Progresso dopo aver “ottenuto una fede”
“Aggiungete alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la padronanza di voi stessi, alla padronanza di voi stessi la perseveranza, alla perseveranza la santa devozione, alla santa devozione l’affetto fraterno, all’affetto fraterno l’amore”. — II Piet. 1:5-7.
1. Cosa rende davvero prezioso un tesoro, e come si può illustrarlo?
UN PREZIOSO tesoro, finché resta sepolto, non serve a un gran che. Differisce poco da una pietra nascosta sotto uno strato di terra. Ma il tesoro ha il potenziale di recare beneficio al suo possessore e anche ad altri. Si potrebbe usare per assistere malati e bisognosi, oppure lo si potrebbe investire in modo proficuo. Se si tratta di una grossa somma, potrebbe essere usata per creare nuovi posti di lavoro e quindi consentire a molte persone di guadagnarsi da vivere. Quando un tesoro è usato in maniera produttiva diventa davvero più prezioso.
2. In base II Pietro 1:1, quale prezioso possedimento hanno ottenuto i cristiani?
2 Il tesoro spirituale in possesso dei servitori di Dio ha un potenziale benefico ancora più grande. Nella sua seconda lettera ai cristiani, l’apostolo Pietro parla di questo prezioso tesoro, cominciando con queste parole: “Simon Pietro, schiavo e apostolo di Gesù Cristo, a quelli che hanno ottenuto una fede, ritenuta pari in privilegio alla nostra, mediante la giustizia del nostro Dio e [del] Salvatore Gesù Cristo”. (II Piet. 1:1) “Una fede”, cioè la fede essenziale per la vita eterna, era l’inestimabile tesoro di cui erano entrati in possesso coloro ai quali l’apostolo scriveva.
La fede è un tesoro
3. Perché Pietro poté dire che la fede di quelli a cui scriveva era “pari in privilegio” alla sua?
3 Questa fede non era esclusivo possesso di Pietro e degli altri apostoli o di tutti quelli che come lui erano ebrei divenuti cristiani. Era condivisa dall’intera comunità dei credenti, ebrei e non ebrei. L’Iddio Altissimo aveva dato loro la possibilità di ottenere questa fede. Per mezzo del messaggio della “buona notizia” che era predicata, egli attirava a sé le persone tramite suo Figlio. (Giov. 6:44) Apriva loro il cuore, permettendo che reagissero alla sua “parola” o messaggio. — Atti 16:14; Rom. 10:8.
4. In che senso la fede è ottenuta “mediante la giustizia del nostro Dio e [del] Salvatore Gesù Cristo”?
4 Come fece notare l’apostolo Pietro, questa fede era stata ottenuta “mediante la giustizia del nostro Dio e [del] Salvatore Gesù Cristo”. L’Onnipotente aveva reso possibile a uomini e donne d’ogni tribù, popolo, nazione e razza di ricevere quest’inestimabile possedimento. Non facendo così alcuna parzialità nel perdonare i peccati in base al sacrificio di suo Figlio e nell’accettare le persone pentite fra il suo popolo, Geova Dio manifestò la sua giustizia, la sua equità. Pietro precisò questo fatto quando portò la “buona notizia” al centurione italiano Cornelio e ai suoi parenti e intimi amici. “Per certo”, disse l’apostolo, “comprendo che Dio non è parziale, ma in ogni nazione l’uomo che lo teme e opera giustizia gli è accettevole”. (Atti 10:34, 35) Il nostro Salvatore Gesù Cristo manifesta lo stesso spirito imparziale. Cedette la sua vita per persone d’ogni luogo. — I Tim. 2:5, 6.
Progresso nella conoscenza di Dio e di Cristo
5. Dopo aver ottenuto una fede, quale responsabilità abbiamo e cos’è essenziale per adempierla?
5 Dopo aver “ottenuto una fede”, i discepoli di Gesù Cristo hanno la responsabilità di conformarsi sempre più alla volontà di Dio per loro. L’accurata conoscenza ci aiuterà a farlo. L’apostolo Pietro ribadì l’importanza di una conoscenza accurata, piena o completa, dicendo: “Immeritata benignità e pace vi siano accresciute mediante l’accurata conoscenza di Dio e di Gesù nostro Signore”. — II Piet. 1:2.
6. (a) Cosa significa avere “accurata conoscenza” di Dio e di Gesù”? (b) Come si perviene a tale conoscenza?
