REGNO DI DIO
L’espressione e l’esercizio della sovranità universale di Dio nei confronti delle creature, oppure il mezzo o lo strumento da lui impiegato a tal fine. (Sl 103:19) Per “regno di Dio” si intende in particolare l’espressione della Sua sovranità per mezzo di un governo reale con a capo suo Figlio, Cristo Gesù.
La parola tradotta “regno” nelle Scritture Greche Cristiane è basilèia, che significa “regno, reame, regione o paese governato da un re; potere, autorità, dominio regale; dignità regale, titolo e carica di re”. (The Analytical Greek Lexicon, 1908, p. 67) L’espressione “regno di Dio” è usata spesso da Marco e Luca, mentre in Matteo ricorre una trentina di volte l’espressione analoga “regno dei cieli”. — Cfr. Mr 10:23 e Lu 18:24 con Mt 19:23, 24; vedi CIELO (Cieli spirituali); REGNO.
Per la sua struttura e il suo modo di operare, il governo di Dio è una pura teocrazia (dal gr. theòs, dio, e kràtos, dominio), o dominio di Dio. La parola “teocrazia” è attribuita a Giuseppe Flavio, storico ebreo del I secolo E.V., che evidentemente la coniò nel suo scritto Contro Apione (II, 164, 165 [17]). Parlando del governo istituito su Israele nel Sinai, Giuseppe Flavio scrisse: “Alcuni popoli hanno affidato il potere politico supremo a una monarchia, altri a un’oligarchia, altri ancora alle masse. Il nostro legislatore, comunque, non fu attratto da nessuna di queste forme di governo, ma diede alla propria costituzione una forma che — se mi è consentita l’espressione — si potrebbe definire ‘teocrazia’ [gr. theokratìa], in cui ogni sovranità e autorità è posta nelle mani di Dio”. Naturalmente, per essere una teocrazia pura, il governo non poteva essere costituito da alcun legislatore umano, come Mosè, ma doveva essere costituito e stabilito da Dio. Le Scritture mostrano che fu così.
Origine del termine. Evidentemente il termine “re” (ebr. mèlekh) entrò nell’uso dopo il diluvio universale. Il primo regno terreno fu quello di Nimrod, “potente cacciatore in opposizione a Geova”. (Ge 10:8-12) Successivamente, nel periodo da allora fino ai giorni di Abraamo, sorsero città-stato e nazioni, e i re umani si moltiplicarono. Fatta eccezione per il regno di Melchisedec, re-sacerdote di Salem (Melchisedec fu una figura profetica del Messia [Ge 14:17-20; Eb 7:1-17]), nessuno di quei regni terreni rappresentò il dominio di Dio o fu istituito da Lui. Alcuni uomini considerarono re i falsi dèi che adoravano, attribuendo loro la capacità di conferire agli uomini il potere di governare. Il fatto che Geova applichi a se stesso il titolo di “Re [Mèlekh]”, come risulta dagli scritti postdiluviani delle Scritture Ebraiche, significa quindi che Dio utilizzò il titolo che gli uomini avevano ideato e adottato. L’uso di questo termine da parte sua indicava che lui, e non presuntuosi governanti umani o dèi di fattura umana, doveva essere considerato “Re” e che si doveva ubbidire a lui. — Ger 10:10-12.
Ovviamente Geova era il Sovrano supremo molto prima che venissero all’esistenza i regni umani, anzi, prima ancora che venisse all’esistenza l’uomo. In qualità di vero Dio e Creatore, era rispettato da milioni di figli angelici che gli ubbidivano. (Gb 38:4-7; 2Cr 18:18; Sl 103:20-22; Da 7:10) Quindi, a prescindere dal titolo, fin dal principio della creazione egli era riconosciuto come Colui la cui volontà era legittimamente suprema.
La sovranità di Dio all’inizio della storia. Le prime creature umane, Adamo ed Eva, sapevano che Geova Dio era il Creatore del cielo e della terra. Ne riconoscevano l’autorità, il diritto di emanare ordini, di esigere che le sue creature svolgessero certi compiti o evitassero certe azioni, di assegnare la terra da abitare e coltivare, e di delegare l’autorità su altre sue creature. (Ge 1:26-30; 2:15-17) Benché Adamo avesse la capacità di coniare vocaboli (Ge 2:19, 20) non c’è alcuna prova che abbia coniato il titolo di “re [mèlekh]” con cui rivolgersi al suo Dio e Creatore, pur riconoscendone l’autorità suprema.
Come risulta dai primi capitoli di Genesi, in Eden Dio esercitava la sua sovranità sull’uomo in modo benevolo e non eccessivamente restrittivo. La relazione fra Dio e l’uomo richiedeva ubbidienza come quella che un figlio mostra al padre. (Cfr. Lu 3:38). L’uomo non aveva un minuzioso codice di leggi da osservare (cfr. 1Tm 1:8-11); le esigenze di Dio erano semplici e avevano uno scopo preciso. Nulla indica che Adamo si sentisse inibito da una costante, critica sorveglianza di ogni sua azione; anzi, sembra che Dio comunicasse con l’uomo perfetto periodicamente, secondo la necessità. — Ge capp. 1-3.
Nuova espressione della sovranità di Dio. L’aperta violazione del comando di Dio da parte della prima coppia umana, istigata da un figlio spirituale di Dio, fu in effetti una ribellione contro l’autorità divina. (Ge 3:17-19; vedi ALBERI [Uso figurativo]). La posizione assunta dall’Avversario (ebr. satàn) spirituale di Dio costituiva una sfida che andava provata, poiché la questione in gioco era la legittimità della sovranità universale di Geova. (Vedi GEOVA [La suprema contesa è una contesa morale]). La terra, dove fu sollevata la questione, è proprio il luogo in cui essa sarà risolta. — Ri 12:7-12.
Quando emanò il verdetto contro i primi ribelli, Geova Dio pronunciò una profezia, espressa con un linguaggio simbolico, che dichiarava il suo proposito di servirsi di un agente, un “seme”, per eliminare definitivamente i ribelli. (Ge 3:15) Il dominio di Geova, l’espressione della sua sovranità, avrebbe assunto un nuovo aspetto in seguito alla rivolta che era avvenuta. La progressiva rivelazione dei “sacri segreti del regno” (Mt 13:11) mostrò che questo nuovo aspetto riguardava la formazione di un governo sussidiario, un organismo direttivo con a capo un governante delegato. La promessa del “seme” si realizza nel regno di Cristo Gesù insieme agli eletti. (Ri 17:14; vedi GESÙ CRISTO [Il suo ruolo vitale nel proposito di Dio]). Dal tempo della promessa edenica in poi il progressivo sviluppo del proposito di Dio per produrre questo “seme” del Regno diventa il tema della Bibbia e la chiave per comprendere le azioni di Geova nei confronti dei suoi servitori e dell’umanità in generale.
Questa delega da parte di Dio di ampia autorità e potere ad alcune sue creature (Mt 28:18; Ri 2:26, 27; 3:21) è degna di nota in quanto la questione dell’integrità di tutte le creature di Dio, cioè la loro completa devozione a lui e la loro lealtà alla sua sovranità, costituiva una parte essenziale della contesa suscitata dall’Avversario di Dio. (Vedi INTEGRITÀ [Nella suprema contesa]). Il fatto stesso che Geova Dio potesse fiduciosamente affidare a certe creature un’autorità e un potere così straordinari sarebbe stato una splendida testimonianza della forza morale del suo dominio, qualcosa che avrebbe contribuito alla rivendicazione della sua sovranità e smascherato la falsità delle accuse del suo avversario.
Necessità di un governo divino. Le condizioni che vennero a crearsi dall’inizio della ribellione umana fino al tempo del Diluvio illustrano chiaramente quanto l’umanità avesse bisogno di un governo divino. Ben presto la società umana fu turbata da disunione, violenza fisica e omicidio. (Ge 4:2-9, 23, 24). Non ci è detto in che misura il peccatore Adamo, durante i 930 anni della sua vita, esercitasse l’autorità patriarcale sui suoi discendenti sempre più numerosi. Ma evidentemente già all’epoca della settima generazione esisteva una sconcertante empietà (Gda 14, 15), e al tempo di Noè (che nacque circa 120 anni dopo la morte di Adamo) le condizioni si erano talmente deteriorate che ‘la terra era divenuta piena di violenza’. (Ge 6:1-13) Un fattore che contribuì a determinare quella situazione fu l’illecita ingerenza di creature spirituali nella società umana, qualcosa che andava contro alla volontà e al proposito di Dio. — Ge 6:1-4; Gda 6; 2Pt 2:4, 5; vedi NEFILIM.
