Lavorate con buona coscienza dinanzi a Dio e agli uomini
Poiché siamo devoti servitori di Geova dobbiamo essere laboriosi, e ‘fare con le nostre mani ciò che è buon lavoro, onde abbiamo qualche cosa da distribuire a qualcuno nel bisogno’. (Efes. 4:28) Mentre ci impegneremo in un lavoro costruttivo, vorremo accertarci che la nostra occupazione non sia in contrasto con i princìpi biblici. Altrimenti non potremo seguire l’ammonizione ispirata: “Qualunque cosa facciate, fatela con tutta l’anima come a Geova”. — Col. 3:23.
Sebbene ci interessiamo anzitutto di essere approvati da Dio, dobbiamo anche pensare ai nostri simili. Vogliamo evitare quello che causerebbe loro inutile offesa o che renderebbe la “buona notizia” soggetta a biasimi e critiche. — Confrontare 2 Corinti 4:2.
Perciò dobbiamo essere realistici in fatto di lavoro. Come in altre attività della vita, non possiamo evitare ogni contatto o rapporto con gli avidi, i ricattatori, gli idolatri e i fornicatori di questo mondo. Altrimenti, come scrisse l’apostolo ispirato, “dovreste effettivamente uscire dal mondo”. — 1 Cor. 5:9, 10.
Prendiamo il caso del cristiano che è alle dipendenze di un datore di lavoro non completamente onesto. Finché il cristiano non pratica personalmente o non incoraggia qualche cosa di errato, non è responsabile. Per esempio, non è ragionevole attendersi che una segretaria emani un giudizio su ogni dichiarazione che il principale le detta da trascrivere nelle lettere. Ella lascerà a lui la responsabilità di qualsiasi menzogna o disonestà in ciò che detta. Ma se la sua disonestà è estrema, così che la sua impresa abbia una cattiva reputazione, la coscienza potrebbe spingerla a cercare un altro impiego.
In effetti tutto ciò che ha relazione con questo mondo peccaminoso ha qualche aspetto indesiderabile. Per questo dobbiamo usare discernimento nel determinare ciò che veramente non si addice al lavoratore cristiano e ciò che — anche se sotto alcuni aspetti non è del tutto desiderabile — è tuttavia permesso dal punto di vista scritturale.
L’esempio di Dio
Per avere una veduta equilibrata del lavoro, possiamo seguire l’esempio che Geova Dio dà nel modo in cui considera l’umanità. “Egli fa sorgere il suo sole sui malvagi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. (Matt. 5:45) Dio non ha concesso ai malvagi solo le cose puramente essenziali della vita. Egli è stato anche generoso permettendo loro di valersi dei suoi provvedimenti. — Atti 14:17.
Mettendo indistintamente a disposizione sia dei giusti che dei malvagi i suoi provvedimenti è Dio colpevole di approvare o di tollerare l’idolatria, la fornicazione, i furti e altre cose simili praticate dai malvagi? Ovviamente no, come ha mostrato con gli atti che compì al Diluvio e in altri tempi di giudizio divino. Né incoraggia a continuare le pratiche illegali. Non c’è nessuna chiara relazione né alcun diretto legame fra il fatto che i malvagi traggono profitto dal sole, dalla pioggia, dal vento e da altre cose e le loro pratiche peccaminose. In effetti con l’immeritata benignità che mostra agli ingiusti, Geova Dio manifesta la sua pazienza e fornisce una base su cui continuare a esortarli affinché abbandonino le loro vie malvage e si volgano a lui. — Rom. 2:4-6; Ezec. 33:11.
Perciò i servitori di Dio possono in coscienza rendere molti servizi personali a quelli del mondo senza fare alcuna discriminazione. Dopo tutto tali persone sono proprietà di Dio e di Cristo, essendo state tutte acquistate col prezioso sangue del Figlio di Dio. (Matt. 20:28; 1 Tim. 2:5, 6) Benché non tutti l’accettino, Dio desidera che tutti si pentano e ottengano la salvezza, non che periscano. (2 Piet. 3:9) Quindi trattiamo giustamente i nostri simili tenendo presente questo fatto. Seguiamo anche il principio: “Tutte le cose . . . che volete che gli uomini vi facciano, anche voi dovete similmente farle loro”. (Matt. 7:12) Noi apprezziamo di non essere oggetto di discriminazione quando dobbiamo procurarci cibo, vestiario alloggio, mezzo di trasporto e altre cose essenziali sotto forma di beni e servizi. A nostra volta dobbiamo essere disposti a rendere ad altri comuni servizi. — Rom. 13:8-10.
