Germania (2)
IN PRIGIONE SI TROVANO “PECORE”
Mentre erano in prigione, i fratelli vennero in contatto con persone di ogni specie e naturalmente, nel limite del possibile, parlarono loro della propria speranza. Quale grande gioia provarono allorché un loro compagno di prigionia accettò la verità! Willi Lehmbecker ci narra una tale esperienza. Era stato incarcerato con parecchi altri prigionieri in una stanza dove era permesso fumare:
“La mia cuccetta era di sopra, ma il prigioniero che dormiva sotto di me fumava tanto che quasi non riuscivo a respirare. Mentre tutti gli altri dormivano gli potevo testimoniare con la Bibbia intorno al proposito di Dio per il genere umano. Riscontrai che era un ascoltatore attento. Questo giovane era attivo nella politica ed era stato messo sotto custodia perché aveva distribuito riviste illegali. Ci promettemmo l’un l’altro che, una volta tornati liberi, se ancora in vita, avremmo cercato di visitarci a vicenda. Ma le cose andarono a finire diversamente. Nel 1948 lo incontrai di nuovo a una nostra assemblea di circoscrizione. Mi riconobbe subito, mi salutò gioiosamente e poi mi raccontò la sua storia. Dopo aver scontato la sua condanna ed essere stato rilasciato, era stato chiamato per il servizio militare ed era stato mandato al fronte in Russia. Lì aveva avuto l’opportunità di ripensare a tutte le cose che gli avevo dette. . . . Infine mi disse: ‘Oggi sono divenuto tuo fratello’. Potete immaginare come mi commossi e la gioia che provai?”
Hermann Schlömer ebbe un’esperienza simile. Egli pure era a un’assemblea di circoscrizione dove un fratello gli si accostò e chiese: “Mi riconosci?” Il fratello Schlömer rispose: “Il tuo viso mi è familiare, ma non so chi sei”. Il fratello si presentò quindi come la guardia della prigione a cui il fratello Schlömer era stato affidato nella prigione di Frankfurt-Preungesheim nei cinque anni che vi aveva trascorsi come detenuto. Il fratello Schlömer aveva detto alla guardia tantissime cose intorno alla verità. Gli aveva chiesto anche una Bibbia, che l’ecclesiastico s’era rifiutato di procurargli. La guardia della prigione era stata compassionevole procurando la Bibbia al fratello Schlömer. Affinché nella segregazione cellulare avesse qualche cosa da fare, gli portava anche da rammendare le calze della famiglia. Sì, il fratello Schlömer aveva realmente motivo di rallegrarsi, comprendendo che in questo caso la parola di Geova era caduta su un terreno fertile.
IL CIBO SPIRITUALE DIVIENE SCARSO
Il menu spirituale in Germania continuò a ridursi. Quanto fosse pericoloso sia per gli individui che per i gruppi, allorché persero il contatto con l’organizzazione e non ebbero più l’opportunità di ottenere cibo spirituale, è riferito da Heinrich Vieker:
“Quando i nazisti presero il potere, nella nostra congregazione eravamo da trenta a quaranta proclamatori. L’atteggiamento di sfida assunto da questo sistema sùbito indusse molti fratelli a ‘ritirarsi nell’ombra’, divenendo così inattivi, e circa la metà dei proclamatori non si fece più vedere. Ciò significò che dovevamo stare molto attenti quando trattavamo con quelli che si erano ritirati, salutandoli quando li incontravamo, ma non provvedendo loro le riviste quando erano disponibili. Durante una discussione, scoprimmo una volta che tutti i fratelli, a eccezione di circa quattordici, avevano votato alle elezioni che si eran tenute”.
Naturalmente c’era il pericolo che alcuni fratelli fossero privati del cibo spirituale solo a causa di qualche infelice circostanza che ne avesse fatto sospettare il ritiro dall’organizzazione di Geova. Questo è ciò che accadde a Grete Klein e a sua madre in Stettino. Udiamone il racconto:
“Ci riunivamo in piccoli gruppi nelle case di vari fratelli. Il nostro sorvegliante di congregazione mi diede La Torre di Guardia onde facessi le matrici per ciclostilarla. Ma solo per breve tempo, e poi questo privilegio, che avevo tanto apprezzato, mi fu tolto. I fratelli si erano spaventati e temevano di poter essere scoperti, dopo aver saputo che mio padre era contrario alla verità. Noi, mia madre e io, non ottenevamo nemmeno una copia de La Torre di Guardia. Infatti, il timore dei fratelli giunse fino al punto che quando ci incontravano per via non ci salutavano neppure. Fummo entrambe del tutto stroncate dall’organizzazione. A Stettino una congregazione di Studenti Biblici cessò d’esistere perché, pur essendo ancora liberi, eravamo senza direttiva e senza cibo spirituale. . . .
“Star fermi significa in effetti tornare indietro; subito lo vedemmo dalla nostra attitudine spirituale. Dopo che era cominciata la guerra, continuai a pregare per i nostri fratelli spirituali che erano nei campi di concentramento; comunque, subito pregavo anche per i miei fratelli carnali che facevano la guerra con armi letterali in Russia e in Grecia. In quel tempo non mi accorsi nemmeno che ciò che facevo era sbagliato. Spesso sorgeva nella mia mente il pensiero se sotto il regno di Dio fosse del tutto possibile istituire un ordine nuovo.
“Oltre a me, c’erano nella congregazione di Stettino molti altri giovani che non sapevano da quale parte stavano. Parecchi giovani, come Günter Braun, Kurt e Artur Wiessmann, facevano il servizio militare combattendo con armi carnali. Kurt Wiessmann fu perfino ucciso in azione. Un’importante ragione del nostro comportamento negativo era senza dubbio il fatto che nella nostra congregazione di Stettino la direttiva era caduta vittima del timore dell’uomo. . . .
“D’altra parte, questi fratelli che in quel tempo si indebolirono sono un esempio della pazienza, dell’amore e del perdono di Geova, giacché, come scoprii in seguito, alcuni di essi quando l’opera fu ripresa si pentirono sinceramente delle proprie azioni e furono ristabiliti nel favore di Geova. Alcuni di essi sono ancora oggi nel servizio continuo, come, per esempio, l’ex sorvegliante di congregazione di Stettino, che per timore degli uomini interruppe con me e con mia madre ogni contatto e si trasferì con sua moglie in un luogo dove erano completamente sconosciuti. Ma come mi rallegrai quando li incontrai di nuovo a Wiesbaden dopo aver cominciato il servizio alla Betel e ho potuto vederli perseverare nel servizio continuo fino alla vecchiaia. A causa della sua condotta alcuni fratelli soffrirono grandemente nei campi di concentramento e nelle prigioni, e molti trovarono difficile perdonarlo. Ma la misericordia di Geova li aiutò a far questo e servì per loro come un esempio meraviglioso”.
INCERTEZZA A MAGDEBURGO E ALTROVE
Tornando al racconto del 1933 quando Hitler divenne cancelliere, troviamo che il fratello Rutherford subito si rese conto che il governo tedesco aveva rivolto lo sguardo al nostro edificio di Magdeburgo e alle preziose macchine da stampa che vi si trovavano. Si compirono vigorosi sforzi per provare ai funzionari responsabili che la Wachtturm Bibel-und Traktat-Gesellschaft era sussidiaria della Società Torre di Guardia di Bibbie e Trattati di Pennsylvania e che, siccome la proprietà di Magdeburgo consisteva in gran parte di doni ricevuti dall’America, era in realtà proprietà americana. In queste circostanze il fratello Balzereit come cittadino tedesco aveva un’efficacia parziale nella lotta per liberare la proprietà americana. Il fratello Rutherford chiese perciò al fratello Harbeck, sorvegliante di filiale della Svizzera, di intervenire nella controversia, facendo uso della sua cittadinanza americana.
Il fratello Balzereit, che aveva preferito trasferirsi in Cecoslovacchia per starsene al sicuro, ora sentì che la sua autorità veniva limitata, e il suo orgoglio fu ferito. Tuttavia mostrò poco desiderio di tornare in Germania a dirigere personalmente i negoziati in corso per ritenere il possesso della proprietà della Società e sostenere i suoi fratelli nella lotta per la fede. Nello stesso tempo, il fratello Balzereit e parecchi fratelli che nella controversia si erano schierati dalla sua parte accusarono il fratello Harbeck d’essere stato negligente nella cura degli interessi tedeschi, mentre altri arrivarono fino a telegrafare al fratello Rutherford a favore di Balzereit.
Il fratello Rutherford rispose a Balzereit come segue: “Torna a Magdeburgo e restavi e assumi responsabilità e fa quello che puoi, ma comunica ogni cosa al fratello Harbeck. . . . Infatti non ti dovrebbe essere necessario chiedere il permesso di tornare in Germania, dato che, per quanto mi riguarda, e tu lo sai, vi potevi restare fin dal principio. Hai cercato comunque di farmi credere che la tua sicurezza personale dipendesse dal tuo rifugiarti fuori del paese”.
L’anno 1933 giunse al termine senza che si conseguisse alcuna unità in quanto a tenere regolari adunanze e a compiere l’opera di predicazione. Il fratello Poddig descrive la situazione: “Si formarono due gruppi. I timorosi sostenevano che eravamo disubbidienti e mettevamo in pericolo sia loro che l’opera di Geova”. Una lettera scritta dal fratello Harbeck nell’agosto del 1933 fu estesamente distribuita tra i fratelli tedeschi e fu usata dai timorosi nelle loro conversazioni come prova della giustezza del loro atteggiamento. Frattanto la Società pubblicò ne La Torre di Guardia un articolo intitolato “Non li temete!” che sosteneva l’azione di quelli i quali, nonostante l’accresciuta persecuzione e il maltrattamento, avevan seguito la voce della propria coscienza e avevano continuato a riunirsi in piccoli gruppi compiendo clandestinamente l’opera di predicazione. Esso mostrava loro che la loro azione era stata in armonia con la volontà divina.
I negoziati per ottenere il rilascio della proprietà di Magdeburgo erano stati interrotti, così che il 5 gennaio 1934 il fratello Rutherford scrisse al fratello Harbeck: “Ho poca speranza di ottenere dal governo tedesco alcuna cosa. Sono dell’opinione che tale ala dell’organizzazione di Satana continuerà a opprimere il nostro popolo finché non intervenga il Signore”.
Nel frattempo, da fratelli della Germania erano giunte al fratello Rutherford altre lettere, che gli davano una più accurata idea della condizione dell’opera in Germania e anche dell’attitudine spirituale dei fratelli. Una di queste, proveniente dal fratello Poddig, si riferiva all’articolo de La Torre di Guardia “Non li temete!” Essa spiegava che alcuni fratelli si rifiutavano di accettare questa Torre di Guardia come “cibo a suo tempo”. Alcuni perfino cercavano d’impedire ai fratelli di compiere qualsiasi predicazione clandestina. La risposta del fratello Rutherford fu trasmessa ai fratelli dappertutto. In parte, essa diceva: “L’articolo ‘Non li temete!’ che comparve ne La Torre di Guardia [inglese] del 1º dicembre fu scritto specialmente per il beneficio dei nostri fratelli della Germania. È sorprendente che qualche fratello si opponga a quelli che si interessano di trovare le opportunità per rendere testimonianza al Signore. . . . Il summenzionato articolo si applica alla Germania esattamente come si applica a qualsiasi altra parte della terra. Si applica in special modo al rimanente ovunque se ne trovino i singoli membri. . . . Questo significa che né il servitore della letteratura, né il direttore del servizio, il conduttore dell’opera della mietitura o qualsiasi altro ha il diritto di dirvi cosa fare o di rifiutarsi di provvedervi tale letteratura secondo che sia disponibile. La vostra attività nel servizio del Signore non è illegale, poiché la fate ubbidendo al comando del Signore . . .”
PRESTABILITI A BASILEA I PIANI PER UN’AZIONE UNITA
Si dispose di tenere, dal 7 al 9 settembre 1934, un congresso nell’esposizione di Basilea, in Svizzera. Il fratello Rutherford sperava di incontrarvi diversi fratelli della Germania, per udire direttamente da loro quale fosse l’effettiva situazione nel paese. Nelle più avverse condizioni, poterono assistervi quasi mille fratelli della Germania. In seguito riferirono quanto il fratello Rutherford fosse afflitto, allorché ebbe udito personalmente ciò che i fratelli erano già stati costretti a soffrire.
D’altra parte, egli dovette riconoscere che neanche i sorveglianti viaggianti presenti avevano riguardo all’opera di predicazione un unico pensiero. Parlò loro dei passi da fare in Germania dopo il congresso. Furono fatti i piani per un’azione unita.
Il 7 ottobre 1934 rimarrà per sempre come qualche cosa di speciale nella memoria di tutti quelli che ebbero il privilegio di partecipare agli avvenimenti di quel giorno. Hitler e il suo governo furono affrontati quel giorno dall’intrepida azione dei testimoni di Geova, ai suoi occhi una ridicola minoranza.
I particolari furono indicati in una lettera del fratello Rutherford, una copia della quale doveva essere portata da uno speciale messaggero a ogni congregazione in Germania. Nello stesso tempo questi messaggeri ebbero istruzione di fare i preparativi perché in questo particolare giorno si tenessero adunanze in tutta la Germania. La lettera del fratello Rutherford in parte diceva:
“Ogni gruppo dei testimoni di Geova della Germania dovrebbe riunirsi, alle ore 9,00 della domenica mattina 7 ottobre 1934, in un luogo conveniente della città dove abitano. Questa lettera dovrebbe essere letta a tutti i presenti. Dovreste unirvi nella preghiera a Geova per chiedergli mediante Cristo Gesù, nostro Capo e Re, la sua guida, la sua protezione, la sua liberazione e la sua benedizione. Immediatamente dopo, mandate ai funzionari del governo tedesco una lettera il cui testo sarà stato preparato in anticipo e sarà quindi disponibile. Si dovrebbero dedicare alcuni minuti alla considerazione di Matteo 10:16-24, tenendo presente che, facendo come dice questo testo, ‘starete in difesa delle vostre vite’. (Ester 8:11, AV) L’adunanza dovrebbe quindi esser chiusa e voi dovreste andare fuori dai vostri vicini a dar loro testimonianza intorno al nome di Geova, intorno al nostro Dio e al suo Regno retto da Cristo Gesù.
“In tutto il mondo i vostri fratelli vi penseranno e nello stesso tempo rivolgeranno a Geova una preghiera simile”.
UNITA DICHIARAZIONE DELLA DETERMINAZIONE DI UBBIDIRE A DIO
I preparativi dovevano farsi, naturalmente, nella completa segretezza. Si richiedeva che ogni fratello che aveva da fare qualsiasi cosa con loro acconsentisse di non parlare di quanto si predisponeva per il 7 ottobre nemmeno alla propria moglie o agli altri componenti della propria famiglia. Nonostante queste precauzioni, all’ultimo minuto sorse la situazione che, se non fosse stato per il possente e protettivo braccio di Geova, si sarebbero potute avere conseguenze terribili. Riguardo a ciò che accadde a Magonza, Konrad Franke narra:
“Ero stato arrestato la prima volta all’inizio del 1933 ed ero stato messo in un campo di concentramento, quindi dopo il mio rilascio dovevo spesso presentarmi alla Gestapo, che ogni volta mi accusava d’essere incaricato di organizzare l’opera in questa città, e così il continuo numero di arresti testimoniava che era in corso un’organizzata campagna di predicazione. Mi feci mandare perciò la posta a un indirizzo segreto, a un indirizzo che il nostro direttore del servizio regionale, il fratello Franz Merck, conosceva. Ma per qualche inspiegabile ragione egli non mi aveva consegnato personalmente la lettera del fratello Rutherford contenente le necessarie istruzioni come si era convenuto a Basilea, ma me l’aveva mandata per posta e questa al mio indirizzo normale e letteralmente ‘all’ultimo minuto’. Felicemente la mia attenzione era già stata richiamata sulla campagna dal fratello Albert Wandres, col quale avevo lavorato strettamente, e conoscevo così tutti i particolari esposti nella lettera. Poiché i giorni che mancavano al 7 ottobre passavano molto presto e ancora non avevo ricevuto dal fratello Merck queste importanti informazioni, andai avanti senza il suo aiuto e disposi che l’adunanza si tenesse nella casa di un fratello in un sobborgo di Magonza, alla cui adunanza furono invitate quasi venti persone.
“Due giorni prima che venisse tenuta l’adunanza fu necessario fare un improvviso cambiamento, poiché la casa dove ci saremmo dovuti radunare era risultato un luogo pericoloso. Dopo aver comunicato il nuovo indirizzo a tutti i fratelli e le sorelle, all’improvviso si scoprì che anche in questa casa una famiglia aveva espresso grande inimicizia e aveva minacciato di far arrestare immediatamente qualsiasi testimone di Geova che conoscevano se in qualsiasi tempo futuro avesse messo piede nella loro casa. Quindi i fratelli proprietari della casa, nel cui appartamento si sarebbe dovuta tenere l’adunanza la mattina successiva, chiesero di farla in qualche altro luogo. Perciò, il 6 ottobre fu necessario visitare di nuovo tutti i fratelli, comunicando loro un terzo luogo per l’adunanza della mattina seguente alle 9,00. Ma dove? Sembrava che non rimanesse nessuna possibilità. Dopo aver fatto una considerazione in preghiera, decisi d’invitare i fratelli nel mio piccolo appartamento da pioniere, sebbene ciò fosse pericoloso.
“La sera del 6 ottobre tornai a casa stanco e mi fu consegnata da mia moglie una lettera ch’era stata recapitata a tarda sera oltre la normale ora del recapito della posta, e questo nonostante il fatto che fosse una lettera normale e non un espresso, il che avrebbe richiesto che il recapito fosse fatto dalla Posta a quell’ora. L’aprii e scoprii che era la lettera del fratello Rutherford. Il fratello Merck me l’aveva inviata probabilmente perché non aveva avuto la possibilità di farmela avere in tempo di persona.
“Il modo in cui era stato fatto il recapito era comunque per me una prova che la lettera era andata prima alla Gestapo, come avveniva di tutta la mia corrispondenza privata, e che essa aveva poi disposto di farla recapitare, evidentemente pensando che io non sapessi ancora nulla della campagna. Essi calcolarono che io avrei preso quindi le disposizioni necessarie in armonia con il contenuto della lettera in qualche ora della notte, così che la mattina dopo avrebbero dovuto trovarci tutti insieme e arrestarci senza nessuno speciale sforzo da parte loro. Infatti, c’era stato tempo sufficiente per avvertire i funzionari di tutta la Germania. Sarebbe stata una cosa semplice arrestare tutti i testimoni di Geova radunati la mattina dopo nelle varie città.
“Che cosa avrei dovuto fare? Il mio appartamento, situato in un edificio dov’era anche una taverna, era tutt’altro che sicuro. Tutti quelli che abitavano nella casa, a eccezione della sorella che era proprietaria dell’edificio e la cui stanza da letto era adiacente al nostro appartamento, erano accanitamente contrari. D’altra parte, non c’era nessun’altra possibilità di avere un posto per radunarci. Confidando nell’aiuto di Geova, decisi di non fare nessun altro cambiamento né di far agitare indebitamente i fratelli e le sorelle, che, in maggioranza, vivevano in famiglie divise e non avevano la minima idea di quale fosse lo scopo dell’adunanza. Intimamente mi preparai per essere arrestato di nuovo.
“Alle 7,00 della mattina del 7 ottobre, erano già arrivati i primi fratelli, essendo state prese le disposizioni perché ciascuno venisse singolarmente in un periodo di due ore in modo da non farsi notare troppo. I fratelli comparvero a uno a uno, tutti assai ansiosi di sapere ciò che sarebbe avvenuto, nonostante che in armonia con le istruzioni non fossero stati informati della vera ragione dell’adunanza. Ma fra loro non c’era nessuno che non sentisse che questo doveva essere un giorno estremamente significativo. Tutti, comprese le sorelle i cui mariti nella maggioranza dei casi erano contrari e la maggioranza delle quali avevano figli piccoli a cui badare, mi fecero impressione per la determinazione e la volontà di fare qualsiasi cosa si chiedesse loro di fare negli interessi della rivendicazione del nome di Geova.
“Alle 9,00 meno dieci minuti eravamo tutti radunati nel nostro appartamento da pioniere di una sola stanza. Mi aspettavo di vedere per certo la Gestapo arrivare con una grossa auto in qualsiasi minuto per arrestarci tutti. Mi sentii perciò spinto a spiegare ai fratelli la situazione e a dar loro l’opportunità di ritirarsi dalla partecipazione all’adunanza nel caso che avessero avuto timore delle possibili conseguenze. Dissi loro: ‘La situazione è tale che nei prossimi dieci minuti potremmo tutti essere arrestati. Non voglio che alcuno di voi possa accusarmi in seguito d’avervi messo in questa situazione senza avervi informato della sua gravità. Vi chiedo perciò di aprire la vostra Bibbia a Deuteronomio 20’. Lessi il versetto 8: ‘Chi è l’uomo che ha timore e gli vien meno il cuore? Vada e torni alla sua casa, onde non faccia struggere il cuore dei suoi fratelli come il suo proprio cuore’. Dopo averlo letto ai presenti, dissi: ‘Chiunque pensa che la situazione sia ora troppo pericolosa ha l’opportunità di ritirarsi e non partecipare all’adunanza’.
