ESODO
Liberazione della nazione d’Israele dalla schiavitù in Egitto. Dopo aver promesso che il seme di Abraamo avrebbe ereditato il paese, Geova disse ad Abraamo (prima del 1933 a.E.V.): “Di sicuro sappi che il tuo seme diverrà residente forestiero in un paese non loro, e dovranno servirli, e questi certamente li affliggeranno per quattrocento anni. Ma la nazione che serviranno io la giudicherò, e dopo ciò ne usciranno con molti beni. . . . Ma alla quarta generazione torneranno qui, perché l’errore degli amorrei non è ancora giunto a compimento”. — Ge 15:13-16.
È chiaro che l’inizio del periodo dei 400 anni d’afflizione era legato all’arrivo del “seme” promesso. In precedenza Abraamo si era recato in Egitto quando in Canaan c’era la carestia e aveva avuto problemi col faraone dell’epoca, ma a quel tempo non aveva figli. (Ge 12:10-20) Non molto tempo dopo la dichiarazione di Dio relativa ai 400 anni d’afflizione, quando Abraamo aveva 86 anni (nel 1932 a.E.V.), la sua schiava e concubina egiziana gli diede un figlio, Ismaele. Ma solo 14 anni dopo (nel 1918 a.E.V.) la moglie libera di Abraamo, Sara, gli diede un figlio, Isacco, e Dio stabilì che tramite questo figlio sarebbe venuto il promesso Seme. Tuttavia non era ancora venuto il tempo fissato da Dio per dare ad Abraamo o al suo seme il paese di Canaan, e quindi, come predetto, essi furono ‘residenti forestieri in un paese non loro’. — Ge 16:15, 16; 21:2-5; Eb 11:13.
La data dell’Esodo. Quando cominciarono dunque i 400 anni d’afflizione e quando terminarono? Secondo la tradizione ebraica, cominciarono a decorrere dalla nascita di Isacco. Ma la prima effettiva evidenza di afflizione si ebbe il giorno in cui Isacco fu svezzato. I fatti additano il 1913 a.E.V., quando Isacco aveva circa 5 anni e Ismaele 19, come anno d’inizio dell’afflizione. Fu allora che Ismaele, ‘quello generato secondo la carne, cominciò a perseguitare quello generato secondo lo spirito’. (Gal 4:29) Ismaele, che era mezzo egiziano, per gelosia e odio “si prendeva gioco” di Isacco, ancora piccolo; comunque questa non era una semplice lite fra ragazzi. (Ge 21:9) Altre versioni descrivono l’azione di Ismaele dicendo che “si faceva beffe” di Isacco. (Di) L’afflizione del seme di Abraamo continuò per tutta la vita di Isacco. Anche se da adulto Geova lo benedisse, Isacco fu perseguitato dagli abitanti di Canaan e costretto a trasferirsi da un luogo all’altro a motivo delle loro angherie. (Ge 26:19-24, 27) Infine, negli ultimi anni della vita di Giacobbe figlio di Isacco, il “seme” predetto si stabilì in Egitto e col tempo fu ridotto in schiavitù.
Quali testimonianze bibliche permettono di stabilire la data dell’esodo di Israele dall’Egitto?
I 400 anni d’afflizione andarono dunque dal 1913 a.E.V. al 1513 a.E.V. Questo fu anche un periodo di grazia, o di tolleranza, concesso da Dio ai cananei, fra le cui tribù principali c’era quella degli amorrei. Nell’ultimo periodo il loro errore sarebbe giunto a compimento; sarebbe stato chiaro che meritavano la completa espulsione dal paese. Come passo preliminare in tal senso, Dio avrebbe rivolto l’attenzione al suo popolo in Egitto, liberandolo dalla schiavitù e facendolo tornare nella Terra Promessa. — Ge 15:13-16.
Il periodo di 430 anni. Un altro calcolo si basa sulle parole di Esodo 12:40, 41: “E la dimora dei figli d’Israele, che avevano dimorato in Egitto, fu di quattrocentotrent’anni. E avvenne alla fine dei quattrocentotrent’anni, sì, in quel medesimo giorno avvenne che tutti gli eserciti di Geova uscirono dal paese d’Egitto”. Una nota in calce a Esodo 12:40 (NM), a proposito dell’espressione “che avevano dimorato”, dice: “Il pronome relativo ʼashèr, ‘che’, si può riferire ai ‘figli d’Israele’ anziché alla ‘dimora’”. La Settanta traduce il versetto 40: “Ma la dimora dei figli d’Israele che essi dimorarono nel paese d’Egitto e nel paese di Canaan [fu] di quattrocentotrent’anni”. Il Pentateuco samaritano ha: “. . . nel paese di Canaan e nel paese d’Egitto”. Tutte queste versioni indicano che i quattrocentotrent’anni includono un periodo di tempo più lungo di quello che gli israeliti trascorsero in Egitto.
L’apostolo Paolo spiega che tale periodo di 430 anni (Esodo 12:40) ebbe inizio al momento della convalida del patto abraamico e terminò con l’Esodo. Paolo afferma: “Inoltre, dico questo: In quanto al patto [abraamico] precedentemente convalidato da Dio, la Legge che è venuta all’esistenza quattrocentotrent’anni dopo [nello stesso anno dell’Esodo] non lo annulla, in modo da abolire la promessa. . . . mentre Dio l’ha benignamente data ad Abraamo per mezzo di una promessa”. — Gal 3:16-18.
