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Storia di un’interpolazione: 1 Giovanni 5:7, 8La Torre di Guardia 1966 | 1° febbraio
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Storia di un’interpolazione: 1 Giovanni 5:7, 8
GLI studiosi moderni non esitano a omettere dalle loro traduzioni della Bibbia il versetto spurio di 1 Giovanni 5:7, 8. Dopo le parole: “Son infatti tre che rendon testimonianza”, questo versetto aggiunto dice: “in Cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo; e questi tre sono uno solo; [versetto 8] e son tre che rendono testimonianza in terra”. (Omesso dalla Versione Standard Americana, Una Traduzione Americana, Versione Riveduta Inglese, Moffatt, Nuova Bibbia Inglese, Phillips, Rotherham, Versione Standard Riveduta, Schonfield, Wade, Wand, Weymouth, Versione Riveduta, Garofalo, Nardoni, ecc.) Commentando queste parole, il famoso studioso e prelato B. F. Wescott disse: “Le parole che sono interpolate nel testo greco comune in questo versetto offrono un’istruttiva illustrazione della formazione e introduzione di una glossa nel testo apostolico”.1 Qual è dunque la storia di questo versetto, e come la scienza della critica dei testi ha infine mostrato che non è parte dell’ispirata Parola di Dio, la Sacra Bibbia?
QUANDO APPARE PER PRIMA IL VERSETTO
Con l’allontanamento dal vero cristianesimo sorse molta controversia riguardo alla dottrina della trinità, eppure, sebbene queste parole fossero state molto pertinenti, gli scrittori della chiesa primitiva non le usarono mai una volta. I versetti da sei fino a otto di Primo Giovanni capitolo 5 quinto sono citati da Esichio, Leone detto il Grande, e Ambrosio fra i Latini; e Cirillo d’Alessandria, Ecumenio, Basilio, Gregorio Nazianzeno e Nicete fra i Greci, per menzionarne solo alcuni, ma le parole in questione non compaiono mai nelle citazioni. Come esempio, l’opera anonima intitolata “Del ribattezzarsi”, scritta verso il 256 A.D., dichiara: “Poiché Giovanni insegnandoci dice nella sua epistola (1 Giovanni 5:6, 7, 8) ‘Questi è colui che venne mediante l’acqua e il sangue, persino Gesù Cristo: non mediante l’acqua soltanto, ma mediante l’acqua e il sangue. Ed è lo Spirito che reca testimonianza, perché lo Spirito è verità. Poiché vi sono tre che recano testimonianza, lo Spirito, e l’acqua, e il sangue; e questi tre sono d’accordo in uno solo’”.2 Persino Girolamo non l’ebbe nella sua Bibbia. Un prologo attribuitogli che difendeva il versetto è stato provato falso.
Il “comma Johanneum”, com’è solitamente chiamata quest’aggiunta spuria, compare per prima nelle opere di Priscilliano, capo di una setta in Spagna verso la fine del quarto secolo A.D.3 Durante il quinto secolo fu incluso in una confessione di fede presentata a Unnerico, re dei Vandali, ed è citato nelle opere latine di Vigilio di Tapso, in forme varie. Si trova nell’opera intitolata “Contra Varimadum” composta fra il 445 e il 450 (A.D.), e Fulgenzio, un vescovo africano, lo usò un poco più tardi.
Fino a quel tempo il “comma” era apparso come interpretazione delle parole genuine riportate nell’ottavo versetto, ma una volta che fu stabilito in questo modo, cominciò poi a essere scritto come in una glossa nel margine dei manoscritti latini della Bibbia. Ma una glossa marginale può essere interpretata facilmente come un’omissione del testo genuino, e così in manoscritti posteriori è inserita fra le righe, e infine divenne parte integrale del testo latino, sebbene la sua posizione di conseguenza vari, e talvolta si trovi prima dell’ottavo versetto e talvolta dopo. (Vedere il Nuovo Testamento di John Wesley dove il settimo versetto segue l’ottavo). Un interessante indagine fatta alcuni anni fa su 258 manoscritti latini della Bibbia nella Biblioteca Nazionale di Parigi mostrò il progressivo assorbimento di questa interpolazione nel corso dei secoli.
