ARCHEOLOGIA
L’archeologia biblica è lo studio dei popoli e degli avvenimenti biblici attraverso affascinanti documenti rimasti a lungo sepolti. L’archeologo riporta alla luce e analizza pietre, mura, edifici in rovina e città distrutte, rinviene ceramiche, tavolette d’argilla, iscrizioni, tombe e altri resti o manufatti antichi da cui deduce informazioni. Questi studi spesso aiutano a capire meglio le circostanze in cui fu scritta la Bibbia e in cui vissero antichi uomini di fede, e anche le lingue parlate da loro e dai popoli circostanti; inoltre arricchiscono la nostra conoscenza di tutti i paesi menzionati nella Bibbia: Palestina, Egitto, Persia, Assiria, Babilonia, Asia Minore, Grecia e Roma.
L’archeologia biblica è una scienza relativamente nuova. Solo nel 1822 la decifrazione della Stele di Rosetta svelò i geroglifici egiziani. La scrittura cuneiforme assira venne decifrata più di 20 anni dopo. Si iniziarono scavi sistematici in Assiria nel 1843 e in Egitto nel 1850.
Scoperte e località importanti. L’archeologia ha contribuito a confermare molte informazioni storiche della Bibbia riguardanti questi paesi e a convalidare punti un tempo messi in dubbio dai critici. Lo scetticismo nei confronti della Torre di Babele, il rifiuto di riconoscere l’esistenza di un re babilonese di nome Baldassarre e di un re assiro di nome Sargon (nomi che fino al XIX secolo E.V. non avevano riscontro in fonti non bibliche), e altre critiche mosse ai dati forniti dalla Bibbia riguardo a questi paesi sono tutti risultati privi di fondamento. Al contrario, sono state riportate alla luce una quantità di prove che concordano perfettamente con le Scritture.
Babilonia. Gli scavi nell’antica città di Babilonia e nei dintorni hanno rivelato l’ubicazione di diverse ziqqurat, torri templari a gradini, simili a piramidi, fra cui le rovine del tempio detto Etemenanki all’interno delle mura di Babilonia. In documenti e iscrizioni relativi a questi templi ricorre spesso la frase “la sua cima raggiungerà i cieli”, e al re Nabucodonosor sono attribuite le parole: “Ho innalzato la sommità della Torre a gradini di Etemenanki tanto che la sua cima gareggiava coi cieli”. Un frammento di argilla scoperto a Babilonia a N del tempio di Marduk, pur non menzionando espressamente una ziqqurat, potrebbe far riferimento alla caduta di una simile torre e alla confusione delle lingue. (George Adam Smith, The Chaldean Account of Genesis, riveduto e corretto [con aggiunte] da A. H. Sayce, 1880, p. 164) Si scoprì che la ziqqurat di Uruk (Erec nella Bibbia) era stata costruita con argilla, mattoni e bitume. — Cfr. Ge 11:1-9.
Presso la porta di Ishtar a Babilonia sono state scoperte circa 300 tavolette con iscrizioni cuneiformi che risalgono al periodo del regno di Nabucodonosor. Fra gli elenchi di artigiani e prigionieri, che vivevano allora a Babilonia e a cui erano date razioni di viveri, compare il nome di “Yaukin, re del paese di Yahud”, cioè “Ioiachin, re del paese di Giuda”. Questo re era stato portato a Babilonia quando Nabucodonosor aveva conquistato Gerusalemme nel 617 a.E.V., ma era stato liberato dalla casa di detenzione da Awil-Marduk (Evil-Merodac), successore di Nabucodonosor, che gli concesse una razione giornaliera di viveri per il resto della sua vita. (2Re 25:27-30) Su queste tavolette sono pure menzionati cinque figli di Ioiachin. — 1Cr 3:17, 18.
Si sono trovate numerose testimonianze del pantheon delle divinità babilonesi, fra cui il dio principale, Marduk, in seguito chiamato comunemente Bel, e il dio Nebo, menzionati entrambi in Isaia 46:1, 2. Molte informazioni contenute nelle iscrizioni dello stesso Nabucodonosor riguardano il suo vasto programma edile che fece di Babilonia una splendida città. (Cfr. Da 4:30). Su un vaso rinvenuto a Susa (Elam) compare il nome del suo successore Awil-Marduk (chiamato Evil-Merodac in 2Re 25:27).
Sempre a Babilonia, nel sito in cui sorgeva il tempio di Marduk, è stato scoperto un cilindro d’argilla che menziona il re Ciro, conquistatore di Babilonia. Questo cilindro descrive con quanta facilità Ciro conquistò la città e parla della sua politica di rimpatriare i prigionieri residenti a Babilonia, in armonia con quanto dice la Bibbia di Ciro, predetto conquistatore di Babilonia, e del ritorno degli ebrei in Palestina durante il suo regno. — Isa 44:28; 45:1; 2Cr 36:23.
Gli scavi compiuti nella seconda metà del XIX secolo presso l’odierna Baghdad portarono alla scoperta di numerosi cilindri e tavolette d’argilla, fra cui la Cronaca di Nabonedo, ora famosa. Tutte le critiche mosse a Daniele capitolo 5 a proposito del fatto che Baldassarre regnava in Babilonia al tempo della caduta della città sono state confutate da questo documento, comprovante che Baldassarre, figlio maggiore di Nabonedo, governava insieme al padre e che nell’ultima parte del suo regno Nabonedo gli aveva affidato il governo di Babilonia.
Ur, l’antica patria di Abraamo (Ge 11:28-31), città sumera sull’Eufrate vicino al Golfo Persico, era un’importante metropoli altamente civilizzata. Gli scavi compiutivi da Leonard Woolley indicano che era all’apogeo del potere e del prestigio all’epoca della partenza di Abraamo per Canaan (prima del 1943 a.E.V.). Fra quelli scoperti, il suo tempio-ziqqurat è il meglio conservato. Le tombe dei re a Ur hanno fruttato una quantità di oggetti d’oro e gioielli di grandissimo valore artistico, e anche strumenti musicali, quali l’arpa. (Cfr. Ge 4:21). È stata pure rinvenuta un’accetta d’acciaio (non semplicemente di ferro). (Cfr. Ge 4:22). Anche qui migliaia di tavolette d’argilla hanno rivelato molti particolari sulla vita che vi si svolgeva quasi 4.000 anni fa. — Vedi UR n. 2.
