ILLUSTRAZIONI
La parola greca parabolè (accostamento, raffronto) ha un significato più ampio dei termini italiani “proverbio” e “parabola”. “Illustrazione” è un termine più generico, fra i cui significati sono da includersi “parabola” e in molti casi “proverbio”. Un “proverbio” racchiude una verità espressa con linguaggio vivace, spesso metaforico, e una “parabola” è un paragone o una similitudine, una breve narrazione, di solito immaginaria, da cui si ricava una morale o una verità spirituale.
Che le Scritture usino il termine parabolè in senso più ampio del termine italiano “parabola” è indicato da Matteo 13:34, 35, dove, parlando di Gesù Cristo, Matteo fa notare che era stato predetto che avrebbe parlato mediante “illustrazioni” (NM), in “parabole” (CEI, VR). Salmo 78:2, citato a questo riguardo da Matteo, fa riferimento a “un’espressione proverbiale” (ebr. mashàl), termine che lo scrittore del Vangelo traduce col greco parabolè. Come implica il significato letterale del termine greco, la parabolè serviva per insegnare o comunicare un’idea, per spiegare una cosa facendo un “accostamento” con un’altra simile. (Cfr. Mr 4:30). Quasi tutte le versioni italiane usano semplicemente la forma italianizzata “parabola” per rendere il termine greco. Tuttavia questa traduzione non sempre rende pienamente l’idea.
Per esempio, in Ebrei 9:9 e 11:19 quasi tutte le traduzioni trovano necessario ricorrere ad altre espressioni per rendere il termine parabolè. Nel primo caso il tabernacolo, o tenda, usato da Israele nel deserto è definito dall’apostolo Paolo “un’illustrazione [parabolè; “figura”, CEI; “immagine”, PS; “simbolo”, PIB] per il tempo fissato”. Nel secondo caso l’apostolo dice che Abraamo ricevette Isacco dai morti “in modo illustrativo” (NM) (en parabolèi, “come un simbolo”, CEI; “quasi in figura”, Ga). Anche il detto “medico, cura te stesso” è definito una parabolè. (Lu 4:23) In considerazione di ciò, un termine più generico come “illustrazione” (NM) permette di rendere in modo coerente parabolè in tutti i casi.
Un altro termine analogo è “allegoria” (gr. allegorìa), una lunga metafora in cui una serie di azioni rappresenta altre azioni, mentre i personaggi spesso sono tipi o personificazioni. In Galati 4:24, parlando di Abraamo, Sara e Agar, Paolo usa il verbo greco allegorèo (parlare allegoricamente), che viene tradotto “hanno un senso allegorico” (VR), “sono cose dette allegoricamente” (Mar), “costituiscono un dramma simbolico” (NM).
L’apostolo Giovanni usa anche un altro termine (paroimìa) nel senso di “paragone” (Gv 10:6; 16:25, 29); questo viene variamente tradotto “parabola”, “paragone”, “proverbio” e “similitudine” (Ga, NM, VR). Pietro usa lo stesso termine a proposito del “proverbio” del cane che torna al proprio vomito e della scrofa che si rivoltola nel fango. — 2Pt 2:22.
Efficacia. Le illustrazioni o parabole servono come efficace mezzo didattico in almeno cinque modi: (1) Colpiscono e tengono viva l’attenzione; poche cose suscitano interesse come un’esperienza o un racconto. Chi non conosce le illustrazioni del figlio prodigo e della pecora smarrita? (2) Stimolano la facoltà di pensare; uno dei migliori esercizi mentali è scoprire il significato di un paragone, per cogliere le verità astratte così presentate. (3) Fanno leva sui sentimenti e, dal momento che in genere le verità vengono applicate in maniera pratica, toccano la coscienza e il cuore dell’ascoltatore. (4) Aiutano a ricordare; in seguito si può ricostruire la storia e farne un’applicazione. (5) Preservano la verità, poiché sono sempre applicabili e comprensibili in qualunque momento ed epoca. Ciò avviene perché si basano sulle realtà della vita e della natura, mentre semplici parole possono cambiare significato. Questa è una delle ragioni per cui le verità della Bibbia conservano ancora tutta la loro freschezza, come all’epoca in cui furono pronunciate o scritte.
Scopi. Come si è già detto, lo scopo principale delle illustrazioni è quello di insegnare. Ma le illustrazioni della Bibbia si prefiggono anche altri obiettivi:
(1) Il fatto che a volte bisogna andare a fondo per afferrarne il pieno, profondo e toccante significato tende a scoraggiare coloro che non amano Dio e che mostrano un interesse solo superficiale, cioè quelli che non desiderano sinceramente conoscere la verità. (Mt 13:13-15) Dio non intende radunare persone del genere. Le illustrazioni spingevano gli umili a chiedere ulteriori spiegazioni, ma non gli orgogliosi. Gesù disse: “Chi ha orecchi ascolti”. Mentre la maggior parte delle folle, dopo aver sentito parlare Gesù, se ne andavano, i discepoli rimanevano per chiedergli spiegazioni. — Mt 13:9, 36.
(2) Le illustrazioni nascondono le verità a coloro che ne farebbero cattivo uso e che desiderano intrappolare i servitori di Dio. Gesù rispose alla domanda tranello dei farisei con l’illustrazione della moneta del tributo e concluse: “Rendete dunque a Cesare le cose di Cesare, ma a Dio le cose di Dio”. Lasciò che i nemici traessero le loro conclusioni; ma i discepoli di Gesù capirono benissimo il principio di neutralità enunciato. — Mt 22:15-21.
(3) Poiché sta all’ascoltatore applicare a se stesso i princìpi dell’illustrazione, questa può avere per lui un chiaro messaggio di avvertimento e di rimprovero, ma allo stesso tempo lo disarma, così che non ha motivo di prendersela con chi parla. Ovvero, ‘a buon intenditor, poche parole’. Quando i farisei criticarono Gesù perché mangiava con gli esattori di tasse e i peccatori egli rispose: “I sani non hanno bisogno del medico, ma quelli che stanno male sì. Andate, dunque, e imparate che cosa significa questo: ‘Voglio misericordia, e non sacrificio’. Poiché io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. — Mt 9:11-13.
(4) Anche quando vengono usate per impartire correzione, le illustrazioni possono servire ad allontanare i pregiudizi dell’ascoltatore, pregiudizi che ne offuscherebbero la mente, e permettere così di ottenere risultati migliori di quelli che si otterrebbero con una semplice affermazione. Tale fu il caso di Natan, che trovò un orecchio attento quando riprese il re Davide per il peccato riguardante Betsabea e Uria. (2Sa 12:1-14) Anche nel caso del malvagio re Acab un’illustrazione gli fece soppesare senza saperlo i princìpi che egli stesso aveva violato risparmiando disubbidientemente il re di Siria Ben-Adad, nemico di Dio, e gli fece emettere un giudizio a propria condanna. — 1Re 20:34, 38-43.