Secolo Numero che omette l’interpolazione
IX 7 su 10, o il 70%
X 3 su 4, o il 75%
XI 3 su 5, o il 60%
XII 2 su 15, o il 13%
XIII 5 su 118, o il 4%
XIV-XVI 1 su 106, o l’1%
Il versetto fu ulteriormente incoraggiato in un concilio tenuto nel 1215 da papa Innocenzo III quando un’opera dell’abate Gioacchino sulla trinità fu condannata. L’intero versetto con l’interpolazione fu citato dalla Volgata latina negli atti del concilio, che vennero tradotti dal latino al greco. Di qui alcuni scrittori greci presero il versetto, in modo notevole Caleca nel quattordicesimo secolo e Briennio nel quindicesimo.
ERASMO E STEPHENS
L’invenzione della stampa diede adito a una produzione molto accresciuta dell’originale testo biblico. L’interpolazione in 1 Giovanni 5:7, 8 fu omessa nei testi greci di Erasmo (1516 e 1519), Aldo Manuzio (1518) e Gerbelius (1521). Desiderius Erasmo fu violentemente attaccato per non aver incluso il versetto, sia da Edward Lee, in seguito arcivescovo di York, che da J. L. Stunica, uno degli editori della Poliglotta Complutense, che era stata stampata nel 1514 ma era ancora chiusa nei depositi in attesa dell’approvazione del papa. L’opposizione ad Erasmo era basata sull’idea, espressa in una lettera scrittagli da Martin Dorp, che la Volgata latina fosse la Bibbia ufficiale e non potesse essere in errore.
Fiducioso che nessun manoscritto greco contenesse il “comma Johanneum”, in risposta Erasmo disse avventatamente che se si poteva trovare un manoscritto greco che contenesse le parole egli le avrebbe inserite nella sua successiva edizione. Gli fu detto dell’antico Codex Britannicus, meglio conosciuto come Codex Montfortianus (N. 61). Mantenendo la sua promessa, Erasmo inserì le parole nella sua terza edizione del 1522, sebbene mettesse in appendice una lunga nota che ragionava contro l’aggiunta.
Un più attento esame del Codex Montfortianus rivela alcuni fatti interessanti. Colui che ne fece il controllo, O. T. Dobbin, scrisse che l’interpolazione di 1 Giovanni 5:7, 8 “non solo differisce dal testo usuale, ma è scritta in un greco tale che rivela apertamente una traduzione dal latino”.4 Per esempio, poiché il latino non ha l’articolo “il” prima di ciascuna espressione “Padre”, “Figlio” e “spirito santo” il traduttore non s’accorse che il greco li avrebbe richiesti. Quanto valore aveva dunque questo codice come manoscritto greco? Lo stesso errore si trova nell’altra fonte autorevole a cui si fa talvolta riferimento, il Codex Ottobonianus 298 (N. 629) in latino e in greco. Nella sua quarta edizione, del 1527, Erasmo inserì l’articolo determinativo per rendere più accurato grammaticalmente il testo greco.
Da ora in poi l’interpolazione apparve in altri testi greci i cui autori seguirono le edizioni di Erasmo. Quindi nel 1550 vi fu ulteriore confusione a causa dell’edizione di Robert Stephens pubblicata quell’anno. Essa conteneva del materiale per lo studio critico che dava varie versioni di quindici manoscritti e in 1 Giovanni 5:7 un semicerchio addita al lettore il margine, dove sono citati sette manoscritti come fonte autorevole dell’omissione di tre parole soltanto. I critici hanno dimostrato che questo semicerchio era al posto errato, come molti altri segni in tutta questa edizione, e che avrebbe dovuto includere per l’omissione l’intero “comma Johanneum”. Ma peggio ancora, poiché erano citati solo sette manoscritti, molte persone ignoranti presumevano che tutto il resto dei manoscritti di Stephens includessero l’interpolazione, dato che non si rendevano conto che i rimanenti manoscritti non contenevano comunque le epistole di Giovanni. Su un possibile 100 per cento (sette manoscritti) nemmeno uno includeva dunque le parole controverse.