Quanto tempo trascorse dunque dalla convalida del patto abraamico fino al momento in cui gli israeliti si trasferirono in Egitto? In Genesi 12:4, 5 troviamo che Abraamo aveva 75 anni quando lasciò Haran e attraversò l’Eufrate diretto in Canaan (nel 1943 a.E.V.), momento in cui entrò in vigore il patto abraamico, la promessa fattagli in precedenza a Ur dei Caldei. Quindi, dalle informazioni genealogiche di Genesi 12:4; 21:5; 25:26, e dalle parole di Giacobbe riportate in Genesi 47:9, si capisce che dalla convalida del patto abraamico al trasferimento in Egitto di Giacobbe e della sua famiglia trascorsero 215 anni. Questo indicherebbe che gli israeliti rimasero effettivamente in Egitto 215 anni (1728-1513 a.E.V.). Questa cifra concorda con altri dati cronologici.
Dall’Esodo alla costruzione del tempio. Altri due dati cronologici concordano con tale opinione e la confermano. Salomone cominciò la costruzione del tempio nel quarto anno del suo regno (1034 a.E.V.) e, secondo quanto dichiarato in 1 Re 6:1, quello era il “quattrocentottantesimo anno” dall’Esodo (1513 a.E.V.).
‘Circa 450 anni’. C’è poi il discorso pronunciato da Paolo ad Antiochia di Pisidia, riportato in Atti 13:17-20, in cui egli menziona un periodo di “circa quattrocentocinquant’anni”. Egli accenna alla storia di Israele da quando Dio “scelse i nostri antenati”, cioè dall’effettiva nascita di Isacco, il seme della promessa (1918 a.E.V.). (La nascita di Isacco aveva risolto in modo definitivo la questione di chi Dio avrebbe riconosciuto come seme, questione fino ad allora incerta per il fatto che Sara era sterile). Proseguendo, Paolo descrive gli atti di Dio a favore della sua nazione eletta finché “diede loro dei giudici fino al profeta Samuele”. Il periodo di “circa quattrocentocinquant’anni” deve dunque andare dalla nascita di Isacco nel 1918 a.E.V. fino al 1467 a.E.V., cioè 46 anni dopo l’Esodo avvenuto nel 1513 a.E.V. (40 anni trascorsi nel deserto e 6 anni nella conquista del paese di Canaan). (De 2:7; Nu 9:1; 13:1, 2, 6; Gsè 14:6, 7, 10) Il totale corrisponde chiaramente alla cifra tonda di “circa quattrocentocinquant’anni” menzionata dall’apostolo. Entrambi questi riferimenti cronologici confermano quindi che il 1513 a.E.V. fu l’anno dell’Esodo e concordano inoltre con la cronologia biblica relativa ai re e ai giudici d’Israele. — Vedi CRONOLOGIA (Dal 1943 a.E.V. all’Esodo).
Altre opinioni. Questa data dell’Esodo, il 1513 a.E.V., e di conseguenza quella dell’invasione israelita di Canaan e della caduta di Gerico nel 1473 a.E.V., 40 anni dopo l’Esodo, sono considerate troppo antiche da alcuni critici, che collocherebbero questi avvenimenti addirittura nel XIV o nel XIII secolo a.E.V. Anche se alcuni archeologi situano la caduta di Gerico nel XIII secolo a.E.V., non lo fanno basandosi su qualche antica testimonianza o documento storico, ma su reperti costituiti da frammenti di ceramica. Il calcolo dei periodi di tempo sulla base di frammenti di ceramica è chiaramente molto congetturale, come dimostrano le ricerche condotte a Gerico. I ritrovamenti hanno portato gli archeologi a datazioni e conclusioni contraddittorie. — Vedi ARCHEOLOGIA (Differenze di datazione); CRONOLOGIA (Archeologia e datazione).
Anche fra gli egittologi ci sono differenze di secoli nella datazione delle dinastie egiziane, per cui le loro date non si possono utilizzare per nessun periodo specifico. Per questa ragione è impossibile identificare con certezza il faraone dell’Esodo: per alcuni sarebbe Tutmosi III, per altri Amenofi II, Ramses II, e via dicendo, ma ciascuna identificazione è molto incerta.
Autenticità del racconto dell’Esodo. Un’obiezione mossa al racconto dell’Esodo è che i faraoni egiziani non ne fanno menzione. La cosa però non deve sorprendere, perché anche in epoche molto meno antiche i re facevano mettere per iscritto le loro vittorie ma non le loro sconfitte, e spesso cercavano di cancellare dalla storia qualsiasi evento poco lusinghiero sul loro conto o su quello del loro paese o contrario all’ideologia che cercavano di inculcare nelle masse. Anche in tempi recenti ci sono stati capi di stato che hanno cercato di cancellare le opere e la fama dei loro predecessori. Nelle iscrizioni egiziane qualsiasi cosa fosse ritenuta imbarazzante o spiacevole veniva omessa o eliminata il più presto possibile. Ad esempio, il nome e l’immagine della regina Hatshepsut furono fatti cancellare a colpi di scalpello dal suo successore Tutmosi III da un monumento rinvenuto a Deir al-Bahri, in Egitto. — Vedi J. P. Free, Archaeology and Bible History, 1964, p. 98 e foto a fronte di p. 94.
Manetone, sacerdote egiziano che chiaramente odiava gli ebrei, nel 280 a.E.V. circa scrisse un’opera in greco. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio cita Manetone, il quale avrebbe detto che gli antenati degli ebrei “entrarono in Egitto a miriadi e ne soggiogarono gli abitanti”; dopo di che, sempre secondo Giuseppe Flavio, Manetone “ammette che in seguito essi furono espulsi dal paese, occuparono quella che oggi è la Giudea, fondarono Gerusalemme e costruirono il tempio”. — Contro Apione, I, 228 (26).