(5) Le illustrazioni possono stimolare ad agire in un senso o nell’altro, a mostrare quello che si è, a rivelare se si è veri servitori di Dio o no. Quando Gesù disse: “Chi si nutre della mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna”, “molti dei suoi discepoli se ne tornarono alle cose lasciate dietro e non camminavano più con lui”. In tal modo Gesù ‘vagliò’ quelli che non credevano di vero cuore. — Gv 6:54, 60-66.
Modo corretto di considerarle. Le illustrazioni bibliche presentano più di un aspetto. Espongono e chiariscono princìpi, e spesso hanno un’applicazione e un significato profetici. Alcune inoltre avevano significato profetico per il tempo in cui furono pronunciate o per un tempo di poco successivo, mentre altre dovevano avere un adempimento anche nel lontano futuro.
Generalmente ci sono due idee errate che possono impedire di comprendere le illustrazioni della Bibbia. Una è quella che tutte le illustrazioni non siano altro che belle storie, esempi o lezioni. Per alcuni la parabola del figlio prodigo è solo un brano di ottima letteratura; l’illustrazione del ricco e di Lazzaro un esempio del premio e della punizione dopo la morte.
A questo riguardo va notato che le illustrazioni, pur traendo spunto da elementi naturali e dalla vita reale, non sono necessariamente fatti realmente accaduti. Anche se certe illustrazioni iniziano con “Una volta”, “Un uomo aveva”, “C’era un uomo”, “Un uomo era”, o frasi simili, furono ideate da chi parlava sotto l’influsso dello spirito di Dio e, come dice il loro nome, non sono che illustrazioni o parabole. (Gdc 9:8; Mt 21:28, 33; Lu 16:1, 19) Di Gesù Cristo è detto: “Gesù disse tutte queste cose alle folle mediante illustrazioni. Realmente, senza illustrazioni non parlava loro”. — Mt 13:34; Mr 4:33, 34.
Un altro errore è quello di fare un’applicazione troppo minuziosa dell’illustrazione, attribuendo arbitrariamente a ogni particolare della descrizione di avvenimenti letterali un’interpretazione simbolica.
Per comprendere correttamente un’illustrazione occorre prima di tutto leggere il contesto e determinare in che occasione è stata fatta. Bisogna chiedersi: Quali erano le condizioni e le circostanze? Per esempio, il fatto che i capi e il popolo di Israele in un’occasione furono chiamati “dittatori di Sodoma” e “popolo di Gomorra” fa pensare a persone che avevano commesso gravissimi peccati contro Geova. (Isa 1:10; Ge 13:13; 19:13, 24) Quando il salmista prega Geova di fare ai nemici di Dio e del suo popolo “come a Madian”, questo richiama alla mente la disfatta di quegli oppressori del popolo di Dio, con oltre 120.000 uccisi. — Sl 83:2, 3, 9-11; Gdc 8:10-12.
Spesso è pure utile avere una certa conoscenza della Legge, degli usi e costumi e della lingua dell’epoca. Per esempio, conoscendo la Legge siamo aiutati a capire l’illustrazione della rete da pesca. (Mt 13:47-50) Il fatto che a quel tempo in Palestina si pagava una tassa sugli alberi da frutto e che quelli improduttivi venivano abbattuti ci aiuta a capire perché Gesù fece seccare il fico sterile, così da usarlo come illustrazione. — Mt 21:18-22.
Infine non si dovrebbe attribuire ai vari aspetti di un’illustrazione un significato arbitrario, derivato da vedute personali o filosofiche. Per i cristiani vale la regola: “Nessuno ha conosciuto le cose di Dio, eccetto lo spirito di Dio. Ora noi ricevemmo non lo spirito del mondo, ma lo spirito che è da Dio, affinché conosciamo le cose che ci sono state benignamente date da Dio. E queste cose esprimiamo non con parole insegnate da sapienza umana, ma con quelle insegnate dallo spirito, mentre associamo a cose spirituali parole spirituali”. — 1Co 2:11-13.
Come esempio di applicazione di questa regola si può considerare l’illustrazione profetica di Rivelazione capitolo 6. Il primo dei quattro cavalli lì menzionati è un cavallo bianco. (Ri 6:2) Cosa simboleggia? Per comprenderne il significato possiamo esaminare altre parti della Bibbia e anche il contesto. Proverbi 21:31 dice: “Il cavallo è qualcosa di preparato per il giorno della battaglia”. Il bianco è spesso impiegato come simbolo di giustizia. Il trono da cui Dio giudica è bianco; gli eserciti del cielo cavalcano cavalli bianchi e sono vestiti di lino bianco, puro e fine. (Ri 20:11; 19:14; cfr. Ri 6:11; 19:8). Potremmo quindi concludere che il cavallo bianco rappresenti una guerra giusta.
Il cavaliere sul cavallo nero ha una bilancia, e vengono pesati dei generi alimentari. (Ri 6:5, 6) È evidente che qui è rappresentata la carestia, poiché nella profezia di Ezechiele sulla carestia fu detto al profeta: “Il tuo cibo che mangerai sarà a peso . . . e dovranno mangiare pane a peso e con ansiosa cura, e a misura e con orrore berranno la stessa acqua”. (Ez 4:10, 16) Spesso comprendendo l’uso simbolico che la Bibbia fa di certi elementi, ad esempio degli animali menzionati nelle illustrazioni, si può essere aiutati e illuminati spiritualmente. — Vedi BESTIE SIMBOLICHE.
Varie illustrazioni si possono comprendere perché è la Bibbia stessa a spiegarle, in quanto sono spesso seguite dalla descrizione di certi avvenimenti che ne costituiscono l’adempimento. Come esempio se ne possono menzionare due: quella di Ezechiele che pratica un’apertura in un muro e poi esce col viso coperto (Ez 12:1-16; 2Re 25:1-7, 11; Ger 52:1-15), e quella di Abraamo che tenta di sacrificare Isacco ma lo riceve indietro grazie all’intervento di Dio (nel caso di queste due illustrazioni si trattò di fatti reali, verificatisi in forma di dramma). (Ge 22:9-13; Eb 11:19) Altre illustrazioni, in particolare molte di quelle fatte da Gesù Cristo, sono poi spiegate da Gesù stesso. In molti casi le illustrazioni bibliche possono essere comprese meglio alla luce degli avvenimenti attuali che ne costituiscono l’adempimento.