Sebbene la terra fosse diventata un focolaio di ribellione, Geova non rinunciò al dominio su di essa. Il diluvio universale fu la prova che Dio aveva sempre il potere e la capacità di far rispettare la sua volontà sulla terra, come in qualsiasi parte dell’universo. Anche nel periodo che precedette il Diluvio egli si mostrò similmente disposto a guidare e dirigere le azioni di coloro che confidavano in Lui, come Abele, Enoc e Noè. Il caso di Noè in particolare illustra in che modo Dio esercita autorità su un suddito terreno ben disposto, impartendogli ordini e istruzioni, proteggendo e benedicendo lui e la sua famiglia, e mostrando anche il proprio dominio su tutte le altre creature terrestri: animali e uccelli. (Ge 6:9–7:16) Geova rese pure chiaro che non avrebbe permesso alla società umana estraniata da lui di rovinare la terra all’infinito e che non si sarebbe astenuto dall’eseguire i suoi giusti giudizi contro i trasgressori quando e come lo avesse ritenuto opportuno. Dimostrò inoltre la sua capacità sovrana di controllare l’atmosfera della terra e gli elementi creati. — Ge 6:3, 5-7; 7:17–8:22.
La società postdiluviana e i suoi problemi. Subito dopo il Diluvio, sembra che la società umana avesse una struttura fondamentalmente patriarcale, e questo assicurava una certa stabilità e un certo ordine. Il genere umano doveva ‘riempire la terra’, cosa che non richiedeva soltanto di procreare ma anche di estendere progressivamente la zona abitata dall’uomo fino ad abbracciare tutto il globo. (Ge 9:1, 7) È ragionevole pensare che questi fattori tendessero di per sé a limitare i problemi sociali, mantenendoli in genere entro l’ambito familiare ed evitando l’attrito che spesso si crea con l’aumento della densità della popolazione o il sovraffollamento. L’impresa non autorizzata di Babele segnò invece l’inizio di una tendenza inversa, mirante a concentrare la popolazione per evitare che fosse ‘dispersa su tutta la superficie della terra’. (Ge 11:1-4; vedi LINGUAGGIO). Inoltre Nimrod si discostò dall’ordinamento patriarcale e istituì il primo “regno” (ebr. mamlakhàh). Egli, un cusita della discendenza di Cam, invase un territorio semita, il paese di Assur (l’Assiria), e vi costruì delle città annesse al suo regno. — Ge 10:8-12.
Confondendo il linguaggio umano Dio disperse la popolazione che si era concentrata nella pianura di Sinar, ma il tipo di governo istituito da Nimrod fu generalmente adottato nei paesi in cui migrarono le varie famiglie dell’umanità. Ai giorni di Abraamo (2018-1843 a.E.V.) esistevano regni dalla Mesopotamia, in Asia, fino all’Egitto, in Africa, dove il re aveva il titolo di “faraone” invece che di mèlekh. Ma quei regni non portarono sicurezza. Ben presto i re fecero alleanze militari, combatterono guerre di aggressione, saccheggiarono e fecero prigionieri. (Ge 14:1-12) In alcune città gli stranieri furono oggetto di attacchi da parte di omosessuali. — Ge 19:4-9.
Così, benché senza dubbio gli uomini si raggruppassero in comunità ristrette in cerca di sicurezza (cfr. Ge 4:14-17), ben presto furono costretti a munire le loro città di mura, meglio ancora se fortificate, per difendersi dagli attacchi armati. Le più antiche testimonianze scritte conosciute, molte delle quali provenienti dalla regione mesopotamica su cui il regno di Nimrod aveva esercitato in origine la sua influenza, parlano spesso di conflitti, avidità, intrighi e spargimento di sangue. I più antichi testi giuridici extrabiblici noti, come quelli di Lipit-Ishtar, Eshnunna e Hammurabi, mostrano che la vita dell’uomo era diventata molto complessa; c’erano attriti sociali che davano luogo a problemi come furto, frode, disonestà nel commercio, dispute su proprietà o sul pagamento dell’affitto, questioni relative a prestiti e interessi, infedeltà coniugale, imperizia e onorari medici, casi di aggressione, e via dicendo. Benché Hammurabi si definisse “il re efficiente” e “il re perfetto”, il suo dominio e la sua legislazione, come quelli degli altri antichi regni politici, si rivelarono incapaci di risolvere i problemi dell’umanità peccatrice. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, pp. 159-180; cfr. Pr 28:5). In tutti questi regni la religione occupava un posto di primo piano, ma non si trattava dell’adorazione del vero Dio. Sebbene il sacerdozio collaborasse strettamente con la classe dominante e godesse del favore del re, ciò non elevava moralmente la popolazione. Gli antichi testi religiosi in caratteri cuneiformi sono privi di spiritualità o di guida morale; mostrano che gli dèi che venivano adorati erano litigiosi, violenti, lussuriosi, non governati da princìpi o intenti giusti. Gli uomini avevano bisogno del regno di Geova Dio se volevano godere la vita in pace e felicità.
Abraamo e i suoi discendenti. Anche fra coloro che riconoscevano Geova Dio quale loro Capo sorgevano ovviamente alcuni problemi e contrasti personali. Tuttavia erano aiutati a risolverli (o a sopportarli) in armonia con le giuste norme di Dio e senza degradarsi. Ricevevano da Dio protezione e forza. (Ge 13:5-11; 14:18-24; 19:15-24; 21:9-13, 22-33) Ad esempio, dopo aver menzionato che ‘le decisioni giudiziarie di Geova sono in tutta la terra’, il salmista dice di Abraamo, Isacco e Giacobbe: “Erano pochi di numero, sì, pochissimi, e residenti forestieri in [Canaan]. E camminavano di nazione in nazione, da un regno a un altro popolo. [Geova] non permise ad alcun uomo di defraudarli, ma a causa d’essi riprese dei re, dicendo: ‘Non toccate i miei unti, e non fate nulla di male ai miei profeti’”. (Sl 105:7-15; cfr. Ge 12:10-20; 20:1-18; 31:22-24, 36-55). Anche questo costituiva una prova che la sovranità di Dio sulla terra era ancora in atto, e che egli poteva farla rispettare in armonia con gli sviluppi del suo proposito.
I fedeli patriarchi non si unirono alle città-stato o ai regni di Canaan o di altri paesi. Invece di cercare protezione in qualche città sotto la dominazione politica di un re umano, vissero in tende come forestieri, “estranei e residenti temporanei nel paese”, poiché aspettavano con fede “la città che ha reali fondamenta, il cui edificatore e costruttore è Dio”. Riconoscevano Dio quale loro Sovrano, e attendevano il suo futuro strumento o organismo celeste per governare la terra, solidamente fondato sulla sua volontà e autorità sovrana, anche se la realizzazione di questa speranza era allora assai remota. (Eb 11:8-10, 13-16) Perciò Gesù, già unto da Dio per essere re, poté dire in seguito: “Abraamo si rallegrò grandemente alla prospettiva di vedere il mio giorno, e lo vide e si rallegrò”. — Gv 8:56.
Geova fece fare un passo avanti alla realizzazione della sua promessa relativa al “seme” del Regno (Ge 3:15) stipulando un patto con Abraamo. (Ge 12:1-3; 22:15-18) A questo proposito predisse che da Abraamo (Abramo) e da sua moglie ‘sarebbero venuti dei re’. (Ge 17:1-6, 15, 16) Anche se i discendenti di Esaù nipote di Abraamo fondarono sceiccati e regni, la promessa profetica di Dio circa l’avere discendenti regali fu ripetuta all’altro nipote di Abraamo, Giacobbe. — Ge 35:11, 12; 36:9, 15-43.
Formazione della nazione israelita. Secoli dopo, nel tempo stabilito (Ge 15:13-16), Geova Dio intervenne a favore dei discendenti di Giacobbe, che ora si contavano a milioni (vedi ESODO [Quanti presero parte all’Esodo]), proteggendoli durante una campagna di genocidio decretata dal governo egiziano (Eso 1:15-22) e infine liberandoli dalla dura schiavitù sotto quel regime. (Eso 2:23-25) Il comando che Dio diede al faraone per mezzo di Mosè e Aaronne suoi rappresentanti venne respinto dal sovrano egiziano che lo considerò proveniente da una fonte che non aveva autorità sull’Egitto. Il ripetuto rifiuto del faraone di riconoscere la sovranità di Geova provocò manifestazioni della potenza divina sotto forma di piaghe. (Eso capp. 7–12) In questo modo Dio dimostrò che il suo dominio sugli elementi e sulle creature della terra era superiore a quello di qualsiasi re terreno. (Eso 9:13-16) Egli coronò quella manifestazione di potere sovrano distruggendo gli eserciti del faraone in un modo che nessun vanaglorioso re guerriero delle nazioni avrebbe mai potuto replicare. (Eso 14:26-31) A ragione Mosè e gli israeliti cantarono: “Geova regnerà a tempo indefinito, sì, per sempre”. — Eso 15:1-19.