Benché in linea generale il racconto di Manetone sia assai poco storico, è significativo il fatto che egli menzioni la permanenza degli ebrei in Egitto e la loro partenza; in scritti successivi, stando a Giuseppe Flavio, egli identifica Mosè con Osarsiph, un sacerdote egiziano, indicando che, sebbene i monumenti egiziani non ne facciano menzione, gli ebrei erano stati in Egitto e Mosè ne era stato il condottiero. Giuseppe Flavio menziona un altro storico egiziano, Cheremone, secondo il quale Giuseppe e Mosè furono cacciati dall’Egitto nello stesso tempo. Sempre Giuseppe Flavio menziona un certo Lisimaco che avrebbe narrato una storia simile. — Contro Apione, I, 228, 238 (26); 288, 290 (32); 299 (33); 304-311 (34).
Quanti presero parte all’Esodo. In Esodo 12:37 troviamo la cifra tonda di 600.000 “uomini robusti a piedi”, oltre ai “piccoli”. Secondo l’effettivo censimento fatto circa un anno dopo l’Esodo, riportato in Numeri 1:2, 3, 45, 46, erano 603.550 gli uomini dai 20 anni in su oltre ai leviti (Nu 2:32, 33), di cui si contarono 22.000 maschi da un mese in su. (Nu 3:39) La parola ebraica gevarìm (uomini robusti) non include le donne. (Cfr. Ger 30:6). Il termine “piccoli” viene dall’ebraico taf e significa qualcuno che si muove con agili passetti. (Cfr. Isa 3:16). La maggior parte di questi “piccoli” avrebbero dovuto essere portati quasi sempre in braccio o almeno non avrebbero potuto compiere tutto il viaggio a piedi.
“Alla quarta generazione”. Dobbiamo ricordare che Geova aveva detto ad Abraamo che alla quarta generazione i suoi discendenti sarebbero tornati in Canaan. (Ge 15:16) Nell’intero periodo di 430 anni dall’entrata in vigore del patto abraamico fino all’Esodo ci furono più di quattro generazioni, anche considerando la longevità di cui secondo la Bibbia gli uomini godevano in quel tempo. Ma gli israeliti rimasero effettivamente in Egitto solo 215 anni. Le ‘quattro generazioni’ dopo il loro arrivo in Egitto si possono calcolare in questo modo, usando come esempio una sola tribù d’Israele, la tribù di Levi: (1) Levi, (2) Cheat, (3) Amram e (4) Mosè. — Eso 6:16, 18, 20.
Il numero di coloro che uscirono dall’Egitto, cioè 600.000 uomini robusti oltre alle donne e ai bambini, indicherebbe che in tutto dovevano essere più di tre milioni di persone. Questa cifra, anche se contestata da alcuni, non è affatto irragionevole. Infatti, pur essendoci state solo quattro generazioni da Levi a Mosè, tenuto conto della durata della vita di quegli uomini longevi, ciascuno di loro poté vedere diverse generazioni o serie di discendenti durante la propria vita. Tuttora un uomo di 60 o 70 anni spesso ha nipoti e anche pronipoti (quindi quattro generazioni sono in vita contemporaneamente).
Straordinaria crescita demografica. La Bibbia dice: “E i figli d’Israele divennero fecondi e sciamavano; e continuarono a moltiplicarsi e a divenire molto potenti a ritmo assai straordinario, così che il paese ne fu pieno”. (Eso 1:7) In effetti divennero così numerosi che il re d’Egitto disse: “Ecco, il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più potente di noi”. “Ma più li opprimevano, più si moltiplicavano e più si estendevano, così che provavano un morboso terrore a causa dei figli d’Israele”. (Eso 1:9, 12) Se poi si tiene conto del fatto che si praticavano la poligamia e il concubinato e che certi israeliti sposarono donne egiziane, diviene evidente come l’incremento demografico possa aver portato a una popolazione adulta di 600.000 uomini.
Settanta anime dell’immediata famiglia di Giacobbe scesero in Egitto o vi nacquero poco dopo. (Ge 46) Se escludiamo Giacobbe, i suoi dodici figli, la figlia Dina, la nipote Sera, i tre figli di Levi e forse altri dal numero dei capifamiglia che cominciarono a moltiplicarsi in Egitto, i 70 iniziali potrebbero scendere a 50. (I figli di Levi vanno esclusi in quanto i leviti non furono conteggiati nel successivo totale di 603.550). Partendo dunque dalla stima molto prudente di 50 capifamiglia e tenendo conto dell’affermazione biblica secondo cui “i figli d’Israele divennero fecondi e sciamavano; e continuarono a moltiplicarsi e a divenire molto potenti a ritmo assai straordinario, così che il paese ne fu pieno” (Eso 1:7), non è difficile dimostrare come al tempo dell’Esodo potessero esserci 600.000 uomini in età di leva, compresi cioè fra i 20 e i 50 anni. Si consideri quanto segue:
Dato che all’epoca le famiglie erano numerose e che gli israeliti desideravano avere figli per adempiere la promessa di Dio, non è azzardato ipotizzare nel nostro calcolo che, nell’arco di vita compreso fra i 20 e i 40 anni, ciascun capofamiglia abbia avuto in media dieci figli (circa metà dei quali maschi). Per essere prudenti, ipotizziamo che nessuno dei 50 maschi originali che divennero capifamiglia abbia cominciato a generare prima che passassero 25 anni dal loro ingresso in Egitto. E siccome a causa di morte o altre circostanze alcuni figli maschi possono non aver mai avuto figli o aver perso il potere generativo prima di raggiungere il limite di 40 anni da noi stabilito, potremmo anche ridurre del 20 per cento il numero dei maschi nati che divennero padri. In altre parole, ciò significa che in un periodo di 20 anni solo 200 figli, anziché 250, nati dai presunti 50 capifamiglia originali avrebbero avuto una loro famiglia.