Nelle Scritture Ebraiche. I profeti e gli scrittori biblici ebrei, mossi dallo spirito di Geova, misero per iscritto innumerevoli illustrazioni veramente calzanti. Troviamo un linguaggio illustrativo già in Genesi, nella promessa di Geova di moltiplicare il seme di Abraamo “come le stelle dei cieli e come i granelli di sabbia che sono sulla spiaggia del mare”. (Ge 22:15-18) Per dare risalto alla miserevole condizione in cui era venuto a trovarsi il popolo di Giuda a causa del peccato, Geova indusse Isaia a paragonarlo a un malato affetto da una malattia ripugnante, dicendo: “L’intera testa è malata, e l’intero cuore è debole. . . . Ferite e lividure e piaghe fresche, non sono state spremute né fasciate, né alleviate con olio”. (Isa 1:4-6) Al re Nabucodonosor Geova mandò messaggi profetici tramite visioni di un’immagine colossale e di un albero imponente, e Daniele vide certi governi terreni raffigurati da bestie. — Da capp. 2, 4, 7.
Parlando di un singolo individuo o di un gruppo, spesso i profeti usano un termine o un’espressione le cui caratteristiche intendono metaforicamente riferire al singolo o al gruppo. Per esempio, Geova è chiamato “la Roccia d’Israele”, la “rupe”, la “fortezza”, a indicare che Dio è un’inamovibile fonte di sicurezza. (2Sa 23:3; Sl 18:2) Giuda è definito “un leoncello”. (Ge 49:9) Gli assiri sono chiamati “la verga” dell’ira di Dio. — Isa 10:5.
Molte volte i profeti rappresentavano scenicamente il messaggio che avevano avuto l’incarico di pronunciare, dando così maggior vigore a quello che dicevano. Geremia predisse la calamità di Gerusalemme e sottolineò le sue parole frantumando una fiasca sotto gli occhi degli anziani del popolo e dei sacerdoti radunati. Predisse la schiavitù sotto Babilonia con grande vivezza inviando legami e gioghi a vari re. (Ger capp. 19, 27) Isaia andò in giro nudo e scalzo per far capire agli israeliti che in tal modo gli egiziani e gli etiopi, dai quali cercavano aiuto, sarebbero stati portati in esilio. (Isa 20) Per descrivere l’incombente assedio di Gerusalemme, Ezechiele scolpì su un mattone un modello della città, innalzò contro di esso un bastione d’assedio, pose un baluardo di ferro fra sé e il modello e si sdraiò su un fianco di fronte ad esso. — Ez 4.
A volte per mettere in risalto un punto si raccontava un apologo. Iotam se ne servì per spiegare ai proprietari terrieri di Sichem la follia di scegliersi come re un uomo spregevole come Abimelec. (Gdc 9:7-20) Nel libro di Ezechiele è narrata la storia di due aquile e una vite, per illustrare il comportamento di Giuda nei confronti di Babilonia e dell’Egitto. (Ez 17) In modo simile Ezechiele ricorse alla figura di due sorelle, Oola e Ooliba, che si prostituivano, per illustrare il comportamento di Samaria (il regno delle dieci tribù di Israele) e di Gerusalemme (Giuda). — Ez 23.
Queste sono solo alcune delle numerose illustrazioni contenute nelle Scritture Ebraiche. In effetti ogni scrittore e profeta biblico usò illustrazioni, alcune ricevute direttamente da Dio sotto forma di visioni, altre verbalmente, e altre ancora sotto forma di cose reali, ad esempio il tabernacolo, che è definito “un’illustrazione”. — Eb 9:9.
Nelle Scritture Greche. Anche le Scritture Greche Cristiane sono piene di vivide illustrazioni. Di Gesù Cristo fu detto: “Nessun altro uomo ha mai parlato così”. Di tutti gli uomini vissuti sulla terra, egli fu quello che aveva il più ampio bagaglio di conoscenza a cui attingere. (Gv 7:46) È colui mediante il quale Dio fece ogni cosa. (Gv 1:1-3; Col 1:15-17) Conosceva a fondo tutto il creato. È comprensibile quindi che le sue similitudini calzassero a meraviglia, e che il suo modo di descrivere i sentimenti umani rivelasse un profondo intendimento. Egli fu simile a un saggio dell’antichità che disse: “E oltre al fatto che il congregatore era divenuto saggio, pure insegnò continuamente al popolo la conoscenza, e ponderò e fece una completa ricerca, per mettere in ordine molti proverbi. Il congregatore cercò di trovare le parole dilettevoli e la scrittura di corrette parole di verità”. — Ec 12:9, 10.
Gesù definì appropriatamente i suoi discepoli “il sale della terra” e “la luce del mondo”. (Mt 5:13, 14) Li esortò a ‘osservare attentamente gli uccelli del cielo’ e a ‘imparare una lezione dai gigli del campo’. (Mt 6:26-30) Paragonò se stesso a un pastore disposto a dare la vita per le sue pecore. (Gv 10:11-15) Rivolgendosi a Gerusalemme disse: “Quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali! Ma voi non avete voluto”. (Mt 23:37) Chiamò gli ipocriti capi religiosi “guide cieche, che scolate il moscerino ma inghiottite il cammello!” (Mt 23:24) E riguardo a chi fa inciampare altri dichiarò: “Sarebbe più vantaggioso per lui se gli si sospendesse al collo una pietra di mulino e fosse gettato nel mare”. — Lu 17:1, 2.
Anche se a volte le illustrazioni di Gesù erano espressioni concise, terse, simili alle espressioni proverbiali delle Scritture Ebraiche, di solito erano più lunghe e spesso avevano le caratteristiche e la lunghezza di una storia. In genere Gesù traeva le sue illustrazioni dalla creazione circostante, da consuetudini della vita quotidiana, da avvenimenti occasionali o da situazioni verosimili, come pure da avvenimenti contemporanei ben noti agli ascoltatori.
Alcune famose illustrazioni di Gesù. Nel materiale che segue troverete utili informazioni sullo sfondo e il contesto di 30 delle illustrazioni fatte da Gesù Cristo durante il suo ministero terreno e messe per iscritto dagli evangelisti.
(1) I due debitori (Lu 7:41-43). Sia l’obiettivo che l’applicazione della parabola dei due debitori, uno dei quali aveva un debito dieci volte maggiore dell’altro, sono spiegati nel contesto, in Luca 7:36-40, 44-50.
L’illustrazione fu suggerita dall’atteggiamento di Simone, di cui Gesù era ospite, verso la donna che era venuta a ungere i piedi di Gesù con olio profumato. La presenza di una persona non invitata non era insolita, poiché pare che in certe occasioni persone non invitate potessero entrare nella sala durante un pranzo e sedersi lungo le pareti, da dove conversavano con i commensali reclini al tavolo al centro della stanza. Gesù fece un’appropriata applicazione della posizione dei due debitori, facendo rilevare che Simone non gli aveva provveduto l’acqua per lavarsi i piedi, non l’aveva salutato con un bacio né gli aveva spalmato olio sul capo; queste erano cortesie mostrate abitualmente a un ospite. La donna carica di peccati aveva mostrato a Gesù maggior amore e ospitalità, anche se non era suo ospite. Perciò le disse: “I tuoi peccati sono perdonati”.