In seguito Geova diede ulteriori prove del suo dominio sulla terra, sulle sue indispensabili risorse idriche e sui volatili, come pure della sua capacità di proteggere e sostenere la nazione anche in un ambiente desertico e ostile. (Eso 15:22–17:15) Dopo aver fatto tutto questo, si rivolse al popolo che aveva liberato, dicendo che, se avesse ubbidito alla sua autorità e al suo patto, sarebbe potuto diventare una sua speciale proprietà fra tutti gli altri popoli, “perché l’intera terra appartiene a me”. Sarebbe potuto diventare “un regno di sacerdoti e una nazione santa”. (Eso 19:3-6) Quando gli israeliti dimostrarono di essere pronti a sottomettersi alla sua sovranità, Geova, in qualità di regale Legislatore, diede loro decreti reali sotto forma di un vasto codice giuridico, accompagnando tutto ciò con una dimostrazione dinamica e maestosa della sua potenza e gloria. (Eso 19:7–24:18) Un tabernacolo, o tenda di adunanza, e in particolare l’arca del patto, dovevano testimoniare la presenza dell’invisibile celeste Capo dello Stato. (Eso 25:8, 21, 22; 33:7-11; cfr. Ri 21:3). Benché Mosè e altri giudici umani, facendosi guidare dalla legge di Dio, avessero l’incarico di giudicare la maggioranza delle cause, a volte Geova interveniva personalmente per esprimere giudizi e imporre sanzioni contro i violatori della legge. (Eso 18:13-16, 24-26; 32:25-35) Il sacerdozio aveva l’incarico di mantenere buone relazioni tra la nazione e il suo Sovrano celeste, aiutando la popolazione nello sforzo di conformarsi alle alte norme del patto della Legge. (Vedi SACERDOTE). Così il governo di Israele era una vera teocrazia. — De 33:2, 5.
Quale Dio e Creatore, avente per diritto sovranità su tutta la terra, e anche quale “Giudice di tutta la terra” (Ge 18:25), Geova aveva assegnato il paese di Canaan al seme di Abraamo. (Ge 12:5-7; 15:17-21) Detenendo in qualità di Sovrano il potere esecutivo, Dio ordinò agli israeliti di procedere all’esproprio coatto del territorio occupato dai condannati cananei e all’esecuzione della condanna a morte da lui pronunciata contro di loro. — De 9:1-5; vedi CANAAN, CANANEO n. 2 (Conquista di Canaan da parte di Israele).
Il periodo dei Giudici. Dopo la conquista dei numerosi regni di Canaan da parte di Israele, per tre secoli e mezzo Geova Dio fu l’unico re della nazione. A varie riprese, giudici scelti da Dio guidarono l’intera nazione, o parte d’essa, in guerra e in pace. Dopo aver sconfitto Madian il giudice Gedeone si vide chiedere dal popolo di diventare il sovrano della nazione, cosa che rifiutò, riconoscendo che il vero sovrano era Geova. (Gdc 8:22, 23) Il suo ambizioso figlio Abimelec stabilì per breve tempo un regno su un piccolo settore della nazione, ma fece una fine disastrosa. — Gdc 9:1, 6, 22, 53-56.
Riguardo a questo periodo dei Giudici si legge: “In quei giorni non c’era re in Israele. In quanto a ognuno, era solito fare ciò che era retto ai suoi propri occhi”. (Gdc 17:6; 21:25) Questo non significa che nessuno venisse chiamato a rendere conto del suo operato. Ogni città aveva dei giudici, degli anziani, incaricati di trattare problemi e questioni legali e di fare giustizia. (De 16:18-20; vedi CORTE DI GIUSTIZIA). Il sacerdozio levitico impartiva una guida elevata, educando il popolo nella legge di Dio; nelle questioni più difficili il sommo sacerdote poteva consultare Dio mediante gli Urim e i Tummim. (Vedi SACERDOTE; SOMMO SACERDOTE; URIM E TUMMIM). Chi dunque si avvaleva di questi provvedimenti, acquistando conoscenza della legge di Dio e applicandola, aveva una guida retta per la propria coscienza. In questo caso fare “ciò che era retto ai suoi propri occhi” non aveva conseguenze negative. Geova permise che il popolo, nel modo di pensare e di agire, manifestasse uno spirito volenteroso oppure uno spirito renitente. Sulla nazione non c’era nessun re umano che controllasse l’operato dei giudici nelle varie città o che comandasse alla popolazione di impegnarsi in particolari opere o che la organizzasse per scopi di difesa nazionale. (Cfr. Gdc 5:1-18). Le cattive condizioni che si instaurarono erano quindi da attribuire al fatto che la maggioranza era restia ad ascoltare la parola e la legge del Re celeste e a valersi dei suoi provvedimenti. — Gdc 2:11-23.
Chiesto un re umano. Quasi 400 anni dopo l’Esodo e oltre 800 anni dopo che Dio aveva stipulato il patto con Abraamo, gli israeliti chiesero di avere un re umano come le altre nazioni. Con questa richiesta mostrarono di non riconoscere la sovranità di Geova su di loro. (1Sa 8:4-8) È vero che il popolo giustamente si aspettava che Dio stabilisse un regno in base alla già citata promessa fatta ad Abraamo e a Giacobbe. Questa speranza era stata confermata dalla profezia relativa a Giuda pronunciata da Giacobbe in punto di morte (Ge 49:8-10), dalle parole rivolte da Geova a Israele dopo l’Esodo (Eso 19:3-6), da una clausola del patto della Legge (De 17:14, 15) e anche da una parte del messaggio che Dio aveva fatto pronunciare dal profeta Balaam (Nu 24:2-7, 17). La fedele Anna, madre di Samuele, espresse in preghiera questa speranza. (1Sa 2:7-10) Tuttavia Geova non aveva rivelato pienamente il “sacro segreto” relativo al Regno e non aveva indicato quando sarebbe giunto il tempo da lui stabilito per la sua istituzione, né aveva rivelato la struttura e la composizione di quel governo, ad esempio se sarebbe stato terreno o celeste. Fu dunque presunzione da parte del popolo chiedere allora un re umano.
La minaccia di un’aggressione da parte dei filistei e degli ammoniti alimentò evidentemente il desiderio degli israeliti di avere un re visibile quale comandante in capo. Ma in tal modo essi manifestarono mancanza di fede nella capacità di Dio di proteggerli, guidarli e provvedere per loro, sia come nazione che come singoli individui. (1Sa 8:4-8) Il motivo degli israeliti era sbagliato, eppure Geova Dio accolse la loro richiesta, non tanto per accontentarli quanto per attuare il suo buon proposito nella progressiva rivelazione del “sacro segreto” del suo futuro Regno retto dal “seme”. Un regno umano avrebbe tuttavia comportato dei problemi e dei sacrifici per Israele, e Geova spiegò al popolo cosa doveva aspettarsi. — 1Sa 8:9-22.
Da quel momento in poi i re nominati da Geova dovevano servire quali suoi agenti terreni, senza che ciò limitasse minimamente la sovranità di Geova sulla nazione. Il trono era in effetti di Geova ed essi vi salivano come re delegati. (1Cr 29:23) Geova ordinò l’unzione del primo re, Saul (1Sa 9:15-17), denunciando allo stesso tempo la mancanza di fede della nazione. — 1Sa 10:17-25.
Perché il regno portasse dei benefìci, sia il re che la nazione dovevano rispettare l’autorità di Dio. Se, poco realisticamente, si fossero rivolti ad altre fonti per avere guida e protezione, sia il popolo che il re sarebbero stati spazzati via. (De 28:36; 1Sa 12:13-15, 20-25) Il re doveva evitare di fare assegnamento sulla potenza militare, di moltiplicare le mogli e di farsi dominare dalla brama di ricchezze. Il suo regno doveva operare nei limiti ben definiti del patto della Legge. Egli aveva da Dio l’ordine di scriversi una copia di quella Legge e di leggerla ogni giorno, per mantenere il giusto timore dell’Autorità suprema, rimanere umile e condursi rettamente. (De 17:16-20) Nella misura in cui lo avesse fatto, amando Dio con tutto il cuore e amando il prossimo come se stesso, il suo dominio sarebbe stato fonte di benedizioni e nessuno avrebbe avuto un valido motivo per lamentarsi o sentirsi oppresso. Ma, come aveva fatto con il popolo, così ora Geova permise ai re della nazione di mostrare ciò che avevano nel cuore, se erano disposti o no a riconoscere l’autorità e la volontà di Dio.