Assiria. Presso Khorsabad, lungo un affluente settentrionale del Tigri, su un rialzo che aveva un’estensione di quasi 10 ettari, fu scoperto nel 1843 il palazzo del re assiro Sargon II. Successive ricerche archeologiche fecero luce su questo re, menzionato in Isaia 20:1, attribuendogli una posizione d’importanza storica. (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 960) In uno dei suoi annali egli sostiene di aver conquistato Samaria (740 a.E.V.). Menziona anche la caduta di Asdod, riportata in Isaia 20:1. Anche se un tempo molti eminenti studiosi ritenevano che non fosse mai esistito, Sargon II è ora uno dei re d’Assiria meglio conosciuti.
A Ninive, capitale dell’Assiria, gli scavi hanno riportato alla luce l’immenso palazzo di Sennacherib, che aveva circa 70 stanze con 3.000 m di bassorilievi che ne ricoprivano le pareti. Uno di questi raffigura prigionieri giudei condotti in cattività nel 732 a.E.V. dopo la caduta di Lachis. (2Re 18:13-17; 2Cr 32:9; ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 952) Ancora più interessante fu la scoperta fatta a Ninive degli annali di Sennacherib scritti su prismi (cilindri d’argilla). Su alcuni, Sennacherib descrive la campagna assira contro la Palestina durante il regno di Ezechia (732 a.E.V.), ma, si noti, il vanaglorioso monarca non dice di aver conquistato Gerusalemme, confermando così il racconto biblico. (Vedi SENNACHERIB). Anche l’assassinio di Sennacherib per mano dei figli è descritto in un’iscrizione di Esar-Addon, successore di Sennacherib, ed è ricordato in un’iscrizione del successivo re. (2Re 19:37) Oltre al re Ezechia menzionato da Sennacherib, i nomi dei re di Giuda Acaz e Manasse, e dei re d’Israele Omri, Ieu, Menaem e Oshea, e anche di Azael di Damasco, compaiono tutti in documenti in caratteri cuneiformi di vari sovrani assiri.
Persia. Presso Bisutun, nell’Iran (antica Persia), il re Dario I (521-486 a.E.V.; Esd 6:1-15) fece scolpire su una rupe di roccia calcarea un’enorme iscrizione, a ricordo dell’unificazione dell’impero persiano da lui attuata e per attribuire il suo successo al dio Ahura Mazda. Di primaria importanza è il fatto che fu redatta in tre lingue, babilonese (accadico), elamico e persiano antico, fornendo così la chiave per decifrare il cuneiforme assiro-babilonese, fino a quel momento indecifrato. Grazie a quest’opera ora si possono leggere migliaia di iscrizioni e tavolette d’argilla babilonesi.
A Susa (Susan), dove si svolsero gli avvenimenti descritti nel libro di Ester, archeologi francesi compirono scavi fra il 1880 e il 1890. (Est 1:2) Venne scoperto il palazzo reale di Serse, che occupava un’area di circa un ettaro, testimonianza dello splendore e del fasto dei re persiani. Le scoperte hanno confermato l’esattezza dei particolari menzionati dallo scrittore di Ester circa l’amministrazione del regno persiano e la costruzione del palazzo. Un libro (I. M. Price, The Monuments and the Old Testament, 1946, p. 408) osserva: “Non c’è avvenimento descritto nell’Antico Testamento il cui ambiente strutturale possa essere ricostruito dagli effettivi scavi in modo così vivido e accurato come ‘il Palazzo di Susa’”. — Vedi SUSA.
Mari e Nuzi. La città di Mari (Tell Hariri), antica residenza reale presso l’Eufrate, circa 11 km a NNO di Abu Kemal nella Siria sudorientale, fu oggetto di scavi dal 1933 in poi. Venne scoperto un immenso palazzo di quasi 6 ettari con 300 stanze, nei cui archivi furono rinvenute più di 20.000 tavolette d’argilla. Questo complesso conteneva non solo gli appartamenti reali, ma anche uffici amministrativi e una scuola per scrivani. Grandi affreschi o dipinti murali decoravano le pareti, i bagni erano forniti di vasche da bagno, e nelle cucine si sono trovati stampi per dolci. All’inizio del II millennio a.E.V. sembra che la città fosse una delle più note e sfarzose dell’epoca. Le tavolette d’argilla contenevano decreti reali, avvisi pubblici, conti e ordini per la costruzione di canali, chiuse, dighe e altre opere d’irrigazione, e anche corrispondenza relativa a importazioni, esportazioni e affari esteri. Si facevano frequenti censimenti per scopi fiscali e militari. La religione aveva un posto notevole, specie il culto di Ishtar, la dea della fertilità, il cui tempio è stato pure ritrovato. Si praticava la divinazione come a Babilonia mediante l’osservazione del fegato, l’astrologia e metodi simili. La città fu in gran parte distrutta dal re babilonese Hammurabi. Di particolare interesse è la presenza di nomi quali Peleg, Serug, Nahor, Tera e Haran, tutte città della Mesopotamia settentrionale che presero nome da parenti di Abraamo. — Ge 11:17-32.
A Nuzi, antica città a E del Tigri e a SE di Ninive, dove si compirono scavi nel 1925-1931, furono scoperte una piantina tracciata su argilla, la più antica scoperta finora, e prove che già nel XV secolo a.E.V. si comprava e si vendeva a rate. Furono dissotterrate 20.000 tavolette d’argilla, scritte si pensa da scrivani urriti in lingua babilonese. Queste contengono una quantità di particolari relativi alla giurisprudenza dell’epoca, in merito ad adozioni, contratti matrimoniali, diritti di eredità e testamenti. Certi aspetti rivelano una notevole somiglianza con usanze patriarcali descritte in Genesi. La consuetudine che una coppia senza figli ne adottasse uno, libero o schiavo, perché si prendesse cura di loro, provvedesse alla loro sepoltura e fosse il loro erede, trova riscontro nelle parole di Abraamo a proposito del fidato schiavo Eliezer in Genesi 15:2. È descritta la vendita della primogenitura, che ricorda il caso di Giacobbe ed Esaù. (Ge 25:29-34) Questi testi indicano inoltre che il possesso delle divinità familiari, spesso piccole statuine d’argilla, equivaleva a un documento comprovante un diritto di proprietà, tanto che il possessore si riteneva avesse diritto alla proprietà o alla relativa eredità. Questo potrebbe spiegare la ragione per cui Rachele prese i terafim del padre e la preoccupazione di Labano di ritrovarli. — Ge 31:14-16, 19, 25-35.