(2) Il seminatore (Mt 13:3-8; Mr 4:3-8; Lu 8:5-8). L’illustrazione stessa non fornisce indicazioni circa la sua interpretazione, ma la spiegazione è data chiaramente in Matteo 13:18-23; Marco 4:14-20 e Luca 8:11-15. Viene richiamata l’attenzione sulle circostanze che influiscono sul terreno (il cuore), e sui fattori che possono ostacolare la crescita del seme (la parola del Regno).
A quei tempi la semina avveniva in vari modi. Un sistema comune era quello di portare il seme in una borsa a tracolla fissata intorno alla vita; altri ripiegavano un’estremità della veste in modo da formare una sacca in cui tenevano il seme. Si seminava a spaglio camminando. Il seme veniva coperto al più presto, prima che i corvi o le cornacchie lo beccassero. Ma quando i semi cadevano sulle strisce di terreno lasciate dall’aratore fra un campo e l’altro o sul terreno indurito accanto alla strada, gli uccelli li mangiavano. I “luoghi rocciosi” non erano semplici sassi sparsi qua e là sul terreno: Luca 8:6 parla del seme caduto sul “masso di roccia”, cioè una superficie rocciosa ricoperta da pochissimo suolo. Le pianticelle spuntate da questi semi si sarebbero presto seccate al sole. Il suolo coperto di spine era stato probabilmente arato ma non ripulito dalle erbacce, che crescendo avrebbero soffocato le nuove pianticelle. La produzione indicata — il cento, il sessanta e il trenta — del seme produttivo rientra nella norma. La semina e i vari tipi di terreno erano cose ben note agli ascoltatori di Gesù.
(3) Zizzanie in mezzo al grano (Mt 13:24-30). La spiegazione viene data da Gesù stesso in Matteo 13:36-43, dove è fatta una distinzione fra il “grano”, cioè “i figli del regno”, e le “zizzanie”, “i figli del malvagio”.
Seminare zizzanie in un campo di grano è un atto ostile non del tutto sconosciuto in Medio Oriente. Si pensa di solito che le “zizzanie” in questione corrispondano al velenoso loglio (Lolium temulentum), la cui tossicità pare provocata da un fungo che cresce all’interno del seme. Il loglio è molto simile al grano finché non è maturo, quando lo si può facilmente distinguere. Se ingerito, può provocare vertigini e in determinati casi anche la morte. Poiché le sue radici si intrecciano facilmente con quelle del grano, sradicarlo prima della mietitura, anche se lo si potesse riconoscere, significherebbe danneggiare il grano.
(4) Il granello di senape (Mt 13:31, 32; Mr 4:30-32; Lu 13:18, 19). L’argomento dichiarato è “il regno dei cieli”. Come indicano altri passi, questa illustrazione può riferirsi a qualche aspetto che ha attinenza col Regno. In questo caso l’illustrazione dà risalto a due aspetti: primo, la straordinaria crescita del messaggio del Regno; secondo, la protezione di cui godono coloro che accettano il messaggio.
Il granello di senape era minuscolo e quindi poteva indicare qualsiasi cosa estremamente piccola. (Lu 17:6) La pianta adulta può raggiungere un’altezza di 3-4,5 m e ha rami robusti, per cui in effetti diventa un “albero”, come disse Gesù. In modo analogo, gli inizi della congregazione cristiana alla Pentecoste del 33 E.V. furono piccolissimi. Ma nel I secolo essa crebbe rapidamente e, nei tempi moderni, i rami dell’“albero” di senape si sono estesi oltre le aspettative. — Isa. 60:22.
(5) Il lievito (Mt 13:33). Ancora una volta l’argomento è “il regno dei cieli”. Le “tre grosse misure” sono tre sàta, cioè tre sea, pari a circa 22 litri di farina. La quantità di lievito sarebbe stata piccola in paragone; tuttavia il lievito influisce sull’intera massa. A quale aspetto del Regno dà risalto questa illustrazione? Come avviene col lievito, spesso la crescita spirituale che ha relazione col Regno è invisibile agli occhi umani, ma è costante e capillare. Come il lievito in una grossa quantità di farina, l’opera di predicazione del Regno che dà il via alla crescita spirituale si è estesa a tal punto che ora il Regno viene predicato “fino alla più distante parte della terra”. — At 1:8.
(6) Il tesoro nascosto (Mt 13:44). Illustrazione fatta da Gesù non alle folle, ma ai suoi discepoli. (Mt 13:36) Com’è indicato nel testo, l’argomento è “il regno dei cieli”, che reca gioia a chi lo trova; è richiesto che questi faccia dei cambiamenti nella propria vita e cerchi prima il Regno, rinunciando a tutto.
(7) Il commerciante in cerca di perle (Mt 13:45, 46). Illustrazione rivolta ai discepoli. Gesù paragona il Regno dei cieli a una perla di valore tale che un uomo vende tutti i suoi possedimenti per acquistarla.
Le perle, usate come ornamenti preziosi, si formano all’interno delle ostriche e di altri molluschi. Non tutte le perle però sono “eccellenti”: invece che bianche e lucenti alcune possono essere gialle o di tonalità scura o ruvide. Nell’antico Medio Oriente le perle erano preziose e fonte di diletto per chi le possedeva. Il commerciante dell’illustrazione andava in cerca di perle; ebbe abbastanza discernimento da rendersi conto dell’impareggiabile valore di quella perla e fu disposto a fare tutto il necessario e a rinunciare a tutto il resto per acquistarla. — Cfr. Lu 14:33; Flp 3:8.
(8) La rete a strascico (Mt 13:47-50). Con questa illustrazione Gesù descrive la separazione o l’esclusione di quelli non idonei per il Regno dei cieli. Il versetto 49 mostra che il tempo in cui l’adempimento raggiunge il culmine è il “termine del sistema di cose”.
La rete a strascico è una rete di corda o di fibre di lino che viene trascinata sul fondo di uno specchio d’acqua, raccogliendo pesci d’ogni specie. L’illustrazione era molto adatta ai discepoli di Gesù, alcuni dei quali erano pescatori. Essi ben sapevano che certi pesci erano inadatti e dovevano essere scartati, perché, essendo privi di pinne e scaglie, erano impuri e non commestibili secondo la Legge mosaica. — Le 11:9-12; De 14:9, 10.