“Ma nessuno, nemmeno le sorelle che avevano i mariti contrari e i figli piccoli, pensò di ritirarsi per timore. Ciò che ora successe è qualche cosa che difficilmente può esprimersi con parole. Nei pochi minuti che seguirono prima delle 9,00 ci fu nella sala un silenzio solenne. Era evidente che tutti i presenti in tacita preghiera affidavano la questione alla protettiva mano di Geova. Giunsero le 9,00. E mentre voleva continuare ad affacciarsi alla mia mente il pensiero che ‘ora la Gestapo entrerà da un momento all’altro nel cortile’, aprii l’adunanza con preghiera. All’improvviso tutti avemmo la sensazione che un forte cerchio di protezione ci fosse stato posto all’intorno, includendo non solo i fratelli in pericolo in Germania ma i fratelli in tutto il mondo che, in armonia con le istruzioni, si erano riuniti nella stessa ora in molti paesi e naturalmente avevan pure cominciato le loro adunanze con preghiera, tutto questo allo scopo di protestare presso Hitler contro l’inumano trattamento dei loro fratelli in Germania.
“Pronunciai poi un discorso ai fratelli ripetendo i pensieri principali del notevole discorso che il fratello Rutherford aveva tenuto a Basilea per l’incoraggiamento dei fratelli tedeschi. Esso presentava le prove bibliche che, malgrado le mutate condizioni, non eravamo stati esentati dinanzi a Geova dalla nostra responsabilità di radunarci regolarmente per studiare la sua Parola e per lodarlo, né dal nostro obbligo di rendere servizio come suoi testimoni e di far conoscere pubblicamente il Regno”.
In armonia con l’azione che i testimoni di Geova stavano per compiere in tutta la Germania, tutti nel gruppo acconsentirono entusiasticamente che quel giorno fosse mandata per posta raccomandata al governo la lettera che segue:
“AI FUNZIONARI DEL GOVERNO:
“La Parola di Geova Dio, com’è contenuta nella Sacra Bibbia, è la legge suprema, e per noi è la nostra sola guida per la ragione che ci siamo dedicati a Dio e siamo veri e sinceri seguaci di Cristo Gesù.
“Lo scorso anno, e contrariamente alla legge di Dio e in violazione dei nostri diritti, ci avete proibito quali testimoni di Geova di radunarci per studiare la Parola di Dio e adorarlo e servirlo. Nella sua Parola egli ci comanda di non abbandonare la nostra comune adunanza. (Ebrei 10:25) Geova ci comanda: ‘Voi mi siete testimoni che io sono Dio. Andate e annunciate al popolo il mio messaggio’. (Isaia 43:10, 12; Isaia 6:9; Matteo 24:14) C’è un diretto contrasto fra la vostra legge e la legge di Dio, e, seguendo la direttiva dei fedeli apostoli, ‘noi dobbiamo ubbidire a Dio anziché agli uomini’, e questo faremo. (Atti 5:29) Perciò qui vi comunichiamo che ad ogni costo ubbidiremo ai comandamenti di Dio, ci raduneremo per studiare la sua Parola, e lo adoreremo e lo serviremo come ha comandato. Se il vostro governo o i vostri funzionari ci faranno violenza perché avremo ubbidito a Dio, il nostro sangue ricadrà quindi su di voi e ne risponderete a Dio Onnipotente.
“Non ci interessiamo di questioni politiche, ma siamo interamente devoti al regno di Dio retto da Cristo suo Re. Non faremo nessun male o danno a nessuno. Vorremmo rallegrarci dimorando in pace e facendo il bene a tutti gli uomini secondo che ce ne fosse data l’opportunità, ma, siccome il vostro governo e i suoi funzionari continuano nel vostro tentativo di costringerci a disubbidire alla più alta legge dell’universo, siamo obbligati a comunicarvi ora che, per sua grazia, ubbidiremo a Geova Dio e confideremo pienamente in Lui perché ci liberi da ogni oppressione e da ogni oppressore”.
A pieno sostegno dei loro fratelli tedeschi, i testimoni di Geova di tutta la terra si radunarono il 7 ottobre e, dopo l’unita preghiera a Geova, mandarono al governo di Hitler il cablogramma che avvertiva:
“Il maltrattamento che fate ai testimoni di Geova sorprende tutte le persone buone della terra e disonora il nome di Dio. Astenetevi dal perseguitare ulteriormente i testimoni di Geova; altrimenti Dio distruggerà voi e il vostro partito nazionale”.
È sorprendente che quel giorno furono arrestati pochi fratelli, nonostante che la Gestapo avesse scoperto, anche se all’ultimo minuto, ciò che stava per farsi. Torniamo al rapporto del fratello Franke:
“Nonostante che fosse già passata più di un’ora da che avevamo chiuso l’adunanza con preghiera, non era ancora comparso nessuno della Gestapo. Ora i primi ricominciarono ad andar via, come in precedenza, a intervalli. C’erano ancora circa otto fratelli quando partii in bicicletta per andare nella vicina città di Wiesbaden a consegnare io stesso la lettera alle autorità postali. La lettera era stata scritta durante la notte ed era stata lasciata a Wiesbaden, dove i fratelli avrebbero dovuto spedirla se io, come per certo mi aspettavo, fossi stato arrestato. Mentre oltrepassavo il cancello del giardino, un agente della Gestapo venne in sù con la sua bicicletta ma non mi riconobbe. Gli altri otto fratelli furono avvertiti e fuggirono nell’adiacente stanza da letto della sorella Darmstadt, la sorella a cui la casa apparteneva. Le domande che l’agente della Gestapo rivolse a mia moglie mentre perquisiva il nostro appartamento indicarono che la Gestapo sapeva tutto della nostra adunanza. Ciò nonostante, né io né alcun altro fratello fummo arrestati quel giorno. Solo parecchi mesi dopo, quando fui arrestato di nuovo dalla Gestapo, mi dissero che erano in possesso della lettera del fratello Rutherford”.
Mentre alcuni fratelli erano occupati subito dopo l’adunanza a visitare i loro vicini richiamando la loro attenzione sul regno di Dio, in molti uffici postali fuori della Germania ci fu grande costernazione. Specialmente nel continente europeo, le autorità postali di molti luoghi si rifiutarono di accettare il telegramma. Questo è quanto accadde a Budapest. Martin Pötzinger vi assisté all’adunanza e fu invitato a portare il telegramma all’ufficio postale. Egli narra: “Il telegramma fu accettato, ma il giorno dopo fui avvertito dall’ufficio postale principale che mi sarei dovuto presentare ivi personalmente. Tutti pensammo che la Gestapo mi avrebbe messo sotto custodia, espellendomi dal paese, e che avrebbe così posto fine alla mia attività . . . ma questo non accadde. Solo mi fu detto che l’Ungheria non avrebbe trasmesso il telegramma e mi fu ridato il denaro”. A Doorn (Olanda), dove viveva in esilio il kaiser tedesco Guglielmo II, l’ufficio postale prima si rifiutò di mandare il telegramma, ma in seguito notificò ad Hans Thomas, che l’aveva consegnato, che esso era stato inviato e ne era stato confermato l’arrivo a Berlino.
L’effetto che le lettere, e specialmente i telegrammi, fecero su Hitler può comprendersi da una relazione scritta da Karl R. Wittig, autenticata da un pubblico notaio di Francoforte sul Meno il 13 novembre 1947:
“DICHIARAZIONE: Il 7 ottobre 1934, essendo stato precedentemente convocato, visitai il dott. Wilhelm Frick, in quel tempo Ministro dell’Interno del Reich e della Prussia, nel suo Ministero dell’Interno del Reich, situato a Berlino, 6 am Köenigsplatz, poiché ero plenipotenziario del generale Ludendorff. Dovevo accettare le comunicazioni, il cui contenuto era un tentativo di persuadere il generale Ludendorff a smettere di fare obiezione al regime nazista. Durante la mia conversazione col dott. Frick, apparve improvvisamente Hitler e cominciò a prendere parte alla conversazione. Quando la nostra discussione trattò obbligatoriamente l’azione contro l’Associazione degli Studenti Biblici Internazionali [testimoni di Geova] della Germania che era stata compiuta finora, il dott. Frick mostrò a Hitler parecchi telegrammi che protestavano contro la persecuzione del Terzo Reich verso gli Studenti Biblici, dicendo: ‘Se gli Studenti Biblici non si conformano immediatamente agiremo contro di loro usando mezzi più forti’. Dopo di che Hitler saltò in piedi e con i pugni chiusi istericamente strillò: ‘Questa razza sarà sterminata in Germania!’ Quattro anni dopo questa discussione, in base alle osservazioni che avevo fatte nei miei sette anni di custodia preventiva nell’inferno dei campi di concentramento nazisti di Sachsenhausen, Flossenbürg e Mauthausen — fui in prigione finché venni rilasciato dagli Alleati — mi potei convincere che l’esplosione d’ira di Hitler non era stata solo una futile minaccia. Nessun altro gruppo di prigionieri fu esposto nei nominati campi di concentramento al sadismo dei soldati delle SS nel modo in cui lo furono gli Studenti Biblici. Fu un sadismo contrassegnato da un’interminabile catena di torture fisiche e mentali, di cui nessun linguaggio al mondo può esprimere l’uguale”.
Dopo aver mandato le nostre lettere a Hitler ci fu un’ondata di arresti. La più duramente colpita fu Amburgo dove, solo alcuni giorni dopo il 7 ottobre, la Gestapo arrestò 142 fratelli.
ORGANIZZATA L’OPERA CLANDESTINA
Avendo ora notificato a Hitler con la nostra lettera del 7 ottobre che, nonostante il suo bando, avremmo continuato a ubbidire esclusivamente ai comandi di Dio, cercammo di organizzare tutti i fratelli e le sorelle coraggiosi e disposti in piccoli gruppi sotto la direttiva di un fratello maturo, il cui obbligo era quello di custodire e pascere con tutto il cuore le pecore del Signore.
Il paese fu diviso in tredici regioni, e un fratello con buone qualità pastorali fu costituito su ciascuna regione perché prestasse servizio come direttore del servizio regionale, come allora era chiamato. Questi dovevano essere fratelli i quali, indipendentemente dai pericoli che vi erano implicati, fossero disposti a visitare i piccoli gruppi per provvedere loro il cibo spirituale, sostenerli nella loro attività di predicazione e rafforzarli nella fede. Eccetto che per alcuni, gli incarichi furono ricoperti da servitori finora completamente sconosciuti ai fratelli. Essi avevano comunque dato prova, da che Hitler era asceso al potere, di voler assoggettare i loro interessi personali a quelli del Regno.
CICLOSTILATA E DISTRIBUITA “LA TORRE DI GUARDIA”
I fratelli ciclostilavano e distribuivano copie de La Torre di Guardia in molti diversi luoghi di tutta la Germania. Ad Amburgo, per esempio, Helmut Brembach continuò a fornire ai fratelli in Schleswig-Holstein e ad Amburgo le copie che egli e sua moglie facevano di notte. Delle molte esperienze che ella e suo marito ebbero, la sorella Brembach narra la seguente:
“Era mattina quando all’improvviso suonò il campanello della porta, ma assai più forte del solito. Aperta la porta, vi trovai tre uomini. Sospettai chi fossero. ‘Gestapo’ disse uno di loro e tutt’e tre erano già dentro l’appartamento. Il cuore mi saltò in gola mentre pensavo a tutte le cose nascoste nella casa. Tremando interiormente per il timore, pregai Geova.
“Da un punto di vista umano non sarebbe stato un problema trovare Le Torri di Guardia impacchettate e l’intera apparecchiatura che usavamo per farle. Siccome nella nostra casa abitavano diverse famiglie, comprese quelle di due agenti di polizia, non c’era posto per nascondere nulla, specialmente in vista del fatto che il materiale necessario — carta, ciclostile, macchina da scrivere e inchiostro, oltre al materiale per avvolgere — era tutto voluminoso. Non sapendo come nascondere queste cose agli occhi di quelli che non avrebbero dovuto vederle — ne avevamo bisogno ogni due settimane — decidemmo di avvolgere ogni cosa e di metterlo dentro il nostro ripostiglio delle patate, che era al centro del seminterrato e dove poteva entrare qualsiasi altro abitante della casa. Ogni volta che avevamo finito di fare La Torre di Guardia, rimettevamo attentamente ogni cosa in questo ripostiglio, lo coprivamo di sacchi vuoti e vi ammucchiavamo poi sopra cassette vuote per pomodori fino al soffitto, sperando che, nel peggiore dei casi, chi cercasse di trovare qualche cosa non lo notasse o fosse troppo indifferente e pigro per voler rimuovere ogni cosa di sopra il ripostiglio delle patate. Confidavamo in Geova; non c’era nient’altro che potessimo fare.
“L’agente mi chiese se avevamo nella casa pubblicazioni proibite. Per evitar di mentire, dissi: ‘Prego, guardi pure da sé’. Perquisirono l’appartamento, aprendo la porta della dispensa in modo tale da non vedere la macchina da scrivere, che avevamo dimenticato di rimettere nel ripostiglio e che avrebbero riconosciuta come la macchina necessaria per scrivere La Torre di Guardia, se l’avessero scoperta. Ma Geova li accecò. Non avendo trovato nulla nell’appartamento, chiesero se potevano guardare nel seminterrato. Sentii ora che la scoperta di tutto il materiale e delle registrazioni era inevitabile. Cercai di nascondere loro il mio timore benché il mio cuore battesse sempre più forte. A peggiorare le cose, una valigia piena di Torri di Guardia ciclostilate, che mio marito avrebbe dovuto portare in viaggio il giorno dopo, stava proprio dietro il ripostiglio. Ma che cosa accadde? I tre agenti stettero in mezzo alla stanza, pensate, proprio lì dov’era il ripostiglio con la valigia piena di Torri di Guardia di dietro. Ma sembrò che nessuno di essi la notasse; fu come se fossero stati colpiti da cecità. Nessuno d’essi fece nessuno sforzo di nessuna specie per guardare nel ripostiglio oppure per vedere cosa c’era nella valigia. Infine uno degli agenti chiese del nostro attico; dove trovarono parecchie vecchie pubblicazioni, che sembrarono soddisfarli, e quindi andarono via. Ma le cose più importanti, grazie all’aiuto di Geova e a quello dei suoi angeli, eran rimaste nascoste ai loro occhi”.
Si potrebbero raccontare molti casi simili che mostrarono come la guida di Geova mantenne intatte queste attività di riproduzione col ciclostile per lunghi periodi di tempo, affinché il suo popolo fosse così fornito di letteratura.
OPERA DI PREDICAZIONE ORGANIZZATA
Non tutti gli associati con noi si impegnavano nell’attività di predicazione. Al contrario, in alcune congregazioni vi partecipava solo la metà. A Dresda, per esempio, la congregazione aveva raggiunto una volta un massimo di circa 1.200 proclamatori, ma dopo il bando questo scese rapidamente a 500. Ciò nondimeno, in tutta la Germania potevano esserci almeno diecimila che si dichiaravano disposti a predicare senza tener conto del pericolo che vi era implicato.
In principio la maggioranza lavorava solo con la Bibbia, mentre quando si facevano visite ulteriori si collocavano vecchi opuscoli e libri che erano stati salvati dagli artigli della Gestapo. Altri facevano cartoline di testimonianza. Altri ancora scrivevano lettere a persone che conoscevano, approfittando di qualche occasione speciale. L’attività di porta in porta continuava, sebbene comportasse grandi pericoli. Ogni volta che qualcuno apriva la porta poteva essere un uomo delle SA o delle SS. Dopo essere stati a una porta, i proclamatori saltavano in genere a un’altra casa di abitazione o, nel casi dove era estremamente pericoloso, anche a un’altra strada.
Per almeno due anni quasi dappertutto in Germania, in alcuni luoghi anche più a lungo, si poté predicare di casa in casa. Non c’è dubbio che questo fu possibile solo a causa della speciale protezione di Geova.
Le piccole quantità di letteratura disponibili per l’opera di predicazione furono subito esaurite. Vedemmo pertanto se si poteva ottenere letteratura da paesi esteri. Ernst Wiesner di Breslavia ci fa sapere alcuni interessanti particolari sul modo in cui questo avveniva:
“La letteratura ci era mandata dalla Svizzera attraverso la Cecoslovacchia. Era immagazzinata al confine presso estranei e di lì era quindi portata oltre i monti Riesen in Germania. Il lavoro, che era fatto da una squadra di fratelli maturi e volenterosi, era pericolosissimo ed estremamente faticoso. Attraversavamo il confine a mezzanotte. I fratelli erano bene organizzati e forniti di grossi zaini. Facevano il viaggio due volte la settimana, benché dovessero essere ogni giorno anche al loro lavoro. D’inverno usavano slitte e sci. Conoscevano ogni sentiero e passo, avevano buone torce elettriche, binocoli e scarponi da montagna. La legge suprema era quella d’esser cauti. Arrivati al confine tedesco verso mezzanotte e anche dopo averlo attraversato, per molto tempo nessuno osava proferire una parola. Due fratelli andavano avanti e, ovunque incontrassero qualcuno, facevano subito segnale con le torce elettriche. Questo era un segnale per i fratelli con i pesanti zaini che li seguivano a circa 100 metri di distanza, affinché si nascondessero fra gli arbusti lungo il percorso sino a che i due fratelli che andavano avanti non tornavano e non dicevano una certa parola d’ordine, che era cambiata di settimana in settimana.
“Questo poteva accadere diverse volte la notte. Una volta che il percorso era di nuovo libero, i fratelli procedevano verso una certa casa di un villaggio dalla parte tedesca dove i libri erano messi quella stessa notte o di buon’ora la mattina dopo in piccoli pacchi, i quali, dopo avervi scritto nome e indirizzo, erano quindi portati in bicicletta all’ufficio postale di Hirschberg o di altre città vicine. In tutta la Germania i fratelli ricevevano la letteratura in questo modo. . . . Questa squadra di fratelli, zelanti e straordinariamente abili, fu in grado di portare in Germania una grande quantità di letteratura per un periodo di due anni senza farsi prendere, rafforzando in tal modo molti in tutto l’intero paese”. Disposizioni simili furono seguite anche ai confini di Francia, Saar, Svizzera e Olanda.
È interessante a questo proposito una lettera scritta da una sorella: “Quando leggerete il rapporto dell’Annuario sulla Germania vi chiederete com’è possibile che in tali condizioni si collocasse tanta letteratura. Noi ci facciamo la stessa domanda. Se Geova non fosse stato con noi, sarebbe stato impossibile. Molti fratelli sono costantemente guardati dalla polizia ogni volta che lasciano la loro casa. . . . Ma Geova ne è consapevole e, ciò nonostante, ci permette di rafforzarci ripetutamente con l’abbondante cibo che riceviamo”.
Prima che fosse annunciato il bando, avemmo sufficiente tempo per nascondere in vari luoghi la letteratura. Per capire comunque ciò che avvenne, è importante tener presente che i fratelli non avevano mai avuto l’esperienza di far provvista di letteratura in tempo di proscrizione. Invece di dividerla dunque tra molti fratelli, ci fu in principio la tendenza a depositarla in grandi depositi, pensando che questo fosse più sicuro, specialmente in vista del fatto che gli incaricati consideravano il bando solo temporaneo. Alcuni depositi avevano spazio per immagazzinarvi da trenta a cinquanta tonnellate di letteratura. Col passar del tempo alcuni fratelli cominciarono comunque a preoccuparsi, chiedendosi che cosa sarebbe accaduto se i nemici avessero trovato e confiscato questi grandi depositi. Per questa ragione i fratelli incaricati dei depositi cominciarono a dar via i libri onde fossero usati nel ministero, sia che fossero collocati a una contribuzione o no.
Una volta divenuto evidente che la persecuzione sarebbe continuata e che i nascondigli sarebbero stati sempre più pericolosi, i fratelli cominciarono a dar via quanti più libri e opuscoli fosse possibile. Mentre partecipavano al ministero di campo semplicemente li mettevano nelle abitazioni quando nessuno stava a guardare o li infilavano sotto la stuoia dell’ingresso, sperando che in alcuni casi cadessero nelle mani di persone sincere desiderose della forza e della speranza che potevano dare.
COMMEMORAZIONE
Poiché eravamo decisi a non trascurare la comune adunanza, in armonia con il comando di Geova, è ovvio che saremmo stati estremamente consapevoli di celebrare la Commemorazione. In tali giorni la Gestapo era specialmente attiva, avendo nella maggioranza dei casi determinato la data della Commemorazione da pubblicazioni stampate fuori della Germania o da La Torre di Guardia ciclostilata, che a volte cadeva nelle loro mani. La loro ira si concentrava in particolar modo sugli unti, che erano menzionati non solo relativamente alla Commemorazione, ma anche in quanto a campagne speciali. Essi vedevano in loro i “capi” dell’organizzazione che si sarebbero dovuti schiacciare per primi al fine di distruggere l’organizzazione.
La Commemorazione del 17 aprile 1935 fu specialmente emozionante. Diverse settimane prima, la Gestapo aveva già saputo la data e aveva avuto molto tempo per avvertire tutti i suoi uffici. Una circolare segreta in data 3 aprile 1935 diceva:
“Un attacco di sorpresa lanciato in questo tempo contro i noti capi degli Studenti Biblici avrebbe completo successo. Vogliate comunicare qualsiasi informazione relativa al successo entro il 22 aprile 1935”.
Ma poté esserci poca “informazione relativa al successo”, poiché la maggioranza degli ufficiali, come quello di Dortmund, poté riferire solo che le case di quelli che eran ritenuti capi dell’Associazione degli Studenti Biblici erano state poste sotto sorveglianza ma in nessun caso si erano tenute adunanze. Come motivo di pacificazione essi aggiunsero che “i principali e attivi membri degli Studenti Biblici di questo distretto sono già sotto custodia così che non rimane nessuno per organizzare tali adunanze”.
Comunque, la polizia segreta si sbagliava, poiché poco dopo che era stata mandata questa circolare segreta, ne ricevemmo una copia da un amico della verità che aveva accesso a tali informazioni segrete. I direttori del servizio regionale avevano avvertito tutti i servitori abbastanza in tempo e avevano dato loro appropriati consigli sul modo di evitar d’essere scoperti ubbidendo ciò nondimeno alle istruzioni del nostro Signore e Maestro.