Esemplare governo di Davide. La mancanza di rispetto del beniaminita Saul per l’autorità superiore e per le disposizioni dell’“Eccellenza d’Israele” gli attirò il disfavore di Dio e costò alla sua famiglia la perdita del trono. (1Sa 13:10-14; 15:17-29; 1Cr 10:13, 14) Con il governo del suo successore, Davide di Giuda, la profezia pronunciata da Giacobbe in punto di morte ebbe un ulteriore adempimento. (Ge 49:8-10) Benché Davide commettesse degli errori per debolezza umana, il suo governo fu esemplare grazie alla sincera devozione a Geova Dio e all’umile sottomissione alla Sua autorità. (Sl 51:1-4; 1Sa 24:10-14; cfr. 1Re 11:4; 15:11, 14). Quando vennero portate le contribuzioni per la costruzione del tempio, Davide pregò Dio davanti al popolo congregato, dicendo: “Tue, o Geova, sono la grandezza e la potenza e la bellezza e l’eccellenza e la dignità; poiché ogni cosa nei cieli e sulla terra è tua. Tuo è il regno, o Geova, che pure ti innalzi come capo sopra tutto. Le ricchezze e la gloria sono a motivo tuo, e tu domini su ogni cosa; e nella tua mano sono potere e potenza, e nella tua mano è la capacità di far grande e di dar forza a tutti. E ora, o nostro Dio, ti ringraziamo e lodiamo il tuo bel nome”. (1Cr 29:10-13) Anche dagli ultimi consigli che diede al figlio Salomone si nota l’ammirevole punto di vista di Davide sulla relazione fra il regno terreno e la Fonte divina di questo regno. — 1Re 2:1-4.
Mentre l’arca del patto, che simboleggiava la presenza di Geova, veniva portata nella capitale, Gerusalemme, Davide cantava: “Si rallegrino i cieli, e gioisca la terra, e dicano fra le nazioni: ‘Geova stesso è divenuto re!’” (1Cr 16:1, 7, 23-31) Questo illustra il fatto che, sebbene la sovranità di Geova risalga all’inizio della creazione, egli può esprimerla in modi particolari o servirsi di certi strumenti che lo rappresentino, giustificando così l’affermazione secondo cui ‘Geova diventa re’ in un determinato momento o in una determinata occasione.
Il patto per un regno. Geova fece con Davide un patto per un regno che sarebbe stato affidato per sempre alla sua discendenza, dicendo: “Certamente susciterò dopo di te il tuo seme, . . . e in realtà stabilirò fermamente il suo regno. . . . E la tua casa e il tuo regno saranno certamente saldi a tempo indefinito davanti a te; il tuo medesimo trono diverrà fermamente stabilito a tempo indefinito”. (2Sa 7:12-16; 1Cr 17:11-14) Questo patto in vigore per la dinastia davidica costituiva un ulteriore passo avanti verso l’adempimento della promessa edenica riguardante il Regno di Dio retto dal predetto “seme” (Ge 3:15), e forniva un ulteriore mezzo per identificare quel “seme” quando sarebbe comparso. (Cfr. Isa 9:6, 7; 1Pt 1:11). I re nominati da Dio ricevevano l’incarico mediante unzione, per cui il termine “messia”, che significa “unto”, ben si addiceva loro. (1Sa 16:1; Sl 132:13, 17) È dunque chiaro che il regno terreno stabilito da Geova su Israele servì come tipo o rappresentazione in scala ridotta del futuro Regno del Messia, Gesù Cristo, il “figlio di Davide”. — Mt 1:1.
Declino e caduta dei regni israeliti. Non essendo state seguite le giuste vie di Geova, le condizioni esistenti già alla fine di tre periodi di regno e all’inizio del quarto produssero un grave malcontento che portò alla rivolta e alla scissione della nazione (997 a.E.V.). Si formarono un regno settentrionale e un regno meridionale. Il patto stipulato da Geova con Davide rimase comunque in vigore per i re del regno meridionale di Giuda. Nel corso dei secoli ci furono in Giuda pochi re fedeli, nel regno settentrionale d’Israele nessuno. La storia del regno settentrionale è una storia di idolatria, intrighi e assassini, di re che spesso si succedevano in rapida sequenza. La popolazione subì ingiustizie e oppressione. Dopo circa 250 anni, Geova Dio permise che il re d’Assiria abbattesse il regno settentrionale a motivo del suo comportamento ribelle verso Dio (740 a.E.V.). — Os 4:1, 2; Am 2:6-8.
Anche se il regno meridionale di Giuda godette maggiore stabilità grazie alla dinastia davidica, alla fine superò quello settentrionale in quanto a decadenza morale, e questo nonostante gli sforzi di re timorati di Dio, come Ezechia e Giosia, per arrestare il degrado verso l’idolatria e la tendenza a respingere la parola e l’autorità di Geova. (Isa 1:1-4; Ez 23:1-4, 11) Ingiustizia sociale, tirannia, avidità, disonestà, corruzione, perversione sessuale, criminalità e spargimento di sangue, insieme all’ipocrisia religiosa che trasformò il tempio di Dio in una “spelonca di ladroni”: tutto ciò venne denunciato dai profeti di Geova nei messaggi ammonitori rivolti alle autorità e al popolo. (Isa 1:15-17, 21-23; 3:14, 15; Ger 5:1, 2, 7, 8, 26-28, 31; 6:6, 7; 7:8-11) Né l’appoggio di sacerdoti apostati né alcuna alleanza politica con altre nazioni poté evitare il crollo di quel regno infedele. (Ger 6:13-15; 37:7-10) Nel 607 a.E.V. la capitale, Gerusalemme, fu distrutta e il paese di Giuda fu desolato dai babilonesi. — 2Re 25:1-26.
La posizione regale di Geova rimane intatta. La distruzione dei regni di Israele e di Giuda non influì minimamente sulla qualità del dominio di Geova Dio, né fu in alcun modo indice di debolezza da parte sua. Durante tutta la storia della nazione israelita, Geova fece chiaramente capire che gli interessavano l’ubbidienza e il servizio resi volontariamente. (De 10:12-21; 30:6, 15-20; Isa 1:18-20; Ez 18:25-32) Dio istruiva, riprendeva, disciplinava, avvertiva e puniva, ma non usò la sua potenza per costringere il re o il popolo a seguire la retta via. Le tristi condizioni in cui gli israeliti vennero a trovarsi, le sofferenze, il disastro che si abbatté su di loro, si verificarono tutti per colpa loro, perché si ostinarono a indurire il loro cuore e a tenere un comportamento indipendente, che stupidamente nuoceva ai loro stessi interessi. — La 1:8, 9; Ne 9:26-31, 34-37; Isa 1:2-7; Ger 8:5-9; Os 7:10, 11.
Geova manifestò il suo potere sovrano trattenendo le aggressive e avide potenze assira e babilonese fino al tempo da lui stabilito, e facendole persino agire in modo da adempiere le sue profezie. (Ez 21:18-23; Isa 10:5-7) Quando alla fine Geova smise di difendere la nazione, lo fece per esprimere il suo giusto giudizio quale Sovrano supremo. (Ger 35:17) La desolazione di Israele e di Giuda non giunse come una brutta sorpresa per gli ubbidienti servitori di Dio, che erano stati preavvertiti dalle sue profezie. L’umiliazione di alteri sovrani esaltava la “splendida superiorità” di Geova. (Isa 2:1, 10-17) Ma soprattutto egli aveva dimostrato la sua capacità di proteggere e preservare i singoli individui che lo riconoscevano come loro Re, anche quando erano minacciati da carestia, malattie e stragi, oltre a essere perseguitati da coloro che odiavano la giustizia. — Ger 34:17-21; 20:10, 11; 35:18, 19; 36:26; 37:18-21; 38:7-13; 39:11–40:5.
L’ultimo re del popolo di Israele fu avvertito che gli sarebbe stata presto tolta la corona, simbolo della sua regalità quale unto rappresentante di Geova. Il potere regale dell’unta dinastia davidica non sarebbe stato più esercitato ‘finché non fosse venuto colui che aveva il diritto legale, e a lui Geova lo avrebbe dovuto dare’. (Ez 21:25-27) Così il regno tipico, ormai in rovina, cessò di operare, e l’attenzione fu rivolta di nuovo al futuro “seme”, il Messia.
