SETTANTA SETTIMANE
Periodo di tempo profetico menzionato in Daniele 9:24-27, durante il quale Gerusalemme sarebbe stata ricostruita e il Messia sarebbe apparso e quindi sarebbe stato stroncato; dopo questo periodo sia la città che il luogo santo sarebbero stati ridotti in rovina.
Nel primo anno del regno di Dario “figlio di Assuero del seme dei medi”, il profeta Daniele comprese dalla profezia di Geremia che era vicino il tempo della liberazione degli ebrei da Babilonia e del loro ritorno a Gerusalemme. Allora Daniele ricercò con impegno Geova in preghiera, in armonia con le parole di Geremia: “‘E voi certamente mi invocherete e verrete e mi pregherete, e io certamente vi ascolterò. E voi in effetti mi cercherete e mi troverete, poiché mi ricercherete con tutto il cuore. E io stesso certamente mi lascerò trovare da voi’, è l’espressione di Geova. . . . ‘E di sicuro vi ricondurrò al luogo dal quale vi feci andare in esilio’”. — Ger 29:10-14; Da 9:1-4.
Mentre Daniele pregava, Geova mandò il suo angelo Gabriele con una profezia di cui quasi tutti i commentatori biblici riconoscono il carattere messianico, pur comprendendola in svariati modi. Gabriele disse:
“Settanta settimane sono state determinate sul tuo popolo e sulla tua santa città, per porre termine alla trasgressione, e porre fine al peccato, e fare espiazione per l’errore, e recare giustizia per tempi indefiniti, e imprimere un suggello sulla visione e sul profeta, e ungere il Santo dei Santi. E devi conoscere e avere perspicacia che, dall’emanazione della parola di restaurare e riedificare Gerusalemme fino a Messia il Condottiero, ci saranno sette settimane, anche sessantadue settimane. Essa tornerà e sarà effettivamente riedificata, con pubblica piazza e fossato, ma nelle strettezze dei tempi. E dopo le sessantadue settimane Messia sarà stroncato, senza nulla per lui stesso. E il popolo di un condottiero che verrà ridurrà in rovina la città e il luogo santo. E la fine d’esso sarà mediante l’inondazione. E sino alla fine ci sarà guerra; sono decise le desolazioni. Ed egli deve tenere in vigore il patto per i molti per una settimana; e alla metà della settimana farà cessare sacrificio e offerta di dono. E sull’ala di cose disgustanti ci sarà colui che causa desolazione; e fino a uno sterminio, la medesima cosa decisa si verserà anche su colui che giace desolato”. — Da 9:24-27.
Una profezia messianica. È evidente che questa profezia è un “gioiello” per quanto riguarda l’identificazione del Messia. È della massima importanza determinare quando ebbero inizio le 70 settimane, e anche quanto durarono. Se fossero state settimane letterali di sette giorni ciascuna, la profezia non si sarebbe adempiuta, il che è impossibile (Isa 55:10, 11; Eb 6:18), oppure il Messia sarebbe venuto più di 2.400 anni fa, all’epoca dell’impero persiano, e non sarebbe stato identificato. In quest’ultimo caso, le altre decine e decine di caratteristiche del Messia specificate nella Bibbia non sarebbero state soddisfatte o adempiute. È quindi evidente che le 70 settimane simboleggiavano un tempo molto più lungo. Certo gli avvenimenti descritti nella profezia erano di natura tale che non potevano aver luogo in 70 settimane letterali, cioè in poco più di un anno e quattro mesi. La maggioranza dei biblisti conviene che le “settimane” della profezia sono settimane di anni. In alcune traduzioni italiane si legge “settanta settimane di anni” (ATE, Lu), “settanta periodi di sette anni” (PS); anche le note in calce di altre versioni italiane come NVB e PIB dicono la stessa cosa.
Quando ebbero inizio le “settanta settimane” profetiche?
