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Celebriamo la morte del più grande Uomo mai vissuto sulla terraLa Torre di Guardia 1981 | 15 marzo
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“un solo gregge” insieme al rimanente delle pecore spirituali di “questo ovile” di cui Gesù parlò in Giovanni 10:16. Riconoscono che la loro salvezza per la vita eterna sulla promessa terra paradisiaca viene da Dio tramite il suo Pastore eccellente, al cui gregge ora appartengono. Come potrebbero quindi trascurare di rendere omaggio a Cristo non essendo presenti al Pasto Serale da lui istituito come commemorazione della sua morte, per mezzo della quale è possibile questa misericordiosa salvezza? Non possono mancare! Non vogliono mancare! Finché la celebrazione continuerà a essere osservata sulla terra dal rimanente degli eredi del celeste regno di Dio, essi si sentono in obbligo di essere presenti in qualità di osservatori al Pasto Serale del Signore. Anche se in molte località forse non c’è nessuno del rimanente che prenda gli emblemi, i testimoni di Geova vorranno disporre ugualmente di tenere la celebrazione in segno di rispetto per il suo importantissimo significato e per consentire a chiunque vi assista, che potrebbe far parte del rimanente, di prendere gli emblemi.
Quest’anno i testimoni di Geova celebreranno il Pasto Serale del Signore il 19 aprile 1981, dopo il tramonto. Tutte le persone che desiderano assistervi in ricordo della morte dell’Agnello di Dio, Gesù Cristo, dovrebbero mettersi in contatto con la locale congregazione dei testimoni di Geova. Le persone devote che non conoscono l’indirizzo della congregazione locale possono scrivere alla Watch Tower per ottenere le informazioni necessarie.
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Domande dai lettori (1)La Torre di Guardia 1981 | 15 marzo
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Domande dai lettori
● In Ebrei 12:22, 23 (Versione Riveduta) l’apostolo Paolo parla degli “spiriti de’ giusti resi perfetti”. Questi “giusti” potrebbero essere i fedeli di cui Paolo parla nell’undicesimo capitolo di Ebrei?
L’ipotesi che queste parole si applichino a uomini di fede dei tempi precristiani fino a Giovanni il Battezzatore non è nuova. Fu prospettata con cautela nel numero della Torre di Guardia inglese del 15 agosto 1913, alle pagine 248, 249, e fu accettata per molti anni.
Ebrei 11:8-10 si riferisce ad Abraamo, Isacco e Giacobbe e mostra che Abraamo lasciò la città di Ur dei Caldei e che sia lui che Isacco e Giacobbe vissero come nomadi fino a che Giacobbe si trasferì in Egitto ai giorni del figlio Giuseppe. Perciò in quel periodo non vissero in un luogo stabile come una città. Nelle Scritture Ebraiche non c’è nulla che dica che Dio avesse promesso a quei tre uomini una “città che ha reali fondamenta, il cui edificatore e creatore è Dio”. Quello è un commento che Paolo fa sull’argomento. Indubbiamente tale espressione si riferisce al governo stabilito da Dio mediante il ‘seme di Abraamo’, sotto il quale governo quei tre patriarchi vivranno sulla terra e perverranno alla perfezione umana alla fine dei mille anni. — Gal. 3:16.
Quando Dio fece uscire i discendenti di Abraamo, Isacco e Giacobbe dal paese d’Egitto e li condusse nella terra che aveva promessa ad Abraamo, essi si sistemarono nelle città dei cananei, essendo stata distrutta dalla potenza di Dio soltanto la città di Gerico. In seguito tutti i fedeli profeti e le fedeli donne dell’antichità ebbero residenza fissa in qualche città. Di conseguenza non potrebbe dirsi di loro, come invece è detto di Abraamo, Isacco e Giacobbe, che cercassero una futura città sulla terra. Gerusalemme fu distrutta nel 70 E.V., 39 anni dopo la decapitazione di Giovanni il Battezzatore. Perciò anche i cristiani ebrei vissero in quella visibile città terrena fino al ritiro del generale Gallo da Gerusalemme, allorquando ubbidirono al comando profetico di Gesù di uscire dalla città. — Matt. 24:15-22.
Ebrei 13:12-14 menziona il fatto che Gesù fu messo al palo fuori delle mura della Gerusalemme terrena, cioè “fuori della porta”. A motivo di ciò Paolo prosegue dicendo: “Usciamo, dunque, verso di lui fuori del campo [come il capro espiatorio o “capro . . . per Azazel”, che veniva mandato nel deserto il giorno di espiazione (Lev. 16:10)], portando il biasimo che egli portò, poiché non abbiamo qui una città che rimanga, ma cerchiamo premurosamente quella avvenire”. Questa “città” si riferisce al regno celeste, la Nuova Gerusalemme, che Paolo menziona in Ebrei 12:22.
I fedeli uomini dell’antichità, in particolare quelli da Abraamo a Giovanni il Battezzatore, non speravano di andare in cielo ed entrare in quella Gerusalemme celeste. Non ne avevano nemmeno l’idea. (Matt. 11:11) Non potevano nutrire tale speranza, perché non erano stati generati dallo spirito santo di Dio. Lo dimostra Giovanni 7:39, che dice: “Comunque, disse questo dello spirito che stavano per ricevere quelli che riponevano fede in lui; poiché lo spirito non vi era ancora, perché Gesù non era ancora stato glorificato”. Uomini e donne cristiani cominciarono a essere generati con lo spirito solo a partire dalla Pentecoste del 33 E.V. Da allora in poi quelli generati dallo spirito santo attesero di vivere nella città celeste prefigurata dalla Gerusalemme terrena.