Egitto. Nella Bibbia la descrizione più particolareggiata dell’Egitto è quella relativa alla presenza di Giuseppe e al successivo arrivo e soggiorno dell’intera famiglia di Giacobbe nel paese. Le scoperte archeologiche dimostrano che questa descrizione è estremamente accurata, e non avrebbe ragionevolmente potuto essere opera di uno scrittore vissuto in epoca molto più tarda (come alcuni critici hanno cercato di insinuare a proposito dello scrittore di questa parte di Genesi). Riguardo allo scrittore della storia di Giuseppe è stato osservato: “Ricorre al corretto titolo in uso ed esattamente com’era usato nel periodo in questione, e, dove non c’è un equivalente ebraico, semplicemente adotta il termine egiziano e lo traslittera in ebraico”. (J. G. Duncan, New Light on Hebrew Origins, 1936, p. 174) I nomi egiziani, la posizione di Giuseppe, economo della casa di Potifar, le case di prigionia, i titoli “capo dei coppieri” e “capo dei panettieri”, l’importanza attribuita dagli egiziani ai sogni, l’usanza dei panettieri egiziani di portare ceste di pane sulla testa (Ge 40:1, 2, 16, 17), l’incarico di primo ministro e amministratore annonario concesso a Giuseppe dal faraone, il modo in cui fu investito di tali poteri, l’avversione degli egiziani per i pastori di pecore, la grande influenza dei maghi alla corte egiziana, il soggiorno degli israeliti nella terra di Gosen, le usanze funerarie egiziane: tutti questi particolari e altri ancora descritti nella Bibbia sono chiaramente convalidati dagli scavi archeologici effettuati in Egitto. — Ge 39:1–47:27; 50:1-3.
A Karnak (l’antica Tebe), lungo il Nilo, sulla parete S di un grande tempio c’è un’iscrizione a conferma della campagna di Palestina di Sisac (Sheshonk I) re d’Egitto, descritta in 1 Re 14:25, 26 e 2 Cronache 12:1-9. Il gigantesco rilievo che ne descrive le vittorie raffigura 156 prigionieri palestinesi ammanettati, ciascuno in rappresentanza di una città o villaggio, il cui nome è indicato nei geroglifici. Fra i nomi identificabili ci sono quelli di Rabbit (Gsè 19:20), Taanac, Bet-Sean e Meghiddo (dov’è stata rinvenuta parte di una stele o colonna con iscrizioni di Sisac) (Gsè 17:11), Sunem (Gsè 19:18), Reob (Gsè 19:28), Afaraim (Gsè 19:19), Gabaon (Gsè 18:25), Bet-Oron (Gsè 21:22), Aialon (Gsè 21:24), Soco (Gsè 15:35) e Arad (Gsè 12:14). È elencato fra le sue conquiste perfino il “Campo di Abramo”, e questo è il più antico riferimento ad Abraamo in documenti egiziani. Pure nella zona fu rinvenuto un monumento di Merneptah, figlio di Ramses II, con un inno in cui compare l’unica menzione del nome Israele in antichi testi egiziani.
A Tell el-Amarna, circa 270 km a S del Cairo, una contadina trovò per caso delle tavolette d’argilla che portarono alla scoperta di numerosi documenti in accadico provenienti dagli archivi reali di Amenofi III e di suo figlio Ekhnaton. Le 379 tavolette pubblicate comprendono la corrispondenza inviata al faraone dai principi vassalli di numerose città-stato della Siria e della Palestina, fra cui alcune lettere del governatore di Urusalim (Gerusalemme), e rivelano un quadro di violente faide e intrighi del tutto concorde con la descrizione che ne fanno le Scritture. Gli “habiru”, contro i quali in queste lettere si levano numerose proteste, sono stati messi da alcuni in relazione con gli ebrei, ma le testimonianze indicano che si trattava invece di vari popoli nomadi che occupavano un infimo rango nella società dell’epoca. — Vedi EBREO (Gli “habiru”).
A Elefantina, nome greco dell’isola del Nilo all’estremo S dell’Egitto (presso Assuan), si stabilì una colonia ebraica dopo la caduta di Gerusalemme nel 607 a.E.V. Nel 1903 vi furono scoperti numerosissimi documenti scritti in aramaico, principalmente su papiro, che risalgono al V secolo a.E.V. e all’epoca dell’impero medo-persiano. I documenti fanno menzione di Sanballat, governatore di Samaria. — Ne 4:1.
Senza dubbio le più importanti scoperte fatte in Egitto sono state quelle di frammenti papiracei e parti di libri biblici, sia delle Scritture Ebraiche che di quelle Greche, che risalgono fino al II secolo a.E.V. Grazie al clima asciutto e al terreno sabbioso l’Egitto è un posto ideale per la conservazione di documenti papiracei. — Vedi MANOSCRITTI DELLA BIBBIA.
Palestina e Siria. In queste regioni si sono compiuti scavi in circa 600 località databili. Molti dei dati ottenuti sono generici e sostengono la Bibbia nel suo complesso più che riferirsi specificamente a determinati particolari o avvenimenti. Per esempio, in passato si era cercato di screditare la storia biblica della completa desolazione di Giuda durante la cattività babilonese. Ma gli scavi nell’insieme confermano la Bibbia. Infatti W. F. Albright dichiara: “Non si conosce un solo caso in cui una città di Giuda sia stata occupata in continuità durante il periodo dell’esilio. Quasi a rendere più chiaro il contrasto, Bethel, che sorge subito fuori di quello che era il confine settentrionale di Giuda all’epoca pre-esilica, non venne distrutta nel periodo di tempo che consideriamo, ma venne ininterrottamente occupata fin verso gli ultimi anni del VI secolo”. — L’archeologia in Palestina, trad. di M. Bizzarri, Firenze, 1958, p. 181.