Per quanto riguarda l’inizio delle 70 settimane, Neemia ebbe da Artaserse re di Persia, nel 20º anno del suo regno, nel mese di nisan, il permesso di ricostruire le mura e la città di Gerusalemme. (Ne 2:1, 5, 7, 8) Per le indicazioni relative al regno di Artaserse, Neemia a quanto pare usò un calendario che iniziava col mese di tishri (settembre-ottobre), come l’attuale calendario civile ebraico, e terminava col mese di elul (agosto-settembre), il 12º mese. Non è noto se questo era il suo modo di calcolare il tempo o quello seguito in determinati casi in Persia.
Qualcuno potrebbe obiettare a quanto detto sopra citando Neemia 7:73, dove Neemia parla di Israele radunato nelle sue città nel settimo mese, e questo secondo un calendario che inizia col mese di nisan. Ma in questo caso Neemia stava copiando “il libro della registrazione genealogica di quelli che erano saliti la prima volta” con Zorobabele nel 537 a.E.V. (Ne 7:5) Un’altra volta Neemia descrive la celebrazione della festa delle capanne avvenuta allora nel settimo mese. (Ne 8:9, 13-18) Questo era assolutamente corretto perché la Bibbia dice che trovarono “scritto nella legge” ciò che Geova aveva comandato, e in quella legge, in Levitico 23:39-43, viene detto che la festa delle capanne si doveva celebrare nel “settimo mese” (del calendario sacro, che iniziava col mese di nisan).
Tuttavia, a riprova del fatto che Neemia, nel riferire certi avvenimenti, può aver usato un calendario che iniziava in autunno, possiamo confrontare Neemia 1:1-3 con 2:1-8. Nel primo brano egli dice di avere ricevuto cattive notizie sulla condizione di Gerusalemme nel mese di chislev (terzo mese del calendario civile e nono mese del calendario sacro) nel 20º anno di Artaserse. Nel secondo, chiede al re il permesso di andare a ricostruire Gerusalemme, permesso che gli viene concesso nel mese di nisan (settimo mese del calendario civile e primo mese del calendario sacro), ma sempre nel 20º anno di Artaserse. Quindi è ovvio che Neemia non contava gli anni del regno di Artaserse da nisan a nisan.
Per stabilire il 20º anno di Artaserse, risaliamo alla fine del regno di Serse, suo padre e predecessore, morto verso la fine del 475 a.E.V. L’anno di accessione di Artaserse iniziò dunque nel 475 a.E.V., e il suo primo anno di regno decorrerebbe dal 474 a.E.V., come indicano altre testimonianze storiche. Perciò il 20º anno del regno di Artaserse sarebbe il 455 a.E.V. — Vedi PERSIA, PERSIANI (I regni di Serse e di Artaserse).
“Dall’emanazione della parola”. La profezia dice che “dall’emanazione della parola di restaurare e riedificare Gerusalemme fino a Messia il Condottiero” sarebbero trascorse 69 settimane di anni. (Da 9:25) La storia secolare, oltre alla Bibbia, dimostra che Gesù andò da Giovanni e fu battezzato, divenendo così l’Unto, Messia il Condottiero, all’inizio dell’autunno del 29 E.V. (Vedi GESÙ CRISTO [Epoca della nascita, durata del ministero]). Contando a ritroso da questo punto saliente della storia, possiamo determinare che le 69 settimane di anni iniziarono nel 455 a.E.V. Quell’anno ebbe luogo l’importante “emanazione della parola di restaurare e riedificare Gerusalemme.