Per questo motivo, scrivendo ai cristiani ebrei, Paolo poté correttamente dire ciò che si legge in Ebrei 12:22: “Ma vi siete accostati al monte Sion [non al monte Sinai in Arabia] e alla città dell’Iddio vivente, alla Gerusalemme celeste, e a miriadi di angeli”. Al tempo di Paolo, la “congregazione dei primogeniti che sono stati iscritti nei cieli” non aveva nemmeno trent’anni, per cui, essendo agli inizi, contava molto meno di 144.000 membri. Il completamento del numero dei 144.000 “primogeniti che sono stati iscritti nei cieli” si compie al termine della cosiddetta èra cristiana, che finisce con la “grande tribolazione” di Rivelazione 7:14 e Matteo 24:21, 22. Quindi Paolo e i cristiani ebrei a cui scriveva si stavano accostando a quella “congregazione” solo per quanto riguarda il suo completo numero di membri, 144.000.
Proseguendo, Ebrei 12:23, 24 dice: “E a Dio giudice di tutti, e alle vite spirituali [letteralmente “spiriti”] dei giusti che sono stati resi perfetti, e a Gesù mediatore di un nuovo patto, e al sangue di aspersione, che parla in modo migliore del sangue di Abele”. Perciò Dio è il giudice di tutti, inclusi i 144.000 iscritti. I futuri membri della “congregazione” glorificata devono quindi passare attraverso un periodo di giudizio prima di essere approvati da Geova, il supremo Giudice. Ecco perché, subito dopo aver menzionato Dio, il versetto prosegue, dicendo: “E alle vite spirituali dei giusti che sono stati resi perfetti”. Sono i membri della “congregazione” dei cristiani generati dallo spirito ad essere stati giustificati per fede. (Rom. 5:1; 8:1-4) Per questo motivo ci si riferisce a loro come ai “giusti che sono stati resi perfetti”.
In armonia con ciò sono esortati a “presentare i [loro] corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, sacro servizio con la [loro] facoltà di ragionare”. (Rom. 12:1) Così ‘escono verso di lui fuori del campo portando il biasimo che egli portò’. (Ebr. 13:13) Questi cristiani generati dallo spirito hanno realmente “vite spirituali” ora, sulla terra, e sono esortati a camminare in armonia con lo spirito col quale sono stati generati.
L’apostolo Paolo fa riferimento alle “vite spirituali” di questi cristiani giustificati nel medesimo capitolo, in Ebrei 12:9: “Non ci sottoporremo molto di più al Padre della nostra vita spirituale e vivremo?” Letteralmente, nel testo greco si legge: “Il Padre degli spiriti”. Egli è il Padre della congregazione generata dallo spirito alla quale Paolo scriveva, per cui qui la Traduzione del Nuovo Mondo parafrasa l’espressione con un tocco personale, dicendo: “Il Padre della nostra vita spirituale”. Questa espressione si trova 14 versetti prima di Ebrei 12:23, quindi nell’immediato contesto.
In Ebrei 12:1 l’apostolo Paolo, dopo aver considerato gli uomini e le donne fedeli dei tempi precristiani, sposta l’attenzione sulla congregazione cristiana generata dallo spirito e la vita di servizio a Dio che attende i cristiani generati dallo spirito. Perciò in Ebrei 12:23 egli non torna indietro riprendendo l’argomento discusso nel capitolo 11. Tenendo conto di questi fatti, l’espressione “le vite spirituali dei giusti che sono stati resi perfetti” presenta da un diverso punto di vista la “congregazione dei primogeniti che sono stati iscritti nei cieli” e non costituisce perciò una superflua ripetizione di quanto detto al versetto 22. Non c’è quindi alcun bisogno di cercare di applicarla a un’altra classe di timorati di Dio, come gli uomini e le donne fedeli dei tempi antichi, da Abele a Giovanni il Battezzatore.
Limitando ulteriormente l’applicazione del contenuto di Ebrei 12:22, 23 alla congregazione cristiana generata dallo spirito, Paolo prosegue dicendo: “E a Gesù mediatore di un nuovo patto, e al sangue di aspersione che parla in modo migliore del sangue di Abele”. (Ebr. 12:24) La congregazione generata dallo spirito è in quel nuovo patto e di conseguenza Gesù ne è il mediatore. Essi sono quelli sui quali in senso spirituale è stato asperso il “sangue” di Gesù Cristo, così che esso produce per loro effetti migliori di quanto non farebbe il sangue del martire Abele. (Ebr. 11:4) Cioè, essi sono ora realmente giustificati o dichiarati giusti mediante la loro fede in quel sangue. — Rom. 5:9.
In armonia con tutto ciò, Paolo prosegue rivolgendosi, in Ebrei 12:25-28, alla congregazione generata dallo spirito, esortandone i componenti a dimostrarsi degni del loro regno celeste, il quale è la “città dell’Iddio vivente”, la “Gerusalemme celeste”, alla quale si sono accostati. Il rimanente della congregazione dei
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