A Bet-San (Bet-Sean), antica città fortificata che difendeva l’entrata della valle di Izreel da E, furono compiuti importanti scavi che portarono alla luce 18 diversi livelli di occupazione e richiesero di scendere a una profondità di oltre 21 m. (STRATIGRAFIA, vol. 1, p. 959) Le Scritture mostrano che Bet-San non era fra le città occupate in origine dagli israeliti e che al tempo di Saul era abitata dai filistei. (Gsè 17:11; Gdc 1:27; 1Sa 31:8-12) Gli scavi confermano queste informazioni e fanno risalire la distruzione di Bet-San a qualche tempo dopo che i filistei avevano catturato l’arca del patto. (1Sa 4:1-11) Di particolare interesse è stata la scoperta di templi cananei a Bet-San. In 1 Samuele 31:10 si legge che i filistei misero l’armatura del re Saul “nella casa delle immagini di Astoret, e fissarono il suo cadavere alle mura di Bet-San”, mentre in 1 Cronache 10:10 si legge: “Misero la sua armatura nella casa del loro dio, e il suo teschio lo fissarono alla casa di Dagon”. Due dei templi scoperti erano dello stesso periodo e uno risulta essere stato il tempio di Astoret, mentre l’altro si ritiene fosse quello di Dagon, in armonia con i versetti citati sopra in quanto all’esistenza di due templi a Bet-San.
Ezion-Gheber era la città portuale di Salomone sul golfo di ʽAqaba. Forse corrisponde all’attuale Tell el-Kheleifeh dove nel 1937-1940 si effettuarono scavi che hanno rivelato tracce di un impianto per la fusione del rame; infatti scorie di rame e frammenti di minerale sono stati ritrovati in un tell della zona. Tuttavia in un articolo apparso su The Biblical Archaeologist (1965, p. 73), l’archeologo Nelson Glueck ha completamente ridimensionato le sue precedenti conclusioni. La sua idea che ci fosse stato un sistema di “altiforni” per la fusione si basava sulla scoperta, nell’edificio principale, di quelli che vennero ritenuti “camini”. Egli è poi giunto alla conclusione che quei fori nelle pareti dell’edificio siano il risultato del “crollo e/o incendio delle travi di legno poste trasversalmente per tutta l’ampiezza delle pareti come rinforzo e sostegno”. L’edificio precedentemente ritenuto una fonderia ora si pensa che fosse un magazzino di granaglie. Pur ritenendo ancora che vi si svolgessero attività metallurgiche, queste non sono più viste nelle proporzioni immaginate in precedenza. Ciò sottolinea il fatto che i dati archeologici dipendono principalmente dall’interpretazione soggettiva dell’archeologo, interpretazione che non è mai infallibile. La Bibbia stessa non parla di industrie del rame a Ezion-Gheber, mentre descrive la fusione di oggetti di rame solo in una località della valle del Giordano. — 1Re 7:45, 46.
All’epoca di Giosuè Hazor in Galilea fu descritta come “il capo di tutti questi regni”. (Gsè 11:10) Gli scavi effettuati hanno mostrato che la città un tempo aveva un’estensione di circa 60 ettari ed era molto popolata, cosa che la rendeva una delle principali città della regione. Salomone fortificò la città, e da testimonianze dell’epoca pare vi si tenessero i carri da guerra. — 1Re 9:15, 19.
A Gerico si sono compiuti scavi nel corso di tre diverse spedizioni (1907-1909; 1930-1936; 1952-1958) e le successive interpretazioni dei reperti dimostrano ancora una volta che l’archeologia, come altri campi della scienza umana, non fornisce informazioni definitive. Ognuna delle tre spedizioni ha pubblicato dei dati arrivando però a conclusioni diverse circa la storia della città e in particolare circa la data della sua resa agli israeliti vincitori. Ad ogni modo si può dire che una comparazione dei risultati presenta il seguente quadro generale: “Durante il secondo millennio a.C., la città subì una terribile distruzione o una serie di distruzioni, e rimase praticamente disabitata per generazioni”. (G. E. Wright, Biblical Archaeology, 1962, p. 78) La distruzione fu accompagnata da un violento incendio, come risulta dagli scavi. — Cfr. Gsè 6:20-26.
A Gerusalemme nel 1867 è stata scoperta un’antica galleria per l’acqua, che dalla sorgente di Ghihon risale la collina retrostante. (Vedi GHIHON n. 2). Questo può spiegare quanto riferito in 2 Samuele 5:6-10 circa la conquista della città da parte di Davide. Nel 1909-1911 fu sgombrato l’intero sistema di gallerie collegato con la sorgente di Ghihon. Una galleria, nota come tunnel di Siloam, era alta in media 1,8 m e consisteva in un traforo scavato nella roccia per 533 m, da Ghihon fino alla Piscina di Siloam nella valle del Tiropeon (all’interno della città). Questa sarebbe dunque l’impresa del re Ezechia menzionata in 2 Re 20:20 e 2 Cronache 32:30. Di grande interesse è l’iscrizione in caratteri paleoebraici rinvenuta sulla parete del tunnel, che descrive come era avvenuto il traforo e la sua lunghezza. Questa iscrizione serve per datare altre iscrizioni ebraiche.
Lachis, 44 km a OSO di Gerusalemme, era un’importante fortezza che difendeva la regione collinare della Giudea. In Geremia 34:7 il profeta parla degli eserciti di Nabucodonosor che combattevano contro “Gerusalemme e contro tutte le città di Giuda che erano state lasciate rimanere, contro Lachis e contro Azeca; poiché esse, le città fortificate, erano quelle che rimanevano fra le città di Giuda”. Gli scavi compiuti sul posto hanno rivelato che Lachis venne distrutta due volte dal fuoco nel giro di pochi anni, si ritiene nei due attacchi effettuati dai babilonesi (618-617 e 609-607 a.E.V.), e che dopo rimase disabitata per un lungo periodo.