Ora bastava un piccolo passo a introdurre il versetto in traduzioni in altre lingue. Era già apparso nella versione di Wycliffe (1380), poiché egli tradusse dal latino, non avendo alcuna conoscenza del greco. Ma ora apparve in traduzioni fatte dal greco, come quelle di Tyndale e Cranmer, sebbene fosse stampato in corsivo e messo fra parentesi. Ma al tempo della versione di Ginevra del 1557 anche questa distinzione scomparve e il versetto è scritto in carattere comune senza parentesi. Così l’interpolazione si insinuò discretamente nella Versione del Re Giacomo autorizzata (inglese) del 1611.
RIPRESA LA BATTAGLIA
Era stata detta l’ultima parola sul “comma Johanneum”? Forse parve di sì durante il diciassettesimo secolo dominato dalla Versione Autorizzata. Ma i mormorii non cessarono mai e la ricerca del misterioso Codex Britannicus continuò, poiché era scomparso dopo che se n’era parlato ad Erasmo. Verso la fine del secolo, niente meno che Sir Isaac Newton rivolse l’attenzione della sua mente scientificamente addestrata a questo versetto. Nel 1690 egli inviò a John Locke il trattato “An Historical Account of Two Notable Corruptions of Scripture”. Il trattato indicava chiaramente le ragioni per rigettare il versetto come spurio e parecchie copie circolarono fra gli amici di Newton, ma non fu mai pubblicato che circa settant’anni dopo e allora solo imperfettamente.
Nel frattempo lo sviluppo della critica dei testi assunse nuovo impulso. Il versetto fu attaccato da Richard Simon, e il dott. John Mill raccolse l’evidenza contro il versetto, sebbene rimanesse il suo difensore. Ma Thomas Emlyn prese l’evidenza di Mill ed esortò entrambe le camere dell’assemblea a riunirsi nel 1717 per escludere le parole, poiché egli disse: “non sarà mai definita dovutamente, finché non sarà lasciato fuori dalle nostre copie stampate”.5 Dopo breve tempo Emlyn fu attaccato da Mr. Martin, pastore della Chiesa Francese di Utrecht, la cui voluminosa e sottile risposta sembrò chiarire l’argomento. La risposta di Emlyn indusse Martin a lanciargli una seconda invettiva. Ma Emlyn si fece molti sostenitori, sebbene i tortuosi giri di parole della controversia rendessero spesso molto difficile stabilire di che cosa si trattasse effettivamente.
Nel 1729 apparve in Inghilterra una versione bilingue delle Scritture Greche Cristiane di Daniel Mace. In una nota di quattordici pagine egli elencò i manoscritti greci e latini, le antiche versioni, i primitivi scrittori greci e latini che avevano omesso il versetto e lo respinse con questa conclusione: “In una parola, se questa evidenza non è sufficiente per provare, che il controverso versetto di S. Giovanni è spurio; con quale evidenza si può provare, che qualsiasi versetto di S. Giovanni è genuino?”6 In seguito a ciò, altre traduzioni inglesi cominciarono a omettere il versetto, come quella di William Whiston (1745), ben noto per la sua traduzione di Giuseppe Flavio; e quella di John Worsley nel 1770.
Se Edward Gibbon pensò che fosse stato detto tutto quando nel 1781 pubblicò The Decline and Fall of the Roman Empire si sbagliava. Col suo solito sarcasmo denunciò il versetto come una “pia frode”.7 Sorse un altro campione, George Travis, un arcidiacono, che si diede da fare per difendere il versetto. Le sue esagerate dichiarazioni sollecitarono violente risposte dal prof. Richard Porson (che superano le 400 pagine) e Herbert Marsh, un vescovo. Alla fine l’interpolazione fu smascherata in modo minuzioso e più che mai esatto.
L’ULTIMA ROCCAFORTE CADE
Dopo Porson e Marsh c’era poco da aggiungere. La maggioranza degli studiosi del diciannovesimo secolo considerarono chiuso l’argomento, ma rimaneva una roccaforte, la Chiesa Cattolica Romana.