(9) Lo schiavo spietato (Mt 18:23-35). La situazione che indusse Gesù a fare questa illustrazione è esposta in Matteo 18:21, 22 e l’applicazione è indicata nel versetto 35. Viene messo in risalto come sono piccoli i debiti che i nostri simili hanno verso di noi in paragone al nostro debito verso Dio. L’illustrazione ci fa capire chiaramente che noi, esseri umani peccatori, a cui Dio perdona un debito così grande mediante il sacrificio di Cristo, dobbiamo essere pronti a perdonare i peccati relativamente insignificanti che i nostri simili commettono contro di noi.
Un denaro era pari al salario di una giornata; perciò 100 denari, il debito minore, equivalevano all’incirca a un terzo del salario di un anno. Diecimila talenti d’argento, il debito maggiore, equivalevano a 60 milioni di denari: ci sarebbero volute migliaia di vite per accumulare un salario di tale entità. L’enormità del debito da pagare al re è evidente dal fatto che, secondo Giuseppe Flavio, ai suoi giorni le tasse complessive pagate dai territori della Giudea, dell’Idumea e della Samaria e da certe città ammontavano a 600 talenti l’anno, mentre la Galilea e la Perea ne pagavano 200. Gesù stesso (al v. 35) enuncia il principio racchiuso nella parabola: “In maniera simile anche il mio Padre celeste agirà con voi, se non perdonate di cuore ciascuno al proprio fratello”.
(10) Il buon samaritano (Lu 10:30-37). Il contesto, come si nota da Luca 10:25-29, mostra che l’illustrazione rispondeva alla domanda: “Chi è realmente il mio prossimo?” La conclusione da trarre è indicata nei versetti 36 e 37.
La strada da Gerusalemme a Gerico attraversava una zona selvaggia e solitaria, teatro di frequenti rapine. La situazione si era deteriorata a tal punto che infine vi fu stabilita una guarnigione per proteggere i viaggiatori. La Gerico del I secolo si trovava circa 21 km a ENE di Gerusalemme. Per spiegare chi era il “prossimo” che la Legge comandava di amare, Gesù descrisse la reazione di un sacerdote e di un levita nei confronti di un uomo che era stato derubato e lasciato tramortito. I sacerdoti avevano l’incarico di offrire sacrifici nel tempio di Gerusalemme, e i leviti li aiutavano. I samaritani riconoscevano la Legge contenuta nel Pentateuco, ma gli ebrei non li consideravano loro prossimo, anzi non volevano avere niente a che fare con loro. (Gv 4:9) Disprezzavano moltissimo i samaritani (Gv 8:48), e alcuni ebrei perfino li maledicevano pubblicamente nelle sinagoghe e ogni giorno pregavano Dio che i samaritani non ricevessero la vita eterna. Olio e vino, versati sulle ferite dell’infortunato, erano spesso usati a scopo terapeutico. I due denari che il samaritano diede al locandiere perché avesse cura dell’uomo erano pari al salario di due giorni. — Mt 20:2.
(11) L’amico insistente (Lu 11:5-8). L’illustrazione fa parte della risposta di Gesù alla richiesta dei discepoli di insegnare loro a pregare. (Lu 11:1-4) Com’è indicato nei versetti 9 e 10, la conclusione da trarre non è che Dio si infastidisca per le nostre richieste ma piuttosto che si aspetta che continuiamo a chiedere.
L’ospitalità è un dovere in cui la popolazione del Medio Oriente ama eccellere. Anche se l’ospite giungeva inaspettato a mezzanotte, forse a motivo degli incerti del viaggio, il padrone di casa si sentiva in obbligo di dargli da mangiare. Poiché a volte è difficile determinare con esattezza quanto pane è necessario infornare per la famiglia, fra vicini c’era l’usanza di prestarselo. In questo particolare caso il vicino era già andato a letto. Dato che le case, specie quelle dei poveri, potevano consistere di un’unica grande stanza, alzandosi avrebbe disturbato tutta la famiglia, il che spiega la riluttanza dell’uomo ad accogliere la richiesta.
(12) Il ricco irragionevole (Lu 12:16-21). Questa illustrazione faceva parte della risposta di Gesù a un uomo che gli aveva chiesto di fare da arbitro in una questione di eredità. Com’è indicato al versetto 15, il punto messo in risalto è che “anche quando uno ha abbondanza la sua vita non dipende dalle cose che possiede”. Si veda ciò che Gesù disse quindi ai discepoli, dal versetto 22 in poi.
La Legge prescriveva che al figlio maggiore andassero due parti di tutti i beni del padre. (De 21:17) Sembra che la disputa fosse sorta per la mancata osservanza di questa legge; di qui l’avvertimento contro la concupiscenza.
(13) Il fico sterile (Lu 13:6-9). Pronunciata verso la fine del 32 E.V., tre anni buoni dopo il battesimo di Gesù. Era appena giunta notizia che Pilato aveva messo a morte alcuni galilei. Gesù aveva anche menzionato le 18 vittime del crollo della torre di Siloam e aveva detto al popolo che, se non si fossero pentiti, sarebbero stati tutti distrutti. (Lu 13:1-5) Quindi proseguì facendo questa illustrazione.
Era comune piantare nei vigneti, a una certa distanza fra loro, fichi e olivi, così, quando l’annata del vino era cattiva, si poteva raccogliere ugualmente qualcosa. Gli alberi nuovi cresciuti da talee di solito producono almeno qualche fico entro due o tre anni. Era senz’altro significativo il parallelo fra i tre anni menzionati nell’illustrazione e i tre anni del ministero di Gesù che erano già trascorsi. Essendo soggetto a una tassa, quell’albero era di peso, e quindi doveva essere abbattuto.
(14) Il grande pasto serale (Lu 14:16-24). L’ambiente è descritto nei versetti 1-15; l’illustrazione fu proposta durante il pasto a un commensale che aveva detto: “Felice colui che mangia pane nel regno di Dio”.
Secondo l’usanza, coloro che erano stati invitati a un banchetto venivano poi avvertiti quando il pranzo era effettivamente pronto. Quelli che non si presentarono al grande pasto serale preferirono dedicarsi ad altri interessi che normalmente sarebbero sembrati abbastanza ragionevoli. Tuttavia dalle loro risposte si capiva che non desideravano veramente essere presenti e che non avevano il dovuto riguardo per il padrone di casa. Quasi tutti quelli invitati in seguito, poveri, storpi, zoppi e ciechi, e gli altri invitati alla fine, erano persone ritenute immeritevoli dal mondo in generale. — Cfr. il v. 13.
(15) La pecora smarrita (Lu 15:3-7). Luca 15:1, 2 spiega che l’illustrazione era motivata dal mormorio dei farisei e degli scribi per il fatto che Gesù accoglieva peccatori ed esattori di tasse. Matteo 18:12-14 riporta un’illustrazione simile fatta in un’altra occasione.