Nazioni quali l’Assiria e Babilonia devastarono gli apostati regni di Israele e di Giuda. Benché Dio dica di aver ‘sollevato’ o ‘fatto venire’ quelle nazioni contro tali regni condannati (De 28:49; Ger 5:15; 25:8, 9; Ez 7:24; Am 6:14), la cosa evidentemente va intesa nello stesso senso in cui è detto che Dio ‘indurì’ il cuore del faraone. (Vedi PRESCIENZA, PREORDINAZIONE [Singoli individui]). Dio cioè ‘fece venire’ quelle forze attaccanti nel senso che permise loro di attuare il desiderio che avevano già nel cuore (Isa 10:7; La 2:16; Mic 4:11), rimuovendo la sua ‘mano’ protettiva da ciò che esse concupivano ambiziosamente. (De 31:17, 18; cfr. Esd 8:31 con Esd 5:12; Ne 9:28-31; Ger 34:2). Agli israeliti apostati, che si erano ostinatamente rifiutati di sottoporsi alla legge e alla volontà di Geova, fu quindi ‘proclamata libertà alla spada, alla pestilenza e alla carestia’. (Ger 34:17) Ma gli attaccanti pagani non ricevettero per questo l’approvazione di Dio, né ebbero ‘mani pure’ dinanzi a lui a causa del modo spietato con cui avevano distrutto il regno settentrionale e quello meridionale, la capitale Gerusalemme e il suo sacro tempio. Quindi Geova, il Giudice di tutta la terra, poté giustamente denunciarli per aver ‘saccheggiato la sua eredità’ e condannarli a subire la stessa desolazione che avevano inflitto al popolo del suo patto. — Isa 10:12-14; 13:1, 17-22; 14:4-6, 12-14, 26, 27; 47:5-11; Ger 50:11, 14, 17-19, 23-29.
Visioni del Regno di Dio ai giorni di Daniele. L’intera profezia di Daniele dà grande risalto al tema della Sovranità universale di Geova Dio, facendo ulteriore luce sul Suo proposito. Esiliato nella capitale della potenza mondiale che aveva abbattuto Giuda, Daniele fu impiegato da Dio per rivelare il significato di una visione avuta dal monarca babilonese, visione che prediceva il succedersi delle potenze mondiali e la loro distruzione finale ad opera del Regno eterno istituito da Geova stesso. Senza dubbio con grande stupore della sua corte, Nabucodonosor, il conquistatore di Gerusalemme, fu ora spinto a prostrarsi per rendere omaggio all’esiliato Daniele e a riconoscere il Dio di Daniele quale “Signore di re”. (Da 2:36-47) In seguito, mediante la visione di un ‘albero abbattuto’ avuta in sogno da Nabucodonosor, Geova fece chiaramente comprendere che “l’Altissimo domina sul regno del genere umano e che lo dà a chi vuole, e stabilisce su di esso persino l’infimo del genere umano”. (Da 4; vedi la trattazione di questa visione alla voce TEMPI FISSATI DELLE NAZIONI). Con l’adempimento della parte del sogno che lo riguardava, Nabucodonosor, sovrano di un impero, fu indotto ancora una volta a riconoscere che il Dio di Davide era “il Re dei cieli”, Colui che “fa secondo la sua propria volontà fra l’esercito dei cieli e gli abitanti della terra. E non esiste nessuno che possa fermare la sua mano o che gli possa dire: ‘Che cosa hai fatto?’” — Da 4:34-37.
Verso la fine del dominio mondiale di Babilonia, Daniele ebbe delle visioni profetiche di imperi successivi dalle caratteristiche bestiali, e vide anche la maestosa Corte celeste di Geova riunita per giudicare le potenze mondiali, che furono ritenute indegne di governare; osservò inoltre “qualcuno simile a un figlio dell’uomo . . . [a cui] furono dati dominio e dignità e regno, affinché tutti i popoli, i gruppi nazionali e le lingue servissero proprio lui” nel suo “dominio di durata indefinita che non passerà”. Vide anche la guerra combattuta contro “i santi” dall’ultima potenza mondiale, che sarebbe stata quindi annientata, mentre “il regno e il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i cieli” sarebbero stati dati “al popolo che sono i santi del Supremo”, Geova Dio. (Da capp. 7, 8) Così fu evidente che il promesso “seme” avrebbe incluso una compagine governativa la quale avrebbe avuto non solo un capo regnante, il “figlio dell’uomo”, ma anche re associati, i “santi del Supremo”.
Babilonia e Media-Persia. L’inesorabile decreto di Dio contro la potente Babilonia venne eseguito in modo improvviso e inaspettato: i suoi giorni erano stati contati ed erano giunti alla fine. (Da 5:17-30) Durante la successiva dominazione medo-persiana, Geova fece ulteriori rivelazioni a proposito del Regno messianico, indicando il tempo della comparsa del Messia, predicendo che sarebbe stato “stroncato”, e preannunciando anche una seconda distruzione della città di Gerusalemme e del suo luogo santo. (Da 9:1, 24-27; vedi SETTANTA SETTIMANE). E, come aveva fatto durante la dominazione babilonese, ancora una volta Geova Dio dimostrò la sua capacità di proteggere quelli che riconoscevano la sua sovranità dall’ira di un sovrano e dalla minaccia di morte, dando prova del suo potere sia sugli elementi che sugli animali. (Da 3:13-29; 6:12-27) Al momento stabilito fece spalancare le porte di Babilonia, restituendo al popolo del patto la libertà di tornare in patria per riedificare Gerusalemme e la casa di Geova. (2Cr 36:20-23) A motivo del suo intervento per liberare il suo popolo, si poté annunciare a Sion: “Il tuo Dio è divenuto re!” (Isa 52:7-11) In seguito furono sventate cospirazioni contro il suo popolo e vennero superati un travisamento dei fatti ad opera di funzionari subalterni e decreti governativi avversi, in quanto Geova indusse diversi re persiani a cooperare affinché si adempisse la sua volontà sovrana. — Esd 4–7; Ne 2, 4, 6; Est 3–9.
Così, per migliaia d’anni, l’immutabile e inarrestabile proposito di Geova Dio andò avanti. Qualsiasi piega prendessero gli avvenimenti sulla terra, egli dimostrò di essere sempre padrone della situazione, al di sopra di ogni oppositore umano e diabolico. Nulla poteva interferire con la perfetta attuazione del suo proposito, della sua volontà. La nazione d’Israele e la sua storia, oltre a servire come tipi profetici e visioni anticipate della futura attività di Dio nei riguardi degli uomini, furono una dimostrazione del fatto che se non si riconosce l’autorità divina e non ci si sottomette ad essa di tutto cuore non possono esserci armonia, pace e felicità durevoli. Gli israeliti avevano il vantaggio di essere tutti della stessa discendenza, della stessa lingua e della stessa nazione. Dovettero anche affrontare nemici comuni. Ma solo finché adorarono e servirono Geova Dio con piena fede e lealtà ebbero unità, forza, giustizia e vera gioia di vivere. Quando i vincoli della relazione con Geova Dio si allentarono, la nazione subì un rapido declino.
‘Si avvicina’ il Regno di Dio. Poiché il Messia doveva essere discendente di Abraamo, Isacco e Giacobbe, appartenere alla tribù di Giuda ed essere “figlio di Davide”, doveva avere una nascita umana; doveva essere, come dichiarato dalla profezia di Daniele, “un figlio dell’uomo”. Quando “arrivò il pieno limite del tempo”, Geova Dio mandò suo Figlio, che nacque da una donna e che soddisfece tutte le esigenze legali per ereditare “il trono di Davide suo padre”. (Gal 4:4; Lu 1:26-33; vedi GENEALOGIA DI GESÙ CRISTO). Sei mesi prima della nascita di Gesù era nato Giovanni, che divenne il Battezzatore e che doveva essere il precursore di Gesù. (Lu 1:13-17, 36) I genitori di entrambi mostrarono con le loro espressioni di vivere in ansiosa aspettazione di autorevoli interventi di Dio. (Lu 1:41-55, 68-79) Alla nascita di Gesù, anche le parole della delegazione angelica inviata ad annunciare il significato dell’avvenimento additarono il glorioso intervento di Dio. (Lu 2:9-14) Così pure le parole pronunciate da Simeone e da Anna nel tempio espressero una speranza di salvezza e di liberazione. (Lu 2:25-38) Testimonianze sia bibliche che secolari rivelano che fra gli ebrei prevaleva un sentimento generale di attesa, nella convinzione che la venuta del Messia fosse vicina. A molti però interessava soprattutto la libertà dal pesante giogo della dominazione romana. — Vedi MESSIA.