Avvenne così che molti si radunarono immediatamente dopo le 18,00, mentre altri attesero che la Gestapo fosse venuta e se ne fosse andata prima di uscire per radunarsi con i loro fratelli in piccoli gruppi, celebrando alcuni la Commemorazione nel mezzo della notte. In ogni caso, la maggioranza dei reparti della Gestapo mandò rapporti simili a quello inviato da Dortmund.
Willi Kleissle riferisce che i fratelli di Kreuzlingen celebrarono la Commemorazione esattamente alle 18,00. Avevano avuto istruzione che prima di lasciare l’edificio dovevano andare nel negozio situato nell’edificio stesso e appartenente a un fratello, dove potevano comprare zucchero, caffè e simili. Quindi potevano andar via passando per la regolare uscita del negozio. Il “corpo dei manganelli”, come lo chiamava il fratello Kleissle, in effetti comparve, ma solo dopo che i fratelli eran tutti andati dentro il negozio, quindi non poté provare nulla. Ma le domande fatte dalla Gestapo e anche vari commenti espressi dalla polizia indicarono con chiarezza che per mezzo de La Torre di Guardia avevano ottenuto le informazioni sulla data della Commemorazione.
I fratelli erano sempre preparati alle sorprese, comunque, e questo era bene. Essi cercavano di porre in relazione non soltanto la loro presenza alle adunanze settimanali, ma, soprattutto, la loro presenza alla Commemorazione con qualche inoffensiva attività quotidiana, e questo li salvava spesso dall’arresto. Franz Kohlhofer dai pressi di Bamberg narra:
“In questo particolare giorno le spie erano specialmente attive, osservando le case dei testimoni di Geova con la speranza di poterne sorprendere alcuni in attività illegali e quindi arrestarli. . . . Parecchi giorni prima avevamo deciso di radunarci per la celebrazione nella casa di un fratello che allevava maiali. Ognuno doveva portare un cesto pieno di bucce di patate e altri rifiuti. Tutto questo doveva avvenire in fretta, perché la Gestapo poteva comparire in qualsiasi momento. Nel caso che ciò fosse avvenuto, e la polizia ci avesse sorpresi, l’avremmo ingannata con le carte da gioco che pure portammo con noi. E indovinate che cosa accadde! Esattamente quando il fratello aveva completato la sua preghiera finale, si udì bussare alla porta. Ma allora noi quattro eravamo seduti intorno alla tavola, giocando innocentemente una partita a carte. Non riuscivano a credere ai loro occhi, mentre li guardavamo con calma e senza malizia. Non essendo riusciti a sorprenderci al tempo giusto, furono costretti ad andar via senza compiere quanto si eran prefissi”.
BATTESIMO
Non pochi di quelli che in questo tempo impararono la verità furono battezzati nelle più difficoltose circostanze. Subito molti di questi nuovi battezzati furono gettati in prigioni o campi di concentramento, e parecchi di essi persero la vita come quelli che avevano portato loro la buona notizia.
L’attenzione di Paul Buder era già stata richiamata sulla conferenza dei “Milioni” sin dal 1922, ma non era venuto a stretto contatto con la verità fino al 1935 allorché una giovanetta impiegata nello stesso luogo dove egli era, e circa la quale era stato avvertito da altri, gli diede il libro Creazione. “Questo accadde il 12 maggio 1935”, egli scrive nelle sue memorie, “e fu ciò che avevo atteso. Il 19 maggio 1935, mi ritirai dalla chiesa e dissi alla giovanetta che desideravo divenire testimone di Geova. Come fu felice! Ella era già stata in prigione per sei settimane con l’accusa d’essere colportrice. Mi misi quindi in contatto col fratello e con la sorella Woite della congregazione di Forst. Nonostante il fatto che in quella congregazione io fossi considerato una spia dei nazisti, andai regolarmente di casa in casa in tutti i villaggi con la mia piccola Bibbia luterana. Il 23 luglio 1936, fui battezzato a Forst nel fiume Neisse in presenza del fratello e della sorella Woite e anche di un fratello anziano che pronunciò il discorso”.
I battesimi si facevano spesso in piccoli gruppi in case private. Di tanto in tanto si facevano all’aperto, a volte solo con pochi, altre volte con più candidati. Heinrich Halstenberg ci narra un battesimo nel fiume Weser.
“Nel 1941 parecchie persone interessate espressero il desiderio d’esser battezzate. Avendo riscontrato che nei dintorni parecchi avevano lo stesso desiderio, cominciammo a cercare un luogo appropriato e lo trovammo a Dehme sul fiume Weser. Dopo avere ben considerato e attentamente predisposto ogni cosa, si stabilì di tenere il battesimo l’8 maggio 1941. Fratelli e candidati al battesimo vi erano dalla mattina di buon’ora. Agli altri sembrava che fossimo un gruppo che si divertiva a nuotare. Quindi, affinché non ci sorprendesse nessuno, alcuni furono mandati a fare la guardia e dopo aver parlato dell’importanza del battesimo pregammo Geova. Furono poi battezzati nel fiume sessanta candidati al battesimo. Altri, che eran troppo vecchi o malati per bagnarsi nell’acqua fredda, furono battezzati in privato in una vasca da bagno, portando quel giorno il numero totale dei battezzati a ottantasette”.
INIZIA UNA CACCIA ALL’UOMO
Albert Wandres era stato uno dei direttori del servizio regionale anche prima del 7 ottobre 1934 e il suo nome divenne subito ben noto alla Gestapo, specialmente a causa della continua serie di processi nelle corti di varie città della Ruhr dove lavorava. Rispondendo alla domanda dove gli imputati avevano preso le loro pubblicazioni, spesso si udiva il nome di “Wandres”. La Gestapo compì ogni sforzo per metterlo sotto custodia. Previdentemente egli aveva comunque chiesto a tutti i fratelli che avevano le sue fotografie di restituirgliele o di distruggerle. Il risultato fu che, sebbene la Gestapo ne conoscesse il nome, non aveva nessuna idea di quale fosse il suo aspetto. Egli non cadde nelle mani dei suoi persecutori che dopo una caccia all’uomo di tre anni e mezzo. Ascoltiamo il fratello Wandres mentre ci narra alcune esperienze della sua attività clandestina.
“Per un certo tempo incontrai parecchi fratelli nel negozio di generi alimentari di un fratello di Düsseldorf. Pensavamo che se fossimo entrati e usciti dal negozio poco prima della chiusura si sarebbe notato meno. Una volta eravamo stati insieme per circa un’ora, quando all’improvviso la Gestapo chiese di entrare. Fuggii appena in tempo dalla stanza del deposito, dove avevamo avuto la nostra conversazione, ed entrai nel negozio, che era solo a pochi passi. Per fortuna la luce era già stata spenta. Un momento dopo, irruppero nella stanza del deposito e arrestarono tutti i fratelli presenti. Perquisirono l’intera stanza, e trovarono la mia borsa piena di Torri di Guardia. Improvvisamente, uno degli agenti con gioia gridò: ‘Questo è ciò che cerchiamo! A chi appartiene la borsa?’ Nessuno rispose. Ora domandò per sapere dov’era l’abitazione del proprietario del negozio. ‘Al terzo piano’, fu la risposta. ‘Fuori’, urlò l’agente della Gestapo, e tutti i fratelli corsero su per le scale all’appartamento, con gli agenti della Gestapo alle loro calcagna, che speravano di trovare colui che cercavano nell’appartamento del fratello.
“Io rientrai quindi cautamente nella stanza del deposito, mi misi cappotto e cappello, presi la mia borsa e guardai per assicurarmi che fuori nella via non ci fosse nessuno. Quindi me ne andai in fretta. Quando i signori furon tornati dal piano superiore, scoprirono con loro delusione che il ricercato aveva preso il volo ed era già in viaggio verso Elberfeld-Barmen”. Il fratello Wandres aggiunge: “Tutto questo è molto divertente e piacevole da raccontare, ma quando vi ci dovete trovare voi stesso è un’altra cosa”.
“Una volta”, continua il fratello Wandres, “portavo a Bonn e a Kassel due pesanti valige piene di libri Preparazione. Erano state mandate da oltre il confine vicino a Trier. La sera arrivai tardi a Bonn e lasciai le valige in un posto sicuro nel seminterrato del servitore di congregazione. Verso le 5,30 della mattina dopo suonò il campanello della porta. La Gestapo era venuta di nuovo a perquisire l’appartamento. Il fratello Arthur Winkler, in quel tempo servitore di congregazione, bussò alla mia porta e richiamò la mia attenzione sul fatto che stavano venendo ospiti indesiderati. Non essendovi nessuna possibilità di scampo, decidemmo di prendere le cose come venivano. Entrata la polizia nella mia stanza, mi chiese che facevo lì e io risposi brevemente che stavo facendo un viaggio lungo il fiume Reno e che volevo visitare gli “Orti botanici” di Bonn. Essi controllarono attentamente i miei documenti e poi, sebbene un po’ incerti, me li restituirono. Il fratello Winkler dovette andare con loro al comando di polizia dove uno degli agenti disse al suo superiore, come mi narrò in seguito il fratello Winkler: ‘Lì c’era un altro’. ‘Non l’avete portato? Voi eravate proprio quelli giusti da mandare’. ‘Perché?’ chiese uno. ‘Dovremmo tornare a prenderlo?’ ‘A prenderlo? Pensi che stia ad aspettare il tuo ritorno?’ In effetti gli agenti avevano appena lasciato la casa che io pure partii con una delle due valige (essi non le avevano trovate), che portai a Kassel.
“Arrivato a Kassel, il servitore di congregazione, fratello Hochgräfe, mi disse: ‘Non puoi stare qui. Devi partire subito. La Gestapo è venuta ogni mattina alla casa per un’intera settimana’. Convenimmo che egli camminasse circa 50 metri davanti a me per mostrarmi come andare in un luogo dove avrei potuto lasciare la letteratura. Avevamo percorso per poco più di duecento metri la bella Kastanienallee che ci si accostarono gli agenti della Gestapo che conoscevano bene il servitore di congregazione. Siccome lo seguivo a circa cinquanta metri di distanza, potei vedere la loro espressione di scherno, ma non lo fermarono. Alcuni minuti dopo la letteratura per mezzo della quale i fratelli si sarebbero potuti rafforzare nella fede era stata portata ancora una volta in luogo sicuro.
“Un’altra volta portavo due pesanti valige di letteratura a Burgsolms presso Wetzlar. Erano le ore 23,00 della notte ed era buio come la pece. Difficilmente qualcuno avrebbe potuto vedermi ma avevo tuttavia la strana sensazione d’essere osservato. Dopo essere arrivato alla mia destinazione, consigliai ai fratelli di nascondere le valige in un luogo sicuro. Intorno alle 5,30 della mattina dopo, venne il vicebrigadiere della polizia civica. Io stavo in piedi in mezzo alla stanza e mi accingevo a lavarmi, quando egli si volse verso la sorella e disse: ‘Ieri sera un uomo venne qui con due pesanti valige. Senza dubbio avete ricevuto di nuovo letteratura. Dove l’avete?’ La sorella rispose: ‘Mio marito è già andato a lavorare. E io non so che cosa accadde ieri sera perché non ero a casa!’ Il vicebrigadiere rispose: ‘Se non cedete le valige volontariamente, dovremo perquisire la casa per trovarle. Andrò a prendere il sindaco, poiché senza di lui non posso fare la perquisizione. Ma finché io non torni vi è proibito lasciare la casa’. Durante tutta questa conversazione io ero stato in mezzo alla stanza, chiedendomi perché l’agente avesse uno sguardo così vitreo e perché non mi avesse nemmeno parlato. Potei solo supporre che era stato come colpito di cecità. Dopo che se ne fu andato a prendere il sindaco, mi preparai per partire all’istante. Andai fuori e attesi dietro la casa finché il sindaco e il vicebrigadiere di polizia non fossero entrati nella casa dal davanti. In quel momento io sgattaiolai dal di dietro. I vicini che videro questo furono evidentemente felici che io fuggissi. Finii di vestirmi nel bosco e poi corsi più in fretta che potei alla successiva stazione ferroviaria e proseguii il viaggio”.
Gli altri direttori del servizio regionale ebbero esperienze simili.
UN’ALTRA SORTA DI PROVA
Negli anni dal 1934 al 1936 i fedeli pastori sostenevano i loro fratelli in tutta la Germania, incoraggiandoli a partecipare alle adunanze e, se possibile, in tutti i rami del servizio, nonostante la persecuzione. Intanto il 17 dicembre 1935 si tenne ad Halle un processo contro Balzereit, Dollinger e sette altri, ritenuti fratelli “preminenti”. Per almeno metà di essi fu la fine della loro corsa cristiana.
In quel tempo, nei numerosi processi che si facevano in Germania, molti fratelli ammisero apertamente ciò che avevano fatto per promuovere gli interessi del Regno in condizioni difficoltose. In contrasto, questi uomini che furono processati ad Halle negarono di aver mai fatto alcuna cosa proibita dal governo. Interrogato dal presidente su ciò che aveva da dire in sua difesa, Balzereit disse che non appena era stato annunciato il bando nella Baviera egli aveva emanato istruzioni di non lavorarvi, e che aveva fatto la stessa cosa per tutti gli altri stati. Disse che non aveva mai dato istruzioni per incoraggiare nessuno a non tener conto del bando.
Interrogato dal presidente sull’annuale celebrazione della Commemorazione, Balzereit rispose che egli pure aveva udito che i fratelli disponevano di radunarsi per celebrarla nonostante il bando. Egli li aveva avvertiti di questo, comunque, poiché sapeva che la polizia prestabiliva di compiere quel giorno una speciale azione.
Sorse naturalmente la questione dell’attitudine personale dell’imputato riguardo al servizio militare, come avveniva in tutte le altre cause che si facevano in quel tempo. Egli si dichiarò completamente soddisfatto della spiegazione del Führer, cioè che la guerra in se stessa era un crimine, ma che ogni paese aveva il diritto e il dovere di proteggere la vita dei suoi cittadini.
Poco tempo dopo il fratello Rutherford scrisse ai fratelli tedeschi la lettera che segue:
“Al fedele popolo di Geova in Germania:
“Nonostante la malvagia persecuzione contro di voi, e la grande opposizione che hanno fatta in questo paese gli agenti di Satana, è soddisfacente sapere che il Signore ha ancora in questo paese alcune migliaia che nutrono fede in Lui e perseverano nella proclamazione del messaggio del Suo regno. La fedeltà che avete mostrata resistendo ai persecutori e rimanendo fedeli al Signore è in netto contrasto con l’azione compiuta da colui che in precedenza era in Germania l’amministratore della Società, e da altri con lui associati. Di recente mi è stata fornita una copia della deposizione resa da quegli uomini al processo di Halle e mi stupisco riscontrandovi che in quel tempo nessuno di quelli sotto processo rese una fedele e verace testimonianza al nome di Geova. Spettava specialmente all’ex amministratore Balzereit tenere alto lo stendardo del Signore e dichiararsi in mezzo a tutta l’opposizione a favore di Dio e del suo regno, ma non fu pronunciata una sola parola per mostrare la sua completa fiducia in Geova. Più volte avevo richiamato la sua attenzione sulle cose che si sarebbero potute fare in Germania ed egli mi aveva assicurato che compiva ogni sforzo per incoraggiare i fratelli ad andare avanti con la testimonianza. Ma al processo egli affermò enfaticamente che non era stato fatto nulla. È inutile discuterne qui ulteriormente. Basti dire che da ora in poi la Società non avrà nulla a che fare con lui, né con nessuno di quelli che in quell’occasione ebbero l’opportunità di recare testimonianza al nome di Geova e al Suo regno e se ne astennero. La Società non farà nessuno sforzo per cercare di farli uscire dalla prigione, neanche se avrà il potere di fare qualche cosa.
“Tutti quelli che amano il Signore volgano ora la faccia a Lui, Geova, e al Suo Re, e rimangano leali e saldi dalla parte del regno, indipendentemente da ogni opposizione che possa venire contro di voi. . . .”
La questione fu considerata nel numero tedesco de La Torre di Guardia del 15 luglio 1936, come un avvertimento per quelli che sinceramente desideravano essere in ogni circostanza fedeli testimoni per Geova.
In contrasto con molti fedeli fratelli che erano stati condannati in Germania a periodi fino a cinque anni di prigione, Balzereit fu condannato a due anni e mezzo e Dollinger a due anni. Dopo aver scontato la sua condanna alla prigione, Balzereit fu messo nel campo di concentramento di Sachsenhausen dove fu costretto a ricoprire un ruolo estremamente inglorioso. Egli aveva firmato la dichiarazione che rinunciava ad associarsi coi fratelli e che evitava ogni contatto con loro. A causa della sua condotta fu rilasciato circa un anno dopo, ma nel frattempo fu costretto a sopportare molte umiliazioni, poiché, basilarmente, anche le SS odiavano i traditori. Furono le stesse SS a dargli il nome “Beelzebub”, e una volta un uomo delle SS gli ordinò di stare di fronte a tutti i suoi fratelli — in quel tempo ce n’erano circa 300 nel campo — e di ripetere la dichiarazione che aveva firmata secondo cui rinunciava ad associarsi con i testimoni di Geova, e così fece!
Nel 1946 Balzereit, che in quel tempo era divenuto un violento oppositore della verità, scrisse una lettera alle autorità preposte per le riparazioni rivelando l’attitudine ostile che egli aveva avuto anche prima che si facesse il processo. Terminò così un oscuro capitolo della storia del popolo di Dio in Germania, le cui prime righe erano già state scritte negli anni venti.
ATTACCO DELLA GESTAPO: 28 AGOSTO 1936
Erano passati due anni di zelante attività, in cui la Gestapo non era riuscita ad avere nessuna vera influenza sull’organizzata attività clandestina nonostante che spiassero attentamente tutti i testimoni di Geova conosciuti. Ma con l’andar del tempo conobbero sempre più la nostra attività e subito furono bene informati di ciò che facevamo. Per contribuire alla lotta contro di noi fu formato uno “speciale comando della Gestapo”, secondo una comunicazione confidenziale inviata in data 24 giugno 1936 alla Polizia Segreta Prussiana di Stato.
Nella prima metà del 1936 la Polizia Segreta di Stato compilò un grande schedario che conteneva gli indirizzi delle persone sospettate d’esser testimoni di Geova o almeno amichevoli verso di loro. Questo schedario si basava in notevole grado sugli indirizzi trovati nel libro Manna celeste giornaliera, confiscato durante le perquisizioni nelle case. Per gli agenti della Gestapo si tennero perfino corsi speciali. Erano istruiti sul modo di tenere lo studio de La Torre di Guardia; dovevano studiare con cura i più recenti articoli de La Torre di Guardia così che potessero rispondere alle domande come se fossero fratelli. Infine, dovettero anche imparare a pregare. Tutto questo allo scopo d’infiltrarsi, se possibile, in mezzo all’organizzazione per distruggerla dal di dentro.
Anton Kötgen di Münster riferisce che, dopo aver consegnato le pubblicazioni a una signora “amichevole”, fu prontamente arrestato e messo in prigione. Nello stesso tempo, il fratello Kötgen continua, dicendo: “Gli agenti della Gestapo andarono da mia moglie che era fuori in giardino. Si presentarono come fratelli, ma solo allo scopo di scoprire i nomi di altri fratelli. Mia moglie si accorse comunque del loro stratagemma e li smascherò come agenti della Gestapo”. Ma non in ogni caso la Gestapo era riconosciuta in tempo.
Intanto, il fratello Rutherford stava predisponendo di fare un viaggio in Svizzera e voleva, se possibile, parlare con i fratelli della Germania. Si presero disposizioni per tenere un congresso a Lucerna dal 4 al 7 settembre 1936. L’ufficio centrale della Svizzera aveva suggerito di compilare diversi rapporti di fratelli da tutta la Germania in quanto agli arresti e ai maltrattamenti che avevano subìto dalla Gestapo, ai licenziamenti dal lavoro perché si eran rifiutati di fare “il saluto tedesco”, e rapporti di casi nei quali i fratelli erano morti in seguito ai maltrattamenti e così via. Questi rapporti dovevano portarsi segretamente in Svizzera prima che iniziasse il congresso, affinché il fratello Rutherford avesse l’opportunità di esaminarli.
Ma all’improvviso, il 28 agosto 1936, la Gestapo inflisse un concertato, spietato colpo, con una campagna nella quale si dava la caccia ai testimoni di Geova come a bestie selvagge. Furono mobilitate per l’azione sia diurna che notturna, ma specialmente notturna, tutte le forze disponibili nel tentativo di catturare i testimoni di Geova. Tutte le informazioni che la Gestapo aveva raccolte nei mesi precedenti risultarono ora molto utili per loro. Furon prese nella rete persone prive di sospetto, compresi alcuni che non avevano mai preteso d’essere testimoni di Geova. Tali persone furono naturalmente più che disposte a dire alla Gestapo tutto ciò che sapevano sui testimoni di Geova per poter riguadagnare la loro libertà; e sebbene risultasse che sovente potevano dire di sapere pochissimo, tuttavia questi frammenti di informazioni contribuirono a completare il quadro che la Gestapo era stata finora in grado di costruire. Alle udienze successive la Gestapo spesso si vantava che tali informazioni l’avevano aiutata a catturare migliaia di persone, la maggioranza delle quali fu messa in prigione e poi in campi di concentramento.