Tra i resti del secondo incendio furono rinvenuti 21 ostraca (frammenti di terracotta con iscrizioni), che si ritiene rappresentino corrispondenza tenuta poco prima della distruzione della città nel corso dell’attacco finale di Nabucodonosor. Noti come Lettere di Lachis, questi scritti rispecchiano un periodo di crisi e inquietudine e sembrano inviati dagli ultimi avamposti di Giuda a Iaos, un comandante militare di stanza a Lachis. (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 325) La lettera IV contiene la dichiarazione: “Faccia YHWH [cioè Geova] udire fin d’ora al mio signore notizie di bene. . . . stiamo attenti ai segnali luminosi di Lachis, secondo tutte le indicazioni che dà il mio signore, perché non vediamo Azeca”. Questo brano rispecchia in modo eccezionale la situazione descritta in Geremia 34:7, citato sopra, e a quanto pare indica che Azeca era già caduta o per lo meno non inviava gli attesi segnali mediante fuoco o fumo.
La lettera III, scritta da “Osaia”, include quanto segue: “Faccia YHWH [cioè Geova] udire al mio signore notizie di pace. . . . Così è stato comunicato al tuo servitore: ‘Il comandante dell’esercito, Conia figlio di Elnatan, è sceso per andare in Egitto e da Odavia figlio di Ahia e ha inviato i suoi uomini per ottenere da lui [rifornimenti]’”. Questo brano potrebbe benissimo descrivere il fatto che Giuda si rivolse all’Egitto per avere aiuto, fatto condannato dai profeti. (Ger 46:25, 26; Ez 17:15, 16) I nomi Elnatan e Osaia, che compaiono nel testo completo di questa lettera, si trovano anche in Geremia 36:12 e 42:1. Altri nomi che compaiono nelle lettere menzionati anche nel libro di Geremia sono: Ghemaria (36:10), Neria (32:12) e Iaazania (35:3). Non si può dire se si riferiscano in ogni caso allo stesso personaggio, ma la coincidenza è di per sé degna di nota dato che Geremia visse in quel periodo.
Particolarmente interessante è l’uso frequente del Tetragramma in queste lettere: una chiara indicazione che in quel tempo gli ebrei non erano riluttanti a usare il nome divino. Pure interessante è l’impronta di un sigillo su argilla che si riferisce a “Ghedalia che è capo della casa”. Ghedalia era il nome del governatore di Giuda nominato da Nabucodonosor dopo la caduta di Gerusalemme e molti ritengono probabile che l’impronta del sigillo si riferisca a lui. — 2Re 25:22; cfr. Isa 22:15; 36:3.
Meghiddo era una cittadella situata in un punto strategico che dominava un importante passo della valle di Izreel. Fu ricostruita da Salomone ed è menzionata insieme alle città del suo regno in cui erano sistemati i magazzini e i carri da guerra. (1Re 9:15-19) Gli scavi compiuti sul posto (Tell el-Mutesellim), una collinetta di 5,3 ettari, portarono alla luce quelle che alcuni studiosi (ma non tutti) ritengono scuderie capaci di accogliere 450 cavalli. In un primo tempo queste strutture venivano fatte risalire all’epoca di Salomone, ma poi gli studiosi le hanno attribuite a un periodo successivo, forse al tempo di Acab.
La Stele moabita fu una delle prime scoperte importanti fatte nella zona a E del Giordano. (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 325) Scoperta nel 1868 a Dhiban, a N della valle dell’Arnon, presenta la versione del re moabita Mesa della sua ribellione contro Israele. (Cfr. 2Re 1:1; 3:4, 5). L’iscrizione dice in parte: “Io (sono) Mesa, figlio di Chemos-[. . .], re di Moab, il dibonita . . . Omri, re d’Israele, umiliò Moab per molti anni (lett. giorni), poiché Chemos [il dio di Moab] era adirato contro il suo paese. E suo figlio lo seguì e anche lui disse: ‘Umilierò Moab’. Ai miei giorni parlò [così], ma io ho trionfato su di lui e sulla sua casa, e Israele è perito per sempre! . . . E Chemos mi disse: ‘Va’, porta via Nebo da Israele!’ Così andai di notte e combattei contro di essa dall’alba fino a mezzogiorno, e la presi e uccisi tutti . . . E portai via di là i [vasi] di Yahweh, e li trascinai davanti a Chemos”. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, p. 320) Quindi la stele non solo menziona il nome di Omri re d’Israele ma, nella 18ª riga, contiene anche il nome di Dio sotto forma del Tetragramma.
La Stele moabita menziona anche numerose località di cui si parla nella Bibbia: Atarot e Nebo (Nu 32:34, 38); l’Arnon, Aroer, Medeba e Dibon (Gsè 13:9); Bamot-Baal, Bet-Baal-Meon, Iaaz e Chiriataim (Gsè 13:17-19); Bezer (Gsè 20:8); Oronaim (Isa 15:5); Bet-Diblataim e Cheriot (Ger 48:22, 24). Quindi conferma la storicità di tutti questi luoghi.
Ras Shamra (l’antica Ugarit), sulla costa della Siria settentrionale di fronte a Cipro, ha fornito dati su un culto molto simile a quello praticato in Canaan, che includeva dèi e dee, templi, prostituzione “sacra”, riti, sacrifici e preghiere. Fra un tempio di Baal e un altro tempio dedicato a Dagon fu scoperta una stanza che conteneva una biblioteca di centinaia di testi religiosi ritenuti del XV e dell’inizio del XIV secolo a.E.V. I testi mitologici in poesia rivelano molte cose delle divinità cananee El, Baal e Asheràh, e della degradante forma di idolatria che accompagnava il loro culto. Merrill F. Unger osserva: “La letteratura epica ugaritica ha contribuito a rivelare la profonda corruzione che caratterizzava la religione cananea. Essendo un tipo di politeismo estremamente degradato, era caratterizzato da riti barbari e assolutamente dissoluti”. (Archaeology and the Old Testament, 1964, p. 175) Questi testi si distinguono per un tipo di scrittura cuneiforme alfabetica prima sconosciuta (diversa dalla scrittura cuneiforme accadica), che segue lo stesso ordine dell’ebraico ma con l’aggiunta di altre lettere per un totale di 30. Sono state ritrovate anche immagini di Baal e di altri dèi. (Vedi DEI E DEE [Divinità cananee]). Come a Ur, è stata rinvenuta una scure da guerra d’acciaio.