Il decreto del faraone. Si può considerare anche un altro fattore: il decreto del faraone di uccidere tutti i bambini maschi ebrei appena nati. Non sembra che questo decreto sia stato molto efficace o di lunga durata. Aaronne nacque circa tre anni prima di Mosè (nel 1597 a.E.V.), e non sembra che allora questo decreto fosse in vigore. La Bibbia dice esplicitamente che il decreto del faraone non ebbe molto successo. Sifra e Pua, le due donne ebree che probabilmente erano a capo delle levatrici, non eseguirono l’ordine del re. A quanto pare non diedero disposizioni alle levatrici loro sottoposte di agire secondo il decreto. Come risultato, “il popolo si faceva più numeroso e diveniva molto potente”. Allora il faraone comandò a tutto il suo popolo di gettare nel Nilo ogni neonato israelita di sesso maschile. (Eso 1:15-22) Ma non sembra che la popolazione egiziana odiasse gli ebrei a tal punto. La figlia stessa del faraone trasse in salvo Mosè. È anche possibile che dopo un po’ il faraone si sia reso conto che il suo decreto gli avrebbe fatto perdere schiavi preziosi. Sappiamo che in seguito il faraone dell’Esodo non intendeva lasciar andare gli ebrei proprio perché li apprezzava come schiavi.
Comunque, per essere ancora più prudenti, potremmo ridurre di quasi un terzo il numero dei bambini maschi sopravvissuti in un quinquennio per rappresentare i possibili effetti dell’editto emanato con scarso successo dal faraone.
Un calcolo. Pur tenendo conto di tutti questi fattori, la popolazione sarebbe ugualmente cresciuta a un ritmo accelerato, anche perché aveva la benedizione di Dio. Il numero dei bambini nati in ciascun quinquennio a partire dal 1563 a.E.V. (cioè 50 anni prima dell’Esodo) fino al 1533 (20 anni prima dell’Esodo) sarebbe il seguente:
INCREMENTO DELLA POPOLAZIONE MASCHILE
a.E.V.
Figli nati
dal 1563 al 1558
47.350
dal 1558 al 1553
62.300
dal 1553 al 1548
81.800
dal 1548 al 1543
103.750
dal 1543 al 1538
133.200
dal 1538 al 1533
172.250
—
Totale 600.650*
* Ipotetica popolazione maschile fra i 20 e i 50 anni al tempo dell’Esodo (1513 a.E.V.)
Vale la pena di notare che anche una piccola modifica nel criterio di computo, ad esempio aumentando di uno il numero dei figli avuti in media da ogni genitore maschio, farebbe salire il totale a oltre un milione.
Qual era la consistenza numerica del popolo che lasciò l’Egitto al comando di Mosè?
Oltre ai 600.000 uomini robusti menzionati nella Bibbia, c’erano un gran numero di vecchi, un numero ancora più elevato di donne e bambini, e “una numerosa compagnia mista” di non israeliti. (Eso 12:38) La popolazione complessiva che lasciò l’Egitto poteva quindi superare i tre milioni di persone. Non sorprende che il sovrano d’Egitto non sopportasse l’idea di lasciar partire una simile massa di schiavi. Sotto il profilo economico la perdita fu ingente.
L’esistenza di una temibile schiera di uomini abili alla guerra è attestata dalla Bibbia, quando dice che “Moab provò molto spavento del popolo, perché era numeroso; e Moab provava un morboso terrore dei figli d’Israele”. (Nu 22:3) Naturalmente la paura da parte dei moabiti dipendeva in gran parte dal fatto che Geova aveva compiuto grandiosi miracoli a favore di Israele, ma era anche dovuta alla sua notevole consistenza numerica, che non era certo di poche migliaia di persone. Questa consistenza in effetti variò molto poco durante il viaggio nel deserto, perché molti persero la vita nel deserto a causa della loro infedeltà. — Nu 26:2-4, 51.
Nel censimento eseguito poco dopo l’Esodo i leviti vennero contati a parte, e risultò che quelli da un mese in su erano 22.000. (Nu 3:39) Ci si potrebbe chiedere come mai fra tutte le altre dodici tribù ci fossero soltanto 22.273 primogeniti maschi da un mese in su. (Nu 3:43) La cosa è facilmente comprensibile se si tiene conto del fatto che non vennero contati i capifamiglia, che a causa della poligamia un uomo poteva avere molti figli ma un solo primogenito, e che si contava solo il primogenito dell’uomo e non quello della donna.
Questioni implicate. Secondo la promessa fatta da Dio ad Abraamo, giunse il tempo da Lui stabilito per liberare la nazione d’Israele dalla “fornace di ferro” dell’Egitto. Geova considerava Israele il suo primogenito in virtù della promessa fatta ad Abraamo. Quando Giacobbe scese in Egitto con la sua famiglia, vi andò volontariamente, ma in seguito i suoi discendenti furono ridotti in schiavitù. Come nazione, erano cari a Geova come un primogenito, e Geova aveva il diritto legale di liberarli dall’Egitto senza pagare alcun prezzo. — De 4:20; 14:1, 2; Eso 4:22; 19:5, 6.