Nel mese di nisan (marzo-aprile) del 20º anno del regno di Artaserse (455 a.E.V.), Neemia rivolse al re una supplica: “Se il tuo servitore sembra buono davanti a te, . . . che tu mi mandi in Giuda, alla città dei luoghi di sepoltura dei miei antenati, affinché io la riedifichi”. (Ne 2:1, 5) Il re diede il consenso e Neemia compì il lungo viaggio da Susa a Gerusalemme. Verso il quarto giorno del mese di ab (luglio-agosto), dopo un’ispezione notturna delle mura, Neemia diede ordine agli ebrei: “Venite e riedifichiamo le mura di Gerusalemme, affinché non continuiamo più a essere un biasimo”. (Ne 2:11-18) Quindi ‘la parola emanata’, l’autorizzazione di Artaserse, di riedificare Gerusalemme, venne messa in atto da Neemia a Gerusalemme quello stesso anno. Questo indica chiaramente il 455 a.E.V. come l’anno da cui si sarebbero cominciate a contare le 70 settimane.
Il lavoro di riparazione delle mura fu ultimato il 25º giorno del mese di elul (agosto-settembre), in soli 52 giorni. (Ne 6:15) Dopo la ricostruzione delle mura, proseguirono i lavori di ricostruzione del resto di Gerusalemme. In quanto alle prime sette “settimane” (49 anni), Neemia, con l’aiuto di Esdra e poi di altri che possono aver preso il loro posto, lavorò “nelle strettezze dei tempi”, con difficoltà dall’interno, fra gli stessi ebrei, e dall’esterno, da parte dei samaritani e di altri. (Da 9:25) Il libro di Malachia, scritto dopo il 443 a.E.V., denunciava la cattiva condizione in cui si trovava il sacerdozio ebraico. Si ritiene che il ritorno di Neemia a Gerusalemme dopo una visita ad Artaserse (cfr. Ne 5:14; 13:6, 7) sia avvenuto dopo questa data. La Bibbia non rivela per quanto tempo dopo il 455 a.E.V. egli abbia continuato a dedicarsi personalmente alla ricostruzione di Gerusalemme. Ma i lavori, nella misura necessaria, furono evidentemente portati a termine entro 49 anni (sette settimane di anni), e Gerusalemme e il suo tempio rimasero in attesa della venuta del Messia. — Vedi MALACHIA, LIBRO DI (Quando fu scritto).
Il Messia compare dopo ‘69 settimane’. In quanto alle successive “sessantadue settimane” (Da 9:25), queste, essendo parte delle 70 e venendo al secondo posto in ordine di menzione, dovevano proseguire dal termine delle “sette settimane”. Perciò “dall’emanazione della parola” di ricostruire Gerusalemme fino a “Messia il Condottiero” sarebbero trascorse 7 più 62 “settimane”, cioè 69 “settimane” (483 anni): dal 455 a.E.V. al 29 E.V. Come si è già detto, nell’autunno di quell’anno, il 29 E.V., Gesù fu battezzato in acqua, fu unto con spirito santo e iniziò il suo ministero quale “Messia il Condottiero”. — Lu 3:1, 2, 21, 22.
Quindi secoli in anticipo la profezia di Daniele aveva indicato l’anno esatto della comparsa del Messia. Non ci sono conferme che gli ebrei del I secolo E.V. avessero fatto dei calcoli in base alla profezia di Daniele per sapere quando sarebbe arrivato il Messia. Ma la Bibbia riferisce: “Il popolo era in aspettazione e tutti ragionavano in cuor loro di Giovanni: ‘Che sia lui il Cristo?’” (Lu 3:15) Per quanto aspettassero il Messia, evidentemente non potevano indicare il mese, la settimana o il giorno esatto della sua comparsa. Perciò si chiedevano se Giovanni fosse il Cristo, anche se Giovanni iniziò il suo ministero nella primavera del 29 E.V., circa sei mesi prima che Gesù si presentasse per il battesimo.