6 Avere “accurata conoscenza di Dio e di Gesù nostro Signore” significa conoscerli come persone, conoscerne le qualità, i modi di pensare e di agire, e imitarne l’impeccabile esempio. (Confronta Geremia 22:15, 16; Matteo 7:21-23; I Giovanni 2:3-6; 3:5, 6). Progredendo nella conoscenza e nell’applicazione dei principi della Parola di Dio, riusciamo a conoscere sempre meglio il Padre e il Figlio. Come risultato riceviamo immeritata benignità e pace in misura sempre maggiore.
7. In che modo l’“immeritata benignità” è accresciuta “mediante l’accurata conoscenza di Dio e di Gesù”?
7 Solo facendo ciò che piace a Geova Dio e a Gesù Cristo possiamo continuare a ricevere guida e aiuto da Dio. Poiché siamo uomini peccatori, non abbiamo alcun merito personale. Qualsiasi cosa quindi il nostro Creatore faccia per noi è un’espressione della sua immeritata benignità. Ciò nondimeno ricevere o no l’immeritata benignità di Dio dipende dagli sforzi che facciamo per essere simili al nostro Padre celeste e a suo Figlio. Se ci impegniamo in tal senso possiamo accostarci a Geova Dio con l’assoluta fiducia che esaudirà le nostre richieste. L’apostolo cristiano Giovanni dichiarò:
“Qualsiasi cosa chiediamo la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo le cose che sono piacevoli agli occhi suoi. In realtà, questo è il suo comandamento, che abbiamo fede nel nome del suo Figlio Gesù Cristo e che ci amiamo gli uni gli altri, come egli ci diede comandamento. Inoltre, chi osserva i suoi comandamenti rimane unito a lui, ed egli ad esso; e da questo acquistiamo la conoscenza che egli rimane unito a noi, ad opera dello spirito che egli ci diede”. — I Giov. 3:22-24.
8. In che modo la “pace” è accresciuta “mediante l’accurata conoscenza di Dio e di Gesù”?
8 Quando la nostra conoscenza del Padre celeste e di suo Figlio non è superficiale, ma è completa e accurata, comprendiamo chiaramente quel che a loro piace. Rimaniamo uniti e in pace con loro, come intimi amici. Di conseguenza il nostro progresso nel conoscere meglio Geova Dio e suo Figlio ci fa provare un senso di pace sempre più profonda. Questo accade perché stiamo sempre più attenti ad evitare atteggiamenti e modi di parlare e di agire contrari all’esempio del nostro Dio e del nostro Signore Gesù Cristo.
9. Che effetto ha il peccato sulla nostra pace con Dio?
9 Al contrario, peccando turberemmo la pace con l’Altissimo, in quanto andremmo contro la sua volontà. Solo il perdono di Dio, sulla base del nostro sincero pentimento e della nostra fede nel valore espiatorio del sacrificio di Cristo, può ristabilire la pace. — I Giov. 2:1, 2.
Spronàti ad agire da “divina potenza”
10. Cosa può aiutarci a godere immeritata benignità e pace in misura sempre maggiore?
10 Geova Dio e Gesù Cristo, naturalmente, vogliono vederci godere immeritata benignità e pace in misura sempre maggiore. Dovremmo quindi cooperare con loro facendo un deciso sforzo per conoscerli meglio. Un modo in cui possiamo farlo è quello di meditare con apprezzamento su ciò che Geova Dio ha fatto per noi tramite suo Figlio. L’apostolo Pietro scrisse: “La sua divina potenza ci ha dato gratuitamente tutte le cose che concernono la vita e la santa devozione, per mezzo dell’accurata conoscenza di colui che ci ha chiamati mediante gloria e virtù. Per mezzo di queste cose egli ci ha gratuitamente dato le preziose e grandissime promesse, affinché a mezzo d’esse diveniate partecipi della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo mediante la concupiscenza”. — II Piet. 1:3, 4.
11, 12. (a) Che nesso c’è fra “divina potenza” e “accurata conoscenza”? (b) Come lo illustra il caso dei cristiani di Tessalonica?