Il faraone non intendeva perdere questo grande popolo di schiavi e perciò si oppose al proposito di Geova. Inoltre, quando Mosè andò da lui per chiedergli, in nome di Geova, di mandare via gli israeliti affinché Gli celebrassero una festa nel deserto, Faraone rispose: “Chi è Geova, perché io debba ubbidire alla sua voce e mandare via Israele? Non conosco affatto Geova”. (Eso 5:2) Il faraone si considerava un dio e non voleva riconoscere l’autorità di Geova, anche se indubbiamente aveva sentito molte volte gli ebrei usare questo nome. I servitori di Dio conoscevano il Suo nome fin dall’inizio; Abraamo si era rivolto a Dio chiamandolo col suo nome, Geova. — Ge 2:4; 15:2.
La questione sollevata dall’atteggiamento e dalle azioni del faraone implicava l’identità del vero Dio. Era quindi necessario che Geova Dio si esaltasse al di sopra degli dèi d’Egitto, incluso il faraone, che era venerato come un dio. Egli lo fece colpendo l’Egitto con le dieci piaghe, che portarono alla liberazione di Israele. (Vedi DEI E DEE [Le dieci piaghe]). Al tempo dell’ultima piaga, la morte dei primogeniti, gli israeliti ebbero l’ordine di tenersi pronti alla cena pasquale a lasciare l’Egitto. Sebbene partissero in gran fretta, sollecitati dagli egiziani che dicevano: “Siamo tutti come morti!”, non uscirono a mani vuote. (Eso 12:33) Presero le loro mandrie e i loro greggi, la pasta non ancora fermentata e le loro madie. Oltre a ciò gli egiziani concessero agli israeliti tutto quello che chiedevano: oggetti d’argento, d’oro e mantelli. Questo non significava derubare gli egiziani. Non avendo essi nessun diritto di tenere schiavi gli israeliti, era giusto che dessero loro un salario. — Eso 12:34-38.
Insieme a Israele partì “una numerosa compagnia mista”. (Eso 12:38) Questi erano tutti adoratori di Geova. Infatti furono pronti a partire insieme a Israele mentre gli egiziani seppellivano i loro morti. Avevano osservato la Pasqua, altrimenti avrebbero partecipato al lutto e ai riti funebri dell’Egitto. In gran parte poteva trattarsi di persone in qualche modo imparentate con gli israeliti. Molti israeliti avevano sposato donne egiziane, e donne israelite avevano sposato degli egiziani. Un caso del genere è quello dell’uomo messo a morte nel deserto per aver abusato del nome di Geova. Quest’uomo era figlio di un egiziano mentre sua madre Selomit era della tribù di Dan. (Le 24:10, 11) Si noti inoltre che Geova diede istruzioni permanenti circa i requisiti dei residenti forestieri e degli schiavi in quanto a mangiare la pasqua quando Israele sarebbe entrato nella Terra Promessa. — Eso 12:25, 43-49.
Itinerario dell’Esodo. Gli israeliti, quando si misero in marcia per uscire dall’Egitto, erano probabilmente sparsi in varie località, e all’inizio non formavano tutti un’unica schiera compatta. Forse alcuni si unirono alla schiera principale cammin facendo. Rameses, la città o un distretto omonimo, fu il punto di partenza, e la prima tappa del viaggio fu Succot. (Eso 12:37) Alcuni studiosi avanzano l’ipotesi che Mosè iniziasse la marcia da Rameses, mentre gli israeliti sarebbero venuti da tutto il paese di Gosen e si sarebbero incontrati a Succot. — CARTINA, vol. 1, p. 536.
Gli israeliti avevano lasciato l’Egitto in gran fretta, sollecitati dagli egiziani; ciò nonostante non erano affatto disorganizzati: “I figli d’Israele salirono dal paese d’Egitto in formazione di battaglia”, cioè forse come un esercito composto di cinque parti: il contingente principale con un’avanguardia, una retroguardia e due ali. Oltre all’abile guida di Mosè, Geova rese evidente la propria guida fin da quando gli israeliti si accamparono a Etham, se non prima, provvedendo una colonna di nuvola per guidarli di giorno, la quale diventava una colonna di fuoco per illuminarli di notte. — Eso 13:18-22.
Il tragitto più breve sarebbe stato un viaggio di circa 400 km via terra dalla zona a N di Menfi fino, diciamo, a Lachis nella Terra Promessa. Ma seguendo quel percorso gli israeliti avrebbero dovuto costeggiare il Mediterraneo e il paese dei filistei. In passato i loro antenati Abraamo e Isacco avevano avuto problemi con i filistei. Dio, sapendo che un attacco filisteo avrebbe potuto scoraggiarli, in quanto erano inesperti in fatto di guerra e inoltre avevano con sé le famiglie e il bestiame, comandò a Israele di tornare indietro e di accamparsi davanti a Piairot fra Migdol e il mare in vista di Baal-Zefon. Qui si accamparono presso il mare. — Eso 14:1, 2.
Il percorso esatto seguito dagli israeliti da Rameses fino al Mar Rosso non può oggi essere tracciato con certezza perché i luoghi menzionati nella Bibbia non si possono localizzare con precisione. L’opinione espressa dalla maggior parte delle opere di consultazione è che gli israeliti passarono lungo quello che oggi è chiamato Wadi Tumilat, nella regione egiziana del Delta. Questa ipotesi, però, si basa principalmente sull’identificazione di Rameses con una località situata all’estremità nordorientale della regione del Delta. Ma l’egittologo John A. Wilson afferma: “Sfortunatamente, gli studiosi non sono d’accordo sull’ubicazione esatta di Rameses. I faraoni dal nome Ramses, in particolare Ramses II, furono prodighi nel dare il loro nome a più città. Inoltre, riferimenti a questa città sono stati rinvenuti in villaggi del Delta la cui identificazione con la località non può essere presa seriamente”. — The Interpreter’s Dictionary of the Bible, a cura di G. A. Buttrick, 1962, vol. 4, p. 9.