“Stroncato” a metà della settimana. Gabriele aveva detto inoltre a Daniele: “Dopo le sessantadue settimane Messia sarà stroncato, senza nulla per lui stesso”. (Da 9:26) Qualche tempo dopo la fine delle ‘sette più sessantadue settimane’, in effetti tre anni e mezzo dopo, Cristo fu stroncato con la morte su un palo di tortura, rinunciando a tutto ciò che aveva, come riscatto per il genere umano. (Isa 53:8) L’evidenza indica che Gesù dedicò la prima metà della “settimana” al ministero. In un’occasione, probabilmente nell’autunno del 32 E.V., fece un’illustrazione, paragonando a quanto pare la nazione ebraica a un fico (cfr. Mt 17:15-20; 21:18, 19, 43) che non aveva portato frutto per “tre anni”. Il vignaiolo disse al proprietario della vigna: “Signore, lascialo stare anche quest’anno, finché io gli scavi intorno e metta il concime; e se quindi produrrà frutto nel futuro, bene; se no, lo taglierai”. (Lu 13:6-9) Può darsi che Gesù si riferisse alla durata del suo stesso ministero a favore di quella nazione indifferente, ministero che in quell’epoca durava da circa tre anni, e sarebbe proseguito nel quarto anno.
Patto in vigore “per una settimana”. In Daniele 9:27 troviamo la dichiarazione: “Ed egli deve tenere in vigore il patto per i molti per una settimana [cioè sette anni]; e alla metà della settimana farà cessare sacrificio e offerta di dono”. Il “patto” non poteva essere il patto della Legge, dal momento che il sacrificio di Cristo, tre anni e mezzo dopo l’inizio della 70ª “settimana”, ne provocò l’abrogazione da parte di Dio: “Egli l’ha tolto di mezzo [“il documento”, cioè la Legge] inchiodandolo al palo di tortura”. (Col 2:14) Inoltre, “Cristo ci liberò mediante acquisto dalla maledizione della Legge . . . Lo scopo era che la benedizione di Abraamo avvenisse mediante Gesù Cristo per le nazioni”. (Gal 3:13, 14) Dio, per mezzo di Cristo, estese effettivamente le benedizioni del patto abraamico ai discendenti naturali di Abraamo, escludendo i gentili finché il vangelo non fu portato loro mediante la predicazione di Pietro al romano Cornelio. (At 3:25, 26; 10:1-48) La conversione di Cornelio e della sua famiglia avvenne dopo la conversione di Saulo di Tarso, che generalmente si ritiene avvenuta nel 34 E.V. circa; dopo ciò la congregazione godette un periodo di pace, essendo edificata. (At 9:1-16, 31) Sembra dunque che Cornelio sia entrato a far parte della congregazione cristiana verso l’autunno del 36 E.V., alla fine della 70ª “settimana”, 490 anni dopo il 455 a.E.V.
‘Fatti cessare’ sacrifici e offerte. L’espressione ‘far cessare’, usata a proposito del sacrificio e dell’offerta di dono, significa letteralmente “far osservare il sabato, far riposare o far desistere dal lavorare”. ‘Il sacrificio e l’offerta di dono’, che secondo Daniele 9:27 sono ‘fatti cessare’, non potevano essere il sacrificio di riscatto di Gesù, né logicamente alcun sacrificio spirituale fatto dai suoi seguaci. Devono essere i sacrifici e le offerte di dono che gli ebrei facevano nel tempio di Gerusalemme secondo la Legge mosaica.
La “metà della settimana” cadrebbe a metà di sette anni, cioè dopo tre anni e mezzo di quella “settimana” di anni. Poiché la 70ª “settimana” era iniziata verso l’autunno del 29 E.V. con il battesimo e l’unzione di Gesù per essere Cristo, la metà di quella settimana (tre anni e mezzo) sarebbe terminata nella primavera del 33 E.V., cioè all’epoca della Pasqua (14 nisan) di quell’anno. A quanto pare, secondo il calendario gregoriano quel giorno era il 1º aprile del 33 E.V. (Vedi PASTO SERALE DEL SIGNORE [Quando fu istituito]). L’apostolo Paolo ci dice che Gesù ‘era venuto per fare la volontà di Dio’, volontà che richiedeva di ‘sopprimere il primo [i sacrifici e le offerte fatti secondo la Legge] per stabilire il secondo’. Egli fece questo offrendo come sacrificio il proprio corpo. — Eb 10:1-10.
