia delle donne nell’assemblea di Corinto, dicendo che dovevano portare il velo mentre profetizzavano, per il rispetto dovuto agli uomini consacrati che rappresentavano il Capo della chiesa, Gesù Cristo. Egli disse: “Il capo della donna è l’uomo, . . . ogni donna che prega o profetizza senz’avere il capo coperto da un velo, fa disonore al suo capo”. — 1 Cor. 11:3-5; Atti 21:8, 9.
15. Come si poteva usare il dono di profezia senza profitto da parte di chi l’usa?
15 Paolo eccelleva fra quelli che profetizzavano mediante il dono dello spirito. Egli si rendeva conto tuttavia che, per esserne lui stesso beneficiato, doveva, nel profetizzare, esser mosso da un giusto motivo. Quelli che ascoltavano la sua ispirata predicazione potevano essere edificati nella fede e nella conoscenza, ma se desiderando di esser profeta e dedicandovisi in questo modo Paolo non fosse stato mosso dall’amore, la sua predicazione ispirata non avrebbe prodotto nessun buon effetto su lui stesso. Poteva in questo caso esser simile all’antico profeta Balaam nei giorni in cui Mosè conduceva gli Israeliti fuori d’Egitto, verso la Terra Promessa. Balaam non cercava altro che il suo proprio, egoistico, personale vantaggio, e si era venduto a Balak re di Moab per maledire gli Israeliti. Ma contrariamente alla sua malvagia intenzione il potente spirito di Dio fece pronunziare a Balaam una benedizione profetica sul popolo che avrebbe voluto maledire. Balaam. non aveva il cuore ben disposto in quella profezia di benedizione. Poco dopo fu ucciso come profeta che amava il salario dell’ingiustizia e tentava di controbilanciare la benedizione facendo cadere i benedetti Israeliti nelle insidie dell’immorale idolatria. (Num. 22:1 fino a 25:3; 31:8; Apoc. 2:14; 2 Piet. 2:15, 16) Perciò l’apostolo scriveva ai Corinzi che per impedire alla sua carne egoista di padroneggiarlo, trattava duramente il suo corpo, “che talora, dopo aver predicato agli altri, io stesso non sia riprovato”. — 1 Cor. 9:15-18, 26, 27.
16, 17. Con quale motivo e come dobbiamo noi predicare il Regno? Perché?
16 Il dono di profezia ossia di predicazione ispirata tramontò dopo la morte degli apostoli dell’Agnello Gesù Cristo; ma oggi, mediante la potenza dello spirito di Dio, la predicazione dell’evangelo del Regno per la salvezza del genere umano è eseguita come mai nel passato. La predicazione da pubbliche tribune e di casa in casa per l’edificazione del popolo procede, ma ogni uomo o donna che predica il Regno deve chiedersi: che cosa mi spinge a farlo?
17 Potremmo aver sviluppato la facoltà di pronunziare bene un discorso o una testimonianza alla verità. Potremmo avere il migliore argomento per convincere che scritturalmente abbiamo ragione. Potremmo avere la capacità di spiegare le verità contenute nella Bibbia e renderle chiare e intelligibili a quelli che ascoltano. Potremmo in questo modo aiutare perfino a far venire altri alla verità, aiutandoli a ravvisare il privilegio di dedicarsi interamente a Dio e al suo servizio. Potremmo far tutto questo per qualcun’altro. Ma, se l’amore non dimora in noi, quale bene ne ricaviamo per noi stessi? Questo fa bene ad altri, ma dovrebbe fare a noi stessi pure il massimo bene. Non siamo solo interessati alla salvezza altrui, ma anche alla nostra. Noi amiamo la vita, e la desideriamo eternamente. Però la nostra dev’essere una vita d’amore. Deve esprimere amicizia, verso coloro che cercano la vita. Quindi la nostra predicazione dev’essere calda d’amore, con l’impronta del vero interesse per il perpetuo benessere di quelli che ci ascoltano. Non si tratta qui di esporre freddamente i fatti davanti ai nostri uditori e dire, in sostanza: “Le cose stanno così! Prendete o lasciate!” Dobbiamo dare qualche cosa di più. Predicando dobbiamo versare il nostro cuore ai nostri ascoltatori, facendo loro conoscere che siamo veramente interessati alla loro vita eterna mediante la conoscenza e il servizio di Dio e di Cristo. Facendo così, l’amore ci seguirà nella via che oggi profetizziamo, e non solo esso aiuterà ma noi ne trarremo il massimo beneficio per la nostra vita eterna.