Giovanni aveva l’incarico di “far tornare i cuori” a Geova, ai suoi patti, al “privilegio di rendergli sacro servizio senza timore, con lealtà e giustizia”, in modo da preparare per Geova “un popolo ben disposto”. (Lu 1:16, 17, 72-75) Senza mezzi termini disse al popolo che dovevano attendersi un tempo di giudizio da parte di Dio, che ‘il regno dei cieli si era avvicinato’ e che era quindi urgente che si pentissero e abbandonassero una condotta di disubbidienza alla volontà e alla legge di Dio. Questo dava ancora una volta risalto alla norma di Geova di avere solo sudditi volontari, che riconoscessero e apprezzassero la giustezza delle sue vie e delle sue leggi. — Mt 3:1, 2, 7-12.
Il Messia venne quando Gesù si presentò a Giovanni per essere battezzato e fu quindi unto con lo spirito santo di Dio. (Mt 3:13-17) In tal modo divenne il Re designato, al quale la Corte di Geova riconobbe il “diritto legale” al trono davidico, diritto che non veniva esercitato da sei secoli. (Vedi GESÙ CRISTO [Il battesimo]). Ma con questo Figlio approvato Geova fece inoltre un patto per un Regno celeste, nel quale Gesù sarebbe stato sia Re che Sacerdote, come lo era stato Melchisedec nell’antica Salem. (Sl 110:1-4; Lu 22:29; Eb 5:4-6; 7:1-3; 8:1; vedi PATTO). Essendo il promesso ‘seme di Abraamo’ questo Re-Sacerdote celeste sarebbe stato il principale Agente di Dio per benedire persone di tutte le nazioni. — Ge 22:15-18; Gal 3:14; At 3:15.
All’inizio della vita terrena di suo Figlio, Geova aveva manifestato il suo potere regale a favore di Gesù, facendo cambiare strada agli astrologi orientali che stavano per informare il tiranno Erode sul luogo in cui si trovava il bambino e inducendo i genitori di Gesù a rifugiarsi in Egitto prima che i messi di Erode compissero la strage dei bambini a Betleem. (Mt 2:1-16) Dato che l’originale profezia edenica aveva predetto che ci sarebbe stata inimicizia fra il promesso “seme” e il ‘seme del serpente’, questo attentato alla vita di Gesù poteva solo significare che l’Avversario di Dio, Satana il Diavolo, stava cercando, anche se invano, di frustrare il proposito di Geova. — Ge 3:15.
Dopo circa 40 giorni trascorsi nel deserto della Giudea, il battezzato Gesù dovette affrontare il principale oppositore della sovranità di Geova. In qualche modo questo Avversario spirituale fece a Gesù delle subdole proposte nel tentativo di spingerlo a compiere atti che avrebbero violato l’espressa volontà e parola di Geova. Satana addirittura offrì all’unto Gesù il dominio su tutti i regni terreni senza lotta e senza bisogno di alcuna sofferenza da parte di Gesù, in cambio di un atto di adorazione verso di lui. Quando Gesù rifiutò, riconoscendo che Geova era l’unico vero Sovrano da cui giustamente proviene ogni autorità e a cui spetta l’adorazione, l’Avversario di Dio cominciò a fare altri piani strategici contro il Rappresentante di Geova, ricorrendo in vari modi ad agenti umani, come aveva fatto molto tempo prima nel caso di Giobbe. — Gb 1:8-18; Mt 4:1-11; Lu 4:1-13; cfr. Ri 13:1, 2.
In che senso il Regno di Dio era ‘in mezzo’ a coloro ai quali Gesù predicava?
Sicuro che Geova aveva il potere di proteggerlo e di fargli avere successo, Gesù iniziò il ministero pubblico, annunciando al popolo del patto di Geova che ‘il tempo fissato era compiuto’ e che quindi il Regno di Dio era vicino. (Mr 1:14, 15) Per determinare in che senso il Regno era ‘vicino’, si notino le parole che Gesù rivolse a certi farisei: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”. (Lu 17:21) A questo proposito il Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento (A cura di L. Coenen, E. Beyreuther, H. Bietenhard, Bologna, 1986, p. 1532) osserva: “La sovranità di Dio è già realtà presente nell’attività di Gesù. Per questo motivo, quando i farisei chiedono: ‘Quando viene il regno di Dio?’, Gesù può rispondere: ‘Il regno di Dio è in mezzo a voi’ (Lc 17, 20s; e non, come traduce Lutero: ‘è interiore, dentro di voi’)”. (Vedi anche, in quest’ultimo senso, le traduzioni cattoliche a cura di F. Nardoni e di G. Ricciotti). Dal momento che con “regno [basilèia]” si può intendere la “dignità regale”, è evidente che Gesù voleva dire che lui, il regale rappresentante di Dio, unto da Dio per regnare, era in mezzo a loro. Non solo egli era presente come tale, ma aveva anche l’autorità di compiere opere che manifestavano la regale potenza di Dio e di preparare candidati per incarichi nel futuro governo del Regno. Per cui il Regno era ‘vicino’; era un tempo che offriva straordinarie opportunità.
Un governo dotato di potenza e di autorità. I discepoli compresero che il Regno era un effettivo governo divino, benché non afferrassero la portata del suo dominio. Natanaele disse a Gesù: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d’Israele”. (Gv 1:49) Sapevano quello che era stato predetto a proposito dei “santi” nella profezia di Daniele. (Da 7:18, 27) Gesù promise direttamente agli apostoli che avrebbero occupato dei “troni”. (Mt 19:28) Giacomo e Giovanni volevano certe posizioni di privilegio nel governo messianico e Gesù ammise che ci sarebbero state tali posizioni privilegiate, pur affermando che l’attribuzione di queste dipendeva dal Padre suo, il Sovrano supremo. (Mt 20:20-23; Mr 10:35-40) Quindi i discepoli compresero correttamente che si trattava di un governo, anche se erroneamente pensavano che il potere regale del Messia fosse limitato alla terra e in particolare all’Israele carnale, e questo ancora il giorno dell’ascensione di Gesù risorto. — At 1:6; cfr. Mt 21:5; Mr 11:7-10.
La sovranità di Geova nei confronti della creazione terrestre venne manifestata visibilmente in molti modi dal suo Rappresentante regale. Mediante lo spirito o forza attiva di Dio, il Figlio esercitò il dominio sul vento e sul mare, sulla vegetazione, sui pesci, e persino sugli elementi costitutivi del cibo, moltiplicandolo. Queste opere potenti infusero nei discepoli profondo rispetto per l’autorità che gli era stata conferita. (Mt 14:23-33; Mr 4:36-41; 11:12-14, 20-23; Lu 5:4-11; Gv 6:5-15) Un’impressione ancora più profonda fu prodotta dalla potenza di Dio che Gesù esercitò sui corpi umani, sanando le infermità, dalla cecità alla lebbra, e riportando in vita i morti. (Mt 9:35; 20:30-34; Lu 5:12, 13; 7:11-17; Gv 11:39-47) Gesù disse ad alcuni lebbrosi che aveva guarito di andare a riferirlo come “testimonianza” ai sacerdoti, i quali, pur ricoprendo un incarico istituito da Dio, in genere erano increduli. (Lu 5:14; 17:14) Infine mostrò la potenza di Dio su spiriti sovrumani. I demoni riconoscevano l’autorità di cui Gesù era investito e, anziché rischiare di sfidare la potenza che lo sosteneva, eseguirono i suoi ordini lasciando libere certe persone da loro possedute. (Mt 8:28-32; 9:32, 33; cfr. Gc 2:19). Poiché il potere di espellere demoni era dovuto allo spirito di Dio, il Regno di Dio aveva realmente ‘raggiunto’ i suoi ascoltatori. — Mt 12:25-29; cfr. Lu 9:42, 43.
Tutto ciò dimostrava chiaramente che Gesù era investito di autorità regale e che questa autorità non veniva da una fonte terrena, umana, politica. (Cfr. Gv 18:36; Isa 9:6, 7). Ai messaggeri inviati da Giovanni il Battezzatore, allora in prigione, che erano stati testimoni di quelle potenti opere, Gesù disse di tornare da Giovanni e riferirgli ciò che avevano visto e udito, a conferma che Gesù era veramente “Colui che viene”. (Mt 11:2-6; Lu 7:18-23; cfr. Gv 5:36). I discepoli di Gesù vedevano e udivano le manifestazioni dell’autorità regale di cui i profeti avevano tanto desiderato essere testimoni. (Mt 13:16, 17) Per di più Gesù fu in grado di conferire autorità ai suoi discepoli affinché potessero esercitare poteri analoghi in qualità di suoi delegati ufficiali, dando così sostanza e vigore alla loro proclamazione: “Il regno dei cieli si è avvicinato”. — Mt 10:1, 7, 8; Lu 4:36; 10:8-12, 17.
