DOMANDE DAI LETTORI
Nel passato le nostre pubblicazioni hanno menzionato spesso tipi e antitipi. Perché negli ultimi anni è stato fatto di rado?
La Torre di Guardia del 1º marzo 1952 definiva così il “tipo” e l’“antitipo”: “Un tipo è un’immagine o rappresentazione di qualcosa che dovrà accadere in un certo tempo futuro. L’antitipo è la realtà della cosa che il tipo rappresenta. Il tipo può essere appropriatamente chiamato un’ombra; l’antitipo, la realtà”.
Molti anni fa nelle nostre pubblicazioni veniva detto che uomini e donne fedeli, come Debora, Eliu, Giobbe, Iefte, Raab, Rebecca e molti altri, erano tipi, o ombre, sia degli unti che della “grande folla” (Riv. 7:9). Per esempio, si pensava che Giobbe, Iefte e Rebecca rappresentassero gli unti, mentre Debora e Raab la “grande folla”. Negli ultimi anni, però, non sono più state fatte simili analogie. Perché?
È vero che le Scritture indicano che alcuni personaggi biblici sono tipi di qualcosa di più grande. In Galati 4:21-31, infatti, l’apostolo Paolo parla di “un dramma simbolico” che include due donne: Agar, la schiava di Abraamo, rappresenta l’Israele letterale, legato a Geova dalla Legge mosaica; Sara, la “donna libera”, simboleggia invece la moglie di Dio, la parte celeste della sua organizzazione. Nella sua lettera agli Ebrei, Paolo mette in relazione il re-sacerdote Melchisedec con Gesù, sottolineando specifiche analogie tra i due (Ebr. 6:20; 7:1-3). Paragona, inoltre, Isaia e i suoi figli a Gesù e ai suoi seguaci unti (Ebr. 2:13, 14). Gli scritti di Paolo, però, sono ispirati, motivo per cui noi accettiamo senza esitazione ciò che disse riguardo a questi tipi.
Tuttavia anche quando la Bibbia indica che qualcuno è un tipo di qualcun altro, non dovremmo concludere che ogni dettaglio o avvenimento nella vita del tipo rappresenti qualcosa di più grande. Facciamo un esempio: anche se ci dice che Melchisedec è un tipo di Gesù, Paolo non menziona niente che abbia a che fare con l’occasione in cui Melchisedec portò pane e vino ad Abraamo, dopo che questi ebbe sconfitto quattro re. Non c’è, quindi, nessuna base scritturale per cercare in quell’episodio un significato nascosto (Gen. 14:1, 18).
Nei secoli che seguirono la morte di Cristo alcuni scrittori caddero nella trappola di vedere tipi ovunque. Descrivendo gli insegnamenti di Origene, Ambrogio e Girolamo, un’enciclopedia biblica spiega: “Cercarono, e ovviamente trovarono, tipi in ogni avvenimento ed episodio riportato nelle Scritture, per insignificante che fosse. Si pensava che anche nella circostanza più semplice e comune fosse celata la più recondita verità [...] persino nel numero dei pesci pescati dai discepoli la notte in cui il Salvatore risorto apparve loro. Che cosa non si è cercato di fare con quel numero, 153!” (The International Standard Bible Encyclopaedia).
Agostino di Ippona parlò ampiamente del racconto in cui Gesù sfamò circa 5.000 uomini con cinque pani d’orzo e due pesci. Dato che l’orzo era considerato di qualità inferiore rispetto al grano, Agostino concluse che i cinque pani dovessero rappresentare i cinque libri di Mosè (l’“orzo” rappresentava la presunta inferiorità dell’“Antico Testamento”). E i due pesci? Per una qualche ragione li paragonò a un re e a un sacerdote. Un altro biblista, alla costante ricerca di tipi e antitipi, affermò che l’acquisizione della primogenitura di Esaù da parte di Giacobbe con un piatto di minestra rossa rappresentava l’acquisizione dell’eredità celeste per l’umanità da parte di Gesù con il suo sangue rosso.
Tali interpretazioni, che potrebbero sembrare forzate, rivelano qual è il problema: gli esseri umani non possono sapere quali racconti biblici sono ombre di cose future e quali no. L’atteggiamento giusto, perciò, dovrebbe essere che laddove le Scritture insegnano che una persona, un avvenimento o un oggetto è un tipo di qualcos’altro, noi lo accettiamo. Altrimenti, in assenza di una specifica base scritturale, dovremmo evitare di fare un’applicazione antitipica di un certo personaggio o di un racconto.
Come possiamo, quindi, trarre beneficio dagli avvenimenti e dagli esempi riportati nelle Scritture? In Romani 15:4 leggiamo le seguenti parole dell’apostolo Paolo: “Tutte le cose che furono scritte anteriormente furono scritte per nostra istruzione, affinché per mezzo della nostra perseveranza e per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”. Paolo stava dicendo che i suoi fratelli unti del I secolo potevano imparare preziose lezioni da ciò che è riportato nelle Scritture. Ma i servitori di Dio di ogni generazione, che facciano parte degli unti o delle “altre pecore”, che vivano “negli ultimi giorni” o no, possono trarre beneficio — e hanno tratto beneficio — dalle lezioni che si possono imparare da “tutte le cose che furono scritte anteriormente” (Giov. 10:16; 2 Tim. 3:1).
Invece di pensare che la maggioranza di questi racconti si applichi solo alla classe degli unti o della grande folla e solo a un periodo di tempo, tutti i servitori di Dio di qualunque epoca possono applicare a sé molte delle lezioni che questi avvenimenti biblici insegnano. Per esempio, non possiamo limitare l’applicazione del libro di Giobbe a ciò che hanno affrontato gli unti durante la prima guerra mondiale. Molti servitori di Dio, sia uomini che donne, sia degli unti che della grande folla, hanno subìto prove simili a quelle di Giobbe e hanno “visto il risultato che Geova diede, che Geova è molto tenero in affetto e misericordioso” (Giac. 5:11).
Riflettiamo: non è forse vero che nelle nostre congregazioni ci sono donne avanti negli anni leali come Debora, giovani anziani di congregazione saggi come Eliu, coraggiosi pionieri zelanti come Iefte e fedeli uomini e donne pazienti come Giobbe? Siamo davvero grati che Geova abbia preservato “tutte le cose che furono scritte anteriormente”, così che “per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”!
Per questi motivi le nostre pubblicazioni negli ultimi anni hanno dato risalto alle lezioni che possiamo imparare dai racconti biblici, invece di ricercare tipi, antitipi e adempimenti.