Sono stati proposti vari luoghi che, dopo un breve periodo di popolarità, hanno dovuto cedere il posto ad altri. Tanis (l’attuale San el-Hagar), 56 km a SO di Porto Said sulla costa del Mediterraneo, gode di una certa credibilità, ma lo stesso può dirsi di Qantir, circa 20 km più a S. In quanto a Tanis, va detto che un testo egiziano menziona Tanis e Pi-Rameses come località separate, e che almeno parte del materiale ritrovato a Tanis sembra provenire da altre località. Pertanto Wilson aggiunge che “non c’è nessuna garanzia che le iscrizioni recanti il nome Rameses siano originarie del luogo”. Riguardo a Tanis e a Qantir, si può osservare che le iscrizioni relative a Ramses II rinvenute in queste località esprimono al limite un collegamento con questo faraone, ma non dimostrano che l’una o l’altra sia la biblica Raamses costruita dagli israeliti come luogo di deposito prima ancora della nascita di Mosè. (Eso 1:11) Come è indicato alla voce RAAMSES, RAMESES, l’ipotesi che Ramses II sia il faraone dell’Esodo non poggia su basi solide.
L’itinerario lungo il Wadi Tumilat ha trovato consensi anche grazie alla teoria in voga secondo cui la traversata del Mar Rosso non sarebbe in realtà avvenuta al Mar Rosso ma in una zona più a N. Secondo alcuni il passaggio sarebbe avvenuto addirittura al lago Sirbonis o nelle vicinanze lungo la costa mediterranea, così che dopo essere usciti dal Wadi Tumilat gli israeliti si sarebbero diretti a N verso la costa. Questa ipotesi contraddice apertamente la specifica dichiarazione biblica che Dio stesso condusse gli israeliti lontano dal percorso che li avrebbe portati nel paese dei filistei. (Eso 13:17, 18) Altri propendono per un itinerario lungo il Wadi Tumilat ma avanzano l’ipotesi che il passaggio del “mare” sia avvenuto nella regione dei Laghi Amari a N di Suez.
Mar Rosso, non ‘mare di canne’. Quest’ultima ipotesi si basa sul ragionamento che l’ebraico yam-sùf (tradotto “Mar Rosso”) significa letteralmente “mare di canne (giunchi)”, per cui gli israeliti non avrebbero attraversato il braccio del Mar Rosso corrispondente all’attuale golfo di Suez, ma un mare di canne, una zona acquitrinosa come la regione dei Laghi Amari. Questo però non concorda con il pensiero degli antichi traduttori della Settanta greca, che tradussero yam-sùf con l’espressione greca erythrà thàlassa, alla lettera “Mar Rosso”. Cosa assai più importante, sia Luca, lo scrittore di Atti (nel citare Stefano), sia l’apostolo Paolo usarono questo stesso nome greco nel descrivere gli avvenimenti dell’Esodo. — At 7:36; Eb 11:29; vedi MAR ROSSO.
Inoltre l’attraversamento di un semplice acquitrino non sarebbe stato certo un grande miracolo, e gli egiziani non avrebbero potuto essere “inghiottiti” dal Mar Rosso allorché ‘le ondeggianti acque li coprirono’ così che essi “precipitarono nelle profondità come una pietra”. (Eb 11:29; Eso 15:5) Non solo Mosè e Giosuè fecero in seguito riferimento a questo stupendo miracolo, ma l’apostolo Paolo disse che gli israeliti erano stati battezzati in Mosè mediante la nube e il mare. Questo indica che erano completamente circondati dall’acqua, avendo il mare da entrambi i lati e la nube sopra e dietro di loro. (1Co 10:1, 2) Anche questo indicherebbe che la massa d’acqua era molto più profonda di un semplice specchio d’acqua guadabile.
L’itinerario dell’Esodo dipende in gran parte da due fattori: dove si trovava in quel tempo la capitale egiziana, e dove avvenne il passaggio del mare. Poiché le ispirate Scritture Greche Cristiane usano l’espressione “Mar Rosso”, c’è ogni ragione di ritenere che questo fosse lo specchio d’acqua attraversato da Israele. In quanto alla capitale egiziana, la località più probabile è Menfi, la principale sede del governo durante quasi tutta la storia d’Egitto. (Vedi MENFI). In tal caso il punto di partenza della marcia dell’Esodo doveva essere abbastanza vicino a Menfi perché la notte di Pasqua Mosè potesse essere convocato dal faraone dopo mezzanotte e raggiungere Rameses in tempo per iniziare la marcia verso Succot prima che terminasse il 14º giorno di nisan. (Eso 12:29-31, 37, 41, 42) Secondo la più antica tradizione ebraica, riferita da Giuseppe Flavio, la marcia ebbe inizio poco più a N di Menfi. — Antichità giudaiche, II, 315 (xv, 1).
Un percorso lungo il Wadi Tumilat sarebbe stato troppo a N di Menfi per potersi armonizzare con le suddette circostanze. Per questa ragione un tempo molti commentatori proponevano una delle ben note vie dei “pellegrini” che attraversavano l’Egitto, come quella di el Haj, che andava dal Cairo a Suez (l’antica Clysma, poi Kolsum), all’estremità superiore del golfo di Suez.