Quando la campagna della Gestapo aveva infine raggiunto la massima rapidità, una grande offensiva riuscì a mettere sotto custodia il fratello Winkler, che in quel tempo era incaricato dell’intera opera in Germania, e la maggioranza dei direttori del servizio regionale, i cui nomi e territori nella maggioranza dei casi erano già conosciuti. La Gestapo giudicò questa “campagna” di tale importanza che per colpire i testimoni di Geova fu implicata l’intera rete della polizia, lasciando indisturbati gli elementi criminali della malavita.
La particolareggiata opera compiuta dalla Gestapo in un periodo di mesi aveva portato alla scoperta che tra il fratello Winkler e altri servitori responsabili di tutta la Germania si tenevano nel giardino zoologico di Berlino importanti adunanze. Questo avveniva specialmente nella parte più calda dell’anno. Queste adunanze si eran potute mascherare per mezzo del negozio del fratello Varduhn che vi affittava sedie. Senza dare nell’occhio egli poteva dire ai fratelli che arrivavano dove un fratello li aspettava nel giardino zoologico, indirizzandoli in un punto sicuro dove poteva quindi aver luogo la conversazione. Ogni qualvolta c’era aria di pericolo li avvertiva andando semplicemente dai fratelli a farsi pagare per le sedie che avevano “affittate”. Ma questa meravigliosa disposizione non doveva rimanere segreta per molto tempo. In un modo o nell’altro la Gestapo aveva scoperto i particolari, e risultarono loro utili nel loro astuto piano d’attacco. Il fratello Klohe, che vi era egli stesso implicato, ci narra quello che avvenne a Berlino in quegli emozionanti giorni:
“Attendevo il congresso di Lucerna; avevo buone opportunità di potervi assistere, poiché ero già stato in grado di ottenere un visto svizzero. Ma prima volevo andare a Lipsia per parlare di cose inerenti all’organizzazione con il fratello Frost di cui dovevo prendere il territorio quale direttore del servizio regionale, dato che c’era un posto vacante a causa dell’arresto del fratello Paul Grossmann. Non potei comunque andare dal fratello Frost e dove avevo creduto d’incontrarlo fui invece accolto dalla Gestapo. Da principio fui del tutto sorpreso, poiché appena ero stato in grado di iniziare tale soddisfacente servizio dovevo esser privato dell’associazione dei miei fratelli e portato a Lipsia dalla Gestapo. [Di lì fu portato a Berlino].
“Intanto la Gestapo aveva saputo che tenevamo un luogo di adunanza nel giardino zoologico e aveva scoperto molte altre cose intorno alla nostra organizzazione. Queste informazioni erano state ottenute in diversi modi, compreso il ricatto.
“Alcuni giorni dopo cinque agenti armati comparvero all’improvviso con le pistole puntate, mi dissero di indossare i miei abiti borghesi e mi condussero al posto vicino al laghetto dei pesci dorati dove il fratello Varduhn affittava le sue sedie da giardino. Non sospettavano comunque che egli fosse un testimone di Geova. Ora io dovevo servire da ‘esca’ per i miei fratelli che eventualmente sarebbero venuti alla prestabilita adunanza, della quale la Gestapo aveva ora avuto informazioni.
“Mi ero appena messo a sedere dove mi era stato detto che vidi accostarmisi la nostra sorella Hildegard Mesch. Ella si era chiesto perché io non fossi andato da loro, giacché ero stato atteso, e ora voleva vedere perché non ero andato. Siccome i miei stinchi gonfi mi facevano molto male per i colpi che avevo ricevuti, gli agenti non sospettarono nulla quando ad un tratto mi curvai con una smorfia di dolore proprio nel momento in cui ella mi passava accanto dall’altra parte del vialetto e tentai nello stesso tempo di farle segno con gli occhi che la Gestapo era nel giardino zoologico. Ella comprese, esitò solo per un secondo e quindi tornò dal fratello Varduhn, informandolo di questa nuova situazione. Ciò significò il massimo pericolo per il fratello Winkler, che venne in effetti poco dopo e senza sospettare nulla si mise a sedere su una sedia libera. Immediatamente dopo il fratello Varduhn gli si accostò, gli chiese di pagare l’affitto della sedia e nello stesso tempo l’avvertì che gli agenti della Gestapo erano nel giardino zoologico. Il fratello Winkler subito si alzò, lasciandosi dietro la borsa e fuggì, come parve, attraverso il cerchio degli agenti della Gestapo. Scoprii in seguito che quella notte egli si presentò a tarda ora all’appartamento del fratello Kassing, dove un gruppo di agenti della Gestapo che stava ad aspettarlo lo trasse immediatamente in arresto”.
In pochi giorni furono arrestati almeno metà dei direttori del servizio regionale della Germania, insieme a migliaia di altri fratelli e amici. Questi inclusero il fratello Georg Bär, che racconta:
“Ogni sera verso le ore 22,00 udivo i prigionieri che eran presi dalle loro varie celle. Poco dopo udivo che erano percossi giù nel sotterraneo; ne udivo le grida e i gemiti. Ogni sera quando sentivo aprire le porte delle celle pensavo: Ora è il mio turno. Ma non fui disturbato finché da ultimo fui chiamato verso le ore 6,00 del quarto o quinto giorno per essere interrogato. Questa volta fu un uomo delle SS che mi condusse nella sua stanza e mi disse di sedere. Quindi disse: ‘Sappiamo che potresti dirci più di quello che vuoi’. Si alzò, prese una matita che appuntì sull’orlo di un cestino della carta straccia, e continuò il suo breve discorso: ‘Non ti renderò la cosa difficile; vieni qui’. Mi chiese di venire alla sua scrivania, mi mostrò parecchie pagine dattiloscritte e me le fece leggere. Era un elenco di tutti i servitori viaggianti della Germania, col mio nome in fondo. Lessi i nomi delle congregazioni che avevamo visitate e anche i nomi dei fratelli che a esse appartenevano. Nero su bianco lessi quanti pezzi di pubblicazioni, fonografi e dischi avevamo ordinati. Vi erano anche elencati contribuzioni e altro denaro che avevamo versato. Non riuscivo a crederci. La nostra intera organizzazione clandestina era qui nelle mani della Gestapo. Ebbi veramente bisogno di alcuni minuti prima che io potessi afferrare del tutto la situazione. Dove aveva potuto prendere la Gestapo tutti questi dati? mi chiesi. Se la mia propria attività non fosse stata accuratamente elencata, avrei dubitato della veracità del rapporto. L’uomo della Gestapo delle SS di Dresda, Bauch, che dirigeva l’udienza, mi diede il tempo di raccogliere i miei pensieri. Temo di avere avuto un’espressione facciale piuttosto stupida quando mi rimisi a sedere. Quindi egli disse: ‘Ora non c’è in realtà motivo di rimanere in silenzio’.
“Per mesi mi tormentò il pensiero dove la Gestapo aveva potuto prendere le nostre registrazioni. In seguito venni a sapere che tutte le nostre ordinazioni, tutti i nostri rapporti e tutto il nostro denaro versato erano stati accuratamente registrati in un archivio tenuto a Berlino. Questo era stato poi trovato e confiscato dalla Gestapo”.
L’INTREPIDA ATTIVITÀ CONFONDE LA POLIZIA
Il congresso di Lucerna, attentamente predisposto per il 4-7 settembre 1936, assunse ad un tratto un nuovo aspetto in seguito agli arresti in massa che erano stati fatti due settimane prima. Forse il congresso, di cui la Gestapo era pure informata, aveva determinato la data della loro campagna contro di noi. Almeno essi fecero tutto il possibile per non permettere ai fratelli tedeschi di assistervi. Questo può comprendersi da una circolare riservata della Polizia Segreta di Stato in data 21 agosto 1936, che riguardo ai fratelli in viaggio verso il congresso dice: “Si deve impedire a tali persone di lasciare il paese. In tali casi si deve confiscare il passaporto”.
In realtà, dei più di mille che avevano predisposto di fare il viaggio, solo trecento circa furono in grado di andarvi. Ma la maggioranza di questi dovettero attraversare illegalmente il confine e molti al loro ritorno furono arrestati.
Il fratello Rutherford approfittò naturalmente dell’opportunità per parlare ai servitori presenti che eran venuti dalla Germania e considerare i loro problemi. Egli s’interessava specialmente di come aver cura dei fratelli in senso spirituale. Heinrich Dwenger fu presente e sull’ulteriore discussione riferisce:
“I direttori del servizio regionale furono ora invitati a dare suggerimenti. Essi raccomandarono che il fratello Rutherford mi rimandasse in Germania. Mi avevano chiesto di fare io stesso il suggerimento, ma avevo detto loro che non potevo poiché ero stato mandato a Praga e non potevo dire di voler tornare in Germania. Sarebbe sembrato come se io fossi insoddisfatto della mia assegnazione. Avvenne così che, per il momento, il fratello Frost fu incaricato di assumere la responsabilità. Quindi il fratello Rutherford chiese: ‘Che accade se sei arrestato?’ Nel caso dell’arresto del fratello Frost, i fratelli raccomandarono che l’incarico fosse assunto dal fratello Dietschi”.
Si adottò una risoluzione e circa due o tremila copie furono mandate a Hitler e ai suoi uffici governativi in Germania. Un’altra copia fu mandata al papa a Roma. La conferma della consegna sia al Vaticano a Roma che alla cancelleria del Reich a Berlino fu ricevuta a Berna da Franz Zürcher, il quale, il 9 settembre 1936, aveva mandato le risoluzioni per istruzione del congresso. La risoluzione, che era un dattiloscritto di tre pagine e mezza, comprendeva i pensieri seguenti:
“Leviamo vigorose proteste al crudele trattamento dei testimoni di Geova da parte della Gerarchia Cattolica Romana e dei loro alleati sia in Germania che in tutte le altre parti del mondo, ma lasciamo la soluzione della questione completamente nelle mani del Signore, il nostro Dio, che secondo la sua Parola ricompenserà appieno. . . . Mandiamo di cuore saluti ai nostri fratelli perseguitati in Germania e chiediamo loro di rimanere coraggiosi e di confidare completamente nelle promesse dell’Iddio Onnipotente, Geova, e di Cristo. . . .”
Si presero le disposizioni per distribuire la risoluzione qui adottata a un gran numero di persone in Germania mediante una campagna lampo. Delle 300.000 copie stampate a Berna, 200.000 furono mandate a Praga, da dove furono portate oltre confine presso Zittau e in altri luoghi dei monti Riesen. Le altre 100.000 copie si sarebbero dovute portare in Germania dall’Olanda, ma, triste a dirsi, furono confiscate in Olanda. Così parecchi direttori del servizio regionale dovettero fare le loro proprie per Berlino e per la Germania settentrionale. La data della distribuzione doveva essere il 12 dicembre 1936, dalle ore 17,00 alle ore 19,00.
Secondo rapporti successivi, vi presero parte circa 3.450 fratelli e sorelle. Ciascuno ne aveva venti o, al massimo, quaranta copie, e l’idea era di disfarsene il più presto possibile nel territorio al quale si era stati assegnati. Dovevano semplicemente metterle nelle cassette della posta o infilarle sotto la porta.
Ne fu lasciata una copia in ogni casa; nei grandi edifici di abitazione, in genere non più di tre copie. Quindi quelli che distribuivano i volantini correvano nelle vie vicine e vi facevano la stessa cosa affinché le copie fossero distribuite in una zona la più estesa possibile.
L’effetto sugli oppositori fu rovinoso! Erich Frost, che negli otto mesi che fu incaricato dell’opera in Germania fu a stretto contatto con l’ufficio di Praga, in uno dei suoi viaggi a Praga consegnò su questa campagna il seguente rapporto:
“La distribuzione della risoluzione è stata per il governo e per la Gestapo un colpo tremendo. Fu consegnata in un’improvvisa esplosione d’attività, il 12 dicembre 1936. Ogni cosa era stata preparata nei più minuti particolari, tutti i fedeli conservi erano stati avvertiti e a ciascuno furono dati il suo territorio e il suo pacco di risoluzioni ventiquattro ore prima che il lavoro avesse inizio alle ore 17,00 precise. In un’ora la polizia e gli uomini delle SA e delle SS correvano in giro pattugliando le vie, nel tentativo di prendere qualcuno dei coraggiosi distributori. Ma ne presero solo pochissimi, scarsamente più di una dozzina nell’intero paese. Il martedì successivo gli agenti comparvero comunque a molte case di fratelli, accusandoli di punto in bianco d’aver preso parte all’opera di distribuzione. I nostri fratelli, naturalmente, non ne sapevano nulla, e furono fatti pochissimi arresti.
“Ora, secondo la stampa, c’è non solo un senso di orribile ira a causa della nostra baldanza, ma anche di accresciuto timore. Sono completamente sorpresi che dopo quattro anni di terrore del governo di Hitler sia ancora possibile compiere una tale campagna, con tale segretezza e in tali vaste proporzioni. E, soprattutto, hanno timore della popolazione. Molti si lamentarono alla polizia, ma quando gli agenti di polizia e altri uomini in uniforme andarono nelle case e chiesero agli abitanti se avevano ricevuto tali volantini o no, lo negarono. Questo accadde perché in ciascuna casa, infatti, solo due o, al massimo, tre famiglie ricevettero una tale risoluzione. La polizia naturalmente non lo sapeva, ma supponeva che ne fosse stata lasciata una a ogni porta.
“Pensano dunque che la popolazione abbia ricevuto la nostra risoluzione ma si sia rifiutata per certe ragioni d’ammetterlo quando è stata interrogata dalla polizia, e questo suscita in loro estrema confusione e timore”.
La Gestapo fu amaramente delusa, poiché pensava di avere del tutto schiacciato la nostra attività con la sua estesa campagna del 28 agosto. E ora la distribuzione della nostra risoluzione, che considerarono ancor più estesa di quanto in realtà non fosse! Fu un fatto innegabile che il nemico era riuscito ad aprire nelle file del popolo di Dio serie brecce, ma non fu mai in grado di arrestare completamente l’opera. I fratelli continuarono ad adempiere il loro mandato di predicazione, come si può vedere dal rapporto dei direttori del servizio regionale compilato per il fratello Rutherford, che si riferisce al periodo dal 1º ottobre al 1º dicembre 1936. I risultati furono i seguenti: (tutte le cifre sono approssimative) 3.600 lavoratori, 21.521 ore, 300 Bibbie, 9.624 libri e 19.304 opuscoli. Questo poteva paragonarsi favorevolmente con l’ultimo rapporto mensile anteriore all’ondata di arresti (dal 16 maggio al 15 giugno): 5.930 lavoratori, 38.255 ore, 962 Bibbie, 17.260 libri e 52.740 opuscoli.
DENUNCIA MEDIANTE UNA “LETTERA APERTA”
Quasi a ogni udienza e processo, tenuto dopo la risoluzione che fu distribuita il 12 dicembre 1936, se ne faceva menzione. I funzionari resero le cose ancor più difficili a molti nostri fratelli perché, essi asserivano, quelle dichiarazioni non erano vere e noi non potevamo dare nessuna prova per le nostre asserzioni. I fratelli incaricati suggerirono perciò al fratello Rutherford che si distribuisse una “lettera aperta” in una “campagna lampo” come si era fatto con la stessa risoluzione. Avrebbe dato alla Gestapo una risposta che avrebbe provato la falsità delle sue asserzioni. Il fratello Rutherford acconsentì e chiese al fratello Harbeck in Svizzera di scrivere la “lettera aperta”, giacché aveva accesso a tutto il materiale raccolto fino al 1936 inerente alla persecuzione.
Il paragrafo che segue, da essa tratto, mostra con chiarezza la specie di inesorabile argomentazione che i fratelli usarono per rispondere pubblicamente al loro nemico:
“La pazienza e la vergogna cristiane ci han trattenuto abbastanza a lungo dal richiamare l’attenzione del pubblico, sia in Germania che altrove, su queste gravi violenze. Abbiamo in nostro possesso una schiacciante quantità di documenti che mostrano come i summenzionati crudeli maltrattamenti hanno avuto luogo contro i testimoni di Geova. Specialmente notevole per tali maltrattamenti è la responsabilità di un certo Theiss di Dortmund e di Tennhoff e Heimann della Polizia Segreta di Gelsenkirchen e Bochum. Essi non si sono astenuti dal maltrattare donne con sferze e manganelli. Theiss di Dortmund e un uomo della Polizia di Stato di Hamm sono specialmente noti per la loro sadica crudeltà nel maltrattare le donne cristiane. Siamo in possesso dei nomi e dei particolari di circa diciotto casi nei quali testimoni di Geova sono stati uccisi violentemente. Al principio di ottobre del 1936, per esempio, un testimone di Geova chiamato Peter Heinen, di Via Neuhüller, Gelsenkirchen, Vestfalia, fu percosso a morte da agenti della Polizia Segreta nella sala civica di Gelsenkirchen. Questo tragico avvenimento fu denunciato al Cancelliere del Reich, Adolf Hitler. Copie furono anche mandate al Ministro del Reich, Rudolf Hess, e al capo della Polizia Segreta, Himmler”.
Dopo aver finito la “lettera aperta”, l’intero testo fu scritto a Berna su matrici di alluminio e mandato a Praga. Di tanto in tanto Ilse Unterdörfer, che lavorava strettamente col fratello Frost nell’attività clandestina, aveva da lui l’istruzione di prendere i rapporti e di raccoglierne le informazioni. In uno di questi viaggi a Praga, furono dati alla sorella Unterdörfer le matrici con le quali si doveva stampare la “lettera aperta” in una macchina a rotazione per ciclostile ch’era stata appena acquistata. Il 20 marzo 1937, la sorella Unterdörfer arrivò a Berlino con il suo prezioso pacco.
“Accettai il pacco”, narra il fratello Frost, “e passai quindi questo materiale ‘pericoloso’ a un’altra sorella che fece in modo di farlo mettere in luogo sicuro. Quella notte io e la sorella Unterdörfer, che aveva portato queste preziose matrici, fummo entrambi arrestati nel luogo dove stavamo. Per quanto ci fosse difficile accettare il fatto che avevamo perduto la nostra libertà per il resto della dittatura nazista, eravamo tuttavia felici di sapere che avevamo assicurato la riuscita della campagna del nuovo volantino”.
Ma il fratello Frost si sbagliava. Mentre era portato in prigione, scoprì che la macchina a rotazione per ciclostile era proprio lì accanto a lui nell’auto della polizia. La Gestapo l’aveva trovata durante una sua perquisizione. Inoltre, le matrici, che non si potevano usare in nessun’altra macchina, erano apparentemente scomparse e non furono più trovate.
Ida Strauss, a cui il fratello Frost aveva dato le matrici e che conosceva bene i particolari della campagna, la pensava allo stesso modo. “Avevo le matrici d’alluminio nella mia borsa”, ella ricorda, “e le stavo portando al luogo dove si trovava la macchina. Era tarda notte ed era buio; il padrone della casa, una persona interessata, stava in cima alle scale e disse: ‘Vada immediatamente via, si metta al sicuro. La Gestapo ha confiscato la macchina, ha arrestato i fratelli e fino a poco fa l’aspettavano, ma alla fine gli agenti vi hanno rinunciato’. Che cosa sarebbe accaduto ora? Nei pochi giorni che seguirono scoprii che quella notte erano stati arrestati molti fratelli e non trovai tra i fratelli nessuno che avesse qualche contatto con l’organizzazione.
“Cominciai ora a cercare un fratello e parecchie sorelle abbastanza intrepidi da dedicarsi ulteriormente agli interessi dell’opera di Geova. Sapevo d’essere nel libro nero della Gestapo e di poter essere arrestata in qualsiasi momento. Quando ciò avvenne fui felice che gli interessi dell’opera erano in mani fedeli”.
In quanto alle matrici della “lettera aperta”, la sorella Strauss pure si sbagliava. Le matrici non potevano più essere usate, poiché la macchina era stata confiscata e non ne era disponibile un’altra.
Ora che il fratello Frost era stato arrestato, assunse l’incarico dell’opera Heinrich Dietschi, come era stato deciso a Lucerna nella discussione col fratello Rutherford. Il suo primo obiettivo era quello di distribuire questa “lettera aperta”. Si mise perciò in contatto col fratello Strohmeyer a Lemgo. Entrambi il fratello Strohmeyer e il fratello Kluckhuhn erano stati appena rilasciati dalla prigione dopo aver scontato sei mesi per avere stampato l’Annuario del 1936. Ma il fratello Strohmeyer acconsentì di dare il suo aiuto.
Il problema consisteva nell’ottenere di nuovo le matrici dalla Svizzera. Questa volta avemmo i flan, da cui i fratelli dovettero prima di tutto ricavare le forme di fusione per produrre le lastre stereotipiche per la stampa. Il fratello Dietschi aveva ottenuto le matrici dalla Svizzera dopo che vi erano state stampate 200.000 copie della “lettera aperta”, ma eran falliti i tentativi per portarle oltre il confine dentro la Germania.
Risolta la faccenda della stampa, si decise che la “lettera aperta” fosse distribuita in una “campagna lampo” da farsi il 20 giugno 1937. La sorella Elfriede Löhr racconta: “Il fratello Dietschi organizzò la campagna. Eravamo tutti coraggiosi, ogni cosa era stata predisposta in maniera meravigliosa e ciascuna regione aveva sufficienti lettere. Io ne presi alla stazione ferroviaria una grossa valigia per il territorio intorno a Breslavia e le portai ai fratelli a Liegnitz. Inoltre, avevo le mie proprie, che al tempo fissato distribuii come tutti gli altri fratelli”.
La distribuzione della “lettera aperta” dovette cogliere la Gestapo di sorpresa, perché per mesi si erano vantati di aver completamente distrutto l’organizzazione. Questo non fece che accrescere la loro eccitazione. Fu come se qualcuno avesse ad un tratto smosso un formicaio. Come presi da frenesia senza avere dinanzi una chiara mèta, correvano in giro nella massima confusione, specialmente le persone come Theiss di Dortmund.