Accesso al Regno. Gesù diede risalto al fatto che quello era un periodo di speciali opportunità. Del suo precursore, Giovanni il Battezzatore, Gesù disse: “Fra i nati di donna non è stato suscitato uno maggiore di Giovanni il Battista; ma il minore nel regno dei cieli è maggiore di lui. E dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora il regno dei cieli è la meta verso cui si spingono [forma di biàzo] gli uomini, e quelli che si spingono avanti [biastài] lo afferrano. [Cfr. AT e Zürcher Bibel]. Poiché tutti, i Profeti e la Legge, hanno profetizzato fino a Giovanni”. (Mt 11:10-13) Quindi i giorni del ministero di Giovanni, che sarebbero presto terminati con la sua morte, segnarono la fine di un periodo e l’inizio di un altro. Del verbo greco biàzo usato in questo brano alla voce media, W. E. Vine dice che “fa pensare a uno sforzo vigoroso”. (Vine’s Expository Dictionary of Old and New Testament Words, 1981, vol. 3, p. 208) E a proposito di Matteo 11:12, lo studioso tedesco Heinrich Meyer affermò: “In questo modo viene descritto l’ansioso e irresistibile impegno e sforzo per raggiungere il veniente regno messianico . . . Così ansioso ed energico (non più di calma attesa) è l’interesse a proposito del regno. I [biastài] sono, quindi, credenti [non aggressori nemici] che si sforzano vigorosamente di impossessarsene”. — Kritisch exegetisches Handbuch über das Evangelium des Matthäus, 1864, pp. 272, 273.
Mentre l’ingresso in una città priva di mura avrebbe presentato poche o nessuna difficoltà, non sarebbe stato facile entrare a far parte del Regno di Dio, poiché il Sovrano, Geova Dio, aveva posto delle barriere per impedire l’accesso agli indegni. (Cfr. Gv 6:44; 1Co 6:9-11; Gal 5:19-21; Ef 5:5). Quelli che volevano entrare dovevano percorrere una strada stretta, trovare la porta stretta, continuare a chiedere, continuare a cercare, continuare a bussare, e solo così la via sarebbe stata aperta. Avrebbero riscontrato che la strada è “stretta” nel senso che non permette a quelli che la seguono di fare cose dannose per sé o per altri. (Mt 7:7, 8, 13, 14; cfr. 2Pt 1:10, 11). Figurativamente parlando, per entrarvi potevano dover perdere un occhio o una mano. (Mr 9:43-47) Il Regno non sarebbe stato una plutocrazia in cui poter comprare il favore del Re; per un ricco (gr. ploùsios) sarebbe stato difficile entrarvi. (Lu 18:24, 25) Non sarebbe stato un’aristocrazia mondana; avere una posizione preminente fra gli uomini non sarebbe stato di alcuna importanza. (Mt 23:1, 2, 6-12, 33; Lu 16:14-16) Quelli che potevano sembrare “primi”, avendo un passato e una reputazione religiosa importanti, sarebbero stati “ultimi”, e ‘gli ultimi sarebbero stati i primi’ a ricevere gli speciali privilegi connessi con questo Regno. (Mt 19:30–20:16) Gli eminenti ma ipocriti farisei, sicuri di avere una posizione privilegiata, avrebbero visto meretrici ed esattori di tasse pentiti entrare nel Regno davanti a loro. (Mt 21:31, 32; 23:13) Anche se chiamavano Gesù “Signore, Signore”, tutti gli ipocriti che mancavano di rispetto alla parola e alla volontà di Dio rivelata per mezzo di Gesù sarebbero stati scacciati con le parole: “Non vi ho mai conosciuti! Andatevene via da me, operatori d’illegalità”. — Mt 7:15-23.
Vi sarebbero entrati solo coloro che avrebbero messo al secondo posto gli interessi materiali e avrebbero cercato prima il Regno e la giustizia di Dio. (Mt 6:31-34) Come Cristo Gesù, l’unto Re di Dio, dovevano amare la giustizia e odiare la malvagità. (Eb 1:8, 9) Persone di mente spirituale, misericordiose, pure di cuore, pacifiche, benché oggetto di biasimo e persecuzione da parte degli uomini, avevano la prospettiva di entrare a far parte del Regno. (Mt 5:3-10; Lu 6:23) Il “giogo” che Gesù invitò a portare significava sottomissione alla sua autorità regale. Era tuttavia un giogo piacevole, con un carico leggero per chi era “d’indole mite e modesto di cuore” come lo era il Re. (Mt 11:28-30; cfr. 1Re 12:12-14; Ger 27:1-7). Questo avrebbe dovuto rincuorare gli ascoltatori, assicurandoli che il suo governo non avrebbe avuto nessuna delle spiacevoli qualità di molti governi precedenti, sia israeliti che non israeliti. Dava loro ragione di credere che il suo governo non avrebbe imposto una gravosa tassazione, né asservimento, né alcuna forma di sfruttamento. (Cfr. 1Sa 8:10-18; De 17:15-17, 20; Ef 5:5). Come mostrarono successive parole di Gesù, non solo il Capo del governo del Regno avrebbe dimostrato il suo altruismo al punto di dare la vita per il suo popolo, ma tutti quelli associati con lui nel governo sarebbero stati pronti a servire anziché a farsi servire. — Mt 20:25-28; vedi GESÙ CRISTO (Le sue opere e le sue qualità personali).
Essenziale la sottomissione volontaria. Gesù stesso aveva il più profondo rispetto per la volontà e l’autorità sovrana del Padre suo. (Gv 5:30; 6:38; Mt 26:39) Finché era in vigore il patto della Legge, i suoi seguaci ebrei dovevano osservarlo e farlo osservare; chiunque si fosse comportato diversamente sarebbe stato escluso dal suo Regno. Il rispetto e l’ubbidienza però dovevano venire dal cuore, non essere una semplice osservanza formale o parziale della Legge che attribuisse importanza a specifiche azioni richieste ma non ne osservasse i fondamentali princìpi di giustizia, misericordia e fedeltà. (Mt 5:17-20; 23:23, 24) Allo scriba che aveva riconosciuto la posizione unica di Geova e il fatto che “amarlo con tutto il cuore e con tutto l’intendimento e con tutta la forza e questo amare il prossimo come se stessi [valeva] assai più di tutti gli olocausti e i sacrifici” Gesù disse: “Non sei lontano dal regno di Dio”. (Mr 12:28-34) In ogni aspetto Gesù rese dunque chiaro che Geova Dio vuole solo sudditi volontari, che preferiscono le sue giuste vie e desiderano fervidamente vivere sotto la sua autorità sovrana.
Relazione di patto. Durante l’ultima sera trascorsa con i discepoli, Gesù parlò loro di un “nuovo patto” che sarebbe entrato in vigore per i suoi seguaci grazie al suo sacrificio di riscatto (Lu 22:19, 20; cfr. 12:32), patto di cui egli stesso sarebbe stato il Mediatore fra il Sovrano Geova e i suoi stessi seguaci. (1Tm 2:5; Eb 12:24) Inoltre Gesù fece personalmente un patto “per un regno” con i propri seguaci, affinché potessero condividere i suoi privilegi regali. — Lu 22:28-30; vedi PATTO.
Vittoria sul mondo. Benché il successivo arresto di Gesù, le prove a cui fu sottoposto e la sua esecuzione capitale facessero apparire debole la sua posizione regale, in realtà tutto ciò costituiva un vigoroso adempimento delle profezie di Dio e per questa ragione Dio permise che accadesse. (Gv 19:10, 11; Lu 24:19-27, 44) Mantenendo la lealtà e l’integrità fino alla morte, Gesù dimostrò che “il governante del mondo”, Satana, l’Avversario di Dio, ‘non aveva presa’ su di lui e che lui, Gesù, aveva davvero “vinto il mondo”. (Gv 14:29-31; 16:33) Inoltre, persino mentre il Figlio era sul palo di tortura Geova diede prova della sua superiore potenza: la luce del sole si oscurò per un certo tempo; ci fu anche un forte terremoto e la grossa cortina del tempio si squarciò in due. (Mt 27:51-54; Lu 23:44, 45) Il terzo giorno egli diede una prova assai più grande della sua Sovranità allorché risuscitò suo Figlio alla vita spirituale, nonostante i ridicoli tentativi di certi uomini di impedire la risurrezione di Gesù mettendo delle guardie davanti alla tomba sigillata. — Mt 28:1-7.