Gli esattori di tasse, specie quelli ebrei, erano odiati perché la loro occupazione consisteva nel riscuotere le tasse per conto degli odiati romani. Erano malvisti. L’illustrazione della pecora smarrita richiamava alla mente degli ascoltatori aspetti della vita di ogni giorno. Una pecora smarrita è indifesa; è il pastore che la va a cercare e la trae in salvo. La gioia in cielo per il peccatore che si pente è in netto contrasto col mormorio degli scribi e dei farisei per l’interessamento manifestato da Gesù nei confronti di simili persone.
(16) La dramma smarrita (Lu 15:8-10). L’occasione è descritta in Luca 15:1, 2, e questa illustrazione segue immediatamente quella della pecora smarrita. Il versetto 10 ne indica l’applicazione.
Una dramma equivaleva quasi al salario di un giorno. Tuttavia, quella moneta smarrita poteva avere un valore particolare in quanto apparteneva a una serie di dieci monete, forse un cimelio di famiglia o parte di una pregevole collana. Per cercarla era necessario accendere una lampada perché nelle case l’apertura per la luce, se c’era, di solito era assai piccola; spazzare per terra avrebbe facilitato la ricerca, perché il pavimento era generalmente di terra battuta.
(17) Il figlio prodigo (Lu 15:11-32). I farisei e gli scribi mormoravano perché Gesù accoglieva esattori di tasse e peccatori e mangiava con loro. Gesù rispose con le illustrazioni della pecora smarrita e della dramma smarrita, cui fa seguito questa parabola.
Secondo la legge ebraica, l’eredità del figlio minore era metà di quella del fratello maggiore. (De 21:17) Gli ebrei consideravano gli esattori di tasse come il figlio minore andato in un paese lontano, perché secondo loro li avevano abbandonati per servire Roma. Essere costretto a fare il guardiano di porci era umiliante per un ebreo, dato che questi animali erano impuri secondo la Legge. (Le 11:7) Al suo ritorno a casa, il figlio minore chiese di essere accolto non come un figlio, ma come un salariato. Un uomo del genere non faceva neanche parte della proprietà come gli schiavi, ma era un estraneo, spesso assunto solo per un giorno alla volta. (Mt 20:1, 2, 8) Il padre fece portare per il figlio più giovane una lunga veste, la migliore. Questa non era un capo di vestiario andante, ma probabilmente era un abito finemente ricamato, di quelli che si offrivano a un ospite d’onore. L’anello e i sandali erano probabilmente simbolo di dignità e di un uomo libero.
(18) L’economo ingiusto (Lu 16:1-8). La lezione che si deve trarre dall’illustrazione è spiegata nei versetti 9-13. L’economo viene lodato non per la sua ingiustizia, ma per la sua saggezza.
All’economo erano affidati gli affari del padrone, per cui godeva di una posizione di grande fiducia. (Ge 24:2; 39:4) Nell’illustrazione di Gesù, essere licenziato significava per l’economo venir mandato via di casa, senza mezzi di sostentamento. Riducendo i debiti ai debitori del suo padrone non si procurò denaro, ma si fece degli amici che avrebbero potuto aiutarlo in futuro. Cento bat d’olio erano pari a 2.200 litri, e cento cor di grano equivalevano a 22.000 litri.
(19) Il ricco e Lazzaro (Lu 16:19-31). Il contesto, in Luca 16:14, 15, rivela che fra i presenti c’erano i farisei amanti del denaro che schernivano Gesù. Ma egli disse loro: “Voi siete quelli che si dichiarano giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori; perché ciò che è alto fra gli uomini è cosa disgustante dinanzi a Dio”.
Gli abiti di “porpora e lino” di cui si adornava il ricco erano simili a quelli indossati soltanto da principi, nobili e sacerdoti. (Est 8:15; Ge 41:42; Eso 28:4, 5) Erano molto costosi. L’Ades, dove è detto che il ricco era andato, è la comune tomba del genere umano. Che da questa parabola non si possa concludere che l’Ades sia un luogo di fuoco ardente è evidente da Rivelazione 20:14, dove è detto che la morte e l’Ades vengono scagliati nel “lago di fuoco”. La morte del ricco e la sua presenza nell’Ades devono quindi essere simbolici; anche altrove le Scritture parlano della morte in senso simbolico. (Lu 9:60; Col 2:13; 1Tm 5:6) Perciò il tormento infuocato egli lo subì da vivo, come uomo, morto solo in senso figurato. Nella Parola di Dio il fuoco è usato per descrivere infuocati messaggi di giudizio (Ger 5:14; 23:29), e l’opera svolta dai profeti di Dio nel dichiarare i suoi giudizi è paragonata a un ‘tormento’ per gli oppositori di Dio e dei suoi servitori. — Ri 11:7, 10.
Lazzaro è la forma grecizzata del nome ebraico Eleazaro, che significa “Dio ha aiutato”. I cani che leccavano le sue ulcere erano probabilmente cani randagi, considerati impuri. Il fatto che Lazzaro fosse nella posizione del seno di Abraamo indica che aveva una posizione di favore (cfr. Gv 1:18), figura di linguaggio derivata dall’usanza di giacere a tavola in posizione tale da potersi appoggiare all’indietro sul petto di un amico. — Gv 13:23-25.
(20) Schiavi buoni a nulla (Lu 17:7-10). Il versetto 10 indica quale lezione si deve trarre dall’illustrazione.
Gli schiavi che lavoravano nei campi del padrone spesso gli servivano anche il pasto serale. Non solo era normale che prima di mangiare aspettassero che il padrone avesse finito, ma spesso si contendevano l’onore di servirlo. Questo non era considerato un peso in più, ma qualcosa a cui il padrone aveva diritto.
(21) La vedova e il giudice (Lu 18:1-8). Com’è dichiarato al versetto 1, l’illustrazione riguardava il “bisogno di pregare sempre e non perdersi d’animo”. Nei versetti 7 e 8 troviamo l’applicazione. Un’illustrazione che mettesse in risalto l’importanza della preghiera era particolarmente appropriata in considerazione di quanto dichiarato nei versetti 20-37 del capitolo precedente.