Ma il tempo del trionfo di Theiss era pure giunto alla fine. Poiché Theiss credeva di non dover mostrare nessuna misericordia nel trattamento che riservava ai testimoni di Geova, un giorno diede ordine di perquisire la casa di un ex fratello chiamato Wunsch, il quale, nel frattempo, si era comunque allontanato dalla verità e prestava servizio come sergente maggiore nell’aviazione di Hitler. Quando Wunsch tornò a casa, sua moglie gli disse che la casa era stata perquisita. Egli andò immediatamente da Theiss a Dortmund e gli chiese perché aveva fatto questo. Sorpreso di vedersi dinanzi un sergente maggiore dell’aviazione, Theiss balbettò: “È lei con gli Studenti Biblici?” Wunsch rispose: “Ho udito alcuni loro discorsi, ma sono andato ovunque potessi udire qualche cosa”. Ora la sig.ra Theiss interruppe. Eccitato, Theiss ora esclamò, dicendo: “Se l’avessi saputo, non avrei mai cominciato a tentar di distruggere gli Studenti Biblici. Può far impazzire. Si pensa di aver messo in prigione una bestia e all’improvviso ne scappano fuori dieci. Mi dispiace di aver iniziato tutta questa faccenda”.
Non c’è da supporre che la coscienza di questo agente del Diavolo si calmasse mai. Al contrario, il libro Kreuzzug gegen das Christentum (Crociata contro il cristianesimo) al sottotitolo “Hai vinto, Galileo!” concludeva, dicendo:
“Abbiamo udito che Theiss da Dortmund, che è stato ripetutamente menzionato, ha avuto da qualche tempo spaventevoli rimorsi di coscienza a causa dei suoi atti criminosi e che i demoni lo sospingono lentamente verso la pazzia. Parecchi mesi fa, si vantò di aver ‘fatto a pezzi’ 150 testimoni di Geova. Fu lui a dire in atto di sfida: ‘Geova, io invoco su di te disprezzo eterno; viva il re di Babilonia’.
“Ora, comunque, egli ha cercato queste persone, ha promesso di non tormentarle più e le supplica di dirgli cosa deve fare per sfuggire alla minacciosa punizione e liberarsi dal terribile tormento mentale che soffre. Dice che aveva ricevuto il ‘comando di maltrattare dall’alto’ e ora vuole smettere, perché nuovi testimoni di Geova non fanno altro che venir fuori di continuo. Come Giuda dopo aver tradito il Signore al nemico, Theiss cerca il pentimento e non lo può trovare. Benché pochi, tuttavia ci sono casi in cui agenti della Gestapo e altri membri del partito sono stati così scossi dalla saldezza dei testimoni di Geova da vedere l’errore della loro via e rinunciare al loro lavoro”.
La distribuzione della “lettera aperta” causò alla Gestapo grande ansietà, e subito dopo tese una rete. Solo dopo alcuni giorni un indizio li portò direttamente a Lemgo e ai fratelli Strohmeyer e Kluckhuhn che avevano stampato la “lettera aperta”. Poterono provare che ne avevano stampato almeno 69.000 copie. Entrambi furono condannati a tre anni di prigione, e dopo avere scontato la loro condanna la Gestapo li mise sotto custodia preventiva, chiamandoli “incorreggibili”.
Siccome in maggioranza i direttori del servizio regionale erano stati arrestati, a occupare i posti vuoti e mantenere il contatto fra il fratello Dietschi e le congregazioni furon chiamate le sorelle. Una di queste fu Elfriede Löhr, che cercò di mettersi in contatto col fratello Dietschi dopo che il fratello Frost e la sorella Unterdörfer erano stati arrestati. Ella andò a Württemberg e, dopo ricerca, trovò il fratello Dietschi a Stoccarda. Egli la condusse con sé per farle conoscere i vari metodi di mantenersi in contatto con i fratelli. Si fecero anche esaurienti preparativi perché una radio trasmittente portatile fosse costruita in Olanda ed entrasse in funzione in qualche tempo dell’autunno del 1937. La Gestapo ne aveva già avuto notizia ed era furiosa col fratello Dietschi, di cui conoscevano il nome ma che risultava così inafferrabile come il fratello Wandres.
Dovette essere verso questo stesso tempo che la sorella Dietschi fu arrestata dalla Gestapo e rinchiusa nell’infame “Steinwache” di Dortmund. Cercarono di costringerla a dire dove si nascondeva suo marito, ma si rifiutò di parlare. Fu maltrattata così malamente che in seguito aveva una gamba più corta dell’altra. Oltre a ciò, dopo il suo rilascio dovette stare per parecchie settimane completamente avvolta in bende imbevute di alcool.
CONSEGUENZE DEL CONGRESSO DI PARIGI DEL 1937
Al congresso di Parigi del 1937, come a quello dell’anno prima a Lucerna, doveva assistere il fratello Rutherford. Questa volta dalla Germania poterono andarvi solo alcuni fratelli. Nelle file dei fratelli il nemico aveva creato larghi vuoti. Il fratello Riffel, uno dei pochi che poterono andarvi, disse in seguito che solo a Lörrach e dintorni erano stati messi in prigione quaranta fratelli e sorelle, dieci dei quali erano stati impiccati, uccisi col gas o fucilati, o eran morti di fame o in seguito agli “esperimenti di medicina” nel campo di concentramento.
Un’altra risoluzione fu adottata a Parigi, esponendo ancora una volta il nostro chiaro e incrollabile atteggiamento riguardo a Geova e al suo regno retto da Gesù Cristo e richiamando apertamente l’attenzione sulla brutale persecuzione che subivamo in Germania, per avvertire i responsabili del giusto giudizio di Dio.
Durante l’assenza per due settimane dell’ultimo direttore del servizio regionale in Germania, avevano avuto luogo diversi avvenimenti. La sorella Löhr, che in genere era stata presente alle adunanze settimanali tenute dal fratello Dietschi con circa quindici fratelli e sorelle per considerare i problemi di servizio, era stata arrestata. Avvenne in questo modo:
Poiché le adunanze cominciavano nella maggioranza dei casi verso le 9,00 della mattina e spesso duravano fino alle 17,00 del pomeriggio, i fratelli e le sorelle avevano chiesto se non potevano mangiare insieme il loro pasto di mezzogiorno. La sorella Löhr era stata invitata a fare la cucina. Per ragioni di sicurezza, i fratelli avevano cambiato di settimana in settimana il luogo di adunanza, rendendo in tal modo necessario trasferire da un luogo a quello successivo la grossa marmitta che usavano per preparare il pasto. Se la Gestapo lo scoprisse dai fratelli arrestati di recente o in qualche altro modo, nessuno lo sa, ma scoprirono in effetti dove si era tenuta l’ultima adunanza prima del congresso di Parigi. La Gestapo tenne questo appartamento sotto osservazione, e quando la sorella Löhr venne a prendere la marmitta circa tre o quattro giorni prima che si tenesse l’adunanza successiva, fu seguita dalla Gestapo sino al nuovo luogo di adunanza e prontamente arrestata. Subito la Gestapo si rese conto d’aver trovato non solo il nuovo luogo di adunanza, ma anche il nascondiglio segreto del fratello Dietschi. Dopo il congresso di Parigi egli tornò direttamente a Berlino e, senza accertarsi se c’era qualche possibile pericolo, andò all’appartamento. Il fratello Dietschi cadde nella trappola e fu subito arrestato. Naturalmente, si dovettero cambiare il tempo e il luogo delle adunanze del gruppo di servitori viaggianti ora ancor più piccolo.
Il fratello Dietschi aveva prestato instancabilmente, servizio nell’attività clandestina per molti anni e non si era tirato indietro di fronte al pericolo. Egli fu condannato a quattro anni, ma, a differenza della maggioranza dei suoi fratelli, non fu messo in un campo di concentramento dopo aver scontato la sua condanna.
Nel 1945, quando si cominciò a riorganizzare l’opera, fu uno dei primi che cominciarono a prestare servizio presso le congregazioni come “servitore per i fratelli”. Ma, tristemente, anni dopo cominciò a concepire sue proprie teorie e si allontanò dall’organizzazione di Geova.
Ma torniamo al 1937. Essendosi di nuovo creati nelle file dei nostri fratelli pericolosi vuoti, il fratello Wandres cercò almeno temporaneamente di colmarli, per assicurare ai fratelli il loro cibo spirituale. Dopo l’arresto del fratello Franke egli ne aveva preso il territorio, ma ora si sentiva responsabile anche degli altri territori non occupati, quindi chiese alla sorella Auguste Schneider da Bad Kreuznach di consegnare il cibo spirituale ai fratelli di Bad Kreuznach, Mannheim, Kaiserslautern, Ludwigshafen, Baden-Baden e del territorio dell’intera Saar. Come tutti i fratelli che dovevano viaggiare in questo tempo estremamente difficile, le fu dato un altro nome; da ora in poi ella fu “Paula”.
Il fratello Wandres, comprendendo che il nemico in Sassonia era stato specialmente furioso, chiese a Hermann Emter di Friburgo di aver cura di questo territorio. Il 3 settembre, andarono entrambi a Dresda. Nonostante che il fratello Wandres non vi fosse mai stato prima, la Gestapo li aspettava. Terminò una caccia all’uomo che era durata tre anni!
Verso la metà di settembre, in armonia con le disposizioni prese col fratello Wandres, la non sospettosa “Paula” attendeva nella stazione ferroviaria di Bingen con due grosse valige piene di letteratura. Ad un tratto un signore le si accostò, dicendo: “Buon giorno, Paula! Albert non viene e lei dovrà venire con me!” Era inutile cercar di resistere, poiché l’estraneo era un agente della Gestapo. Egli aggiunse: “Non occorre che aspetti Albert; l’abbiamo già arrestato e abbiamo preso tutto il suo denaro. . . . Il sig. Wandres ha detto che lei sarebbe stata qui con due grosse valige e che lei è Paula!” Fino a questo giorno è un mistero dove la Gestapo ottenesse queste informazioni. Ma questo era un solito metodo della Gestapo, pretendere cioè che certi fratelli avessero detto certe cose per infrangere la fiducia tra i fratelli, inducendoli così a ritirarsi da tali “traditori”.
PIANO DI DETENZIONE PERPETUA
Con questa serie di arresti finì per i fratelli tedeschi un’epoca importante. Ebbe termine il periodo dell’attività bene organizzata. Nella lotta ogni cosa additava ora l’inizio di una nuova fase. La Gestapo aveva ora la mèta: Ciascun individuo abbastanza coraggioso da attenersi a Geova doveva essere distrutto, per distruggere così l’organizzazione.
Secondo una circolare emanata dalla Gestapo di Düsseldorf del 12 maggio 1937, da ora in poi gli Studenti Biblici dovevano esser messi nei campi di concentramento anche nei casi nei quali non c’era nessun mandato di cattura dell’autorità giudiziaria ma solo a causa di sospetto. Notifiche simili furono emesse in tutta la Germania. Inoltre, gli Studenti Biblici dovevano esser messi automaticamente in campi di concentramento dopo aver scontato la condanna alla prigione decisa dalla corte. Questa decisione fu resa più severa ed estesa nell’aprile del 1939. Da ora in poi, si dovevano liberare soltanto quelli disposti a firmare una dichiarazione secondo cui si dissociavano da Geova e dalla sua organizzazione. Molti fratelli non ebbero nemmeno l’opportunità di decidere se firmare la dichiarazione.
Quando Heinrich Kaufmann di Essen ebbe scontato la sua condanna alla prigione ed ebbe indossato i propri abiti civili un agente penale semplicemente gli disse che era soggetto a custodia preventiva. Prima lo condussero comunque a casa sua, che non aveva vista da un anno e mezzo, e gli chiesero. “Vuole rinunciare alla sua fede e seguire Hitler?” Nello stesso tempo gli mostrarono le chiavi della sua casa e un pacco di dieci chili di generi alimentari, promettendogli che anche sua moglie sarebbe tornata dal campo di concentramento di Ravensbrück. Il fratello Kaufmann rifiutò l’offerta.
A volte furon fatti tentativi per intrappolare i fratelli, come narra Ernst Wiesner. Poco tempo prima che fosse rilasciato, gli fu posto dinanzi un foglio di carta. La dichiarazione era di natura così generale che, dopo averla letta attentamente, decise di poterla firmare. Ma ora venne il trucco. Il fratello Wiesner doveva apporre la sua firma in fondo alla pagina, ma la seconda metà della pagina era vuota. Non c’era dubbio che la Gestapo avrebbe aggiunto in seguito altre cose che il fratello Wiesner non avrebbe potuto firmare con buona coscienza. Ma subito si rese conto di ciò che avevano intenzione di fare e, prima che potessero fermarlo, appose la propria firma immediatamente sotto il testo dattiloscritto. Il risultato fu che, pur avendo firmato, non venne rilasciato, ma tre settimane prima della scadenza della sua condanna fu informato dalla polizia segreta che sarebbe stato subito trasferito a un campo di concentramento.
I CAMPI DI CONCENTRAMENTO: UNO SPALANCATO ABISSO
Nella Vierteljahresheft für Zeitgeschichte (Storia trimestrale) Hans Rothfels scrive nel suo secondo opuscolo del 1962: “Sotto i nazionalsocialisti quando gli Zelanti Studenti Biblici eran messi nei campi di concentramento erano nell’ultima e più difficile fase del loro periodo di sofferenze. . . .”
Per la maggioranza una consolazione era il fatto che vi erano già incarcerati fedeli fratelli i quali erano stati temprati dal calore della persecuzione. Era confortante essere con loro e sentire le loro amorevoli cure, e il cuore di ciascun nuovo che vi “entrava” ne era vivificato.
Ma ogni qualvolta si vedeva la saldezza dei nostri fratelli e se ne faceva rapporto al governo, il suo unico pensiero era come poter accrescere le loro sofferenze. Avvenne così che per un periodo di tempo i testimoni di Geova, come trattamento ordinario, ricevevano venticinque colpi con una sferza d’acciaio, oltre ai molti altri brutali mezzi di tortura, quando arrivavano nei campi. I loro lavori forzati cominciavano alle 4,30 della mattina, quando la campana del campo suonava per tutti la sveglia. Subito dopo scoppiava un tumulto: rifare i letti, lavarsi, bere il caffè, andare all’appello, e tutto questo in gran fretta. Non era permesso a nessuno di fare alcuna cosa a ritmo normale. Marciavano per andare all’appello, quindi uscivano dalle file per unirsi ai vari gruppi di lavoratori. Ciò che ora succedeva era un vero dramma: trasportare ghiaia, sabbia, pietre, pali, intere sezioni di baracche, e questo per l’intero giorno, tutto in gran fretta. I soprintendenti, che urlavano senza posa ai prigionieri e li forzavano sino al limite della sopportazione, erano i peggiori che Hitler potesse offrire.
Il ricordo che Gesù aveva sofferto cose simili era di conforto e incoraggiamento e dava loro la forza di perseverare sotto i trattamenti disumani.
Per amore della varietà, gli “esercizi di punizione” si facevano a volte senza particolare ragione. I fratelli erano spesso costretti a restare senza cibo. Poteva essere una vera prova quando, invece di potersi mettere a sedere per mangiare un pasto, un fratello stanco era costretto a stare in cortile sull’attenti per altre quattro o cinque ore, e questo solo perché uno dei fratelli non aveva un bottone alla giacca o per qualche altra insignificante infrazione dei regolamenti.
Infine era permesso loro di andare a dormire, se la fame lo consentiva. Ma le notti non sempre erano solo per dormire. Spesso uno, o a volte parecchi, degli infami “capi isolato” si mostravano nel mezzo della notte per terrorizzare i prigionieri. Questi episodi cominciavano a volte con colpi di pistola in aria o nelle travi delle baracche. Quindi gli internati eran costretti a correre intorno alle baracche, o, a volte, perfino ad arrampicarvici sopra, con le camicie da notte, questo finché lo desideravano i “capi isolato”. È comprensibile che i fratelli più anziani soffrivano maggiormente a causa di tale trattamento, e a molti di essi costò la vita.
Nel marzo del 1938, fu imposta ai testimoni di Geova nei campi di concentramento un’assoluta proibizione della corrispondenza. Questa durò nove mesi, e in tale tempo i fratelli non poterono mettersi in contatto con i loro parenti e viceversa. Anche dopo che questa proibizione venne abolita, la limitazione che ciascun testimone di Geova poteva scrivere ai suoi parenti solo cinque righe al mese durò da tre anni e mezzo a quattro anni, in alcuni campi anche più a lungo. Il testo era preparato e diceva: “La tua lettera è stata ricevuta; molte grazie. Sto bene, sono sano e contento. . . .” Ma ci sono casi nei quali la comunicazione della morte arrivò prima della lettera che diceva: “Sto bene, sono sano e contento”. Nello spazio vuoto della lettera si timbrava il testo seguente: “Il prigioniero rimane, come in precedenza, un ostinato Studente Biblico e si rifiuta di rinunciare ai falsi insegnamenti degli Studenti Biblici. Per questa ragione gli sono stati negati i soliti privilegi di corrispondenza”.
“QUADRATO” INCONTRA IL SUO AVVERSARIO
Nel campo di concentramento la vita era piena delle sue ansietà quotidiane, spesso causate dallo stesso comandante del campo. A Sachsenhausen il comandante fu per un periodo di tempo un uomo chiamato Baranowsky, e, a causa della sua costituzione robusta, i prigionieri gli misero subito il soprannome di “Quadrato”.
In genere egli accoglieva personalmente i prigionieri a ogni nuovo arrivo, facendo loro un “discorso di benvenuto”. Di solito cominciava con le parole: ‘Io sono il comandante del campo e mi chiamo “Quadrato”. Ora, ascoltate tutti! Da me potete ottenere tutto quello che volete, un colpo alla testa, un colpo al petto, un colpo allo stomaco! Potete tagliarvi la gola se volete o aprirvi le arterie! Potete correre nel recinto elettrico se vi fa piacere. Solo ricordate che i miei ragazzi sono buoni tiratori! Vi manderanno direttamente in cielo!’ Egli non perdeva mai un’opportunità per schernire Geova e il suo santo nome.
Ma al principio del bando contro i testimoni di Geova, un giovane di circa ventitré anni da Dinslaken aveva imparato la verità. Si chiamava August Dickmann. Benché non fosse ancora stato battezzato, la Gestapo l’aveva arrestato e sottoposto a processo. Scontata la sua condanna, s’era lasciato indurre dalla Gestapo a firmare la “dichiarazione”, sperando senza dubbio che questo lo liberasse dall’ulteriore persecuzione. Ciò nonostante, fu messo in Sachsenhausen nell’ottobre del 1937 immediatamente dopo aver scontato la sua condanna alla prigione. Lì i fratelli approfittavano d’ogni opportunità per tenere fra loro gioiose e incoraggianti conversazioni, e ora, essendo fra loro, si rese conto che aveva fatto compromesso col nemico a causa di debolezza. Si pentì e chiese che la dichiarazione da lui firmata fosse annullata.
Nel frattempo era stato messo nel campo di Sachsenhausen anche suo fratello carnale Heinrich. August gli disse che aveva firmato la dichiarazione ma che, intanto, aveva chiesto che fosse annullata.
Le poche settimane successive passarono rapidamente. Scoppiata nella seconda metà del 1939 la seconda guerra mondiale, il comandante del campo, Baranowsky, cominciò ad attuare i suoi piani. Egli vide la sua opportunità quando la moglie di August Dickmann mandò al marito la chiamata al servizio militare, che era stata inviata a casa loro in Dinslaken. Tre giorni dopo lo scoppio della guerra, Dickmann fu convocato dal “reparto politico”. Prima che si facesse l’appello, Heinrich, a cui August aveva comunicato questo nuovo avvenimento, l’avvertì che essendo ora scoppiata la guerra doveva prepararsi a tutto. Doveva essere completamente sicuro di ciò che voleva fare. August rispose: “Possono farmi quello che vogliono. Non firmerò e non farò di nuovo compromesso”.
L’udienza fu tenuta quel pomeriggio, ma August non tornò dai fratelli. Come si seppe in seguito, non solo si era rifiutato di firmare la chiamata al servizio militare ma aveva dato un’eccellente testimonianza. Fu messo in segregazione cellulare nella prigione sotterranea mentre il comandante del campo notificava il caso a Himmler, chiedendogli il permesso di giustiziare pubblicamente Dickmann alla presenza dei fratelli e dell’intero campo. Egli era convinto che, qualora i testimoni di Geova si fossero trovati in effetti di fronte alla morte, avrebbero firmato in gran numero. Finora la maggioranza si era rifiutata di firmare, ma erano state fatte solo minacce. A giro di posta Himmler rispose che Dickmann era condannato a morte e doveva essere giustiziato. Ora “Quadrato” aveva la via libera per fare la sua ‘grande manifestazione’.
Era un venerdì. Una lugubre quiete sovrastava l’intero campo quando all’improvviso giunse dal comando un gruppo e, in breve tempo, istituì nel cortile un poligono di tiro. Questo diede luogo naturalmente a ogni sorta di voci. L’emozione divenne ancor più intensa quando fu dato ordine di smettere il lavoro un’ora più presto del solito. Paul Buder ancora ricorda come, quando il loro gruppo di lavoratori tornava marciando, un uomo delle SS gli disse ridendo: “Oggi è Giorno di Ascensione! Uno di voi oggi andrà in cielo”.
Entrato il gruppo a cui era assegnato Heinrich Dickmann, l’anziano del campo gli si accostò e gli chiese se sapeva ciò che stava per accadere. Avendo risposto che non lo sapeva, gli fu detto che suo fratello August doveva essere fucilato.