“Il regno del Figlio del suo amore”. Dieci giorni dopo l’ascensione di Gesù al cielo, alla Pentecoste del 33 E.V., i discepoli ebbero la prova che Gesù era stato “esaltato alla destra di Dio” quando Gesù versò su di loro spirito santo. (At 1:8, 9; 2:1-4, 29-33) Così entrò in vigore per loro il “nuovo patto” ed essi divennero il nucleo di una “nazione santa”, l’Israele spirituale. — Eb 12:22-24; 1Pt 2:9, 10; Gal 6:16.
Cristo sedeva ora alla destra del Padre ed era il Capo di questa congregazione. (Ef 5:23; Eb 1:3; Flp 2:9-11) Le Scritture mostrano che alla Pentecoste del 33 E.V. sui suoi discepoli fu istituito un regno spirituale. Scrivendo nel I secolo ai cristiani di Colosse, l’apostolo Paolo mostrò che Gesù aveva già un regno: “[Dio] ci ha liberati dall’autorità delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore”. — Col 1:13; cfr. At 17:6, 7.
Il regno di Cristo dalla Pentecoste del 33 E.V. in poi è stato un regno spirituale sull’Israele spirituale, cioè sui cristiani generati dallo spirito di Dio per divenire figli spirituali di Dio. (Gv 3:3, 5, 6) Quando questi cristiani generati dallo spirito ricevono la loro ricompensa celeste, non sono più sudditi terreni del regno spirituale di Cristo, ma sono re con Cristo in cielo. — Ri 5:9, 10.
“Il regno del nostro Signore e del suo Cristo”. L’apostolo Giovanni, che scrisse verso la fine del I secolo E.V., previde mediante rivelazione divina il tempo in cui Geova Dio, per mezzo di suo Figlio, avrebbe provveduto una nuova espressione del dominio divino. Allora, come al tempo in cui Davide portò l’Arca a Gerusalemme, si sarebbe potuto dire che Geova ‘aveva assunto il suo gran potere e aveva cominciato a regnare’. Si sarebbero udite voci in cielo proclamare: “Il regno del mondo è divenuto il regno del nostro Signore e del suo Cristo, ed egli regnerà per i secoli dei secoli”. — Ri 11:15, 17; 1Cr 16:1, 31.
È il “nostro Signore”, il Sovrano Signore Geova, ad affermare la sua autorità sul “regno del mondo”, mediante una nuova espressione della sua sovranità verso la terra. Egli affida a suo Figlio Gesù Cristo un ruolo sussidiario in questo Regno, che per questo è chiamato “il regno del nostro Signore e del suo Cristo”. Questo Regno ha proporzioni e dimensioni maggiori del “regno del Figlio del suo amore” menzionato in Colossesi 1:13. Il “regno del Figlio del suo amore” cominciò alla Pentecoste del 33 E.V. ed è stato esercitato sugli unti discepoli di Cristo; “il regno del nostro Signore e del suo Cristo” viene all’esistenza allo scadere dei “tempi fissati delle nazioni” ed è esercitato sull’intera umanità sulla terra. — Lu 21:24.
Ricevuta una parte nel “regno del mondo”, Gesù Cristo adotta le misure necessarie per eliminare qualsiasi opposizione alla sovranità di Dio sia in cielo che sulla terra. L’azione iniziale si svolge nel reame celeste: Satana e i suoi demoni vengono sconfitti e scagliati giù nel reame terrestre. Questo ha per risultato l’annuncio: “Ora son venuti la salvezza e la potenza e il regno del nostro Dio e l’autorità del suo Cristo”. (Ri 12:1-10) Nel breve periodo di tempo che gli rimane, questo principale avversario, Satana, continua ad adempiere la profezia di Genesi 3:15 facendo guerra contro “i rimanenti” del “seme” della donna, i “santi” destinati a governare con Cristo. (Ri 12:13-17; cfr. Ri 13:4-7; Da 7:21-27). I “giusti decreti” di Geova sono resi comunque manifesti, e i suoi giudizi si abbattono come piaghe su quelli che gli si oppongono: ciò provoca la distruzione della mistica Babilonia la Grande, la principale persecutrice dei servitori di Dio sulla terra. — Ri 15:4; 16:1–19:6.
Quindi “il regno del nostro Signore e del suo Cristo” invia i suoi eserciti celesti contro i governanti di tutti i regni terreni e i loro eserciti nella battaglia di Armaghedon, dove questi ultimi troveranno la loro fine. (Ri 16:14-16; 19:11-21) Questa è la risposta alla supplica rivolta a Dio: “Venga il tuo regno. Si compia la tua volontà, come in cielo, anche sulla terra”. (Mt 6:10) Poi Satana viene inabissato e inizia un periodo di mille anni durante il quale Cristo Gesù e quelli che sono re e sacerdoti con lui regnano sugli abitanti della terra. — Ri 20:1, 6.
Cristo ‘consegna il regno’. Anche l’apostolo Paolo descrive il dominio di Cristo durante la sua presenza. Dopo aver risuscitato quelli che gli appartengono, Cristo si accinge a ridurre “a nulla ogni governo e ogni autorità e potenza” (logicamente ogni governo, autorità e potenza che si oppone alla sovrana volontà di Dio). Quindi, alla fine del Regno millenario, consegna “il regno al suo Dio e Padre”, sottomettendosi “a Colui che gli ha sottoposto tutte le cose, affinché Dio sia ogni cosa a tutti”. — 1Co 15:21-28.
Poiché Cristo ‘consegna il regno al suo Dio e Padre’, in che senso il suo Regno è “eterno”, come viene ripetutamente affermato nelle Scritture? (2Pt 1:11; Isa 9:7; Da 7:14; Lu 1:33; Ri 11:15) Il suo Regno “non sarà mai ridotto in rovina”; i risultati da esso conseguiti dureranno per sempre; Cristo sarà eternamente onorato per il ruolo svolto quale Re messianico. — Da 2:44.
Durante il Regno millenario, il dominio di Cristo verso la terra include un’opera sacerdotale a favore dell’umanità ubbidiente. (Ri 5:9, 10; 20:6; 21:1-3) In questo modo il dominio del peccato e della morte sull’umanità ubbidiente, soggetta alla loro “legge”, cessa; l’immeritata benignità e la giustizia divengono i fattori dominanti. (Ro 5:14, 17, 21) Dato che gli abitanti della terra devono essere completamente liberati dal peccato e dalla morte, viene meno anche la necessità che Gesù presti servizio come “soccorritore presso il Padre” nel senso di provvedere alla propiziazione per i peccati degli uomini imperfetti. (1Gv 2:1, 2) Questo riporta l’umanità alle condizioni originali godute dal perfetto uomo Adamo in Eden. Finché fu perfetto, Adamo non aveva bisogno di nessuno che si interponesse fra lui e Dio a scopo propiziatorio. Così, anche alla fine del Regno millenario di Gesù gli abitanti della terra saranno nella condizione, e avranno la responsabilità, di rispondere personalmente della propria condotta dinanzi a Geova Dio quale Giudice supremo, senza dover ricorrere alla mediazione legale di nessun soccorritore. Geova, il Sovrano supremo, diverrà così “ogni cosa a tutti”. Ciò significa che il proposito di Dio di “radunare di nuovo tutte le cose nel Cristo, le cose nei cieli e le cose sulla terra”, si sarà pienamente realizzato. — 1Co 15:28; Ef 1:9, 10.
Il Regno millenario di Gesù avrà pienamente adempiuto il suo scopo. La terra, un tempo focolaio di ribellione, sarà stata riportata alla sua piena, pura e indiscussa posizione nel reame del Sovrano universale. Fra Geova e l’umanità ubbidiente non rimarrà nessun regno sussidiario.
Dopo ciò, tuttavia, ci sarà una prova finale dell’integrità e della devozione di tutti i sudditi terreni. Satana verrà sciolto dalla restrizione nell’abisso. Quelli che cederanno alla tentazione lo faranno in merito alla stessa questione suscitata in Eden: la legittimità della sovranità di Dio. Questo è reso evidente dal fatto che attaccheranno “il campo dei santi e la città diletta”. Poiché la contesa sarà stata risolta in sede giudiziaria e dichiarata chiusa dalla Corte celeste, non sarà permessa in questo caso nessuna ribellione prolungata. Quelli che non rimarranno leali a Dio non potranno ricorrere a Cristo Gesù come intercessore, ma Geova Dio sarà “ogni cosa” per loro, senza possibilità di appello o mediazione. Tutti i ribelli, spirituali e umani, subiranno la condanna divina alla distruzione nella “seconda morte”. — Ri 20:7-15.