11 Notate che Pietro associa la “divina potenza” con l’“accurata conoscenza”. Questo è più che appropriato perché la “buona notizia”, la parola o messaggio di Dio riguardante suo Figlio, può agire in modo potente nella vita delle persone. Questo è ben illustrato da ciò che l’apostolo Paolo scrisse ai tessalonicesi: “La buona notizia che predichiamo non vi fu annunciata solo a parole ma anche con potenza”. (I Tess. 1:5) La predicazione della “buona notizia” a Tessalonica portò risultati. Non fu “solo a parole”, nel senso che la gente la udisse senza agire di conseguenza. I tessalonicesi che abbracciarono il cristianesimo furono spinti ad agire, e questa fu una prova che la “buona notizia” aveva esercitato potenza. Quei cristiani divennero un esempio per altri credenti nel sopportare fedelmente la persecuzione per amore della giustizia e nel continuare a dare testimonianza a tutti riguardo alla “buona notizia”.
12 Tessalonica era un porto di mare, per cui quei cristiani venivano a contatto con marinai, mercanti e gente di paesi lontani. I cristiani di Tessalonica fecero buon uso delle loro opportunità di predicare ad altri la “buona notizia”. Come risultato la loro fede divenne nota anche in luoghi distanti. Quando Paolo e i suoi compagni predicavano e insegnavano pubblicamente la verità in altre città, sentivano parlare dei cristiani di Tessalonica. A questo proposito l’apostolo scrisse:
“La parola di Geova ha risuonato da voi non solo nella Macedonia e nell’Acaia, ma la vostra fede verso Dio si è sparsa in ogni luogo, così che non abbiamo bisogno di dire nulla. Poiché essi stessi continuano a comunicare intorno al modo in cui dapprima entrammo fra voi e come vi volgeste dai vostri idoli a Dio per essere schiavi di un Dio vivente e vero, e per aspettare dai cieli il suo Figlio, che egli destò dai morti, cioè Gesù, che ci libera dall’ira avvenire”. — I Tess. 1:8-10.
13. In che modo ciascuno di noi ha visto su di sé l’effetto della “divina potenza”, e cosa dovremmo dunque continuare a fare?
13 In modo analogo noi credenti abbiamo sentito operare in noi la “divina potenza” perché abbiamo accettato la “buona notizia”, la parola o messaggio di Dio. Questa “buona notizia” ci ha spinti a fare cambiamenti nella nostra vita per conformarci alla volontà di Dio. Ci siamo anche sentiti spronati a dichiarare la “buona notizia” ad altri. La potenza divina esercitata tramite l’“accurata conoscenza” contenuta nella “buona notizia” ci ha dato tutto ciò di cui abbiamo bisogno per “la vita e la santa devozione”. Perciò, grazie alla potenza divina, possiamo vivere una vita retta in vista dell’eternità. Dovremmo continuare a lasciare che la potenza divina ci aiuti a comportarci e ad agire in maniera sempre più simile a quella del Cristo.
14. In che senso Geova Dio chiama “mediante gloria e virtù”?
14 Il modo in cui Geova Dio chiama o attira a sé le persone dovrebbe costituire un vigoroso incoraggiamento a progredire nella vita di cristiani. L’apostolo Pietro si riferì all’“accurata conoscenza di colui che ci ha chiamati mediante gloria e virtù”. Geova Dio ‘chiama’ o attira tramite suo Figlio. “Gloria e virtù” si manifestano agli uomini particolarmente in Gesù Cristo. L’apostolo Giovanni scrisse riguardo al Figlio: “La Parola è divenuta carne e ha risieduto fra noi, e noi abbiamo visto la sua gloria, una gloria tale che appartiene a un figlio unigenito da parte di un padre; ed egli era pieno d’immeritata benignità e di verità”. (Giov. 1:14) Nella vita del Signore Gesù Cristo, Giovanni e gli altri apostoli videro una gloria, uno splendore, una magnificenza che soltanto uno che rifletteva alla perfezione l’immagine del suo Padre celeste poteva manifestare. Inoltre l’apostolo Giovanni, assieme a Giacomo e a Pietro, fu testimone della trasfigurazione di Gesù Cristo. In quell’occasione “la sua faccia risplendé come il sole, e i suoi abiti divennero brillanti come la luce”. (Matt. 17:2) Come la gloria, così anche la virtù è messa in relazione col Figlio di Dio. Gesù Cristo fu straordinariamente virtuoso, un uomo ineccepibile sotto il profilo morale. Persino il traditore, Giuda Iscariota, ammise: “Ho peccato, tradendo sangue giusto”. (Matt. 27:4) Geova ha rivolto quindi la chiamata tramite la “gloria” e la “virtù” riflesse da suo Figlio.