Ma non c’era tempo per lunghe discussioni. A tutti i prigionieri eran dati comandi perché marciassero nel campo. I testimoni di Geova furono posti direttamente di fronte al posto dove sarebbe stato il plotone d’esecuzione. Tutti gli occhi erano fissi su questo punto. Entrarono marciando le guardie delle SS; le precauzioni di sicurezza erano quattro volte maggiori del normale. Fu tolta la custodia dalle mitragliatrici e furono introdotte nelle armi le munizioni per l’uso immediato. Gli uomini delle SS erano appollaiati sull’alto muro e guardavano ciò che stava per aver luogo: erano in tanti che si aveva la sensazione che l’intero gruppo avesse avuto il comando d’esser presente a questo sanguinoso spettacolo. Il cancello principale era stato costruito con forti sbarre di ferro cilindriche e gli uomini delle SS amanti di emozioni vi stavano dietro appesi come a grappoli. Alcuni di essi si erano perfino arrampicati sulle sue spranghe trasversali per poter vedere meglio. I loro occhi erano non solo pieni di curiosità, ma anche assetati di sangue. Alcune facce rivelavano un certo orrore, poiché tutti sapevano ciò che presto avrebbe avuto luogo.
Accompagnato da vari ufficiali superiori delle SS, August fu condotto, con le mani legate sul davanti. Fecero impressione a tutti la sua calma e la sua compostezza, come qualcuno che aveva già vinto la battaglia. Erano presenti approssimativamente seicento fratelli, e suo fratello carnale Heinrich stava solo a pochi metri di distanza.
Allorché si accesero i microfoni, improvvisamente si sentì dagli altoparlanti un crepitìo. Si poteva udire la voce di “Quadrato”: “Prigionieri, ascoltate!” Ci fu un immediato silenzio. C’era solo il respiro leggermente asmatico di questo mostro mentre continuava:
“Il prigioniero August Dickmann di Dinslaken, nato il 7 gennaio 1910, si rifiuta di compiere il servizio militare, asserendo di essere ‘cittadino del regno di Dio’. Egli ha detto: Chi versa sangue umano, sarà versato il suo sangue. Si è posto al di fuori della società e conforme alle istruzioni del capo delle SS Himmler dev’essere giustiziato”.
Mentre nell’intero cortile regnava un silenzio mortale, “Quadrato” continuò: “Un’ora fa ho comunicato a Dickmann che la sua miserabile vita sarebbe stata cancellata alle ore 18,00”.
Uno dei funzionari si accostò e chiese se si doveva di nuovo chiedere al prigioniero se aveva cambiato pensiero e voleva firmare le carte della chiamata alle armi, al che “Quadrato” rispose: “Sarebbe inutile”. Rivolgendosi a Dickmann, comandò: “Vòltati, porco”, e poi diede il comando di far fuoco. A ciò, Dickmann fu colpito alle spalle da tre uomini delle SS. In seguito un ufficiale delle SS gli si accostò e gli sparò alla testa, facendogli colare sangue dalla gota. Avendogli un subalterno delle SS tolto le manette, quattro fratelli ebbero ordine di metterlo in una cassa nera e di portarlo nel posto di guardia.
Mentre a tutti gli altri prigionieri fu ora permesso di rompere le righe e andare alle loro baracche, i testimoni di Geova dovettero rimanere. Ora era per “Quadrato” il tempo di far valere la sua pretesa. Con grande enfasi chiese ora chi era pronto a firmare la dichiarazione, non solo a rinunciare alla propria fede ma anche a indicare di voler fare il soldato. Non rispose nessuno. Quindi due fecero un passo avanti! Ma non per firmare la dichiarazione. Essi chiesero che la firma che entrambi avevano messa circa un anno prima fosse annullata!
Questo era troppo per “Quadrato”. Furioso, lasciò il cortile. Come ci si può aspettare, i fratelli se la passarono molto male quella sera e per alcuni giorni successivi. Ma rimasero saldi.
Per alcuni giorni successivi l’esecuzione capitale di Dickmann fu annunciata parecchie volte dalla radio, evidentemente nella speranza di intimidire altri Testimoni ancora liberi.
Tre giorni dopo suo fratello Heinrich fu convocato dal “reparto politico”. Due ufficiali superiori della Gestapo erano venuti da Berlino per vedere quale effetto aveva avuto su di lui l’esecuzione del fratello. Secondo il suo proprio racconto, ci fu la seguente conversazione:
“‘Hai visto come è stato fucilato tuo fratello?’ Risposi: ‘Sì’. ‘Che cosa hai imparato da questo?’ ‘Sono e rimarrò testimone di Geova’. ‘Quindi sarai il prossimo a essere fucilato’. Potei rispondere a parecchie domande bibliche, finché da ultimo un agente urlò: ‘Non voglio sapere ciò che è scritto, voglio sapere ciò che tu pensi’. E mentre cercava di mostrarmi la necessità di difendere la patria, continuò a dire frasi come: ‘Sarai il prossimo a esser fucilato . . . la prossima testa a rotolare . . . il prossimo a cadere’. Finché l’altro agente disse: ‘È inutile. Via, finisci il verbale’”.
Di nuovo fu posta dinanzi al fratello Dickmann la dichiarazione affinché la firmasse. Egli si rifiutò, dicendo: “Se firmando questo io riconoscessi lo stato e il governo, firmerei d’essere d’accordo con l’esecuzione di mio fratello. Non posso farlo”. La risposta: “Quindi puoi cominciare a contare quanto ti rimane da vivere”.
Ma che cosa accadde a “Quadrato”, che aveva schernito e sfidato Geova come avevano fatto solo pochi uomini? Dopo ciò fu visto nel campo solo poche volte, e poi non fu più visto affatto. I prigionieri seppero comunque che poco dopo l’esecuzione capitale di August Dickmann, egli fu colpito da una terribile infermità. Morì cinque mesi dopo senza avere mai più l’opportunità di schernire Geova o i suoi testimoni. “Ho impegnato un combattimento con Geova. Vedremo chi è più forte, io o Geova”, aveva detto “Quadrato” il 20 marzo 1938, quando aveva messo i fratelli nel “gruppo dell’isolamento”. La battaglia era stata decisa. “Quadrato” aveva perduto. E mentre i nostri fratelli furono liberati alcuni mesi dopo dal “gruppo dell’isolamento”, e, in certi casi, ricevettero una certa quantità di sollievo, continuò a circolare in tutto il campo la voce che “Quadrato” era gravemente malato e che quando gli agenti lo visitavano presso il suo letto da infermo sussurrava: “Gli Studenti Biblici pregano per farmi morire, perché ho fatto fucilare il loro uomo!” È anche un fatto che dopo che egli era morto, sua figlia, quando le era chiesta la causa della morte del padre, sempre rispondeva: “Gli Studenti Biblici hanno pregato per far morire mio padre”.
DACHAU
Il fratello Friedrich Frey di Röt narra il trattamento che facevano a Dachau nel “gruppo dell’isolamento”: “A mala pena si possono descrivere la fame, il freddo, i tormenti. Una volta con i suoi stivali un agente mi prese a calci nello stomaco, causandomi una grave infermità. Un’altra volta con ripetute percosse mi fu deformato il dorso nasale in modo che fino a questo giorno respiro con difficoltà. Una volta un uomo delle SS mi sorprese a mangiare un paio di frammenti di pane secco durante le ore di lavoro per calmare la mia fame. Col suo stivale mi diede un calcio nello stomaco, abbattendomi al suolo. Come ulteriore punizione fui appeso a un palo alto tre metri con le braccia incatenate di dietro. Questa posizione anormale del corpo e il suo peso fecero arrestare la circolazione sanguigna, causandomi pene atroci. Un uomo delle SS mi afferrò entrambe le gambe e le fece dondolare avanti e indietro, gridando: ‘Sei ancora testimone di Geova?’ Ma non ero in grado di rispondere perché già mi usciva dalla fronte un sudore mortale. Come conseguenza di ciò ho fino a questo giorno un tic nervoso. Non potei fare a meno di pensare alle ultime ore che il nostro Signore e Maestro trascorse con le mani e i piedi trafitti da chiodi”.
A Dachau, poco prima di “Natale”, fu eretto un grande albero natalizio e adornato con candele elettriche e altre forme di ornamento. I 45.000 prigionieri del campo, compresi oltre cento testimoni di Geova, speravano di trascorrere alcuni giorni in pace. Ma che cosa accadde? Alle 8,00 della Vigilia di Natale quando tutti i prigionieri erano nelle loro baracche, all’improvviso cominciarono a suonare le sirene del campo; i prigionieri dovettero uscire nel cortile il più presto possibile. Si poteva udir suonare la banda delle SS. Entrarono cinque compagnie di truppe delle SS pienamente equipaggiate. Il comandante del campo, accompagnato dagli ufficiali delle SS, pronunciò un breve discorso dicendo ai prigionieri che quella sera volevano celebrare con loro il Natale alla loro particolare maniera. Prese quindi dalla borsa un elenco di nomi e per quasi un’ora lesse i nomi dei prigionieri che nelle ultime settimane erano stati raccomandati per la punizione. Fu portato fuori ed eretto il ceppo e su di esso fu legato il primo prigioniero. Due uomini delle SS muniti di sferze d’acciaio presero quindi posto a destra e a sinistra del ceppo e cominciarono a colpire il prigioniero mentre la banda suonava “Tacita notte”; si attendeva che tutti i prigionieri cantassero insieme. Nello stesso tempo il prigioniero al quale venivano date venticinque sferzate era costretto a contarle ad alta voce. Ogni volta che al ceppo era legato un nuovo prigioniero, due nuovi uomini delle SS venivano avanti per infliggere la punizione. Davvero un degno modo di celebrare il Natale per una “nazione cristiana”.
Di fronte a tale trattamento i nostri fratelli avevano bisogno di forte fede, di una fede resa forte con l’attento studio della Parola di Dio. Quanto la mancanza di studiare possa esser pericolosa e possa lasciare impreparato a tali prove, fu provato da Helmut Knöller. Lasciamo che egli racconti la sua propria esperienza:
“I miei primi giorni a Dachau furono molto difficili. A vent’anni, ero il più giovane dei nuovi arrivati. Fui assegnato a un gruppo speciale che doveva lavorare anche la domenica. Il mio sorvegliante era specialmente severo con me. Dovevo fare i lavori più difficili, a cui non ero abituato, in gran fretta. Ripetute volte caddi a terra per collasso ma ogni volta ero rianimato essendo posto nel sotterraneo con l’acqua fino ai fianchi e con acqua che mi era quindi versata sulla testa.
“Fui portato quasi fino al completo esaurimento fisico. Questo continuò un giorno dopo l’altro ed ero vicino al punto della disperazione, sapendo che poteva andare avanti per settimane, sì, anche per mesi. . . . Ma le difficoltà divennero così grandi che infine andai dai capi del campo e firmai la dichiarazione secondo cui non avevo più nulla a che fare con gli Studenti Biblici Internazionali. Che io firmassi questo fu il diretto risultato dell’insufficiente studio che avevo fatto a casa. I mei genitori avevano studiato troppo poco essi stessi e noi figli avevamo ricevuto da loro solo un’istruzione difettosa. . . . Mi era stato detto che potevamo andare avanti e firmare tale dichiarazione, poiché, prima di tutto, non vi si diceva nulla dei testimoni di Geova, ma solo degli Studenti Biblici, e, secondariamente, non era sbagliato ingannare il nemico se questo ci faceva ottenere la libertà per servire meglio Geova di fuori”. Fu solo più tardi mentre era a Sachsenhausen che fratelli maturi l’aiutarono ad apprezzare il significato dell’integrità cristiana e a edificare la sua fede.
MAUTHAUSEN
Benché a Dachau molti fossero uccisi col gas o in altri modi crudeli, tuttavia Mauthausen era un regolare campo di distruzione. Il comandante del campo, Ziereis, disse ripetutamente che si interessava solo di vedere certificati di morte. Infatti, nei due moderni forni crematori che vi avevano furono cremati in un periodo di sei anni 210.000 uomini, una media di cento al giorno.
Quando ai prigionieri si faceva compiere qualche lavoro, era in genere nella cava. C’era una ripida rupe che le disumane SS chiamavano la “parete dei paracadutisti”. Centinaia di prigionieri eran sospinti giù dall’alto di questa rupe e poi lasciati immobili di sotto. Essi morivano per la caduta o annegavano in un fossato pieno d’acqua piovana. Per la disperazione molti prigionieri perfino saltavano nell’abisso di loro propria volontà.
Un’altra attrazione erano i cosiddetti “gradini della morte”. Un cumulo di 186 sciolti massi di varia altezza ammucchiati l’uno sull’altro era chiamato la scalinata. Dopo che i prigionieri s’eran caricati pesanti pietre sulle spalle e le avevano portate fino alla cima, gli uomini delle SS si divertivano a farli scivolare in massa colpendoli col piede o col calcio dei loro fucili, facendoli così cadere all’indietro giù per i “gradini”. Questo fece morire molti e il numero dei morti aumentava per le pietre che cadevano dal di sopra. Valentin Steinbach di Francoforte ricorda che i gruppi di 120 uomini formati la mattina spesso tornavano la sera solo con circa 20 ancora in vita.
CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER DONNE
Erano istituiti campi di concentramento non solo per uomini ma anche per donne. Uno di questi entrò in funzione all’inizio del 1935 a Moringen presso Hannover. Quando nel 1937 la pressione sui testimoni di Geova divenne più severa, si cominciò a evacuare il campo di Moringen. In dicembre circa 600 prigioniere, comprese parecchie sorelle, furono portate al campo di Lichtenburg. Essendo falliti gli sforzi per far cambiare alle nostre sorelle la loro determinazione, fu formata una “squadra penale”. I loro sorveglianti davano loro pochissimo da mangiare e cercavano costantemente di trovar ragioni per infliggere punizioni. Il comandante del campo disse loro: ‘Se volete restare in vita, venite da me e firmate’.
Un metodo adottato per far infrangere alle nostre sorelle la loro integrità è riferito da Ilse Unterdörfer: “Un giorno la sorella Elisabeth Lange di Chemnitz fu chiamata dal direttore. Ella si rifiutò risolutamente di firmare la dichiarazione, al che fu portata in una cella situata nel sotterraneo di questo vecchio castello. Come tutti quelli che conoscono i vecchi castelli e le loro prigioni sotterranee possono immaginare, questo costituiva una prova estrema. Le celle erano buche oscure con una piccola finestra chiusa da sbarre. Il letto era di pietra e per la maggior parte del tempo la persona era costretta a giacere su questo ‘letto’ freddo e duro senza nemmeno un pagliericcio. La sorella Lange trascorse mezzo anno in segregazione cellulare in questa buca del sotterraneo. Benché soffrisse fisicamente, ciò non scosse la sua determinazione di rimanere fedele”.
Un altro metodo a cui ricorsero per cercar d’infrangere la fermezza delle nostre sorelle fu quello della dura fatica fisica. Per questa ragione parecchie sorelle furono portate a Ravensbrück. Il 15 maggio 1939 arrivò il primo gruppo, seguìto dopo breve tempo da altri. Subito il campo crebbe fino a comprendere 950 donne, circa 400 di esse testimoni di Geova. Eran tutte chiamate a fare i più difficili lavori di costruzione e ripulitura, lavori normalmente richiesti solo dagli uomini. Il nuovo comandante del campo, che era specialmente noto per la sua brutalità, pensava di poter logorare le sorelle facendo compiere loro duro lavoro fisico.
Tale trattamento finì naturalmente con molti decessi. Quindi, gruppi completi furon portati inoltre ad Auschwitz, campo che, come Mauthausen, era specialmente preparato per lo sterminio in massa. Le donne vecchie, di salute instabile o incapaci di raggiungere le norme degli uomini delle SS in quanto a donne che potessero generare una “razza superiore” andavano incontro alla morte. Berta Mauerer ci narra ciò che vi accadeva:
“Fummo costrette a star nude davanti a una commissione che faceva la sua selezione. Immediatamente dopo, il primo gruppo partì per Auschwitz. Fra loro erano parecchie sorelle che erano state ingannate col pensiero che venissero portate in un campo dove avrebbero avuto condizioni più facili, pur sapendo tutte che Auschwitz era ancor più insopportabile. A quelle che formarono il secondo gruppo fu detta la stessa cosa. In questo gruppo erano molte sorelle deboli e malate”. Subito dopo fu comunicato ai loro parenti che erano morte. Nella maggioranza dei casi si indicavano come causa della morte i ‘disturbi circolatori’.
Un’altra cosa che per le sorelle avrebbe potuto costituire una prova è riferita da Auguste Schneider di Bad Kreuznach:
“Un giorno venne da me una prigioniera e disse: ‘Sig.ra Schneider, io parto da qui!’ Le chiesi dove andava ed ella rispose: ‘Qui ci sono tanti uomini che si sta facendo un bordello per i prigionieri. Siamo state invitate e da venti a trenta donne circa ci siamo offerte volontarie. Ci vengono dati bei vestiti e siamo rese graziose!’ Le chiesi dove sarebbe stato, e rispose: ‘Nel campo degli uomini’.
“A mala pena si può descrivere ciò che vi accadde. Ma un giorno un capo delle SS mi disse: ‘Sig.ra Schneider, avrà udito ciò che accade nel campo degli uomini. Volevo solo farle sapere che non vi ha preso parte nessuno dei testimoni di Geova!’”
Ravensbrück divenne estesamente noto come il più famigerato di tutti i campi di concentramento per donne. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, il numero delle sorelle vi era salito a circa cinquecento.
Un giorno parecchie sorelle furono improvvisamente chiamate dalle loro celle e messe al lavoro per ripulire l’intero edificio, poiché Himmler aveva indicato che sarebbe venuto per l’ispezione. Ma passò il giorno ed egli non si fece vedere. Le nostre sorelle si erano già preparate per andare a letto, si erano cioè tolte le scarpe, che servivano loro da cuscino, ma a causa del freddo dormivano con le vesti addosso. Si mettevano a giacere il più strettamente possibile per mantenersi calde. Di tanto in tanto cambiavano posizione, così che ognuna veniva a trovarsi una volta all’esterno, dove, naturalmente faceva più freddo. All’improvviso ci fu nei corridoi molto rumore e cominciarono ad aprirsi le porte delle celle. Le nostre sorelle stettero ora dinanzi all’uomo che in Germania decideva della vita e della morte. Himmler esaminò criticamente le sorelle, rivolse loro alcune domande e fu costretto a rendersi conto che non erano disposte a fare nessuna concessione.
Quella stessa sera, dopo che Himmler e i suoi se ne erano andati, un gran numero di prigioniere furono fatte uscire e le altre prigioniere poterono udirne le urla. Himmler aveva introdotto anche per le donne l’“inasprimento” della pena; esse ricevettero venticinque colpi di sferza d’acciaio sulle natiche nude.
Una sorella narra il coraggio con cui molte affrontavano i loro problemi: “Nel mio isolato c’era un’Ebrea che aveva accettato la verità. Una notte fu svegliata anche lei. La udii mentre si alzava e cercai di dirle una parola di conforto. Ma ella disse: ‘So quello che mi aspetta. Ma sono felice di avere appreso la meravigliosa speranza della risurrezione. Attendo con calma la morte’. E coraggiosamente uscì”.
LE DIVISIONI AUMENTANO LE DIFFICOLTÀ
Recisi dai fratelli di fuori, quelli che erano nei campi bramavano grandemente cibo spirituale. I nuovi arrivati erano interrogati dai fratelli per sapere che cosa era stato pubblicato ne La Torre di Guardia. A volte le informazioni erano comunicate con accuratezza e a volte no. C’erano anche fratelli che cercavano di usare la Bibbia per stabilire la data in cui sarebbero stati liberati, e, sebbene gli argomenti fossero deboli, alcuni si afferravano con speranza a queste “pagliuzze”.
In questo tempo un fratello che aveva una memoria eccezionale fu messo a Buchenwald. In principio la sua capacità di ricordare e condividere con altri le cose imparate fu per i fratelli una fonte d’incoraggiamento. Ma con l’andar del tempo divenne un idolo, “la meraviglia di Buchenwald”, e le sue dichiarazioni, perfino la sua opinione personale, eran considerate come finali. Dal dicembre del 1937 al 1940 egli pronunciava un discorso ogni sera, circa mille in tutto, e molti di questi erano stenografati così che si potessero ciclostilare. Quantunque nel campo ci fossero molti fratelli più anziani capaci di pronunciare discorsi, questo fratello era l’unico che li tenesse. A quelli che non eran pienamente d’accordo con lui si faceva riferimento come ai “nemici del Regno” e alla “famiglia di Acan”, che i “fedeli” avrebbero dovuto evitare. Quasi quattrocento fratelli aderirono più o meno volontariamente a questa disposizione.
Quelli che furono così definiti “nemici” eran pure fratelli che erano stati disposti a rischiare la vita per promuovere gli interessi del Regno secondo il meglio delle loro capacità. Essi pure erano stati messi nel campo a causa della determinazione di provare la loro integrità, fino alla morte. Alcuni di loro non mettevano pienamente in pratica i princìpi biblici, è vero. Tuttavia quando cercarono di mettersi in contatto con i responsabili affinché essi pure ricevessero il beneficio del cibo spirituale che si rendeva disponibile a Buchenwald, questi considerarono come “al disotto della loro dignità” discutere la questione.
Wilhelm Bathen di Dinslaken, che ancora rende servizio a Geova, narra come ne risentì personalmente: “Quando compresi che ero stato disassociato anch’io, fui spiritualmente così scosso e depresso che mi domandai come una tal cosa fosse possibile. . . . Spesso mi misi in ginocchio e pregai Geova perché mi desse un segno. Mi chiesi se la colpa della situazione era mia e se egli pure mi aveva disassociato. Avevo una Bibbia e la leggevo alla fievole luce e trovai una grande quantità di conforto al pensiero che questo si abbatteva su di me come una prova, altrimenti sarei già stato distrutto, poiché questo essere stroncato dai fratelli era una pena tremenda”.
