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Domande ai lettori (1)La Torre di Guardia 1954 | 15 luglio
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Samaritano si avvicinò, sentì compassione, curò le sue ferite, lo condusse in un albergo e pagò perché fosse curato ulteriormente. Questo Samaritano non giudeo fu così identificato come il vero prossimo dell’uomo maltrattato, ma non il sacerdote e il Levita. (Luca 10:25-37) Ma poiché il tradizionale concetto di “prossimo” era limitato a un connazionale giudeo e dato il loro ben noto odio e la loro inimicizia verso i Gentili, non è difficile vedere perché furono indotti ad aggiungere “e odiare il tuo nemico” alla legge divina “Devi amare il tuo prossimo”.
Perciò Gesù li riprovò e dimostrò che dovevano amare non soltanto il prossimo ma anche i nemici. La parola “amore” (greco, agape) significa qui amore sociale o morale, amore basato sul consenso deliberato della volontà come questione di principio, di dovere e di correttezza. Si tratta di ciò che è giusto, secondo il ragionamento del cervello, invece dell’amore (greco, philéo) che significa un sentimentale e personale attaccamento ed affetto, che viene dal cuore, com’è generalmente inteso. Trattandosi di seguire principi giusti noi mostreremo a tutti gli uomini questo amore morale, anche a quelli che potrebbero perseguitare noi personalmente. Non lasceremo che delle inimicizie personali ci facciano abbandonare l’amore basato su giusti princìpi, ma li osserveremo rispetto a tutti gli uomini. Noi pregheremo inoltre che coloro che ci perseguitano per ignoranza aprano gli occhi e scorgano la verità del nuovo mondo di Geova.
Ma non pregheremo per coloro che Geova ha condannati, per coloro contro i quali egli ha emesso un giudizio definitivo. Fare ciò significherebbe violare i comandamenti di Geova. (Ger. 7:16; 11:14) Amando quelli che sono dichiarati nemici di Geova si reca dispiacere a Dio: “Dovevi tu dare aiuto ad un empio e amar quelli che odiano l’Eterno? Per questo fatto hai attirato su di te l’ira dell’Eterno [Geova]”. (2 Cron. 19:2) Non quelli che possono esserci nemici per motivi personali, ma quelli che hanno dimostrato odio premeditato verso Dio noi odiamo e riteniamo come nostri nemici perché essi sono nemici di Dio: “O Eterno, non odio io quelli che t’odiano? E non aborro io quelli che si levano contro di te? Io li odio di un odio perfetto; li tengo per miei nemici”. (Sal. 15:4; 139:21, 22) Ma in ogni caso noi ‘non ricambiamo male per male a nessuno’ e lasciamo a Geova ogni vendetta. — Deut. 32:35; Rom. 12:17, 19, NW.
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Domande ai lettori (3)La Torre di Guardia 1954 | 15 luglio
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Domande ai lettori
È scritturale supporre che i 144.000 membri del corpo di Cristo siano impiegati per prendere i posti lasciati vacanti dagli angeli che si
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Domande ai lettori (2)La Torre di Guardia 1954 | 15 luglio
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Domande ai lettori
◆ Atti 14:14 (NW) parla degli “apostoli Barnaba e Paolo”. Perché Barnaba, che non era uno dei dodici apostoli, fu chiamato qui un apostolo? — H. B., Zona del Canale.
“Apostolo” significa inviato o mandato. Atti 14:14 parla di Barnaba come di un apostolo perché si trovava in un giro missionario con Paolo e vi era stato mandato dalla congregazione cristiana di Antiochia per ordine dello spirito santo. (Atti 13:14) In 2 Corinzi 8:23 (NW) Paolo parla riguardo ai “nostri fratelli” e dice ch’essi sono “apostoli di congregazioni”, che significa, secondo la nota in calce, ch’essi erano degli “inviati; uomini mandati”. Essi furono mandati dalle congregazioni per rappresentarle e a loro spese. In Filippesi 2:25 (NW) Paolo parla di Epafrodito come di un loro inviato, o, secondo la nota in calce, di un loro apostolo. Anche di Cristo Gesù si parla come dell’apostolo di Dio perché fu inviato da Dio per compiere una missione terrena. — Ebr. 3:1.
Questa comprensione elimina ciò che alcuni ritengono una differenza fra Atti 9:26, 27 e Galati 1:17-19. In Atti è dichiarato che quando Paolo giunse a Gerusalemme e cercò di associarsi con i discepoli essi avevano timore di lui, non essendo certi della sua conversione; “quindi Barnaba venne in suo aiuto e lo condusse dagli apostoli,” descrivendo loro la conversione di Paolo e la sua successiva condotta a Damasco. (NW) In Galati quando Paolo parla del suo viaggio a Gerusalemme, tre anni dopo esser tornato a Damasco provenendo dall’Arabia, dice: “Salii a Gerusalemme per visitare Cefa, e stetti con lui quindici giorni. Ma non vidi nessun altro degli apostoli, eccetto Giacomo fratello del Signore”. (NW) L’unico fra i dodici apostoli che Paolo vide quando andò a Gerusalemme fu Cefa, o Pietro. Tuttavia ciò non contraddice il fatto che in quel tempo Barnaba “lo condusse dagli apostoli”. Non dice che Barnaba lo condusse dai dodici apostoli, o al comitato dei dodici. Pietro fu il solo dei dodici che Paolo incontrò allora. Tutti gli altri apostoli ch’egli vi poteva aver incontrato erano semplicemente degli inviati o mandati. In questo senso Giacomo fratello del Signore poteva esser chiamato un apostolo, come sembra che Paolo lo chiami.
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