Anche se i sacerdoti ebrei continuarono a offrire sacrifici presso il tempio di Gerusalemme fino alla sua distruzione avvenuta nel 70 E.V., i sacrifici per il peccato cessarono di essere graditi e validi agli occhi di Dio. Poco prima di morire Gesù, rivolgendosi agli abitanti di Gerusalemme, disse: “La vostra casa vi è abbandonata”. (Mt 23:38) Cristo “offrì un solo sacrificio per i peccati in perpetuo . . . Poiché con una sola offerta di sacrificio ha reso perfetti in perpetuo quelli che sono santificati”. “Ora dove c’è il perdono [dei peccati e delle azioni illegali], non c’è più offerta per il peccato”. (Eb 10:12-14, 18) L’apostolo Paolo fa notare che la profezia di Geremia aveva parlato di un nuovo patto, in quanto il precedente patto (il patto della Legge) sarebbe stato in tal modo reso antiquato e “prossimo a sparire”. — Eb 8:7-13.
Posto termine a trasgressione e peccato. Lo stroncamento di Gesù nella morte, la sua risurrezione e la sua comparsa in cielo ebbero il risultato di “porre termine alla trasgressione, e porre fine al peccato, e fare espiazione per l’errore”. (Da 9:24) Il patto della Legge aveva denunciato gli ebrei quali peccatori e come tali li aveva condannati, e aveva recato su di loro la maledizione quali violatori del patto. Ma dove il peccato “abbondò” essendo denunciato o reso evidente dalla Legge mosaica, la misericordia e il favore di Dio abbondarono ancora di più per mezzo del Messia. (Ro 5:20) Grazie al sacrificio del Messia la trasgressione e il peccato dei peccatori pentiti possono essere cancellati e le relative sanzioni abolite.
Recata giustizia eterna. Il valore della morte di Cristo sul palo permise la riconciliazione dei peccatori pentiti. Un atto propiziatorio coprì i loro peccati, e fu aperta la via perché fossero “dichiarati giusti” da Dio. Questa sarà una giustizia eterna e procurerà vita eterna a coloro che sono dichiarati giusti. — Ro 3:21-25.
Unzione del Santo dei Santi. Gesù fu unto con spirito santo al momento del battesimo, e lo spirito santo scese visibilmente su di lui sotto forma di colomba. Ma l’unzione del “Santo dei Santi” si riferisce a qualcosa di più dell’unzione del Messia, perché questa espressione non si riferisce a una persona. L’espressione “Santo dei Santi” o “Santissimo” è usata per indicare il santuario di Geova Dio. (Eso 26:33, 34; 1Re 6:16; 7:50) Perciò l’unzione del “Santo dei Santi” menzionata nel libro di Daniele deve riguardare la “tenda più grande e più perfetta non fatta con mani”, in cui Gesù Cristo quale grande sommo sacerdote entrò “col proprio sangue”. (Da 9:24; Eb 9:11, 12) Quando Gesù presentò il valore del suo sacrificio umano al Padre suo, il cielo stesso aveva l’aspetto della realtà spirituale rappresentata dal Santissimo del tabernacolo e poi del tempio. Quindi la celeste dimora di Dio era senz’altro stata unta, o riservata, quale “Santo dei Santi” nella grande disposizione del tempio spirituale che venne all’esistenza nel 29 E.V., al momento dell’unzione di Gesù con spirito santo. — Mt 3:16; Lu 4:18-21; At 10:37, 38; Eb 9:24.