Così le imperfezioni umane e un’esagerata veduta della propria importanza portarono fra il popolo di Dio a divisioni, che recarono ad alcuni severe prove.
SOPRAFFATTI DALLA PREOCCUPAZIONE DI “SOPRAVVIVERE”
Alcuni che furono messi nei campi con la determinazione di non fare compromesso lasciarono in seguito che la preoccupazione di “sopravvivere” eclissasse il loro amore verso Geova e verso i loro fratelli. Se un individuo poteva ottenere qualche incarico di responsabilità nell’organizzazione del campo, facendosi affidare la sorveglianza di qualche sfera di attività, non doveva più stancarsi con il lavoro forzato. Ma questo era pericoloso. In molti casi richiedeva che lavorasse strettamente con le SS, che facesse andare i prigionieri al lavoro a ritmo più affrettato e che denunciasse i prigionieri, anche i suoi propri fratelli, per farli punire.
Un fratello chiamato Martens si trovò in tale condizione mentre era nel campo di Wewelsburg. In principio ebbe la sorveglianza di 250 Studenti Biblici. Costantemente egli si sforzava per essere agli occhi delle SS un ottimo “anziano del campo”. Con l’andar del tempo, si aggiunsero al campo molti prigionieri politici e altri. Martens non voleva perdere il suo posto, quindi dovette difendere gli interessi delle SS e seguirne i metodi.
Non passò molto tempo che egli proibiva ai fratelli di considerare la scrittura del giorno o di pregare insieme. Presto perquisiva e percuoteva con un tubo di gomma quelli addosso ai quali trovava una copia della scrittura del giorno. Una mattina, mentre parecchi fratelli pregavano insieme, saltò in mezzo a loro e interruppe la riunione, dicendo: “Non conoscete le regole del campo? Pensate che io voglia avere difficoltà solo per causa vostra?” Così su un gran numero di fratelli fedeli furon recate molte altre sofferenze da pochissimi che persero di vista la loro mèta.
IL PROBLEMA DELLA FAME
Dopo che era cominciata la seconda guerra mondiale i viveri disponibili erano mandati al fronte. I pasti nei campi di concentramento consistevano per lo più di un tipo di rapa che in genere era usato solo per dare da mangiare agli animali. Ogni cosa era preparata con tale mancanza di amore che spesso si udivano i prigionieri dire che pure i porci si sarebbero rifiutati di mangiare il cibo. Ma non si trattava di avere cibo appetitoso, si trattava semplicemente di sopravvivere. Molti morirono di fame. “La mia prova più grande fu la fame”, scrive il fratello Kurt Hedel, e spiega, dicendo: “Sono alto 1 metro e 90 centimetri e normalmente peso circa 105 chili. Ma nell’inverno del 1939/1940 pesavo solo 40 chili e anche meno. Non ero altro che pelle e ossa. Nonostante la mia statura non mi veniva dato da mangiare più che a quelli più piccoli di me. Sovente mi ficcavo i pugni nello stomaco per il dolore finché un fratello maturo mi consigliò di presentare il mio problema a Geova in preghiera e di chiedergli d’aiutarmi a sopportare il dolore. Subito compresi di quale aiuto risultasse la preghiera in tali situazioni”. Un altro fratello ricorda che per combattere gli stimoli della fame si metteva spesso in bocca la sabbia.
Com’era confortante in tali situazioni la compagnia fraterna. Sì, era molto commovente vedere fratelli, essi stessi segnati dalla morte, dare qualche loro scarsa razione di pane a quelli che erano in difficoltà più di loro. Spesso erano solo briciole che in segreto nascondevano sotto il cuscino di quelli ai quali per una ragione o l’altra non era stato dato nulla da mangiare e i quali erano stati costretti a stare al freddo intenso nel cortile quasi senza nulla addosso. Quale balsamo era per quelli che il nemico aveva quasi “infranti” udire dalla bocca di un fratello maturo parole d’incoraggiamento, che scendevano come l’olio su una ferita e davano nuova forza nel momento in cui pensavano che la loro situazione fosse insopportabile! E come si dimostrava potente l’unìta preghiera! Frequentemente, la sera, quando le baracche erano state chiuse a chiave e nei dormitori tutto era tranquillo, i problemi erano unicamente presentati a Geova in preghiera. Spesso erano questioni che si riferivano a tutti loro, ma altrettanto spesso problemi di singoli fratelli. Ogni qualvolta Geova, come fece in molti casi, arrecava immediatamente un cambiamento in meglio, questo era, il giorno dopo, motivo per una unita preghiera di ringraziamento. Allorché una persona si trovava in una situazione che non poteva superare da sola, ancora una volta i fratelli si rendevano conto che “non siamo mai soli”.
CIÒ CHE ACCADDE A QUELLI CHE FECERO COMPROMESSO
È interessante che le SS, che spesso ricorrevano ai più sordidi inganni per tentar di indurre qualcuno a firmare la dichiarazione, con frequenza gli si rivoltavano contro una volta che l’avesse effettivamente firmata angariandolo dopo più di quanto non facessero prima. Karl Kirscht lo conferma: “Più di qualsiasi altro nei campi di concentramento i testimoni di Geova erano vittime dell’inganno. Si pensava che in questo modo potessero essere persuasi a firmare la dichiarazione. Fummo ripetute volte invitati a far questo. Alcuni in effetti firmarono, ma, nella maggioranza dei casi, essi dovettero aspettare più di un anno prima d’esser rilasciati. Durante questo tempo erano spesso oltraggiati in pubblico dalle SS come ipocriti e codardi ed eran costretti a fare una cosiddetta ‘passeggiata dell’onore’ intorno ai loro fratelli prima che fosse loro permesso di lasciare il campo”.
Wilhelm Röger ricorda che un fratello aveva firmato la dichiarazione quando eran venute a visitarlo sua moglie e sua figlia, ma non lo disse ai fratelli. “Parecchie settimane dopo fu informato che doveva prepararsi per il rilascio. (Tali individui in genere dovevano stare al cancello finché eran chiamati per nome). Questo fratello stette al cancello per tutto il giorno e vi stava ancora quella sera, quindi dové tornare dai fratelli nelle baracche. Dopo l’appello della sera, che fu fatto da un capitano molto temuto di nome Knittler, questo fratello fu mandato a prendere nelle baracche un piedistallo e fu poi costretto a salirvi nel cortile, di fronte ai fratelli che rientravano marciando. Knittler richiamò ora l’attenzione sul fratello e, rivolgendo a noi tutti un acuto sguardo, disse: ‘Guardate il vostro codardo; ha firmato senza dirlo a nessuno di voi!’ In realtà le SS avrebbero desiderato che firmassimo tutti. Ma nel momento che qualcuno firmava, scompariva il rispetto che segretamente avevano per noi”.
La sorella Dietrichkeit ricorda due sorelle che firmarono la dichiarazione. Quando furon tornate, dissero alla sorella Dietrichkeit d’aver firmato perché avevano timore di morire di fame. Non nascosero il fatto che le SS avevano chiesto loro: “Ora che avete rinnegato il vostro Dio, Geova, quale Dio servirete?” Le due sorelle furono subito rilasciate, ma quando i Russi invasero il paese entrambe furono riarrestate per una ragione o l’altra e i Russi le misero in una prigione dove morirono realmente di fame. In un altro caso una sorella che aveva firmato fu violentata dai Russi gli ultimi giorni della guerra e quindi da essi assassinata.
Un gran numero di fratelli che aveva firmato la dichiarazione fu arruolato nelle forze armate e fu portato al fronte, dove in maggioranza perse la vita.
Pur essendoci sufficiente prova che quei fratelli che firmarono si posero in tal modo fuori della protezione di Geova, nella maggioranza dei casi non è vero che fossero “traditori”. Molti fecero annullare la loro firma prima del loro rilascio, una volta che fratelli comprensivi e maturi li avevano aiutati a rendersi conto di ciò che avevano fatto. Avendo chiesto a Geova dopo essersi pentiti che fosse concessa loro un’altra opportunità di mostrarsi fedeli, molti di questi, in seguito alla caduta del regime di Hitler, entrarono spontaneamente nelle file dei proclamatori e cominciarono a lavorare come proclamatori di congregazione, a suo tempo come pionieri, sorveglianti, perfino come sorveglianti viaggianti, promuovendo in modo esemplare gli interessi del regno di Geova. Molti furono confortati dall’esperienza di Pietro, che pure rinnegò il suo Signore e Maestro, ma fu riammesso nel suo favore. — Matt. 26:69-75; Giov. 21:15-19.
TRADIMENTO
Mentre alcuni persero temporaneamente il loro equilibrio spirituale a causa degli ingannevoli metodi adottati o a motivo di debolezze umane, ci furono altri che divennero traditori e causarono ai loro fratelli molte sofferenze.
Julius Riffel narra che nel 1937/1938 “un certo fratello Hans Müller di Dresda venne alla Betel di Berna e cercò di mettersi in contatto con i fratelli della Germania, con la presunta mèta di ‘riedificare in Germania l’organizzazione clandestina dopo che tanti fratelli erano stati arrestati’.
“Naturalmente dichiarai che ero disposto a cooperare, come fecero parecchi altri fratelli. È triste dire che in quel tempo non sapevamo che questo ‘fratello’ Müller lavorava in Germania con la Gestapo. Senza nutrire sospetti facemmo a Berna i piani e cominciammo la nostra opera. Io dovevo prendere Baden Württemberg. Nel febbraio del 1938 attraversai il confine tedesco e cercai di riorganizzare l’attività, mettendomi in contatto con i fratelli che erano ancora liberi. Due settimane dopo fui arrestato. . . . La Gestapo conosceva la nostra attività in tutti i particolari e questo per mezzo di quel falso fratello che aveva aiutato a riedificare l’organizzazione clandestina, solo per tradirla poi alla Gestapo. Questo ‘fratello’ fece la stessa cosa un anno dopo in Olanda e anche in Cecoslovacchia. . . .
“Nel 1939 fui portato con il furgone della prigione a Coblenza, dove dovetti testimoniare al processo di tre sorelle con le quali avevo lavorato clandestinamente a Stoccarda. Lì io stesso udii un agente della Gestapo dire a un funzionario di corte che conoscevano tutti i particolari della nostra opera, cose come sia gli indirizzi della corrispondenza e i nomi finti che la struttura dell’organizzazione. Una volta quando aspettavamo di fuori nel corridoio, questo stesso agente della Gestapo mi disse che non avrebbero potuto seguire così facilmente la nostra attività se non fosse stato per il fatto che avevamo nelle nostre file dei buoni a nulla. Mi dispiace dire che non potei smentirlo. Di tanto in tanto fui in grado di avvertire dalla prigione i fratelli riguardo a questo ‘fratello’ traditore, ma il fratello Harbeck non tenne conto dell’avvertimento, essendo semplicemente incapace di credervi. Secondo la mia opinione, questo Müller fu il responsabile che fece gettare in prigione centinaia di fratelli”.
IL FIUME CONTINUA A SCORRERE
Nonostante che il nemico aprisse ripetutamente nuove brecce nelle file del popolo di Dio e decimasse il numero di quelli ancora liberi, c’erano sempre altri che riconoscevano la necessità di provvedere ai fratelli cibo spirituale. Facevano questo malgrado il pericolo per la loro vita. Uno dei fratelli che riedificò tra i fratelli il sistema di distribuzione de La Torre di Guardia, mentre Müller continuava a Dresda la sua sordida opera, fu Ludwig Cyranek. Egli fece questo finché non fu arrestato e condannato a due anni di prigione. Quindi, appena fu uscito dalla prigione, il fratello Cyranek tornò subito all’opera.
Molte sorelle occuparono con gioia i posti lasciati vacanti dai fratelli arrestati, pur comprendendo che secondo le più severe leggi belliche se fossero state prese avrebbero potuto perdere la vita. Fra quelle impiegate per distribuire La Torre di Guardia furono, per esempio, la sorella Neuffert a Holzgerlingen, la sorella Pfisterer a Stoccarda e la sorella Franke a Magonza. Il fratello Cyranek scriveva a queste sorelle lettere contenenti innocue informazioni, lettere che le sorelle stiravano con il ferro da stiro per poterne leggere il messaggio segreto ch’egli vi aveva scritto sotto col succo di limone, dicendo loro dove prendere Le Torri di Guardia e quante erano.
Di tanto in tanto il fratello Cyranek andava a Stoccarda, dove per lui lavorava come segretaria Maria Hombach. A lei dettava i rapporti dell’opera in Germania, che egli mandava poi in Olanda ad Arthur Winkler, il quale si occupava di Germania e Austria. La sorella Hombach pure scriveva queste lettere col succo di limone, così che le informazioni importanti non cadessero in mani non autorizzate.
Che questa attività clandestina fosse compiuta per almeno un anno può attribuirsi solo alla guida di Geova. Spesso egli fece in modo che il suo popolo fosse condotto per vie strane, affinché fosse fornito del cibo spirituale a suo tempo. Presto Müller sentì che era venuto il tempo opportuno per tradire questo intero cerchio dell’organizzazione alla Gestapo. Tutti quelli che vi erano connessi furono arrestati in diversi giorni. Al processo di Dresda, il fratello Cyranek fu condannato a morte e gli altri ricevettero lunghe condanne alla prigione. Il 3 luglio 1941, solo alcune ore prima della sua esecuzione capitale, scrisse ai suoi parenti la lettera che segue:
“Miei cari fratello, cognata, genitori, e tutti gli altri fratelli compresi,
“Temete Dio e attribuitegli onore! Devo scrivervi la penosa notizia che quando riceverete questa lettera io non sarò più in vita. Non siatene eccessivamente rattristati. Ricordate che per l’Iddio Onnipotente è semplice risuscitarmi dai morti. Sì, egli può fare ogni cosa e se mi permette di bere questo amaro calice, servirà certamente a uno scopo. Sappiate che nella mia debolezza ho cercato di servirlo e sono completamente convinto che è stato con me sino alla fine. Mi affido alla sua cura. Miei cari, in queste ultime poche ore i miei pensieri sono rivolti a voi. Il vostro cuore non si sgomenti, ma, piuttosto, mantenete la vostra compostezza, poiché è per voi molto meglio che sapermi sofferente in prigione, il che sarebbe stato per voi una continua preoccupazione. E ora, miei cari madre e padre, lasciate che vi ringrazi entrambi per tutte le buone cose che avete fatte per me. Posso solo balbettare un debole grazie. Geova vi ricompensi di tutto ciò che avete fatto. La mia preghiera è che egli vi protegga e vi benedica, poiché solo la sua benedizione rende ricchi. Caro Toni, credo benissimo che avresti fatto tutto il possibile per liberarmi dalla ‘fossa dei leoni’, ma questo è vano. Questa notte ho ricevuto la comunicazione che la petizione di clemenza è stata respinta e che la mia condanna sarà eseguita domattina. Non ho fatto nessuna supplica di nessuna specie né ho chiesto misericordia per mano degli uomini. Capisco comunque la vostra buona volontà d’aiutarmi, e ringrazio dal profondo del mio cuore sia te che Luise per tutte le buone cose che mi avete date. Le vostre righe di simpatia mi hanno fatto bene. Molti saluti a voi tutti e lasciate che a voi tutti io mandi un bacio. Nel mio cuore ho un posto specialmente per Karl. Dio sia con te fino a quando ci incontreremo di nuovo. Ti do l’abbraccio dell’addio. [Firmato] Ludwig Cyranek”.
Julius Engelhardt, che ciclostilava Le Torri di Guardia a Bruchsal con la sorella Frey, aveva lavorato strettamente con il fratello Cyranek nella parte meridionale della Germania. Si dispose che in caso di arresto del fratello Cyranek egli continuasse l’opera. Ci dispiace dire che Müller tradì anche lui alla Gestapo, e subito trovarono il suo nascondiglio nella sua propria città di Karlsruhe. Ma il fratello Engelhardt aveva sempre incoraggiato le sorelle, dicendo loro: ‘Non ci può costare niente di più della testa’, ed era deciso a vendere la sua libertà al più alto prezzo possibile. Sebbene l’agente della Gestapo l’avesse già tratto in arresto, all’improvviso fuggì via, saltò giù dalle scale e scomparve tra la folla della via così rapidamente che la polizia non lo poté fermare. È interessante ciò che gli storici secolari, nel libro Widerstand und Verfolgung in Essen 1933-1945 (Opposizione e Persecuzione a Essen nel 1933-1945), dicono dell’attività del fratello Engelhardt, com’è stato tratto dagli archivi della Gestapo:
“Con l’arresto di Cyranek, Noernheim e altri, non si pose in nessun modo fine alla distribuzione delle pubblicazioni illegali, poiché Engelhardt, che in principio era stato attivo nel sud-ovest, era stato costretto nel 1940 a fuggire nel territorio della Ruhr quando l’avevano minacciato di arresto nella sua precedente base di Karlsruhe. Dopo una breve permanenza in Essen egli trovò un luogo illegale in cui abitare a Oberhausen-Sterkrade dove, dal principio del 1941 all’aprile del 1943, produsse 27 diversi numeri de La Torre di Guardia in un’edizione di 240 e in seguito 360 copie. Dal territorio della Ruhr egli dispose basi sia a Monaco, Mannheim, Speyer, Dresda, sia a Friburgo in Sassonia e prestò servizio come tesoriere per l’intero paese. . . . Il 18 settembre 1944 severe condanne alla prigione furono emesse dalla corte superiore di Hamm contro gli appartenenti al gruppo di Essen che avevano tenuto adunanze e regolarmente distribuito La Torre di Guardia in relazione con l’attività di Engelhardt. . . . Molti furon messi a morte”.
Christine Hetkamp pure ci fa un incoraggiante rapporto sull’attività del fratello Engelhardt: “Mio marito, che era battezzato, divenne un malizioso oppositore. . . . Io non avevo perduto nessuna adunanza tenuta alternatamente nella casa di mia madre, nella mia e in quella di mio fratello. A casa mia potevo averle perché mio marito partiva il lunedì e stava da sua sorella fino al sabato; ella abitava a poca distanza fuori della città. Quella di lei era una fanatica famiglia nazista ed egli vi trovò riparo, giacché non poteva più sopportare il nostro spirito, il che è comprensibile. Così durante la sua assenza, per quasi tre anni, La Torre di Guardia si stampava nella nostra casa. Un fratello (il fratello Engelhardt) che da tre anni viveva con noi dattilografava con una macchina da scrivere le matrici e poi le usava per fare le copie ciclostilate de La Torre di Guardia. In seguito andava con mia madre a Berlino, Magonza, Mannheim, ecc. dove consegnavano le riviste a persone degne di fiducia che ulteriormente le distribuivano. Il fratello Engelhardt e mia madre erano incaricati dell’intera disposizione, mentre io facevo la cucina e lavavo. Quando mia madre fu messa in prigione assunsi il lavoro di consegnare La Torre di Guardia a Magonza e a Mannheim. . . . Nell’aprile del 1943, mia madre fu arrestata la seconda volta, questa volta per sempre. Subito dopo fu arrestato anche il fratello Engelhardt, che per tanto tempo aveva avuto l’incarico di dirigere l’opera clandestina”.
Furono poi arrestati la figlia della sorella Hetkamp, suo cognato, sua sorella, sua cognata e sua zia. Furon tutti processati il 2 giugno 1944. Il fratello Hengelhardt e sette altri imputati, compresa la madre della sorella Hetkamp, furono condannati a morte. Tutti furono decapitati poco dopo.
Da allora in poi le condizioni della Germania continuarono a divenire sempre più confuse. Non si poteva più determinare con sicurezza dove erano ciclostilate Le Torri di Guardia, ma venivano prodotte.
FEDELI FINO ALLA MORTE
Le numerose esecuzioni capitali che ebbero luogo durante il Terzo Reich hanno un posto speciale nella storia della persecuzione. Almeno 203 fratelli e sorelle, secondo rapporti incompleti, furono decapitati o fucilati. Questa cifra non comprende quelli che morirono di fame, di malattie e di altri brutali maltrattamenti.
Riguardo a un fratello che fu condannato a morte, il fratello Bär riferisce: “Tutti i prigionieri e anche i dirigenti della prigione si sorprendevano di lui. Era magnano e faceva lavori di riparazione per tutta la prigione. Compiva il suo lavoro quotidiano senza nessun segno di abbattimento o tristezza; al contrario, mentre era occupato a lavorare cantava cantici di lode a Geova”. Un giorno fu preso verso mezzogiorno dalla bottega, e quella sera fu messo a morte.
Il fratello Bär continua la sua relazione, dicendo: “Mia moglie vide una volta nella prigione di Potsdam una sorella che non conosceva. Ella la oltrepassò nel cortile della prigione. Avendo visto mia moglie, la sorella alzò entrambe le braccia con le manette ai polsi e le fece un gioioso gesto di saluto. Benché fosse stata condannata a morte, non aveva nello sguardo nessun segno di dolore o di tristezza”. Questa calma e pace che irradiava dai nostri fratelli e sorelle condannati a morte acquista un ulteriore valore quando si ricorda ciò che avevan dovuto sopportare nelle loro celle.
Mentre i nostri fratelli e sorelle eran risoluti e rassegnati, infatti, a volte perfino col viso gioioso di fronte alle difficoltà che erano invitati a sopportare, altri che non eran Testimoni spesso crollavano o, per il loro intenso timore della morte, emettevano alte grida finché venivano repressi con la forza.