Nel tardo 1897 fu emanato un decreto papale che proibiva ai fedeli di dubitare del “comma Johanneum”. In parte esso diceva:
“Segretariato della Congregazione del Sant’Offizio dell’Inquisizione. Concernente l’autenticità del versetto di 1 Giovanni V. 7. (Mercoledì 12 genn. 1897).
“In una Congregazione Generale della Santa Romana Inquisizione . . . fu presentata la seguente dubbia domanda:
“‘Se possiamo sicuramente negare, o persino trattare come materia di dubbio, l’autenticità di quel versetto (1 Giovanni V. 7) . . .’
“Essendo state esaminate e soppesate molto diligentemente tutte le cose, ed essendo stata espressa l’opinione dei Signori Consultori, i summenzionati Eminentissimi Cardinali dissero che ‘la risposta è negativa’. Venerdì 15 del summenzionato mese e anno, nell’usuale udienza concessa al reverendo padre il signore Assessore del Sant’Offizio, dopo aver fatto un esatto rapporto dei summenzionati procedimenti al nostro Santissimo Signore papa Leone XIII, Sua Santità ha approvato e confermato la risoluzione di questi Eminentissimi Padri . . .” — Acta Sanctae Sedis, vol. 29, 1896-7, pag. 637.
Ma papa Leone si rese subito conto che questa era stata un’imposizione, e nel 1902 stabilì una commissione per studiare più attentamente la Scrittura, comandando che cominciasse da 1 Giovanni 5:7, 8. Poiché la relazione era sfavorevole al precedente decreto dovette esser messa da parte, ma il papa continuò a preoccuparsi per la situazione fino alla sua morte. Alcuni studiosi cattolici romani cominciarono a ignorare il decreto. Il dott. Vogels omise il versetto dal suo Testamento Greco pubblicato nel 1920. Altri furono dapprima più cauti.
Nella Versione Cattolica Romana di Westminster del Nuovo Testamento pubblicata nel 1931 la nota in calce di 1 Giovanni 5:7, 8, dopo aver richiamato l’attenzione sulla sua omissione nel testo originale continua: “Finché non sarà compiuta un’ulteriore azione dalla Santa Sede non è lecito agli editori cattolici eliminare le parole da una versione fatta per l’uso dei fedeli”.8 Ma nella stessa versione ripubblicata come volume unico nel 1947 l’interpolazione è omessa, e l’editore Cuthbert Lattey cita il testo greco pubblicato dallo studioso gesuita A. Merk, che pure la omette.
Pertanto la possibilità prospettata dal prof. J. Scott Porter nel 1848 si è avverata. “C’è da sperare”, scrisse, dopo aver riassunto l’evidenza su 1 Giovanni 5:7, 8, “che venga presto il tempo in cui quelli che hanno il compito di preparare edizioni della Bibbia per la generale diffusione, si vergognino di mandare avanti una nota interpolazione come parte del testo sacro”.9 In tempi recenti la scoperta di manoscritti biblici come il Codice Sinaitico ha confermato che questo particolare versetto non faceva parte dell’ispirata Parola di Dio.
Riassumendo brevemente si possono citare le parole del famoso critico dei testi F. H. A. Scrivener: “Non dobbiamo esitare a dichiarare la nostra convinzione che le parole controverse non furono scritte da S. Giovanni: che furono originariamente introdotte in copie latine in Africa dal margine, dove erano state poste come una glossa pia e ortodossa al vers. 8: che dal latino si infiltrarono in due o tre codici posteriori greci, e di lì nel testo greco stampato, luogo a cui non avevano nessun legittimo diritto’’.10
La nostra fede nella Parola di Dio è grandemente rafforzata quando rivediamo la storia di questo versetto e riflettiamo sull’abbondanza dell’evidenza di tutte le fonti che attestano l’accuratezza della Bibbia che abbiamo a disposizione.