‘Impresso un suggello su visione e profeta’. Tutta l’attività svolta dal Messia — il suo sacrificio, la sua risurrezione e la sua comparsa al cospetto del Padre celeste col valore del proprio sacrificio, e le altre cose che accaddero durante la 70ª settimana — ha ‘impresso un suggello su visione e profeta’, dimostrando che sono veraci e che hanno avuto origine da Dio. Li contrassegna col suggello dell’approvazione divina, in quanto provenienti da una fonte divina e non da una fonte umana soggetta a sbagliare. Suggella la visione limitandola al Messia per il fatto che essa trova adempimento in lui e nell’opera di Dio compiuta per mezzo suo. (Ri 19:10) In lui si trova l’interpretazione della visione, e non ne possiamo cercare l’adempimento in nessun altro. Nient’altro ne svelerà il significato. — Da 9:24.
Desolazione della città e del luogo santo. Gli avvenimenti descritti nell’ultima parte di Daniele 9:26, 27 si verificarono dopo le 70 “settimane”, ma come diretta conseguenza del fatto che gli ebrei avevano rigettato Cristo durante la 70ª “settimana”. La storia indica che Tito, figlio dell’imperatore romano Vespasiano, era il comandante degli eserciti romani che mossero contro Gerusalemme. Quegli eserciti effettivamente penetrarono nella città e nel tempio stesso, come un’inondazione, e li devastarono. Il fatto che si fossero stabiliti nel luogo santo aveva reso quegli eserciti pagani una “cosa disgustante”. (Mt 24:15) Tutti i tentativi fatti prima della fine di Gerusalemme per trovare una soluzione fallirono a motivo del decreto di Dio: “Sono decise le desolazioni”, e “fino a uno sterminio, la medesima cosa decisa si verserà anche su colui che giace desolato”.
Un’opinione ebraica. Il testo masoretico, con la sua puntazione vocalica, fu prodotto nella seconda metà del I millennio E.V. Evidentemente per il fatto che non riconoscevano Gesù Cristo quale Messia, i masoreti accentarono il testo ebraico di Daniele 9:25 con un ʼathnàch, cioè una “pausa”, dopo le “sette settimane”, dividendole così dalle “sessantadue settimane”; in questo modo le 62 settimane della profezia, cioè 434 anni, sembrano riferirsi al tempo della ricostruzione dell’antica Gerusalemme. La traduzione di Isaac Leeser legge: “Sappi dunque e comprendi, che dall’emanazione della parola di restaurare e costruire Gerusalemme fino all’unto il principe ci saranno sette settimane: [qui la pausa è indicata dai due punti] e durante sessanta e due settimane sarà di nuovo costruita con strade e fossati (intorno), pure nella pressione dei tempi”. La traduzione della Jewish Publication Society of America legge similmente: “ci saranno sette settimane; e per sessanta e due settimane, sarà riedificata”. In queste due versioni ricorrono rispettivamente i termini “durante” e “per”, evidentemente a sostegno dell’interpretazione dei traduttori.
E. B. Pusey, in una nota in calce al testo di una sua lezione tenuta all’Università di Oxford, osservò a proposito della puntazione masoretica: “Gli ebrei mettono la pausa principale del versetto sotto שִׁבְעָה [sette], intendendo separare i due numeri, 7 e 62. Devono aver fatto questo disonestamente למען המינים (come dice Rashi [eminente rabbino ebreo dell’XI e XII secolo E.V.] nel rigettare le esposizioni letterali favorevoli ai cristiani) ‘a motivo degli eretici’, cioè dei cristiani. Infatti l’ultima frase, così suddivisa, poteva significare solo, ‘e durante sessanta e due settimane strade e mura verranno restaurate ed edificate’, cioè che ci sarebbero voluti 434 anni per ricostruire Gerusalemme, il che non avrebbe senso”. — Daniel the Prophet, 1885, p. 190.