MISTERI
18, 19. Come non usò Paolo erratamente la sua conoscenza dei misteri?
18 Ognuno deve far uso del dono avuto da Dio nel modo giusto, cioè con amore prima di tutto verso Dio e con amore per il prossimo. Altrimenti l’uso del dono non reca alcun vantaggio a colui che se ne serve, neppure l’uso del dono di conoscenza di tutti i misteri. Dandocene l’ammonimento, Paolo deve sapere bene quello che dice. Egli avrebbe potuto inorgoglirsi dell’abbondanza di rivelazioni avute dallo spirito di Dio. Ma non volle che i suoi fratelli avessero un’opinione troppo alta di lui personalmente per il fatto che conosceva tanti misteri o verità segrete con una tale chiarezza. Perciò disse: “Così ci stimi ognuno come de’ ministri di Cristo e degli amministratori de’ misteri di Dio. Del resto, quel che si richiede dagli amministratori, è che ciascuno sia trovato fedele”. — 1 Cor. 4:1, 2.
19 Dando queste istruzioni ai suoi fratelli, Paolo agiva con amore verso loro e verso Iddio nell’uso che faceva della conoscenza delle verità segrete. Avrebbe potuto servirsi di questa conoscenza per indurre i fratelli a seguirlo e così formare una setta, facendo credere di avere eccezionale sapienza, di avere una posizione speciale presso Dio che gli conferiva speciale conoscenza nell’intima cerchia segreta degli esperti. Ma quel contegno sarebbe stato egoista, da chi ambisce innalzare se stesso. Lo avrebbe condotto alla rovina finale sotto la disapprovazione di Dio. Per impedire che i suoi fratelli cristiani assumessero un’attitudine errata, idolatra verso di lui, l’apostolo rammentò loro che la conoscenza di questi misteri non era dovuta alla sua propria sapienza, ma che gli era soltanto stata affidata da Cristo. Dunque era semplicemente un modesto servitore di Cristo sotto l’obbligo di dispensare la conoscenza di questi misteri ai ricercatori della verità. Cosicché di questa conoscenza non doveva esser dato credito al semplice servitore Paolo, ma a Cristo, il Rivelatore dei sacri segreti. Paolo aveva l’obbligo di serbarsi fedele al suo Maestro Cristo Gesù distribuendo la conoscenza di questi misteri ai seguaci di Cristo. Per la sua fedeltà e sottomissione nel farlo non doveva essere idolizzato, adorato e seguito come un capo settario. Egli non faceva altro che il suo dovere verso Cristo, e Cristo ne doveva essere ringraziato, lodato, onorato e seguito. Se Paolo amava Iddio e Cristo e i suoi fratelli, doveva adoperare questi misteri altruisticamente, non per diventar grande fra gli uomini, ma per magnificare Iddio, il quale rivela i sacri misteri mediante Cristo. Questo era profittevole per Paolo.
20. Come fece uso Gesù di tale conoscenza, e come la otteniamo oggi?
20 Cristo Gesù disse ai suoi fedeli seguaci: “A voi è dato di conoscere i misteri del regno di Dio; ma agli altri se ne parla in parabole, affinché vedendo non veggano, e udendo non intendano”. (Luca 8:10) Gesù conosceva questi misteri del Regno. Tuttavia non si servì di questa conoscenza egoisticamente. No; ma espose la sua conoscenza con amore. Avrebbe potuto servirsi egoisticamente dei misteri per edificare per se stesso un vasto corpo di seguaci nominali. Lungi dal comportarsi in questo modo, egli comunicò i misteri alla grande moltitudine in parabole e detti oscuri spiegandoli in privato solo ai pochi eletti ai quali Dio voleva che ne fosse concessa la conoscenza. Oggi i seguaci di Cristo sono aiutati a comprendere i sacri segreti della Parola e del proposito di Dio, non da ispirati doni di conoscenza, ma dalla potenza illuminatrice del Suo spirito. Perciò è ancora vero che: “Com’è scritto: Le cose che occhio non ha vedute, e che orecchio non ha udite e che non son salite in cuor d’uomo, son quelle che Dio ha preparate per coloro che l’amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello spirito; perché lo spirito investiga ogni cosa, anche le cose profonde di Dio.” — 1 Cor. 2:9, 10.
21, 22. Come dobbiamo adoperare la conoscenza di tali misteri oggi, e perché?