Samaria, la ben fortificata capitale del regno settentrionale d’Israele, era costruita su un colle che si elevava di circa 90 m sul fondovalle. La sua capacità di resistere a lunghi assedi, come quello descritto in 2 Re 6:24-30 posto dalla Siria, e quello di 2 Re 17:5 da parte del potente esercito assiro, è dimostrata dai resti di solide doppie mura, che in alcuni punti formavano un baluardo largo 10 m. Il muro di pietra scoperto sul posto, ritenuto dell’epoca dei re Omri, Acab e Ieu, è di eccezionale fattura. Quello che sembra il piazzale del palazzo misura circa 180 m per 90. Frammenti, placche e pannelli d’avorio scoperti in gran quantità nell’area del palazzo potevano appartenere alla casa d’avorio di Acab menzionata in 1 Re 22:39. (Cfr. Am 6:4). Sulla sommità, nell’angolo nordoccidentale, è stata scoperta una grande piscina cementata lunga circa 10 m e larga 5. Potrebbe trattarsi della “piscina di Samaria”, in cui fu lavato il carro di Acab sporco del suo sangue. — 1Re 22:38.
Interessanti sono pure 63 cocci con iscrizioni a inchiostro (ostraca) che si pensa risalgano all’VIII secolo a.E.V. Ricevute della spedizione di vino e olio inviati a Samaria da altre città rivelano un sistema israelita di scrivere i numeri con tratti verticali, orizzontali e obliqui. Una ricevuta tipo dice quanto segue:
Nel decimo anno.
A Gaddiyau [probabilmente l’amministratore del tesoro].
Da Aza [forse il villaggio o distretto che inviava il vino o l’olio].
Abi-baʽal 2
Acaz 2
Seba 1
Meribaʽal 1
Queste ricevute rivelano inoltre il frequente uso del nome Baal come parte dei nomi propri; circa 7 nomi propri includono questo nome ogni 11 che contengono qualche forma del nome Geova, probabilmente a indicare l’infiltrazione del culto di Baal descritta nella Bibbia.
La Bibbia parla della distruzione di Sodoma e Gomorra mediante il fuoco e dell’esistenza di pozzi di bitume (asfalto) nella regione. (Ge 14:3, 10; 19:12-28) Molti studiosi ritengono che le acque del Mar Morto siano salite nel passato estendendone notevolmente l’estremità S e coprendo così quella che poteva essere la zona in cui sorgevano le due città. Le esplorazioni rivelano che è una regione arsa ricca di idrocarburi. Il libro di Jack Finegan, Luci del lontano passato (trad. di G. Cambon, Milano, 1957, pp. 125, 126), afferma: “Un attento esame dei dati letterari, geologici e archeologici ci fa concludere che le empie ‘città della Pianura’ (Genesi 19:29) sorgessero nella zona ora sommersa . . . e che la loro rovina fosse compiuta da un grande terremoto, probabilmente accompagnato da esplosioni, fulmini, incendio di gas naturali e conflagrazione generale”. — Vedi anche SODOMA.
L’archeologia e le Scritture Greche Cristiane. Che Gesù si sia servito di un denaro con l’effigie di Tiberio Cesare (Mr 12:15-17) è confermato dalla scoperta di un denaro d’argento con l’effigie di Tiberio, posto in circolazione verso il 15 E.V. (ILLUSTRAZIONE, vol. 2, p. 544) (Cfr. Lu 3:1, 2). Il fatto che Ponzio Pilato fosse allora procuratore romano della Giudea è pure dimostrato da una lapide scoperta a Cesarea in cui compaiono i nomi latini Pontius Pilatus e Tiberieum. — Vedi PILATO; ILLUSTRAZIONE, vol. 2, p. 741.
Gli Atti degli Apostoli, che forniscono la chiara evidenza di essere stati scritti da Luca, contengono numerosi riferimenti a città e relative province e a funzionari di diverso grado con vari titoli, in carica in una data particolare, tutti riferimenti suscettibili di errore da parte dello scrittore. (Vedi anche Lu 3:1, 2). Eppure l’archeologia ha dimostrato in modo rimarchevole l’accuratezza di Luca. Infatti, in Atti 14:1-6, Luca pone Listra e Derbe nella Licaonia ma fa capire che Iconio era in un’altra regione. Alcuni scrittori romani, fra cui Cicerone, menzionarono Iconio come se fosse in Licaonia. Tuttavia un monumento scoperto nel 1910 mostra che Iconio era considerata in effetti una città della Frigia e non della Licaonia.
Similmente un’iscrizione scoperta a Delfi conferma che Gallione era proconsole dell’Acaia, presumibilmente nel 51-52 E.V. (At 18:12) Diciannove iscrizioni che risalgono al periodo che va dal II secolo a.E.V. al III secolo E.V. confermano la correttezza di Luca nell’usare il titolo “capi della città” (politàrches, sing.) parlando delle autorità di Tessalonica (At 17:6, 8), e cinque di queste iscrizioni menzionano proprio questa città. (Vedi CAPI DELLA CITTÀ). Pure corretto è il riferimento a Publio, “l’uomo principale” (pròtos) di Malta (At 28:7); questo era l’esatto titolo in uso, com’è indicato dalla sua presenza in due iscrizioni maltesi, una in latino e una in greco. Testi di magia sono stati ritrovati a Efeso, e anche il tempio di Artemide (At 19:19, 27); qui gli scavi hanno riportato alla luce un teatro capace di accogliere 25.000 persone e delle iscrizioni che menzionano “commissari delle feste e dei giochi”, come quelli intervenuti a favore di Paolo, e pure un “cancelliere”, come quello che placò la turba nella stessa occasione. — At 19:29-31, 35, 41.
Alcune di queste scoperte spinsero uno studioso a scrivere a proposito dell’accuratezza di Luca: “Si dovrebbe, naturalmente, riconoscere che l’archeologia moderna ha quasi costretto i critici di S. Luca a emettere un verdetto di notevole accuratezza in tutte le sue allusioni a fatti e avvenimenti secolari”. — A New Commentary on Holy Scripture, a cura di Gore, Goudge e Guillaume, 1929, p. 210.