Le principali domande
È chiaro che c’è una differenza tra il fare un lavoro che è utile ad altri semplicemente come nostri simili e un lavoro che incoraggia direttamente o sostiene pratiche errate. La domanda principale è questa: “Il lavoro o l’attività da svolgere costituisce in se stesso un atto condannato dalla Parola di Dio? O se no, è tuttavia così direttamente legato a tali pratiche condannate da rendere quelli che svolgono tale lavoro veri e propri complici o promotori della pratica errata?” In tali casi la coscienza cristiana indurrebbe senz’altro a rifiutare tale impiego.
Facciamo un’illustrazione: Non vogliamo che altri ci facciano violenza, avvelenino il nostro corpo, ci inducano a commettere immoralità o a rendere adorazione idolatra. Quindi non possiamo certo svolgere un lavoro che richieda di fabbricare, vendere o propagandare cose specificamente destinate a tali scopi, come nocive droghe che danno luogo ad assuefazione, materiale pornografico, immagini idolatriche e simili. Come potremmo insegnare ad altri che secondo le Scritture è errato usare tali cose e nello stesso tempo fare un lavoro che ne implica la produzione diretta o ne incoraggia l’uso? Tale lavoro sarebbe errato in se stesso.
Un altro lavoro può essere corretto in se stesso ma ugualmente errato perché è parte integrale di un’operazione o attività errata. Il lavoro di cassiere è in se stesso corretto. Ma che dire di chi fa il cassiere in una casa da gioco? Il gioco d’azzardo non è in armonia con la Parola di Dio, che condanna l’avidità e comanda di fare un lavoro onesto e produttivo. (1 Cor. 6:9, 10; Efes. 4:28; 1 Tess. 4:11, 12) Benché il cassiere in effetti non giochi d’azzardo, come farebbe colui che dà le carte, il suo lavoro non comporta forse la vendita dei gettoni per il gioco d’azzardo che costituiscono una parte essenziale dell’operazione? Non può dirsi questo anche di colui il cui lavoro consiste nella riparazione e manutenzione delle attrezzature per il gioco d’azzardo come distributori automatici di gettoni, ruote della roulette e cose simili? È chiaro che c’è un legame diretto fra il lavoro svolto e la stessa attività errata.
Sforziamoci d’avere una veduta equilibrata del lavoro
Ma se si tratta di svolgere un lavoro che non è in se stesso scritturalmente errato e che non ha diretta relazione con pratiche errate, può darsi che il cristiano debba soppesare altri fattori per prendere una decisione in armonia con la sua coscienza.
Per esempio, il lavoro di cuoco in un ristorante è un’occupazione onesta, poiché il cibo è qualcosa di cui tutti gli uomini si servono e hanno bisogno. Ma che dire di chi lavora per una catena di ristoranti, uno dei quali si trova in un ippodromo? Quella di insegnante scolastico è un’occupazione corretta; ma che dire se la scuola è di proprietà di un’organizzazione religiosa che non è veramente cristiana? Anche il lavoro di domestica è corretto. Ma che dire se ella deve lavorare in una casa situata in una zona riservata a scopi contrari ai princìpi esposti in Isaia 2:4?
Il gioco d’azzardo in un ippodromo non dipende dal cibo. La scuola di proprietà dell’organizzazione religiosa può non richiedere che l’insegnante insegni la falsa religione, forse usa libri di testo provveduti dal governo e può darsi che sia anche sotto la soprintendenza governativa. Dalla domestica si potrebbe richiedere solo di pulire, fare il bucato e cucinare. Il cristiano che svolge tale lavoro sarebbe soggetto ad essere disassociato dalla congregazione? Consideriamo alcuni esempi scritturali.