21 Una volta ottenuta, la conoscenza di questi meravigliosi misteri che provvedono la chiave per comprendere la Bibbia potrebbe essere adoperata egoisticamente. Avendo una particolare capacità di spiegarli potremmo far credere di avere una grande cultura, farne sfoggio richiamando su noi stessi lodi e ammirazione. Oppure potremmo abbandonarci a preferenze e avversioni e non condividere questi misteri equamente con tutti quelli che interrogano e desiderano sapere. Oppure, per paura degli uomini, potremmo evitare di dichiarare questi che mettono a nudo l’organizzazione e l’attività dei nemici di Dio. Così facendo daremmo prova di non amare Iddio. Poichè “nell’amore non c’è paura; anzi, l’amor perfetto caccia via la paura; perché la paura implica apprensione di castigo; e chi ha paura non è perfetto nell’amore. In questo l’amore è reso perfetto in noi, affinché abbiamo confidanza nel giorno del giudizio”. — 1 Giov. 4:18, 17.
22 Per questo Paolo chiese ai suoi fratelli cristiani di innalzare a Dio delle supplicazioni per lui, dicendo: “Acciocché mi sia dato di parlare apertamente per far conoscere con franchezza il mistero dell’evangelo”. Chiese che pregassero “affinché Iddio ci apra una porta per la Parola onde possiamo annunziare il mistero di Cristo”. (Efes. 6:19; Col. 4:3) Indubbiamente, con una vasta conoscenza dei misteri, Paolo aveva un amore che lo induceva a sacrificar se stesso; e certamente i mariti e le mogli cristiane d’oggi che conoscono il mistero di Cristo e della sua chiesa devono manifestare amore cercando di applicare tale conoscenza nelle loro relazioni reciproche. Spiegando queste cose, Paolo dice: “Questo mistero è grande; dico questo, riguardo a Cristo ed alla Chiesa. Ma d’altronde, anche fra voi, ciascuno individualmente così ami sua moglie, come ama se stesso; e altresì la moglie rispetti il marito”. (Efes. 5:32, 33) Per il nostro proprio vantaggio e per quello altrui, dobbiamo servirci della conoscenza di questi profondi segreti di Dio amorevolmente.
CONOSCENZA
23, 24. Quale altra conoscenza possiamo noi avere, come mostrarono Gesù e Pietro?
23 Esiste un’altra conoscenza oltre quella dei sacri misteri, e qui si presenta la domanda opportuna: come si deve applicare e impartire questa conoscenza? Paolo disse che se avesse posseduto tutta la scienza e non avesse con questa avuto amore, avrebbe dato prova di non contar nulla agli occhi di Dio, non importa quanto intelligente avrebbero potuto ritenerlo i fratelli cristiani. Qui egli si riferiva particolarmente ai doni occasionali di conoscenza miracolosamente dispensati dallo spirito, e i quali doni sarebbero tramontati con l’andar del tempo.
24 Gesù aveva, per esempio, questo momentaneo dono speciale di conoscenza quando esclamava all’avvicinarsi di Natanaele: “Ecco un vero israelita in cui non c’è frode”. “Natanaele gli chiese: Da che mi conosci?” Certo, come lo conosceva Gesù se non mediante lo spirito di Dio? Perciò Gesù potè mostrare quale fosse la conoscenza che aveva di lui, rispondendogli: “Prima che Filippo ti chiamasse, quand’eri sotto il fico, io t’ho veduto”. (Giov. 1:47, 48) Dopo lo spargimento dello spirito santo avvenuto il giorno della Pentecoste, quando i due discepoli Anania e Saffira cospirarono per far mostra di una totale contribuzione al servizio di Dio, l’apostolo Pietro ebbe un opportuno dono di conoscenza. Questo lo mise in grado di smascherare il falso gioco. Quando quell’uomo consegnò solo una parte del contributo tentando di far credere che consegnava tutto, Pietro sapeva come stavano le cose. Egli disse: “Anania, perché ha Satana così riempito il cuor tuo da farti mentire allo spirito santo e ritener parte del prezzo del podere? Se questo restava invenduto, non restava tuo? E una volta venduto, non ne era il prezzo in tuo potere? Perché ti sei messa in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini ma a Dio”. Anania cadde a terra stecchito; e più tardi, quando sua moglie Saffira mostrò di essere d’accordo con lui nella cospirazione, Pietro le disse: “Perché vi siete accordati a tentare lo spirito del Signore?” Anch’ella cadde a terra stecchita, ma questo non avvenne per qualche mancanza d’amore nell’uso della conoscenza da parte di Pietro. — Atti 5:1-10.
25, 26. Come adoperò Paolo tale conoscenza e quale commento fece egli sulla conoscenza?
