Domande dai lettori
◼ Qual è il modo corretto in cui la congregazione deve trattare chi lascia la vera fede cristiana per unirsi a un’altra religione?
Nel I secolo a volte si verificarono di questi casi. È perciò comprensibile che possano talvolta accadere anche oggi. Quando ciò accade, la congregazione giustamente compie dei passi per proteggere la purezza spirituale dei cristiani leali che ne fanno parte.
Un dizionario definisce così l’apostasia: “Abbandono totale e pubblico della propria religione per seguirne un’altra . . . Abbandono della propria dottrina, di un obbligo morale o di partito”. (Il nuovo Zingarelli, ed. Zanichelli, 1983) Un altro dice: “Ripudio, rinnegamento della propria religione . . . Abbandono della propria dottrina, in genere, o anche . . . di un obbligo morale”. (Dizionario Enciclopedico Italiano, di G. Treccani) Di conseguenza, Giuda Iscariota si rese colpevole di una forma di apostasia allorché abbandonò l’adorazione di Geova Dio tradendo Gesù. Successivamente, altri divennero apostati lasciando la vera fede anche mentre erano in vita l’apostolo Giovanni e altri dei primi discepoli. Giovanni scrisse: “Sono usciti da noi, ma non erano della nostra sorta; poiché se fossero stati della nostra sorta, sarebbero rimasti con noi”. — I Giovanni 2:19.
Come ci si deve comportare quando oggi si verifica una cosa simile? Gli anziani, o pastori, della congregazione potrebbero venire a sapere che un cristiano battezzato, che ha smesso di frequentare il popolo di Geova, ha cominciato ad associarsi a un’altra religione. In armonia con le parole di Gesù circa il bisogno di preoccuparsi di qualsiasi pecora che si disperda, i pastori spirituali dovrebbero interessarsi di aiutarlo. (Matteo 18:12-14; confronta I Giovanni 5:16). E se i pastori incaricati di esaminare la cosa stabiliscono che non intende più avere nulla a che fare con i testimoni di Geova ed è deciso a restare in una falsa religione?
In tal caso, annuncerebbero semplicemente alla congregazione che l’individuo si è dissociato e pertanto non è più testimone di Geova. Costui ha ‘abbandonato la propria religione’; tuttavia, non occorre compiere una formale azione di disassociazione. Per quale ragione? Perché si è già dissociato dalla congregazione. Probabilmente, non cerca di mantenere i contatti con i suoi ex fratelli allo scopo di persuaderli a seguirlo. Da parte loro, i fratelli leali non ne cercano la compagnia, dato che ‘è uscito da loro, perché non era della loro sorta’. (I Giovanni 2:19) Questo dissociato che ‘è uscito da noi’ potrebbe mettersi a scrivere lettere o a inviare pubblicazioni che sostengono la falsa religione o l’apostasia. Questo non farebbe altro che mettere in risalto che questa persona proprio ‘non era della nostra sorta’.
Le Scritture, comunque, mettono in guardia contro alcuni che avrebbero cercato di rimanere fra il popolo di Dio e tentato in quell’ambito di sviare altri. L’apostolo Paolo avvertì: “Fra voi stessi sorgeranno uomini che diranno cose storte per trarsi dietro i discepoli”. (Atti 20:30) In modo molto vigoroso, suggerì ai cristiani di ‘tenere d’occhio quelli che causano divisioni e occasioni d’inciampo contro l’insegnamento che avevano imparato, ed evitarli’. — Romani 16:17, 18.
Perciò, se qualcuno diventava un falso insegnante fra i veri cristiani, come Imeneo e Fileto al tempo di Paolo, i pastori del gregge avrebbero dovuto prendere misure protettive. Se avesse rifiutato i loro amorevoli ammonimenti e avesse continuato a promuovere una setta, un comitato di anziani avrebbe potuto disassociarlo, o espellerlo, per apostasia. (II Timoteo 2:17; Tito 3:10, 11) I singoli fratelli e sorelle della congregazione avrebbero seguito il comando di Paolo ‘evitando’ colui che cercava di ‘causare divisioni’. Giovanni diede un consiglio simile: “Se alcuno viene da voi e non porta questo insegnamento, non lo ricevete nella vostra casa e non gli rivolgete un saluto”. — II Giovanni 10.
◼ Il viaggio che i giudei fecero per tornare a Gerusalemme dall’esilio a Babilonia fu di circa 800 o 1.600 chilometri?
Il percorso più breve tra l’antica Babilonia e Gerusalemme era di circa 800 chilometri. Fare un viaggio del genere, avrebbe significato attraversare un territorio estremamente inospitale, in cui si trovavano ampie zone molto aride o desertiche. Seguendo un percorso alternativo lungo circa il doppio si risaliva la valle dell’Eufrate verso Haran e poi si scendeva nella Terra Promessa passando per Damasco. Abraamo seguì quest’ultimo percorso quando guidò la propria famiglia da Ur nel paese di Canaan. — Genesi 11:31–12:5.
La Bibbia non descrive il percorso seguito dai giudei per tornare a Gerusalemme dall’esilio a Babilonia. (Esdra 8:1-32; 7:7-9) Perciò è possibile che abbiano seguito o l’uno o l’altro, e si potrebbe far riferimento a entrambi nel parlare del loro viaggio. Cosa più importante è il fatto che i giudei che tornavano dovevano essere liberi da dottrine e da pratiche babiloniche, mentre camminavano lungo “la Via della Santità”. — Isaia 35:8-10; confronta il libro Vicina la salvezza dell’uomo dall’afflizione mondiale, pubblicato nel 1975, pagine 152-6.