Le promesse di Dio sono un incentivo a fare progresso
15. Perché le promesse di Dio sono “preziose e grandissime”?
15 La meravigliosa disposizione divina per la salvezza, rivelata dalla “buona notizia”, fornì ai cristiani del I secolo “preziose e grandissime promesse”. Quelle promesse erano preziose in quanto provvedevano conforto, incoraggiamento e sostegno per affrontare l’odio del mondo. Se teniamo presente che i credenti a cui Pietro scriveva attendevano di partecipare alla gloria di Cristo quali coeredi del regno, dobbiamo riconoscere con l’apostolo che avevano ricevuto “grandissime promesse”. — II Piet. 1:4a.
16, 17. Che effetto hanno sui credenti le promesse di Dio?
16 Cosa fecero quelle promesse per i credenti del I secolo? Pietro risponde: ‘Per mezzo d’esse divenite partecipi della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo mediante la concupiscenza’. (II Piet. 1:4b) In altre parole, le promesse di Dio costituivano la base perché essi divenissero “partecipi della natura divina”. La speranza dei cristiani del I secolo era quella di essere uniti a Gesù Cristo nel regno celeste e di essere simili a lui. (Rom. 8:17) Poiché il Figlio è ‘il riflesso della gloria di Dio e l’esatta rappresentazione del suo stesso essere’, tutti quelli che divengono simili a Gesù Cristo sono anche simili al Padre. (Ebr. 1:3) L’apostolo Giovanni scrisse: “Diletti, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora reso manifesto che cosa saremo. Sappiamo che quando egli sarà reso manifesto, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è. E chiunque ha questa speranza posta sopra di lui si purifica come egli è puro”. — I Giov. 3:2, 3.
17 Così, partecipando alla gloria del Figlio di Dio, i cristiani generati dallo spirito divengono partecipi della “natura divina”. Questa meravigliosa speranza basata sulle sicure promesse di Dio costituì per loro un potente incentivo a fare il possibile per purificarsi da ogni contaminazione mondana. Anche l’apostolo Pietro ribadì la necessità di essere puri, perché mostrò che i “partecipi della natura divina” erano “sfuggiti alla corruzione che è nel mondo mediante la concupiscenza”. “La concupiscenza”, la brama di ciò a cui non si ha diritto, è alla base della corruzione o contaminazione del mondo. A questa contaminazione i credenti erano sfuggiti quando si erano valsi del mezzo di salvezza offerto da Dio e si erano poi impegnati per conformarsi alla norma divina di santità o purezza. Come nel caso dei credenti del I secolo, le promesse contenute nelle Scritture possono spronare anche noi a continuare a purificarci.
Ci vuole più che la fede
18, 19. Dopo aver ottenuto una fede, cosa dovremmo fare in base a II Pietro 1:5-7, e perché?
18 Tutti i veri servitori di Dio traggono oggi beneficio dalla potenza divina esercitata tramite la “buona notizia” e dalle meravigliose promesse ad essa associate. Per questo motivo abbiamo buone ragioni per manifestare una personalità cristiana ed essere attivi nell’aiutare altri, specialmente in senso spirituale. L’apostolo Pietro esortò: “Sì, per questa stessa ragione, compiendo in risposta ogni premuroso sforzo, aggiungete alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la padronanza di voi stessi, alla padronanza di voi stessi la perseveranza, alla perseveranza la santa devozione, alla santa devozione l’affetto fraterno, all’affetto fraterno l’amore”. — II Piet. 1:5-7.
19 Non dobbiamo accontentarci di avere semplicemente una fede o credenza. In considerazione o come conseguenza del fatto che abbiamo ricevuto dal nostro Padre celeste la facoltà di nutrire fede, dovremmo voler sviluppare altre ottime qualità che diano prova di tale fede. L’apostolo Pietro esortò a ‘compiere ogni premuroso sforzo’, a impegnarsi diligentemente con tutte le proprie forze per divenire sempre più simili al Figlio di Dio.