25 Un esempio nel quale Paolo ebbe un opportuno dono di conoscenza si verificò mentre egli si trovava a bordo della nave in rotta per Roma. Quando il naufragio apparve certo e l’ufficiale militare ed i suoi uomini cercavano di abbandonare la nave, Paolo disse loro: “Se costoro non restano nella nave, voi non potete scampare”. Ed il mattino del giorno in cui avvenne il naufragio disse a tutti quelli che erano a bordo: “Oggi son quattordici giorni che state aspettando, sempre digiuni, senza prender nulla. Perciò, io v’esorto a prender cibo, perché questo contribuirà alla vostra salvezza; poiché non perirà neppure un capello del capo d’alcun di voi”. “Dobbiamo esser gettati sopra un’isola”. (Atti 27:31, 33, 34, 26) Quanto provvidenziali potrebbero essere i doni di conoscenza e quale mirabile cosa sarebbe possedere tutta la necessaria conoscenza!
26 Paolo sapeva benissimo quali pericoli si trovano nella conoscenza, poiché disse parlando di se stesso: “Non sono un oratore forse, ma posseggo conoscenza; e non ho mai mancato di rendermi intelligibile a voi”. (2 Cor. 11:6, Moffatt) Ma se abbiamo maggior conoscenza di altri siamo esposti a insuperbire, e così fare il nostro danno. E la persona che ha una conoscenza superiore con la consapevolezza illuminata che dà, può comportarsi egoisticamente. Potrebbe esercitare la libertà che gli dà la sua consapevolezza senza curarsi delle difficoltà che la libertà dei suoi atti potrebbe recare a coloro che hanno meno conoscenza e quindi provano timori per motivi di coscienza. Perciò la conoscenza dev’essere controbilanciata e governata dall’amore. A questo proposito l’apostolo dice, ragionando sul problema dei cibi: “Circa le cose sacrificate agl’idoli, noi sappiamo che tutti abbiamo conoscenza. La conoscenza gonfia ma l’amore edifica. Se alcuno stima conoscere qualche cosa egli non ha ancora conosciuto come convien conoscere, ma se alcuno ama Dio, egli è conosciuto da Lui. . . . Ma non in tutti è la conoscenza”. (1 Cor. 8:1-7, Cocorda) Quelli che hanno maggiore conoscenza devono avere amorevole comprensione dell’ignoranza degli altri.
27, 28. Come può la conoscenza danneggiare chi la possiede? Come può essere resa vantaggiosa?
27 Fiero di conoscere così bene la verità, chi è egoista è portato a dire: “Mi voglio divertire. Che m’importa di quello che la gente pensa di me? So di far bene comportandomi così. Se altri sono ignoranti, io non ne ho colpa. Perché dovrei lasciare che l’altrui ignoranza e non illuminata coscienza, mettesse dei freni alla mia libertà e m’impedisse di godere i miei diritti?” Poiché questo modo d’agire non concorrerebbe all’edificazione altrui, ma potrebbe danneggiare anche quelli che sono cristiani, non sarebbe un modo d’agire amorevole. Perché non si sente rimordere la coscienza, data la sua conoscenza, chi tiene un tale contegno potrebbe pensare che non gliene verrebbe danno. Ma egli danneggia se stesso invece, in quanto ostacola il suo progresso nell’amore e Dio lo potrebbe ritenere responsabile di aver provocato l’annientamento spirituale degli altri per aver voluto comportarsi egoisticamente secondo quanto sa di essere giusto.
28 La conoscenza ci deve aiutare ad esprimere il nostro amore in modo sempre più vantaggioso. Se un marito sa comprendere la situazione di una donna, può manifestarle il suo affetto in modo più illuminato. Pietro consiglia i mariti a fare proprio questo. Egli dice: “Parimente, voi, mariti, convivete con esse colla discrezione dovuta al vaso più debole ch’è il femminile. Portate loro onore, poiché sono anch’esse eredi con voi della grazia della vita, onde le vostre preghiere non siano impedite. Infine, siate tutti concordi, compassionevoli, pieni d’amor fraterno, pietosi, umili”. (1 Piet. 3:7, 8) Conformemente alla superiorità dell’amore sulla conoscenza Pietro mostra come i Cristiani devono progredire e comportarsi per non venir mai meno al premio celeste, e quindi menziona l’amore come punto culminante. Egli dice che devono aggiungere con diligenza alla fede la virtù, alla virtù la conoscenza, e alla conoscenza, non solo la padronanza di se stessi, la pazienza, la pietà, ma anche l’affetto fraterno, e che l’affetto fraterno sia coronato dall’amore. — 2 Piet. 1:5-7, Cocorda.