Nei casi menzionati la persona lavora in locali di proprietà di organizzazioni che svolgono attività non scritturali. Ma vuol dire questo che tale lavoro sia da condannare? Si può rammentare l’esortazione: “Uscite di mezzo a loro e separatevi . . . e cessate di toccare la cosa impura”. (2 Cor. 6:17) Dobbiamo forse capire da ciò che il terreno stesso o gli edifici di proprietà di tali organizzazioni ci contaminano? O non sono invece le pratiche stesse ‘impure’ agli occhi di Dio?
Le apparenze esteriori non sono sempre i fattori determinanti. Il Siro Naaman, ad esempio, decise di non offrire “più olocausto né sacrificio ad alcun altro dio ma a Geova”. Tuttavia, essendo Naaman servitore del re di Siria, faceva parte del suo lavoro entrare nel tempio di un falso dio, Rimmon, insieme al re e sostenere il re (evidentemente alquanto debole) mentre si inchinava davanti all’idolo. Pare che Naaman svolgesse questo servizio con una certa regolarità. Tuttavia quando espresse la sua coscienziosa preoccupazione in merito, Eliseo, profeta di Dio, rispose: “Va in pace”. (2 Re 5:15-19) È vero che un osservatore avrebbe potuto supporre da quanto vedeva che Naaman fosse un adoratore del falso dio Rimmon. Ma se ne parlava con l’uomo avrebbe saputo che le cose stavano diversamente.
Considerate anche l’esempio di Gesù Cristo. Nella sua attività di predicazione e di insegnamento aiutò noti peccatori. Limitò egli tale associazione ai luoghi pubblici, rifiutandosi di andare nelle case dei peccatori a mangiare con loro per paura di dare così l’impressione che condonasse la loro vita peccaminosa? No. Tuttavia alcuni, come i Farisei, che erano estremamente scrupolosi in tali cose ma erano privi di misericordia e di compassione, attribuirono un senso errato a quest’associazione di Gesù con tali persone, dando da intendere che egli condonasse gli errori commessi dai peccatori. (Luca 15:1, 2; 19:7) Ma col suo insegnamento e con la sua condotta Gesù dimostrò la falsità di tali supposizioni errate. Seguendo l’esempio di Gesù, dobbiamo fare attenzione a non giudicare altri solo dalle apparenze, supponendo che condonino per forza il male dato che lavorano in certi luoghi. — Rom. 14:4.
Seriamente preoccupati per l’effetto che ha su altri
Significa questo che il cristiano non debba assolutamente tener conto dell’effetto che hanno sugli altri certi fattori come luogo di lavoro, tipo di organizzazione per cui lavora e apparenze? No, perché tale mancanza di considerazione sarebbe un altro estremo da evitare.
I consigli ispirati che l’apostolo Paolo diede ai cristiani di Corinto ci aiutano ad avere il punto di vista equilibrato. Pur non parlando del lavoro, Paolo enuncia dei princìpi che si applicano anche ad esso. Nei mercati della carne di Corinto si vendeva carne di animali offerti in sacrificio agli idoli. Il cristiano che comprava tale carne avrebbe forse mostrato di non ‘fuggire l’idolatria’? Pagando la carne si sarebbe forse reso colpevole di sostenere tale idolatria? Si sarebbe reso impuro mangiando tale carne? Paolo indicò di no, poiché “a Geova appartengono la terra e ciò che la empie”. Considerando che in effetti la carne veniva da Geova e ringraziandolo per essa, il cristiano avrebbe mostrato che non considerava l’idolo come se fosse effettivamente un dio, e che non lo adorava. Poteva mangiare con la coscienza pura. Nello stesso tempo Paolo consigliò ai Corinti di non usare la propria libertà in modo tale da ferire la coscienza di qualcun altro. — 1 Cor. 10:14, 18-33.