20. Cosa vuol dire aggiungere alla fede la virtù?
20 Aggiungere alla fede la virtù significa cercare di essere persone d’ineccepibile moralità, imitando l’esempio di Gesù Cristo. La virtù, o eccellenza morale, è una qualità positiva. Chi la possiede non solo si astiene dal far del male al prossimo, ma cerca anche di fare del bene, andando incontro ai bisogni spirituali, materiali ed emotivi del prossimo. La virtù in realtà è bontà attiva. Perciò la vita della persona virtuosa non è caratterizzata solo da aspetti negativi, come il rifiuto dell’immoralità sessuale, dell’impurità, della disonestà e di altre pratiche che Dio disapprova. Nel I secolo E.V. i farisei si vantavano di non essere “come il resto degli uomini, rapaci, ingiusti, adulteri”. (Luca 18:11) Ma non erano virtuosi, perché disprezzavano il popolo comune e non mostravano affatto misericordia, pietà o compassione. — Mar. 3:1-6; Giov. 7:47-49.
21. Perché è importante crescere in conoscenza?
21 La virtù, come fu esemplificata da Gesù Cristo, non può esistere senza la conoscenza. La conoscenza è necessaria per distinguere il bene dal male. (Ebr. 5:14) È anche essenziale per determinare esattamente come fare del bene in senso positivo in una data situazione. (Filip. 1:9, 10) A differenza della credulità, una fede ben fondata non è scossa dalla conoscenza. Essendo pertanto diligenti nel mettere in pratica le Sacre Scritture rafforzeremo la nostra fede, mentre la nostra conoscenza di Geova Dio e di suo Figlio aumenterà.
22. (a) Perché la conoscenza è essenziale per sviluppare la padronanza di sé? (b) Che relazione c’è fra padronanza di sé e perseveranza?
22 Questa conoscenza serve a trattenerci dal cedere a passioni peccaminose, dal comportarci senza freno o moderazione, o dal renderci altrimenti colpevoli di non aver riflesso l’immagine divina nel nostro modo di pensare, parlare o agire. Sì, la conoscenza contribuisce alla padronanza di sé, che è la capacità di tenere a freno o sotto controllo pensieri, azioni e modi d’esprimersi. Continuando a esercitare padronanza di noi stessi, avremo l’indispensabile qualità della perseveranza. Quando il mondo ci sottoporrà a pressioni sotto forma di ansietà della vita quotidiana, persecuzione o allettamento dei piaceri e dei beni materiali, non accarezzeremo il desiderio di rinunciare alla nostra posizione di schiavi di Dio e di Cristo, ma eserciteremo padronanza di noi stessi.
23. (a) Da cosa scaturisce la perseveranza? (b) Cos’è la santa devozione e come si manifesta?
23 La forza interiore derivante dalla perseveranza può anche aiutarci a respingere i desideri errati, a non fare compromesso in caso di persecuzione e a non cedere alle ansietà della vita quotidiana, all’allettamento dei piaceri o dei beni materiali. Questa perseveranza scaturisce dal confidare nell’Altissimo per avere forza e guida. (Confronta Filippesi 4:12, 13; Giacomo 1:2-8). Alla perseveranza bisogna aggiungere la santa devozione, o riverenza. Questo spirito riverente caratterizza l’intera vita del vero cristiano. Si manifesta con un salutare riguardo per il Creatore e col dovuto rispetto e interesse per gli uomini fatti a immagine di Dio. — I Tim. 5:4.
24. Perché non si può avere uno spirito riverente senza nutrire affetto fraterno?
24 Senza affetto fraterno non può esserci devozione o spirito riverente. L’apostolo Giovanni disse: “Se alcuno fa la dichiarazione: ‘Io amo Dio’, eppure odia il suo fratello, è bugiardo. Poiché chi non ama il suo fratello, che ha visto, non può amare Dio, che non ha visto”. (I Giov. 4:20) Di conseguenza abbiamo bisogno di impegnarci a sviluppare profondo affetto per i nostri conservi, aggiungendo così “alla santa devozione l’affetto fraterno”.
25. A chi si deve mostrare amore e perché?
25 L’amore è la qualità principale che dovrebbe emergere nella nostra vita. Questo tipo di amore non deve limitarsi ai nostri fratelli cristiani. Anche se per i nostri fratelli spirituali proviamo affetto, dobbiamo mostrare amore a tutto il genere umano. Questo amore non dipende dalle qualità morali di quelli a cui dobbiamo mostrarlo. Come l’amore di Dio per l’umanità, tale amore dev’essere esteso anche ai nemici. Nel Sermone del Monte, Gesù Cristo disse:
“Avete udito che fu detto: ‘Devi amare il tuo prossimo e odiare il tuo nemico’. Comunque, io vi dico: Continuate ad amare i vostri nemici e a pregare per quelli che vi perseguitano; per mostrare d’esser figli del Padre vostro che è nei cieli, poiché egli fa sorgere il suo sole sui malvagi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, che ricompensa ne avete? Non fanno la stessa cosa anche gli esattori di tasse? E se salutate solo i vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno la stessa cosa anche le persone delle nazioni? Voi dovete dunque esser perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”. — Matt. 5:43-48.