Valore relativo dell’archeologia. L’archeologia ha fornito informazioni utili che hanno contribuito all’identificazione (spesso provvisoria) di luoghi biblici, alla scoperta di documenti scritti che hanno consentito una migliore comprensione delle lingue originali in cui fu scritta la Bibbia, e ha fatto luce sulle condizioni di vita e le attività di sovrani e popoli antichi menzionati nelle Scritture. Eppure, per quanto riguarda l’autenticità e l’attendibilità della Bibbia, e anche la fede in essa, nei suoi insegnamenti e nella sua rivelazione dei propositi e delle promesse di Dio, bisogna dire che l’archeologia dà un contributo non essenziale e una conferma non necessaria della veracità della Parola di Dio. Come dice l’apostolo Paolo: “La fede è la sicura aspettazione di cose sperate, l’evidente dimostrazione di realtà benché non vedute. Per fede comprendiamo che i sistemi di cose furono posti in ordine dalla parola di Dio, per cui ciò che si vede è sorto da cose che non appaiono”. (Eb 11:1, 3) “Camminiamo per fede, non per visione”. — 2Co 5:7.
Ciò non significa che la fede del cristiano non abbia alcuna base in quello che si può vedere né che riguardi solo l’intangibile. È vero anzi che in ogni periodo ed epoca gli uomini hanno avuto in ciò che li circonda, e anche in loro stessi e nelle proprie esperienze, prove atte a convincerli che la Bibbia è la vera fonte della rivelazione divina e non contiene nulla che non sia in armonia con i fatti dimostrabili. (Ro 1:18-23) La conoscenza del passato alla luce delle scoperte archeologiche è interessante e apprezzata, ma non indispensabile. Solo la conoscenza del passato alla luce della Bibbia è essenziale e veramente fidata. La Bibbia, con o senza l’archeologia, dà vero senso al presente e illumina il futuro. (Sl 119:105; 2Pt 1:19-21) La fede che ha bisogno di essere rafforzata e sostenuta da mattoni sgretolati, vasi rotti e mura cadenti è davvero una fede debole.
Incertezza delle conclusioni. Anche se le scoperte archeologiche a volte hanno dato una risposta appropriata a quelli che cavillavano sulla Bibbia o mettevano in dubbio la storicità di certi avvenimenti, e hanno contribuito ad aprire la mente delle persone sincere eccessivamente impressionate dagli argomenti dei critici, l’archeologia non ha però messo a tacere i critici stessi né è un fondamento veramente solido su cui basare la propria fede nella Bibbia. Le conclusioni tratte sulla base di gran parte degli scavi compiuti sono principalmente frutto del ragionamento deduttivo e induttivo del ricercatore che, un po’ come un detective, costruisce la sua tesi. Tuttora se un detective scopre e raccoglie una quantità di indizi e prove materiali, una tesi basata unicamente su prove del genere, non confermate da testimoni degni di fede direttamente interessati alla questione, in tribunale sarebbe considerata una tesi molto debole. Le sentenze basate unicamente su simili prove hanno provocato grossi errori e ingiustizie. Tanto maggiore è il rischio quando fra l’investigazione e l’epoca dell’avvenimento sono intercorsi 2.000 o 3.000 anni.
Un archeologo ha fatto un paragone simile: “Basta pensare come sarebbe difficile il compito di futuri archeologi se dovessero ricostruire il rituale, i dogmi e le dottrine delle chiese cristiane unicamente dalle rovine degli edifici ecclesiastici, senza l’aiuto di alcuna iscrizione o documento scritto. Ecco dunque il paradosso che l’archeologia, l’unico metodo per investigare il passato dell’uomo in assenza di documenti scritti, diventa sempre meno efficace come mezzo di ricerca più si avvicina a quegli aspetti della vita umana che sono più specificamente umani”. — R. J. C. Atkinson, Stonehenge, Londra, 1956, p. 167.
A complicare ulteriormente la cosa sta il fatto che, oltre l’ovvia incapacità di mettere a fuoco con un’accuratezza che non sia solo approssimativa gli avvenimenti del lontano passato, e per quanto si sforzino di conservare un punto di vista obiettivo nel considerare ogni scoperta, gli archeologi, come gli altri scienziati, sono comunque soggetti a errori umani, preferenze e ambizioni personali, che possono essere alla base di ragionamenti tutt’altro che infallibili. Mettendo in risalto il problema, il professor W. F. Albright osserva: “D’altra parte, è pericoloso tentare nuove scoperte e punti di vista inediti a discapito del più solido lavoro di un tempo. Ciò è particolarmente vero in campi come l’archeologia e la geografia biblica, dove è così difficile essere padroni degli strumenti e dei metodi di ricerca che c’è sempre la tentazione di abbandonare un metodo solido, sostituendo abili combinazioni e brillanti congetture a un lavoro più lento e più sistematico”. — The Westminster Historical Atlas to the Bible, a cura di G. E. Wright, 1956, p. 9.
Differenze di datazione. Nel considerare le date attribuite dagli archeologi alle loro scoperte è importante tener conto anche di questo problema. A riprova di ciò è stato detto: “Per esempio, Garstang fissa la data della caduta di Gerico al 1400 a.C. ca. . . . ; Albright accetta la data del 1290 a.C. ca. . . . ; Hugues Vincent, il celebre archeologo palestinese, sostiene la data del 1250 a.C. . . . ; mentre H. H. Rowley considera Ramses II il Faraone dell’Oppressione, e l’Esodo avvenuto sotto il suo successore Marniptah [Merneptah] verso il 1225 a.C.”. (M. F. Unger, Archaeology and the Old Testament, p. 164, nt. 15) Pur sostenendo l’attendibilità di analisi e procedimenti archeologici moderni, W. F. Albright riconosce che “riesce ancora assai difficile ai non specializzati di orientarsi fra le contraddittorie datazioni e conclusioni degli archeologi”. — L’archeologia in Palestina, cit., p. 319.