Nella sua lettera l’apostolo aveva già indicato che non tutti avrebbero visto così chiaramente la cosa. (1 Cor. 8:4-8) A quelli la cui coscienza permetteva loro di mangiare tale carne, Paolo disse: “Continuate a vigilare affinché questa vostra autorità non divenga in qualche modo una pietra d’inciampo per quelli che son deboli. Poiché se alcuno vede te, che hai conoscenza, a giacere a un pasto nel tempio d’un idolo, non sarà la coscienza di colui che è debole edificata fino al punto di mangiare cibi offerti agli idoli?” — 1 Cor. 8:9, 10.
L’apostolo non dice che il fatto di mangiare la carne nell’area del tempio di un idolo fosse di per se stesso un peccato meritevole di disassociazione. Ma tale atto poteva essere pericoloso. Se lo vedeva qualcuno per cui tale atto era un segno che la falsa adorazione era tollerata, la sua coscienza poteva essere spinta a tornare alle pratiche della falsa adorazione. Quindi, mentre l’atto in se stesso non era errato, chi non teneva conto della coscienza di altri fino al punto di farli effettivamente inciampare e abbandonare la via della vita ‘peccava contro Cristo’, che morì come riscatto per loro. — 1 Cor. 8:11-13.
Seguendo questi stessi princìpi in materia di lavoro, possiamo vedere che anche se un certo lavoro di per se stesso non è errato, né di natura tale che si possa dire chiaramente che chi lo svolge sia complice dell’effettiva pratica errata, il cristiano si preoccuperà sempre di non divenire causa di inciampo. Per illustrare, prendiamo il caso di un cristiano che lavorava in un ristorante situato di fronte a un ippodromo. Forse la maggioranza dei clienti frequentavano l’ippodromo. In seguito può presentarsi l’opportunità di affittare dei locali nell’area dello stesso ippodromo e il ristorante potrebbe essere trasferito lì. Il cristiano continuerebbe a svolgere lo stesso lavoro, il semplice onesto lavoro di provvedere da mangiare, e i clienti del ristorante potrebbero essere essenzialmente gli stessi. Tuttavia alcuni potrebbero ora mettere in relazione il suo lavoro con il gioco d’azzardo. Facciamo un altro esempio: in una casa da gioco c’è anche un ristorante, che provvede pasti a poco prezzo per attirare i giocatori. Quindi il cristiano vorrebbe considerare qualsiasi legame di questo genere e soppesare coscienziosamente la cosa. Non vorrebbe incoraggiare la coscienza di alcuno così che sia spinto a giocare, e se si accorgesse che tale è la conseguenza del suo lavoro, senz’altro la coscienza lo spingerebbe a cercare un’altra occupazione. La sua preoccupazione sarebbe quindi di non divenire una vera e propria causa d’inciampo per altri e questo naturalmente dipenderebbe in considerevole misura dall’effetto prodotto su di loro dalle apparenze. Dovrebbe pure considerare l’effetto che avrebbe su di lui il lavorare in un ambiente poco sano, dovendo resistere alla tentazione di partecipare a pratiche errate.
Ma che dire se il tipo di lavoro stesso non ha a che fare con pratiche errate, ma è pagato da un’organizzazione che si occupa primariamente di attività non scritturali? Anche in questo caso il cristiano seguirà la sua coscienza nel soppesare la cosa e l’effetto che può produrre il fatto che è pagato da tale organizzazione. Un ristorante, ad esempio, può essere situato accanto a una casa da gioco e col tempo la casa da gioco potrebbe acquistare il ristorante. Quindi i dipendenti potrebbero essere pagati dalla casa da gioco, forse con i suoi assegni. È vero, ma le attività del ristorante continuano ad essere esattamente quelle di prima. Di nuovo il cristiano che vi lavora, pur riconoscendo che la sua attività in se stessa non lo porta a condonare il gioco d’azzardo né lo rende suo complice, vorrà soppesare la propria situazione e l’effetto che produce sugli altri. La sua decisione sarà determinata dalla gravità di tale effetto. La stessa cosa si direbbe dell’insegnante che insegna una materia come matematica in una scuola di proprietà di un’organizzazione religiosa della cristianità. Anche se col suo insegnamento non contribuisce alla divulgazione della falsa adorazione, egli considererà l’effetto che il suo lavoro avrebbe sugli altri e agirà di conseguenza.