A quanto pare il giudice non faceva parte di un tribunale ebraico. Nel I secolo esistevano quattro tipi di corti ebraiche: (1) il tribunale del villaggio, composto di tre uomini; (2) un tribunale di cui facevano parte sette anziani del villaggio; (3) tribunali inferiori, ciascuno con 23 componenti, a Gerusalemme e nelle città di una certa importanza in tutta la Palestina; (4) la corte suprema, il Grande Sinedrio, con 71 membri, che aveva sede a Gerusalemme e autorità sull’intera nazione. (Vedi CORTE DI GIUSTIZIA). Ma il giudice dell’illustrazione non rientra in nessun organo giudiziario ebraico, che doveva essere composto di almeno tre uomini; quindi doveva essere un magistrato o un funzionario nominato dai romani. È detto espressamente che non temeva Dio né si preoccupava dell’opinione pubblica. L’illustrazione non dice che Dio sia simile al giudice ingiusto, ma fa un contrasto fra Dio e il giudice. Se questo giudice alla fine avrebbe fatto ciò che era giusto, quanto più l’avrebbe fatto Dio! La persistenza della vedova indusse il giudice ingiusto ad agire; similmente i servitori di Dio devono persistere nella preghiera. Dio, che è giusto, esaudirà la loro preghiera, facendo giustizia.
(22) Il fariseo che si riteneva giusto e l’esattore di tasse pentito (Lu 18:9-14). L’occasione e l’obiettivo dell’illustrazione sono spiegati rispettivamente nei versetti 9 e 14.
Coloro che andavano al tempio a pregare non entravano nel Santo o nel Santissimo, ma potevano stare nei cortili circostanti. Questi uomini, ebrei, stavano in piedi probabilmente nel cortile esterno, il cosiddetto Cortile delle donne. I farisei erano orgogliosi, si ritenevano giusti e consideravano gli altri con disprezzo. (Gv 7:47, 49) Digiunavano due volte la settimana, anche se non era richiesto dalla Legge mosaica. Si dice che per digiunare scegliessero i giorni di mercato, quando in città c’era molta gente, si tenevano speciali funzioni nelle sinagoghe e si riuniva il sinedrio locale; così la loro devozione sarebbe stata notata. (Mt 6:16; cfr. 10:17, nt.) Gli esattori di tasse ebrei potevano andare al tempio, ma erano odiati perché servivano Roma.
(23) Gli operai pagati con un denaro ciascuno (Mt 20:1-16). Questa illustrazione fa parte della risposta di Gesù alla domanda di Pietro riportata in Matteo 19:27: “Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ci sarà realmente per noi?” — Vedi anche Mt 19:30; 20:16.
Quello della vendemmia è un periodo molto impegnativo per i proprietari di vigne. Alcuni operai sono impiegati per l’intera vendemmia; altri vengono assunti se ce n’è bisogno. Il pagamento del salario alla fine della giornata era in armonia con la Legge mosaica; per i lavoratori poveri era una necessità. (Le 19:13; De 24:14, 15) Un denaro, moneta d’argento romana, era la paga di una giornata. Nel I secolo E.V. gli ebrei dividevano la giornata, dall’alba al tramonto, in 12 parti uguali; perciò la 3ª ora andava dalle 8 alle 9 circa; la 6ª ora, più o meno dalle 11 a mezzogiorno; la 9ª ora, dalle 14 alle 15, e l’11ª ora, dalle 16 alle 17 circa.
(24) Le mine (Lu 19:11-27). Gesù fece questa illustrazione mentre saliva per l’ultima volta a Gerusalemme, nel 33 E.V. (Lu 19:1, 28) Il motivo dell’illustrazione, com’è dichiarato al versetto 11, era che “essi immaginavano che il regno di Dio stesse per manifestarsi istantaneamente”.
Nell’impero romano era normale che una persona di nobile nascita si recasse a Roma per ricevere un’investitura reale. Archelao, figlio di Erode il Grande, c’era andato, ma gli ebrei avevano inviato 50 ambasciatori alla corte di Augusto per muovere accuse contro di lui e, se possibile, impedire che assumesse il potere. La mina d’argento, come quella consegnata inizialmente a ciascuno schiavo, aveva all’epoca un valore pari a 88 giorni di paga.
(25) I due figli (Mt 21:28-31). Questa illustrazione, pronunciata nel tempio di Gerusalemme, fa parte della risposta di Gesù alle domande riportate nel versetto 23: “Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?” Dopo aver replicato alle domande dei capi religiosi, Gesù fece alcune illustrazioni per dimostrare che specie di persone fossero realmente costoro.
Nei versetti 31 e 32 Gesù indica l’applicazione dell’illustrazione. Spiega che i capi sacerdoti e gli influenti anziani a cui parlava erano paragonabili al secondo figlio, perché professavano di servire Dio ma in realtà non lo facevano. Viceversa gli esattori di tasse e le meretrici che avevano creduto a Giovanni il Battezzatore erano simili al primo figlio: dapprima si erano rifiutati recisamente di servire Dio ma poi si erano pentiti e avevano cambiato condotta.
(26) I coltivatori assassini (Mt 21:33-44; Mr 12:1-11; Lu 20:9-18). Anche questa illustrazione, pronunciata nel tempio di Gerusalemme solo tre giorni prima che Gesù, il Figlio di Dio, fosse ucciso, rispondeva alla domanda circa la fonte dell’autorità di Gesù. (Mr 11:27-33) Immediatamente dopo quell’illustrazione, i Vangeli riferiscono che i capi religiosi si resero conto che egli parlava di loro. — Mt 21:45; Mr 12:12; Lu 20:19.
Il recinto intorno alla vigna poteva essere di pietra (Pr 24:30, 31) oppure poteva essere una siepe. (Isa 5:5) Spesso il recipiente per il vino veniva scavato nella roccia e consisteva di due vasche, in modo che il succo scorresse da quella superiore a quella inferiore. La torre era un posto di guardia per il custode, che doveva tener lontani ladri e animali. In alcuni casi i coltivatori assunti ricevevano parte del prodotto. In altri casi i coltivatori pagavano un affitto in denaro o pattuivano di dare al proprietario parte del prodotto, come probabilmente doveva avvenire nell’illustrazione. Assassinando il figlio, l’erede, potevano pensare di impadronirsi della vigna, dato che chi l’aveva piantata era lontano. In Isaia 5:1-7 la “vigna di Geova” è “la casa d’Israele”. Come viene spiegato dagli scrittori dei Vangeli, Gesù citò Salmo 118:22, 23 per far capire l’illustrazione.
(27) La festa nuziale del figlio del re (Mt 22:1-14). Dal versetto 1 si comprende che questa illustrazione segue la conversazione precedente e fa parte della risposta di Gesù alla domanda circa l’autorità con cui svolgeva la sua opera. (Mt 21:23-27) Per l’applicazione si vedano i versetti 2 e 14.