Dove fu diviso il Mar Rosso per consentire il passaggio degli israeliti?
Si noti che, una volta raggiunta la seconda tappa del viaggio, Etham “al margine del deserto”, Dio ordinò a Mosè di ‘tornare indietro e accamparsi davanti a Piairot . . . presso il mare’. Questa manovra avrebbe indotto il faraone a credere che gli israeliti stessero “errando in confusione”. (Eso 13:20; 14:1-3) Gli studiosi secondo i quali il percorso più probabile seguì la via el Haj fanno notare che la forma del verbo ebraico tradotto “tornare indietro” è enfatica e non significa semplicemente “cambiare direzione” o “deviare”, ma ha più il significato di tornare sui propri passi o come minimo fare un bel giro. Essi ritengono che, giunti in un punto a N dell’estremità del golfo di Suez, gli israeliti abbiano invertito la marcia e abbiano fatto un giro passando a E del Gebel ʽAtaqah, catena montuosa che costeggia la riva O del golfo. Una grande schiera, come quella degli israeliti, non avrebbe potuto uscire rapidamente da un posto del genere se inseguita da N, e quindi sarebbe rimasta imbottigliata, col mare che le sbarrava il passaggio.
Una tradizione ebraica del I secolo E.V. suggerisce quest’idea. (Vedi PIAIROT). Ma, cosa ancora più importante, tale situazione corrisponde al quadro generale fornito dalla Bibbia stessa, cosa che non può dirsi delle opinioni popolari di molti studiosi. (Eso 14:9-16) È evidente che l’attraversamento dovette essere effettuato abbastanza lontano dall’estremità superiore del golfo di Suez (il braccio occidentale del Mar Rosso), altrimenti gli eserciti del faraone avrebbero semplicemente potuto fare il giro e sorprendere gli israeliti dall’altra parte del golfo. — Eso 14:22, 23.
Il faraone aveva cambiato parere circa la liberazione degli israeliti non appena era stato informato della loro partenza. Certo la perdita di quel popolo di schiavi sarebbe stato un duro colpo per l’economia egiziana. Non sarebbe stato difficile per i suoi carri da guerra raggiungere quell’intera nazione in cammino, specie in vista del fatto che gli israeliti ‘erano tornati indietro’. Ora, incoraggiato dal pensiero che essi vagavano in confusione nel deserto, si lanciò all’inseguimento, sicuro di sé. Con 600 carri da guerra scelti, con tutti gli altri carri da guerra d’Egitto con il loro equipaggio di guerrieri, con la cavalleria e tutte le sue forze militari, raggiunse Israele a Piairot. — Eso 14:3-9.
Da un punto di vista strategico la posizione degli israeliti era pessima. Erano stretti fra il mare e i monti, con gli egiziani che precludevano la ritirata. Vistisi intrappolati, gli israeliti furono presi da timore e cominciarono a lamentarsi contro Mosè. Allora Dio intervenne per proteggere Israele spostando la nuvola dall’avanguardia alla retroguardia. Da una parte, verso gli egiziani, essa era tenebre; dall’altra, illuminava la notte per Israele. Mentre la nuvola tratteneva gli egiziani dall’attaccare, Mosè per comando di Geova alzò la verga, e le acque del mare si aprirono, lasciando il letto asciutto perché Israele potesse passare. — Eso 14:10-21.
Larghezza e lunghezza del passaggio. Dal momento che gli israeliti attraversarono il mare in una notte, non è presumibile che le acque si dividessero formando un passaggio stretto. Doveva essere largo almeno 1 km. Anche in formazione di marcia piuttosto serrata, una folla del genere, insieme ai carri che poteva avere, al bagaglio e al bestiame, avrebbe occupato anche in file ravvicinate un’area di 8 km2 o più. Per consentire la traversata degli israeliti il mare dovette aprirsi quindi su un fronte piuttosto ampio. Se il passaggio era largo 1,5 km, la colonna degli israeliti doveva essere lunga 5 km o più. Se era largo 2,5 km, la colonna doveva essere lunga 3 km o più. Ci sarebbero volute diverse ore perché una colonna del genere scendesse nel letto del mare e lo attraversasse. Gli israeliti non si lasciarono prendere dal panico e rimasero in formazione di combattimento, ma senza dubbio camminarono alquanto spediti.
Se non fosse stato per la nuvola, gli egiziani non avrebbero avuto difficoltà a raggiungerli e a fare una strage. (Eso 15:9) Quando gli israeliti furono entrati nel mare e la nuvola dietro di loro si fu spostata avanti per rivelare il fatto agli egiziani, questi si lanciarono all’inseguimento. Ciò sottolinea ulteriormente la necessità che il letto asciutto presentasse una larghezza e una lunghezza notevoli, perché le forze del faraone erano ingenti. Decise a riprendersi o a distruggere i loro ex schiavi, le forze al completo si riversarono nel letto del mare. Quindi, durante la veglia del mattino, che andava dalle 2 alle 6 del mattino circa, Geova guardò dalla nuvola e cominciò a gettare il campo degli egiziani in confusione, togliendo le ruote ai loro carri. — Eso 14:24, 25.
Sul far del mattino gli israeliti giunsero sani e salvi sulla riva orientale del Mar Rosso. Allora Mosè ricevette il comando di stendere la mano affinché le acque si richiudessero sugli egiziani. Così “il mare tornava alla sua condizione normale” e gli egiziani si diedero alla fuga per non essere travolti. Anche questo indicherebbe che le acque si erano separate formando un’ampia apertura, poiché in un passaggio stretto sarebbero stati travolti immediatamente. Mentre le pareti d’acqua si richiudevano, gli egiziani cercarono di fuggire verso la riva occidentale, ma le acque continuarono a convergere su di loro finché tutti i carri da guerra e la cavalleria dell’esercito del faraone furono completamente sommersi: non scampò nessuno.