Sembra di capire dalle Scritture che se il cristiano offre denaro a una persona od organizzazione del mondo per pagare merci o servizi ricevuti oppure se, viceversa, il cristiano riceve denaro da tale persona od organizzazione, questo non significa automaticamente che sostenga o condoni la pratica errata seguita da tale persona od organizzazione. Come abbiamo già visto, i cristiani potevano acquistare carne proveniente dai templi pagani. I templi pagani ne traevano un beneficio finanziario. Questo non avveniva per una contribuzione diretta, ma indirettamente attraverso la vendita della carne.
Anche se non è chi paga l’onesto lavoro del cristiano a determinare se la sua occupazione è corretta o errata, egli deve manifestare sotto questo aspetto la stessa considerazione e cautela come negli esempi citati sopra riguardo al luogo il lavoro. Il cristiano deve sempre nutrire il desiderio di promuovere la causa della verità e la divulgazione della buona notizia, non di ostacolarla inutilmente. Deve anche considerare l’effetto che avrà su di lui, se le circostanze in cui svolge il proprio lavoro possono essere spiritualmente nocive, costituendo forse un rischio spirituale o una seria tentazione a commettere il male. Il cristiano non può permettersi di indebolire o attenuare il suo odio per ciò che è male, poiché questo lo porterebbe a compromessi e a commettere effettivamente il male. — Ebr. 1:9.
“Se ha dubbi”
In molti campi della vita, incluso il lavoro, dobbiamo farci guidare dalla coscienza illuminata dalla Parola di Dio e dal suo spirito. Un altro componente della congregazione cristiana può non avere scrupoli di coscienza circa la correttezza di un certo tipo di lavoro. Ma la nostra coscienza può farci avere dubbi. Dobbiamo forse ignorare questi dubbi e lasciare che la coscienza di un altro decida per noi? L’apostolo Paolo ci dà la risposta ispirata nella sua considerazione sul mangiare la carne, e dice: “Se ha dubbi, è già condannato qualora mangi, perché non mangia con fede. In realtà, tutto ciò che non è dalla fede è peccato”. (Rom. 14:23) Pertanto se qualcuno non si sente a suo agio in un certo lavoro e non può giustificarlo nella propria coscienza, è saggio che lo cambi. Evita così di peccare nel senso di andare contro la sua coscienza, di ferirla. Nello stesso tempo la sua incertezza e le sue “intime opinioni” circa la giustezza di un certo lavoro non dovrebbero spingerlo a criticare altri, a polemizzare inutilmente e a giudicarli violatori della legge di Dio quando non c’è in tal senso nessuna chiara indicazione scritturale. — Rom. 14:1-5.
Facciamo bene a ricordare che i problemi inerenti a ciò che è un’occupazione accettevole non sono una cosa nuova. Oggi i sistemi del mondo e le persone in generale trascurano gli stessi giusti princìpi che trascuravano secoli fa, al tempo degli apostoli e prima. Tuttavia la Bibbia non fornisce una lunga lista di regole su ciò che è un lavoro accettevole o ciò che non lo è. Basilarmente, la Bibbia ci addita tre fattori da tenere in considerazione: (1) Il lavoro stesso è decisamente errato, consistendo di un’attività in se stessa peccaminosa perché viola le leggi morali di Dio o contribuisce direttamente alla violazione di tali leggi? (2) C’è la probabilità che sia data agli osservatori la definita impressione che i cristiani approvino il male, e la probabilità che inciampino commettendo essi stessi il male? (3) Il cristiano ha personalmente dubbi sul suo lavoro?