RIFERIMENTI
1 The Epistles of John di B. F. Westcott, 4a edizione, 1902, pagina 202.
2 The Works of N. Lardner, volume 3, pagina 68.
3 Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, volume 18, 1889, di G. Schepss, pagina 6.
4 The Codex Montfortianus, A Collation di O. T. Dobbin, 1854 pagina 9.
5 A Full Inquiry into the Original Authority of the Text, 1 John 5:7 . . . (seconda edizione) di T. Emlyn, 1717, pagina 72.
6 The New Testament in Greek and English, 1729, volume 2, pagina 934.
7 The Decline and Fall of the Roman Empire di E. Gibbon, capitolo 37, edizione Chandos, volume 2, pagina 526.
8 The Westminster Version of the Sacred Scriptures, volume 4, pagina 146.
9 Principles of Textual Criticism di J. Scott Porter, 1848, pagina 510.
10 A Plain Introduction to the Criticism of the New Testament di F. H. A. Scrivener, 4a edizione, 1894, volume 2, pagina 407.
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Falsa religione e sacrifici umaniLa Torre di Guardia 1966 | 1° febbraio
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Falsa religione e sacrifici umani
UN ESPLORATORE che ha fatto almeno sette spedizioni nelle giungle dell’America Meridionale ha detto recentemente che c’è una tribù che brucia le sue vittime. Quindi polverizzano le ossa e ne spargono i resti su una foglia di banana e la mangiano. “Non sono realmente cannibali”, egli spiega. “È un rito religioso. Lo praticano anche sulla loro stessa gente”. (Daily News di New York del 27 marzo 1965) Questo è avvenuto in tutta la storia: La falsa religione ha ucciso decine di migliaia di vittime in sacrifici umani. Gli Indiani Aztechi, per esempio, praticavano il sacrificio umano su larga scala. Nel suo libro Daily Life of the Aztecs, Jacques Soustelle dice che gli Aztechi consideravano il sacrificio umano un sacro dovere verso il sole come dio. Descrivendo come sacerdoti aztechi vestiti di rosso e dai lunghi capelli eseguivano le loro sanguinarie funzioni religiose, egli scrive: “Nella forma più comune del rito la vittima era distesa sul dorso su un masso leggermente convesso con le braccia e le gambe tenute da quattro sacerdoti, mentre un quinto la apriva con un coltello di selce e gli strappava il cuore”. Questo, comunque, era solo una delle svariate forme del sacrificio umano. In quanto ad altri tipi, egli scrive:
“Le donne erano dedicate alle dee della terra, e mentre danzavano, fingendo di essere all’oscuro della loro sorte, veniva loro staccata la testa; i bambini erano affogati come offerta al dio della pioggia Tlaloc; le vittime del dio del fuoco, anestetizzate con yauhtli (hascisc), erano gettate nelle fiamme; e quelle che personificavano il dio Xipe Totec erano legate a una specie di telaio, colpite con frecce e quindi scorticate, e i sacerdoti indossavano la pelle. Nella maggioranza dei casi, la vittima era vestita, dipinta e ornata così da rappresentare il dio che era adorato”. — Pagg. 97, 98.
Nei tempi antichi i Cananei offrivano comunemente i loro figli come sacrifici umani ai loro falsi dèi, essendo il fuoco l’usuale metodo di sacrificio, proprio com’è avvenuto spesso in molte false religioni. Perfino il popolo del vero Dio, gli Israeliti, cominciarono a copiare i pagani in questa abominevole forma di rito religioso. La Bibbia ci dice la veduta di Geova Dio sulla cosa: “Hanno edificato gli alti luoghi di Tofet, nella valle del figliuolo di Hinnom, per bruciarvi nel fuoco i loro figliuoli e le loro figliuole: cosa che io non avevo comandata, e che non m’era mai venuta in mente”. (Ger. 7:31, VR) Questa pratica, insieme ai falsi insegnamenti religiosi che dicono che Dio stesso tormenti in eterno le anime umane in un fuoco letterale, è una delle molte ragioni per cui, come mostra la Bibbia, nessuna vestigia di falsa religione sopravvivrà nel nuovo ordine di giustizia di Dio.
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