È vero che si è ricorsi al metodo del radiocarbonio e ad altri metodi moderni per datare i reperti archeologici. Ma questo metodo non è del tutto accurato, com’è evidente dalla seguente dichiarazione di G. Ernest Wright: “Si noti che il nuovo metodo di datare antichi resti mediante il carbonio 14 non è risultato scevro di errori come si era sperato. . . . Certe valutazioni hanno ovviamente prodotto risultati sbagliati, probabilmente per svariate ragioni. Per il momento si può fare completo affidamento sui risultati ottenuti solo quando diverse valutazioni hanno dato risultati essenzialmente identici e quando la data sembra corretta secondo altri metodi di calcolo [il corsivo è nostro]”. (The Biblical Archaeologist, 1955, p. 46) Più recentemente un’enciclopedia (The New Encyclopædia Britannica, Macropædia, 1976, vol. 5, p. 508) ha affermato: “Qualunque sia la causa, . . . è chiaro che le date basate sul carbonio 14 non sono accurate come gli storici tradizionali vorrebbero”. — Vedi CRONOLOGIA (Archeologia e datazione).
Valore relativo delle iscrizioni. Migliaia e migliaia di antiche iscrizioni sono state ritrovate e interpretate. Albright afferma: “I documenti scritti costituiscono di gran lunga la più importante singola massa di materiale scoperto dagli archeologi. È quindi estremamente importante farsi una chiara idea del loro carattere e della nostra capacità di interpretarli”. (The Westminster Historical Atlas of the Bible, cit., p. 11) Le iscrizioni possono essere su frammenti di terracotta, tavolette di argilla, papiro, o scolpite nel granito. Qualunque sia il materiale, le informazioni devono prima essere soppesate e vagliate per stabilirne il valore e l’attendibilità. Errori o assolute falsità possono essere, e spesso sono state, scritte su pietra come su carta. — Vedi CRONOLOGIA (Cronologia biblica e storia secolare); SARGON.
Per esempio, la Bibbia afferma che Sennacherib re d’Assiria fu ucciso da due figli, Adrammelec e Sarezer, e che un altro figlio, Esar-Addon, gli succedette sul trono. (2Re 19:36, 37) Eppure una cronaca babilonese affermava che, il 20º giorno del mese di tebet, Sennacherib fu ucciso da suo figlio durante una rivolta. Sia Beroso, sacerdote babilonese del III secolo a.E.V., che Nabonedo, re di Babilonia del VI secolo a.E.V., danno la stessa versione, secondo cui Sennacherib fu assassinato da uno solo dei figli. Ma in un frammento del Prisma di Esar-Addon scoperto più di recente, il figlio succeduto a Sennacherib afferma chiaramente che i suoi fratelli (plurale) si ribellarono e uccisero il padre e poi si diedero alla fuga. A questo proposito è stato detto: “La Cronaca babilonese, Nabonedo e Beroso erano in errore; solo la narrazione biblica si è dimostrata corretta. È stata confermata in tutti i minimi particolari dall’iscrizione di Esar-Addon e a proposito di questo avvenimento della storia assiro-babilonese si è dimostrata più accurata delle stesse fonti babilonesi. Questo è un fatto della massima importanza per la valutazione anche di fonti contemporanee non d’accordo con la tradizione biblica”. — P. Biberfeld, Universal Jewish History, 1948, vol. I, p. 27.
Problemi di decifrazione e traduzione. Il cristiano dev’essere cauto prima di accettare senza obiezione l’interpretazione delle numerose iscrizioni scoperte nelle diverse lingue antiche. In alcuni casi, come quello della Stele di Rosetta e dell’iscrizione di Bisutun, i decifratori hanno potuto approfondire notevolmente una lingua fino ad allora sconosciuta grazie a scritti paralleli in quella e in un’altra lingua nota. Ma non bisogna aspettarsi che ciò aiuti a risolvere tutti i problemi o consenta una piena comprensione della lingua con tutte le sue sfumature ed espressioni idiomatiche. Anche la comprensione delle fondamentali lingue bibliche, ebraico, aramaico e greco, ha fatto notevoli passi avanti negli ultimi tempi e queste lingue sono ancora oggetto di studio. In quanto all’ispirata Parola di Dio, possiamo giustamente aspettarci che l’Autore della Bibbia ci permetta di avere il corretto intendimento del suo messaggio grazie alle traduzioni disponibili nelle lingue moderne. Altrettanto non può dirsi, invece, degli scritti non ispirati delle nazioni pagane.
Per illustrare la necessità di essere cauti, e spiegare ancora una volta che l’obiettività nell’affrontare i problemi che si incontrano nel decifrare antiche iscrizioni spesso non è così rispettata come si potrebbe pensare, basta esaminare Il libro delle rupi: alla scoperta dell’impero degli Ittiti di C. W. Ceram (trad. di P. Bernardini Marzolla, Torino, 1955, pp. 125-129), che riporta le seguenti informazioni su un eminente assiriologo che contribuì alla decifrazione della lingua “ittita”: “Il suo lavoro è veramente prodigioso: tanta era l’intelligenza con cui si mescolavano e si intrecciavano in esso errori veri e propri e notevoli scoperte, . . . e c’erano in lui errori motivati con tanto acume, che occorsero decenni per poterli individuare e sopprimere. È assolutamente impossibile seguire qui, sia pure nelle linee più generali, il processo del suo pensiero così traboccante di erudizione filologica”. Lo scrittore descrive poi la testardaggine di questo studioso che non rivedeva mai le proprie tesi: solo dopo molti anni acconsentì ad apportare alcune correzioni, ma a quelle che risultarono essere poi le interpretazioni giuste! A proposito della violenta polemica, piena di recriminazioni personali, fra questo studioso e un altro esperto di scrittura geroglifica “ittita”, l’autore osserva come questo “fanatismo costituisse . . . la forza motrice che animava gli scienziati”. Perciò, anche se il tempo e lo studio hanno eliminato molti errori nella comprensione delle iscrizioni antiche, facciamo bene a renderci conto che ulteriori ricerche porteranno probabilmente altre correzioni.
La superiorità della Bibbia quale fonte di conoscenza fidata, di informazioni veraci, e quale guida sicura è messa in risalto da questi fattori. Essendo una raccolta di documenti scritti, la Bibbia ci dà il quadro più chiaro del passato dell’uomo e ci è giunta non grazie agli scavi, ma essendo preservata dal suo Autore stesso, Geova Dio. È “vivente ed esercita potenza” (Eb 4:12), ed è la “parola dell’Iddio vivente e permanente”. “Ogni carne è come l’erba, e tutta la sua gloria è come il fiore dell’erba; l’erba si secca e il fiore cade, ma la parola di Geova dura per sempre”. — 1Pt 1:23-25.