La responsabilità della congregazione
Se un fratello svolge un lavoro che è una chiara violazione della legge di Dio, la congregazione e i suoi anziani se ne preoccupano giustamente. Se il lavoro o il prodotto del lavoro è condannato dalle Scritture, o è di natura tale da renderlo complice della trasgressione o favorevole ad essa, gli anziani si sforzeranno prima di aiutarlo a capire che la sua condotta è errata. Nei casi in cui il legame è preciso ed evidente, dovrebbe essere possibile fargli capire chiaramente ciò che dice la Bibbia, permettendogli di comprendere perché si riferisce proprio a lui. Ci possono volere però varie conversazioni, forse per un periodo di alcune settimane, per aiutarlo a capire il punto e a considerare in preghiera ciò che è stato portato alla sua attenzione. Se si stabilisce con precisione che il suo impiego viola i princìpi cristiani ed egli insiste nondimeno a svolgerlo, può essere disassociato dalla congregazione.
Che dire dei casi in cui il lavoro non è in se stesso errato ma, a causa del luogo dove lo si svolge, di chi lo paga o di fattori simili, esso può produrre una sfavorevole impressione sulla mente di alcuni osservatori? In questi casi gli anziani devono stare attenti a non lasciare che la loro propria coscienza detti legge ad altri, come se fossero ‘signori sulla loro fede’. (2 Cor. 1:24) Il signore di una casa può dire ad altri il lavoro che possono o che non possono fare. Ma gli anziani riconoscono Dio e Cristo come signori della congregazione cristiana e lasciano che sia la parola di questi a decidere. Se nelle Scritture non c’è nessun chiaro precedente, gli anziani lasciano che sia la fede del singolo cristiano a esprimersi seguendo la propria coscienza.
Nel caso che il lavoro svolto da un componente della congregazione, pur non essendo di per sé un’attività antiscritturale, suscita nondimeno domande, gli anziani possono considerare la cosa con l’interessato. Benché non lo condannino, possono additargli i pericoli e i rischi e considerare se c’è qualche potenziale causa d’inciampo per altri. Possono indicare i vantaggi di mantenersi a salutare distanza da quello che potrebbe essere un caso limite. E se la situazione finisce per creare considerevole turbamento nella congregazione o per suscitare commenti sfavorevoli da parte di quelli di fuori, essi possono decidere che la persona non sia usata in qualche incarico esemplare nella congregazione. Infatti, ciò che è ‘lecito’ può non essere nello stesso tempo ‘vantaggioso’, come dichiara l’apostolo. Perciò egli esorta: “Ciascuno continui a cercare non il proprio vantaggio, ma quello altrui”. — 1 Cor. 10:23, 24.
In special modo gli anziani dovranno studiare seriamente la Parola di Dio e cercare di ottenere il discernimento e l’intuito che gli faranno avere buon giudizio. Riconosceranno che “la sapienza dall’alto è prima di tutto casta”, e così sosterranno fermamente la pura adorazione e si atterranno saldamente alle leggi di Dio. Ma riconosceranno che questa sapienza celeste è anche “ragionevole” e quindi eviteranno gli estremi nell’applicazione dei princìpi biblici, non andando oltre ciò che indicano l’esempio di Dio e il suo spirito. — Giac. 3:17.
Non dobbiamo temere che evitando di stabilire uno specifico codice di leggi sul lavoro danneggeremo spiritualmente la congregazione di Dio. Quando Dio annullò il codice della legge mosaica non lasciò la nuova congregazione dell’Israele spirituale nell’incertezza in quanto a ciò che dovevano fare per piacere a Dio. Il potere dello spirito di Dio che opera sulla mente e sul cuore di quelli la cui coscienza è addestrata e modellata dallo studio della Parola di Dio opera per la giustizia con forza molto maggiore che non il codice della Legge. Questo avviene ancor oggi.
Sì, il frutto dello spirito di Dio, l’amore, spingerà i veri cristiani a rifiutare il lavoro chiaramente condannato dalla Parola di Dio. In altri casi, dov’è la coscienza individuale a decidere, l’amore spingerà a evitare d’essere causa di grave inciampo per altri. Anche la saggezza aiuterà a decidere se cercare un altro lavoro al fine di mantenere la propria spiritualità ed evitare trappole. (Rom. 13:10; Prov. 3:21-23) Pertanto il cristiano dimostrerà che non è “parte del mondo” e manterrà una buona coscienza dinanzi a Dio e agli uomini. — Giov. 17:16; 1 Tim. 1:5, 19.