26, 27. Quale sarà il risultato se alla fede aggiungeremo gli elementi elencati da Pietro?
26 Che accade quando alla fede si aggiungono virtù, conoscenza, padronanza di sé, perseveranza, santa devozione, affetto fraterno e amore? L’apostolo Pietro risponde: “Se queste cose esistono in voi e traboccano, v’impediranno d’essere inattivi o infruttuosi riguardo all’accurata conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo”. — II Piet. 1:8.
27 Sì, ne scaturiscono attività e opere fruttuose. Se alla nostra fede aggiungiamo gli elementi elencati dall’apostolo e li rendiamo parte di noi stessi fino al punto di traboccarne, non rimarremo fermi, non saremo inattivi o spiritualmente morti. Continueremo a progredire spiritualmente. Manifesteremo il frutto di una personalità cristiana e dichiareremo ad altri la buona notizia. Avendo nel cuore queste sante qualità come parte integrante di noi stessi, saremo spinti a pensare, parlare e agire nel modo che Dio approva. — Confronta Luca 6:43-45.
L’importanza di fare progresso
28. In che situazione si trova il sedicente cristiano che non progredisce spiritualmente?
28 Se non si progredisce come cristiani, ci si viene a trovare in una posizione di serio pericolo spirituale. L’apostolo Pietro disse a questo proposito: “Se queste cose [appena menzionate] non sono presenti in qualcuno, egli è cieco, e chiude gli occhi alla luce, ed è divenuto dimentico della purificazione dai suoi peccati di tempo fa”. — II Piet. 1:9.
29. Perché chi non mostra il frutto di una personalità cristiana è deliberatamente cieco?
29 La persona che non progredisce spiritualmente, la cui professione di fede non è accompagnata dal frutto di una personalità cristiana, è spiritualmente cieca. Non vede cosa significhi essere cristiani. Questa cecità è deliberata, perché, avendo accettato la “buona notizia”, egli è tenuto a continuare ad impegnarsi per divenire sempre più simile al Signore Cristo.
30. La ‘purificazione dal peccato’ che cosa dovrebbe spingere il cristiano a fare?
30 Tale persona ha anche perso di vista il fatto che fu purificata dei suoi peccati sulla base del sangue versato da Gesù. In armonia con la purificazione ricevuta al tempo in cui divenne un cristiano battezzato, egli avrebbe dovuto continuare a operare strenuamente per rimanere puro, per conformarsi in misura sempre maggiore alla divina norma di santità. Non avendolo fatto, può essere facilmente indotto all’apostasia, al totale rifiuto del sacrificio del Figlio di Dio.
31, 32. Dato il grave pericolo derivante dal non fare progresso come cristiani, quale consiglio di Pietro si dovrebbe prendere a cuore?
31 Poiché non progredendo come cristiani si va incontro a rischi spirituali, facciamo bene a darci da fare per migliorare il modo in cui riflettiamo l’immagine divina. Commentando questo fatto, Pietro disse: “Per questa ragione, fratelli, tanto più fate tutto il possibile per rendere sicura la vostra chiamata ed elezione; poiché se continuate a fare queste cose non verrete mai meno. Infatti, così vi sarà riccamente concesso l’ingresso nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo”. — II Piet. 1:10, 11.
32 Certamente tutti quelli che sono stati ‘chiamati ed eletti’ da Dio per far parte del suo popolo dovrebbero fare un deciso sforzo per rimanere tali. Gli ispirati scritti di Pietro mostravano che, continuando ad aggiungere alla loro fede le qualità cristiane, sarebbero riusciti a conseguire l’obiettivo di questa fede, cioè la salvezza. Nulla avrebbe potuto impedire loro l’ingresso nel “regno eterno” di Gesù Cristo. L’ingresso nel regno sarebbe stato loro “riccamente concesso”.