È ovvio che una travolgente inondazione del genere sarebbe stata impossibile in una palude. Inoltre in un acquitrino poco profondo i cadaveri non sarebbero stati trascinati dalle onde sulla spiaggia, come in effetti avvenne, tanto che “Israele vide gli egiziani morti sulla spiaggia del mare”. — Eso 14:22-31; CARTINA e ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 537.
Le acque ‘si condensarono’. Secondo la descrizione che ne fa la Bibbia, le ondeggianti acque si condensarono per lasciar passare Israele. (Eso 15:8) Il verbo ‘condensare’ è usato anche nelle versioni di Bonaventura Mariani e Salvatore Garofalo. Il Dizionario della lingua italiana di Devoto e Oli così lo definisce: “Portare a una maggiore densità . . . solidificare”. Il termine ebraico qui tradotto ‘condensare’, da altri reso ‘congelare’ (PIB), in Giobbe 10:10 è usato a proposito del latte che si rapprende. Perciò può significare che le pareti d’acqua avevano una consistenza simile a quella della gelatina o della cagliata, e non necessariamente che si solidificassero come il ghiaccio. Nulla di visibile tratteneva le acque del Mar Rosso da entrambi i lati degli israeliti, per cui sembrava che esse si fossero congelate, irrigidite, rapprese o condensate in modo da rimanere ferme come pareti su ciascun lato senza abbattersi come un’inondazione sugli israeliti, a loro distruzione. Tali apparvero a Mosè quando un forte vento orientale divise le acque e prosciugò il bacino del mare: esso non era né fangoso né gelato, tanto che la moltitudine poté attraversarlo con facilità.
Il passaggio apertosi nel mare era abbastanza ampio da permettere a tutti gli israeliti, forse tre milioni di persone, di raggiungere la sponda orientale entro il mattino. Allora le acque condensate cominciarono a tornare fluide e a convergere da entrambi i lati verso il centro, sommergendo e annientando gli egiziani mentre gli israeliti, sulla riva orientale, contemplavano la liberazione senza precedenti compiuta da Geova di un’intera nazione dall’oppressione di una potenza mondiale. Videro l’adempimento letterale delle parole di Mosè: “Gli egiziani che vedete oggi non li vedrete più, no, mai più”. — Eso 14:13.
Così con una spettacolare manifestazione di potenza Geova esaltò il suo nome e liberò Israele. Al sicuro sulla riva orientale del Mar Rosso, Mosè guidò i figli d’Israele in un cantico, mentre sua sorella Miriam, la profetessa, preso in mano un tamburello, guidava nella danza tutte le donne coi tamburelli, rispondendo al canto degli uomini. (Eso 15:1, 20, 21) Gli israeliti erano stati completamente liberati dai loro avversari. Quando erano usciti dall’Egitto nessuno aveva potuto far loro alcun male, né uomo né bestia; neanche un cane aveva minacciosamente ‘affilato la lingua’ per ringhiare contro di loro. (Eso 11:7) Anche se il racconto dell’Esodo non dice che il faraone finì nel mare insieme alle sue forze militari e vi trovò la morte, Salmo 136:15 afferma in effetti che Geova “scosse Faraone e le sue forze militari nel Mar Rosso”.
Tipico di avvenimenti successivi. Nel far uscire Israele dall’Egitto come aveva promesso ad Abraamo, Dio considerò la nazione d’Israele come suo figlio, proprio come aveva detto al faraone: ‘Israele è il mio primogenito’. (Eso 4:22) In seguito Geova disse: “Quando Israele era ragazzo, io l’amai, e fuori d’Egitto chiamai mio figlio”. (Os 11:1) Questo riferimento agli avvenimenti dell’Esodo fu anche una profezia che si adempì ai giorni di Erode, quando Giuseppe e Maria tornarono dall’Egitto insieme a Gesù dopo la morte di Erode e si stabilirono a Nazaret. Lo storico Matteo applica la profezia di Osea a questo episodio, dicendo di Giuseppe: “Vi restò fino alla morte di Erode, affinché si adempisse ciò che era stato dichiarato da Geova per mezzo del suo profeta, dicendo: ‘Fuori d’Egitto chiamai mio figlio’”. — Mt 2:15.
Come spiega l’apostolo Paolo, l’Esodo è fra le cose che accaddero agli israeliti come esempi o tipi. (1Co 10:1, 2, 11) Dev’essere quindi simbolico di qualcosa di più grande. L’Israele naturale è usato nella Bibbia come simbolo dell’Israele spirituale, l’Israele di Dio. (Gal 6:15, 16) Mosè inoltre parlò di un profeta avvenire che sarebbe stato come lui. (De 18:18, 19) Gli ebrei si aspettavano che questi fosse un grande condottiero e liberatore. L’apostolo Pietro identifica Gesù Cristo col più grande Mosè. (At 3:19-23) La liberazione di Israele al Mar Rosso e la distruzione dell’esercito egiziano devono quindi rappresentare la liberazione dell’Israele spirituale dai suoi nemici, dall’Egitto simbolico, mediante un grande miracolo compiuto da Gesù Cristo. E come gli atti di Dio al Mar Rosso portarono all’esaltazione del suo nome, così l’adempimento di quegli avvenimenti tipici su scala molto più ampia recherà una fama più grande e molto più estesa al nome di Geova. — Eso 15:1.