In Daniele 9:26 (Le), che legge in parte, “e dopo le sessanta e due settimane un unto sarà stroncato senza successore dopo di lui”, per i commentatori ebrei le 62 settimane si riferiscono a un periodo che va fino all’epoca dei Maccabei, e il termine “unto” indica il re Agrippa II, vissuto al tempo della distruzione di Gerusalemme nel 70 E.V. Secondo altri indica un sommo sacerdote, Onia, deposto da Antioco Epifane nel 175 a.E.V. Applicando la profezia all’uno o all’altro dei due personaggi costoro la privano di qualsiasi vero significato o valore, e la discordanza delle date renderebbe le 62 settimane un tempo profetico niente affatto accurato. — Vedi Soncino Books of the Bible (commento a Da 9:25, 26), a cura di A. Cohen, Londra, 1951.
Nel tentativo di giustificare la loro interpretazione, questi dotti ebrei dicono che le “sette settimane” non sono 7 volte 7, cioè 49 anni, ma 70 anni; eppure calcolano le 62 settimane come 7 volte 62 anni. Questo, sostengono, si riferiva al periodo dell’esilio in Babilonia. Secondo loro “l’unto” in questo versetto (Da 9:25) sarebbe Ciro o Zorobabele o il sommo sacerdote Iesua, mentre “l’unto” di Daniele 9:26 sarebbe un altro personaggio.
Alcune traduzioni italiane dei testi originali si discostano in questo caso dalla puntazione masoretica (e lo stesso fanno le versioni italiane basate sulla Vulgata). Dopo l’espressione “sette settimane” hanno una virgola e/o la congiunzione “e” a indicare che le 62 settimane seguono le 7 come parte delle 70, e non danno l’idea che le 62 settimane si riferiscano al periodo della ricostruzione di Gerusalemme. (Cfr. Da 9:25 in Di, Ma, NM, PS, Ri). Una nota di James Strong nel Commentary on the Holy Scriptures di Lange (Da 9:25, nt., p. 198) dice: “La sola giustificazione di questa traduzione, che separa i due periodi di sette settimane e sessantadue settimane, indicando il primo come terminus ad quem dell’Unto Principe, e il secondo come il tempo della ricostruzione, sta nell’interpunzione masoretica, che mette l’athnac [pausa] tra di loro. . . . e la lezione in questione richiede una costruzione astrusa della seconda parte, senza preposizione. È quindi meglio, e più semplice, attenersi alla Versione Autorizzata [KJ], che segue tutte le versioni più antiche”. — A cura di P. Schaff, 1976.
Circa il significato della profezia sono state espresse molte altre opinioni, alcune in chiave messianica e altre no. A questo proposito va notato che il più antico testo della Settanta pervenutoci altera malamente il significato del testo ebraico. Come spiegato da E. B. Pusey (op. cit., pp. 328, 329), il traduttore falsificò il periodo di tempo dichiarato, e inoltre aggiunse, alterò e traspose parole, per fare in modo che la profezia sostenesse la lotta dei Maccabei. Questa traduzione chiaramente distorta è stata sostituita in quasi tutte le edizioni moderne della Settanta con quella di Teodozione, studioso ebreo del II secolo E.V., più fedele al testo ebraico.
Alcuni cercano di cambiare l’ordine dei periodi di tempo della profezia, mentre altri ritengono che abbiano decorso simultaneo o negano che abbiano un effettivo adempimento temporale. Comunque coloro che esprimono opinioni del genere non hanno via d’uscita, e i loro tentativi per sbrogliare la matassa danno origine ad assurdità o portano in effetti a negare che la profezia sia ispirata e verace. A proposito di queste ultime ipotesi in particolare, che pongono più problemi di quanti ne risolvano, E. B. Pusey ha osservato: “Questi erano problemi insolubili per i miscredenti; si doveva trovare una soluzione loro congeniale, il che, fino a un certo punto, era più facile; infatti nulla è incredibile per i miscredenti, tranne ciò che Dio rivela”. — Op. cit., p. 206.