33. Cosa può voler dire che a un cristiano sia “riccamente concesso” l’ingresso nel regno?
33 Sarebbe stato un ingresso glorioso, brillantemente illuminato dalle loro qualità cristiane. Tuttavia l’espressione “riccamente concesso” può anche riferirsi a un superlativo grado di benedizione per quelli che si sono veramente impegnati nella corsa della vita. — Filip. 3:14.
34. Come si potrebbe illustrare un superlativo grado di benedizione?
34 Si può illustrare la differenza fra vita e vita accompagnata da speciali benedizioni con l’esempio di due capitani di nave. Uno riesce a manovrare abilmente la nave durante una tempesta, portandola intatta in porto. L’altro capitano invece, durante la stessa tempesta, subisce un naufragio, e riesce a salvare solo la sua vita. Benché entrambi i capitani siano rimasti in vita, quello la cui nave è rimasta intatta ha senz’altro maggiore felicità e onore. — Confronta I Corinti 3:12-15.
35. Anche se la vita eterna è un dono di Dio, perché per riceverla sono necessari sforzi a livello personale?
35 Anche se la vita è un gratuito dono di Dio, siamo tenuti a dar prova del nostro sincero desiderio di ricevere questo dono, facendo il possibile per piacere al nostro Padre celeste. È un dono per il fatto che noi uomini imperfetti non potremmo mai ottenere la vita per merito nostro. Ma potremmo non riceverlo se la nostra vita non desse affatto prova del nostro apprezzamento e vivo desiderio di tale dono. Dovremmo quindi essere scrupolosi nel mostrarci veri cristiani nel modo di pensare, parlare e agire. Quindi, con l’aiuto di Dio, possiamo essere certi di riuscire, senza perdere né la vita né qualsiasi ulteriore benedizione il nostro Padre celeste voglia concederci per i frutti che abbiamo portato.
36. Come mostra Pietro, quali fattori non escludono che abbiamo bisogno di rammemoratori?
36 È bene perciò ricordare a noi stessi l’importanza di essere fedeli. Questo era ciò che l’apostolo Pietro voleva che i lettori della sua seconda lettera facessero. Egli scrisse:
“Per questa ragione sarò sempre disposto a rammentarvi queste cose, benché le conosciate e siate fermamente stabiliti nella verità che è presente in voi. Ma io considero giusto, finché sono in questo tabernacolo, destarvi mediante il ricordo, sapendo che presto sarà tolto il mio tabernacolo, come mi indicò anche il nostro Signore Gesù Cristo. E così faccio tutto il possibile affinché, dopo la mia dipartita, possiate in ogni tempo far menzione per vostro conto di queste cose”. (II Piet. 1:12-15)
Come quelli ai quali Pietro rivolse queste parole nel I secolo, anche noi forse riconosciamo l’importanza di predicare la “buona notizia” e di fare progresso nel manifestare una personalità cristiana. Potremmo essere ben radicati nella verità cristiana, per quanto la conosciamo. Tuttavia, in particolare di fronte alle prove o forse agli astuti ragionamenti di falsi insegnanti, abbiamo effettivamente bisogno dei rammemoratori di cui parla l’apostolo Pietro.
37. Quale ottimo esempio diede Pietro sotto questo aspetto?
37 È bene ricordare perché egli scrisse quei rammemoratori. L’apostolo sapeva che presto sarebbe morto, in quanto Gesù Cristo gli aveva detto personalmente che avrebbe subìto il martirio. (Giov. 21:18, 19) Questo non gettò Pietro nello sconforto. Decise anzi di impiegare il tempo rimasto per rafforzare i fratelli, incoraggiandoli ad essere attivi e a portare frutto. Così, anche dopo la sua morte, essi avrebbero potuto trarre incoraggiamento dai suoi rammemoratori e servirsene per edificarsi gli uni gli altri.
38. Come possiamo fare buon uso dei rammemoratori contenuti nelle lettere di Pietro?
38 In modo analogo anche noi dovremmo trarre incoraggiamento dalle lettere di Pietro e rafforzare altri portando alla loro attenzione i suoi rammemoratori. Mentre attendiamo con fiducia l’adempimento delle meravigliose promesse di Geova, continuiamo quindi a proclamare la “buona notizia” e a fare progresso, divenendo sempre più simili al nostro Padre celeste e a suo Figlio.
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“Aggiungete alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza”
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‘Aggiungete alla perseveranza la santa devozione’
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‘Aggiungete alla santa devozione l’affetto fraterno’
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‘Se queste cose esistono in voi, vi impediranno di essere inattivi o infruttuosi’