Alcuni mesi prima Gesù aveva fatto un’illustrazione simile circa un grande pasto serale con molti invitati; questi ultimi però avevano preferito dedicarsi ad altro, mancando di riguardo al padrone di casa. (Lu 14:16-24) Questa volta, a soli tre giorni dalla sua morte, Gesù parlò non solo del rifiuto degli invitati di accogliere l’invito, ma anche dello spirito omicida da essi manifestato. L’assassinio dei rappresentanti del re equivaleva a una ribellione, per cui gli eserciti del re distrussero gli assassini e ne bruciarono la città. Trattandosi di una festa nuziale nel palazzo del re è probabile che agli ospiti fosse stata provveduta per l’occasione una veste speciale. In tal caso il fatto che uno degli ospiti non indossasse la veste nuziale indicava che aveva disprezzato l’abito provveduto dal re quando gli era stato offerto.
(28) Le dieci vergini (Mt 25:1-13). Questa illustrazione relativa al “regno dei cieli” fa parte della risposta di Gesù alla domanda dei discepoli riportata in Matteo 24:3. Lo scopo dell’illustrazione è spiegato chiaramente in Matteo 25:13.
A quei tempi un aspetto fondamentale e caratteristico dello sposalizio era la solennità con cui la sposa veniva accompagnata dalla casa paterna a quella del marito o del padre del marito. Lo sposo, che pure indossava l’abito migliore, usciva di casa la sera per andare a casa dei genitori della sposa, scortato dai suoi amici. Di là il corteo, accompagnato da musicisti e cantori e di solito da persone che portavano lampade, si dirigeva verso la dimora dello sposo. Lungo il percorso la gente accorreva per vedere il corteo; alcuni si univano ad esso, specialmente ragazze con lampade in mano. (Ger 7:34; 16:9; Isa 62:5) Non essendoci nessuna fretta, il corteo poteva essere rimandato fino a tarda ora, per cui qualcuno in attesa lungo il percorso poteva assopirsi e addormentarsi. I canti e il giubilo si facevano sentire a distanza, e quelli che lo udivano gridavano: “Ecco lo sposo!” Quando lo sposo e il suo seguito erano entrati in casa e veniva chiusa la porta, gli ospiti ritardatari non potevano più entrare. Le lampade utilizzate nel corteo erano lampade a olio e richiedevano frequenti rabbocchi.
(29) I talenti (Mt 25:14-30). Questa illustrazione in cui si parla di un uomo in procinto di recarsi all’estero venne proposta da Gesù a quattro discepoli solo tre giorni prima della sua morte, perciò non molto tempo prima della sua ascensione al cielo. Fa parte anch’essa della risposta di Gesù alla domanda riportata in Matteo 24:3. — Mr 13:3, 4.
A differenza dell’illustrazione delle mine, in cui ciascuno schiavo ricevette una sola mina, qui i talenti sono distribuiti “a ciascuno secondo la sua capacità”. (Lu 19:11-27) Il talento d’argento, a cui probabilmente ci si riferisce, è ciò che a quell’epoca un lavoratore poteva guadagnare in circa 20 anni. Gli schiavi avrebbero dovuto interessarsi tutti della proprietà del padrone e quindi avrebbero dovuto essere diligenti e saggi nel negoziare i beni del padrone affidati alla loro cura. Il minimo che potessero fare era depositare il denaro presso i banchieri, affinché, se non volevano accrescere essi stessi i beni del padrone, il denaro non rimanesse completamente infruttifero, ma fruttasse un interesse. Invece lo schiavo malvagio e pigro sotterrò il talento affidatogli, nuocendo così agli interessi del padrone.
(30) Le pecore e i capri (Mt 25:31-46). Com’è dichiarato nei versetti 31, 32, 41, 46, l’illustrazione riguardava la separazione e il giudizio delle persone delle nazioni quando il Figlio dell’uomo sarebbe arrivato nella sua gloria. Questa illustrazione fa sempre parte della risposta di Gesù alla domanda dei discepoli circa ‘il segno della sua presenza e del termine del sistema di cose’. — Mt 24:3.
Normalmente in Medio Oriente pecore e capre pascolano insieme, e il pastore non ha difficoltà a distinguerle quando vuole separarle. Il riferimento di Gesù ai capri nell’illustrazione non implica disprezzo per questi animali. (Nell’annuale giorno di espiazione si usava il sangue di un capro per fare espiazione per i peccati d’Israele). Perciò i capri rappresentano semplicemente una classe di persone, mentre le pecore ne rappresentano un’altra. La “destra”, dove sono messe le “pecore”, è un posto d’onore. (At 2:33; Ef 1:19, 20) La “sinistra”, dove vanno i “capri”, rappresenta un posto di disonore. (Cfr. Ec 10:2). Si noti che le “pecore”, messe alla destra dell’intronizzato Figlio dell’uomo, non possono essere i “fratelli” di Gesù Cristo, ai quali esse mostrano benignità in vari modi. — Mt 25:34-40; Eb 2:11, 12.
Nel libro di Rivelazione. Nel libro di Rivelazione, che conclude le Sacre Scritture, le illustrazioni ricorrono con frequenza molto maggiore che nel resto della Bibbia. Come riferisce lo scrittore stesso, Giovanni, il contenuto del libro gli fu presentato “in segni”. (Ri 1:1) Quindi si può ben dire che, dal principio alla fine, la Bibbia si distingue per l’uso di appropriate illustrazioni.
Illustrazioni dei discepoli di Cristo. Oltre a mettere per iscritto le illustrazioni fatte da Gesù Cristo, gli scrittori cristiani della Bibbia ne fecero essi stessi buon uso. Nel libro di Atti, Luca riporta le ottime illustrazioni fatte dall’apostolo Paolo parlando ai non ebrei di Atene. Paolo fece riferimento a oggetti di culto che essi conoscevano bene e agli scritti dei loro stessi poeti. (At 17:22-31) Come rivela la lettura della lettera agli Ebrei, lo stesso apostolo (a cui generalmente la lettera è attribuita) fece molte illustrazioni tratte dalla storia dei rapporti fra Dio e Israele. Scrivendo ai corinti, che avevano familiarità con gli sport praticati in Grecia, Paolo paragonò la vita del cristiano a una corsa. (1Co 9:24-27) Notevole è l’illustrazione dell’olivo, col consiglio rivolto ai cristiani di non adagiarsi e l’esortazione a rendere sacro servizio a Dio con le proprie facoltà di ragionare. — Ro 11:13-32; 12:1, 2.
Per far capire certe verità spirituali, Giacomo, fratellastro di Gesù, inserisce piacevolmente nei suoi scritti situazioni comuni della vita di ogni giorno: parla di un uomo che si guarda allo specchio, del freno di un cavallo, del timone di una nave, e così via. (Gc 1:23, 24; 3:3, 4) Pietro e Giuda ricorrono più volte a episodi tratti da scritti ispirati precedenti per illustrare il messaggio che lo spirito santo li spingeva a comunicare. Tutte queste ottime illustrazioni, dovute allo spirito di Dio, contribuiscono a rendere la Parola di Dio, la Bibbia, un libro vivo.