Jonathan Stark di Ulm, comunque, non cedette a tale timore. È vero che aveva solo diciassette anni quando fu arrestato dalla Gestapo e, senza formalità legali, fu mandato a Sachsenhausen, dove fu messo nelle baracche della morte. Il suo reato? Rifiuto di fare lavoro premilitare. Emil Hartmann di Berlino udì che Jonathan era stato confinato in quelle baracche e, benché questo potesse fargli subire una severa punizione, il fratello Hartmann ottenne d’entrare a parlare a questo giovane fratello e di rafforzarlo. Per entrambi queste brevi visite erano assai incoraggianti. Jonathan era sempre molto felice. Sebbene egli stesso andasse incontro alla morte, confortava sua madre con la meravigliosa speranza della risurrezione. Quando fu condotto dal comandante del campo al luogo dell’esecuzione capitale solo due settimane dopo il suo arrivo, le ultime parole di Jonathan furono “Per Geova e per Gedeone”. (Gedeone fu un fedele servitore di Geova che prefigurò Gesù Cristo). — Giud. 7:18.
Elise Harms di Wilhelmshaven ricorda che suo marito fu invitato sette volte e ritrattarsi dopo ch’era stato condannato e, quando egli si fu rifiutato, le fu offerto il permesso di visitarlo a condizione che facesse tutto il possibile per persuaderlo a cambiar pensiero. Ma ella non poté far questo. Quando fu decapitato, ella fu felice che si era mantenuto fedele a Geova e non era più pressato all’infedeltà. Nel frattempo suo padre, Martin Harms, era stato arrestato per la terza volta e messo in Sachsenhausen. La lettera che il figlio gli scrisse poco prima della sua esecuzione capitale, il 9 novembre 1940, suscita profonda commozione:
“Caro papà,
“Mancano ancora tre settimane al 3 dicembre, il giorno che ci vedemmo due anni fa per l’ultima volta. Riesco ancora a vedere il tuo caro sorriso di quando lavoravi nel sotterraneo della prigione e io camminavo fuori nel cortile della prigione. La mattina di buon’ora non sospettavamo che la mia cara Lieschen (sua moglie) e io saremmo stati rilasciati quel pomeriggio né che tu, caro papà, con nostro dolore, saresti stato portato quello stesso giorno a Vechta e quindi in seguito a Sachsenhausen. Quegli ultimi momenti nei quali eravamo soli nella stanza dei visitatori della prigione di Oldenburg sono ancora indelebilmente impressi nella mia memoria, come ti cinsi col braccio e ti promisi che per quanto era in mio potere avrei avuto cura della mamma e di te. Le mie ultime parole furono: ‘Rimani fedele, caro papà!’ Durante l’ultimo anno e tre quarti (21 mesi) di ‘schiavitù nella libertà’ ho mantenuto la mia promessa. Allorché il 3 settembre fui arrestato, trasmisi la responsabilità ai tuoi altri figli. In questo tempo ti ho considerato con orgoglio e anche con meraviglia per il modo in cui hai portato il tuo peso fedelmente verso il Signore. E ora è stata data anche a me l’opportunità di provare al Signore la mia fedeltà fino alla morte, sì, la fedeltà non solo fino alla morte, ma anche nella morte. La mia condanna a morte è già stata annunciata e sono incatenato sia di giorno che di notte — i segni (sulla carta) sono quelli delle manette — ma non ho ancora vinto pienamente. A un testimone di Geova non è reso facile rimaner fedele. Ho ancora un’opportunità di salvare la mia vita terrena, ma solo per perdere in tal modo la vera vita. Sì, a un testimone di Geova viene data l’opportunità d’infrangere il suo patto anche quando è in vista del patibolo. Perciò, sono ancora in mezzo al combattimento e devo ancora vincere molte vittorie prima di poter dire che ‘ho combattuto l’eccellente combattimento, ho osservato la fede, mi è riservata la corona della giustizia che Dio, il giusto giudice, mi darà’. Il combattimento è senza dubbio difficile, ma sono grato con tutto il cuore al Signore che non solo mi ha dato la forza necessaria per stare finora in piedi dinanzi alla morte, ma mi ha dato una gioia che vorrei condividere con tutti quelli che amo.
“Caro papà, anche tu sei ancora prigioniero, e non so se questa lettera ti giungerà mai. Comunque, se tu dovessi mai essere rimesso in libertà, rimani quindi fedele proprio come lo sei ora, poiché sai che chiunque ha messo mano all’aratro e si volta indietro non è degno del regno di Dio. . . .
“Quando tu, caro papà, sarai di nuovo a casa, fa quindi in modo di avere particolare cura della mia cara Lieschen, poiché per lei sarà particolarmente difficile, sapendo che il suo diletto non tornerà. So che farai questo e ti ringrazio prima del tempo. Caro papà, ti invoco nello spirito, rimani fedele, come io ho tentato di rimaner fedele, e quindi ci rivedremo. Penserò a te proprio sino alla fine.
“Tuo figlio Johannes
“Auf Wiedersehen!”
PAROLE D’INCORAGGIAMENTO A QUELLI DI FUORI
Non soltanto i candidati alla morte erano incoraggiati dai fratelli di fuori; quelli in libertà di fuori erano spesso incoraggiati anche di più dai loro fratelli che stavano in prigione. La sorella Auschner di Kempten lo conferma. Il 28 febbraio 1941 ricevette dal figlio ventunenne una lettera, che conteneva le seguenti brevi righe indirizzate al fratello di diciotto anni e mezzo: “Caro fratello, nella mia ultima lettera richiamai la tua attenzione su un libro e spero che tu abbia preso a cuore ciò che dissi, poiché questo potrà esserti solo utile”. Due anni e mezzo dopo la sorella Auschner ricevette da questo suo figlio più giovane una lettera di addio. Egli aveva preso a cuore ciò che il fratello maggiore gli aveva scritto, seguendolo fedelmente nella morte.
I due fratelli Ernst e Hans Rehwald di Stuhm, nella Prussia Orientale, pure si assisterono l’un l’altro in modo simile. Dopo che Ernst era stato portato dinanzi a una corte militare e condannato a morte, dalla sua cella della morte scrisse una lettera al fratello Hans che era nella prigione di Stuhm: “Caro Hans, nel caso che ti accada la stessa cosa, ricorda il potere della preghiera. Io non conosco timore, poiché la pace di Dio è dentro il mio cuore”. Dopo breve tempo il fratello si trovò nella stessa condizione e, nonostante che a quel tempo avesse solo diciannove anni, fu giustiziato.
PROVA DI LEALTÀ PER I CONIUGI
Faceva impressione vedere come intimi parenti incoraggiavano i loro cari a non vacillare nella propria integrità. La sorella Höhne di Francoforte sull’Oder fu una che accompagnò il marito alla stazione ferroviaria quando egli ebbe ricevuto la chiamata per il servizio militare, per non rivederlo mai più. Le sue ultime parole furono: “Sii fedele”, parole che il fratello Höhne tenne a mente fino alla morte.
In molti casi i fratelli si erano appena sposati e, se non avessero avuto un così forte amore verso Geova e verso Cristo Gesù, non avrebbero certamente potuto sopportare che si infrangessero i vincoli di comunicazione con i loro diletti. Due sorelle, che sono vedove da oltre trentadue anni, ripensano con gratitudine a quei tempi turbolenti per l’aiuto che Geova diede loro. Le sorelle Bühler e Ballreich, di Neulosheim presso Speyer, si sposarono entrambe verso l’inizio del bando e appresero la verità intorno allo stesso tempo. Nel 1940 entrambi i mariti ebbero la chiamata di leva e, rifiutatisi di intraprendere il servizio militare, furono arrestati.
La sorella Ballreich andò dagli ufficiali dell’ufficio di leva del distretto di Mannheim, dove apprese che i due fratelli erano stati mandati a Wiesbaden per comparire dinanzi a una corte militare. La sorella Ballreich ricevette il permesso di visitare il marito a condizione che cercasse di persuaderlo a cambiar pensiero. Alla sorella Bühler fu dato il permesso di visitare il marito alle stesse condizioni. Entrambe le sorelle andarono subito a Wiesbaden. La sorella Bühler racconta:
“A mala pena posso descrivere quanto la riunione fosse triste. Egli (suo marito) chiese: ‘Perché sei venuta?’ Risposi che si supponeva io cercassi d’influire su di lui. Ma egli mi confortò, mi diede consigli biblici e mi disse di non esser triste come gli altri che non hanno speranza, ma di riporre la mia intera fiducia nel nostro grande Dio, Geova. . . . Un giovane cancelliere, che ci aveva accompagnate alla prigione, ci consigliò di stare a Wiesbaden fino al martedì, che era il giorno in cui si sarebbe dibattuta la causa. Se fossimo state lì ci avrebbero per certo permesso di assistere. Restammo dunque fino al martedì. Aspettammo fuori nella via finché i nostri mariti, accompagnati da due soldati con le armi cariche, furono condotti per la via come delinquenti abituali. Veramente uno spettacolo per gli uomini e per gli angeli. La sorella Ballreich e io camminammo insieme a loro. Fummo in grado di assistere al processo. Durò meno di un’ora e finì con la condanna a morte di due uomini innocenti e coraggiosi. Più tardi potemmo stare con loro per circa due ore in una stanza al pianterreno. Ma dopo aver lasciato la corte, camminammo per le vie di Wiesbaden come due pecore smarrite”.
Dopo breve tempo le due giovani sorelle ricevettero la comunicazione che i loro mariti erano stati fucilati il 25 giugno 1940 ed erano morti pronunciando le parole: “Geova per sempre!”
GENITORI E FIGLI METTONO GEOVA AL PRIMO POSTO
Una causa che suscitò l’attenzione non solo di corti, pubblici ministeri e difensori, ma anche del pubblico, implicava due fratelli Kusserow di Paderborn. In base alla buona istruzione sulle vie di Geova che avevan ricevuta a casa, furono disposti a cedere la loro vita senza timore. E la madre si servì della loro morte come di un’ulteriore opportunità per annunciare ad altri della sua comunità la speranza della risurrezione. Un terzo fratello, Karl, fu arrestato tre mesi dopo e portato in un campo di concentramento; morì quattro settimane dopo il suo rilascio. In questa famiglia c’erano tredici componenti; dodici furon messi in prigione, condannati a un totale di sessantacinque anni dei quali ne scontarono, quarantasei.
Simile al caso dei Kusserow, in cui, non solo i genitori, ma anche i figli misero gli interessi del Regno al di sopra di sé fu quello della famiglia Appel di Süderbrarup. Essi vi possedevano un piccolo stabilimento tipografico. Udiamo dalla sorella Appel il racconto di ciò che accadde:
“Nel 1937 quando in Germania imperversava la grande ondata di arresti, mio marito e io fummo portati via ai nostri quattro figli nella tarda notte del 15 ottobre. Otto persone (agenti della Gestapo e della polizia) entrarono nella nostra casa e perquisirono l’intera casa dal sotterraneo all’attico. Ci portarono quindi con loro. . . . Dopo che eravamo stati condannati, mio marito fu portato a Neumünster e io alla prigione delle donne di Kiel. . . . Nel 1938 dopo una serie di amnistie fummo rilasciati. . . . Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, sapevamo comunque che cosa ci attendeva, poiché mio marito era deciso a mantenere la neutralità. Parlammo ai nostri figli dell’intera cosa e richiamammo la loro attenzione sulle dichiarazioni bibliche inerenti alla persecuzione.
“Nel limite del possibile disponemmo di provvedere per i figli indumenti sufficienti così che a questo riguardo avessero il necessario. Dopo aver detto agli ufficiali del consiglio di leva le ragioni bibliche per cui non poteva fare la guerra, mio marito mise in ordine tutte le sue altre cose personali. Quotidianamente presentavamo a Geova in preghiera tutti i nostri problemi. Il 9 marzo 1941, alle 8,00 del mattino suonò il campanello della porta e due soldati vennero a prendere mio marito. Essi aspettarono di fuori e gli diedero quindici minuti per dirci addio. Nostro figlio Walter era già andato a scuola. Gli altri tre figli e la sorella Helene Green, che lavorava nella nostra stamperia, furono subito invitati a venire nell’appartamento. L’ultima richiesta di mio marito fu che cantassimo il cantico ‘Ogni fedele e dedicato non cederà al terror’. Cantammo, sebbene le parole ci si fermassero in gola. Dopo la preghiera, i soldati entrarono e portarono via mio marito. Quella fu l’ultima volta che i figli videro il padre. Egli fu portato a Lubecca, dove un alto ufficiale gli parlò a lungo in maniera paterna, cercando di persuaderlo a indossare l’uniforme. Ma l’immutabile legge di Geova era così fermamente ancorata al cuore di mio marito che non tornò indietro. . . .
“Fu di buon’ora la mattina del 1º luglio 1941 che agenti di polizia mi presentarono una lettera . . . che mi comunicava che la nostra auto era stata confiscata come proprietà comunista e che lo stabilimento tipografico era stato chiuso dalla polizia. Quindi mi diede un’altra lettera che diceva: ‘Dovrà condurre i suoi figli nella sala civica la mattina del 3 luglio 1941. Si dovranno portare anche indumenti e scarpe’. Questo fu un duro colpo.
“Accadde così che la mattina del 3 luglio, i sorveglianti di due case di educazione per minorenni vennero a prendere i nostri figli. La donna che si incaricò delle mie ragazze di quindici e dieci anni, Christa e Waltraud, mi disse: ‘So da parecchie settimane che devo prendere le sue figlie, e da allora non ho potuto dormire la notte, sapendo che prendo le figlie di una famiglia bene organizzata. Ma devo farlo’.
“Alcuni vicini non si trattennero dal mostrare la loro disapprovazione per l’azione compiuta, ma le autorità responsabili misero subito in circolazione l’avvertimento che ‘chiunque parla del caso Appel commette una sedizione nazionale!’ Per sicurezza, a sorvegliare l’azione di portar via i figli furono mandati tre agenti di polizia. . . . I funzionari comunicarono naturalmente a mio marito i passi che erano stati compiuti riguardo all’azienda e ai figli. Speravano che questo lo intenerisse. Fu accusato d’esser disonesto e senza scrupoli, avendo abbandonato la famiglia in difficoltà. Mio marito mi scrisse una lettera molto amorevole e mi disse che la mattina seguente si era alzato assai presto, si era messo in ginocchio e in preghiera aveva affidato la sua famiglia a Geova. . . .
“Lo stesso giorno che presero i figli, ricevetti dalla corte militare di Berlino-Charlottenburg la notifica di convocazione. Fui condotta dinanzi al principale pubblico ministero, il quale mi chiese di cercar d’influire su mio marito affinché indossasse l’uniforme. Avendogli detto la ragione biblica per cui non ero in grado di far questo, pieno d’ira urlò: ‘Allora gli sarà tagliata la testa!’ Nonostante ciò, chiesi il permesso di parlare a mio marito. Non mi diede nessuna risposta ma premette un campanello che fece venire un soldato il quale mi fece scendere un piano dove alcuni ufficiali mi salutarono con sguardi glaciali e accuse. Quando me ne andavo via, uno di essi mi seguì, mi prese la mano e disse: ‘Sig.ra Appel, resti sempre salda come lo è ora. Lei fa la cosa giusta’. Fui invero sorpresa. Comunque l’importante fu che io potessi parlare a mio marito.
“Mentre ero a Berlino i nazisti avevano già venduto la nostra azienda. Fui costretta a firmare l’atto di vendita perché, come mi fu detto, altrimenti sarei stata messa in un campo di concentramento.
“Dopo che avevo visitato parecchie volte mio marito a Berlino, egli fu condannato a morte. L’avvocato che lo ‘difese’ osservò: ‘È stata data a suo marito un’opportunità d’oro perché ne venga fuori, ma si è rifiutato di valersene’. Al che mio marito rispose: ‘Ho preso la mia decisione per Geova e per il suo regno e questo pone fine a ogni questione’.
“L’11 ottobre 1941, mio marito fu decapitato. Nell’ultima lettera, che gli fu permesso di scrivere solo alcune ore prima della sua esecuzione capitale, egli disse: “Quando riceverete questa lettera, mia diletta Maria e miei quattro figli, Christa, Walter, Waltraud e Wolfgang, sarà già tutto finito e io avrò riportato mediante Gesù Cristo la vittoria che spero di ottenere. Di cuore desidero che vi sia concessa la benedizione d’entrare nel regno di Geova. Rimanete fedeli! Tre giovani fratelli, che seguiranno la stessa via che io farò domattina, sono qui accanto a me. I loro occhi sono raggianti!’
“Dopo breve tempo fui costretta a sgombrare la mia casa di Süderbrarup. I mobili furono depositati in cinque luoghi diversi. Personalmente andai a finire senza un soldo a casa di mia madre.
“Mio figlio Walter fu tolto dalla scuola presso la casa di educazione per minorenni e mandato ad Amburgo dove cominciò ad apprendere il lavoro tipografico. Nel 1944, ebbe la chiamata alle armi, benché avesse solo diciassette anni. Prima di ciò era venuto in possesso del libro L’Arpa di Dio in un modo molto meraviglioso e nella sua piccola stanza in soffitta ad Amburgo, durante i bombardamenti notturni, aveva imparato molto del suo contenuto. Il suo desiderio era quello di dedicarsi a Geova. In seguito a molte difficoltà poté andare a Malente, al tempo del nuovo anno del 1943/1944, dove, in una lavanderia oscurata, un fratello lo battezzò segretamente. . . .
“Egli poté mettersi segretamente in contatto con me e per parecchie ore lo attesi nelle vie di Amburgo finché venne, dato che mi era proibito vedere i miei figli in qualsiasi circostanza.
“Per suo incoraggiamento potei dirgli che avevo ricevuto una lettera dai fratelli di Sachsenhausen i quali avevan sentito parlare della nostra sorte. Il fratello Ernst Seliger scrisse che dopo che il campo si era acquietato di notte diverse centinaia di fratelli di varie nazioni piegavano le ginocchia a Geova menzionandoci nelle loro preghiere. Quindi mio figlio fu portato con la forza nella Prussia Orientale al gruppo militare a cui era stato assegnato. Al freddo glaciale gli tolsero gli indumenti e gli misero davanti l’uniforme, ma egli si rifiutò d’indossarla. Passarono due giorni prima che avesse qualche cosa di caldo da mangiare. Ma rimase fermo.
“Ad Amburgo ci eravamo detti addio. Mi dichiarò che avrebbe seguito la via di suo padre. Circa sette mesi più tardi, dopo che erano stati falsificati i suoi documenti per farlo apparire più adulto, fu effettivamente decapitato, senza aver mai avuto un processo. Secondo la legge, egli era ancora minorenne e sotto la giurisdizione minorile.
“Un poliziotto di Süderbrarup venne a trovarmi e mi lesse la relazione della polizia della Prussia Orientale. A me non fu dato proprio nulla. Sebbene io non avessi realmente ritenuto che il mio ragazzo dovesse subire la sorte del padre, dato che era così giovane e la fine della guerra era tanto vicina, tuttavia, nonostante la grande pena che provavo, rivolsi a Geova una preghiera di ringraziamento. Potei ora dire: ‘Grazie, Geova, che egli sia caduto nel campo di battaglia per te’.
“Venne poi il cambiamento radicale del 1945. Con gioia riabbracciai i miei rimanenti tre figli. I due più giovani erano stati tolti dalla casa di educazione per minorenni e negli ultimi tre anni avevano vissuto con un direttore dell’ufficio del lavoro, perché dovevano essere educati nel senso del nazionalsocialismo. Mi era permesso di visitarli una sola volta in quattordici mesi e di parlar loro per diverse ore, ma sempre con qualcun altro presente. Ciò nonostante, le mie due ragazze una volta poterono sussurrarmi di avere un piccolo testamento che tenevano attentamente nascosto. Quando erano sole una origliava alla porta per assicurarsi che non veniva nessuno e l’altra ne leggeva parecchi versetti. Come ne fui felice!
“Ora nel 1945 i fratelli fedeli cominciarono a tornare dalla loro prigionia. A Flensburg arrivò una nave con molti fratelli e sorelle principalmente dall’est. In quel tempo ebbe inizio un periodo di intensa attività. Fu lì che conobbi il mio attuale marito, il fratello Josef Scharner. Egli pure era stato privato di nove anni di libertà. Entrambi avevamo trascorso tempi davvero difficili ed entrambi avevamo lo stesso desiderio di passare gli ultimi anni che ci rimanevano servendo Geova con tutta la nostra forza”.
FACEVANO DISCEPOLI ANCHE NELLA CELLA DELLA MORTE
Che si potessero far discepoli anche nella cella della morte sembra difficile a credersi, ma il fratello Massors narra una tale esperienza in una lettera che inviò a sua moglie in data 3 settembre 1943:
“Negli anni 1928/1930/1932 feci il pioniere a Praga. Si tenevano conferenze e la città era percorsa con la letteratura. In quel tempo conobbi un conferenziere politico del governo chiamato Anton Rinker. Gli parlai a lungo. Accettò una Bibbia e parecchi libri ma spiegò che non aveva tempo per studiare tali cose, giacché doveva badare alla sua famiglia e procurarsi da vivere. Disse, comunque, che i suoi parenti eran tutti di inclinazione molto religiosa, benché non andassero in chiesa.
“Doveva essere il 1940/1941 quando, come spesso accadeva, fu mandato nella mia cella un nuovo compagno. Egli era molto depresso, ma da principio lo sono tutti. Solo quando la porta della cella le si chiude dietro, la persona si rende improvvisamente conto di dove si trova. ‘Mi chiamo Anton Rinker e sono di Praga’, mi disse il mio nuovo compagno di cella. Lo riconobbi subito e dissi: ‘Anton, sì, Anton, non mi conosce?’ ‘Sì, mi sembra di conoscerla, ma . . .’ Gli ci volle solo un po’ per ricordare che ero stato nel suo luogo nel 1930/1932 e che aveva preso allora da me una Bibbia e diversi libri. ‘Che cosa!’ disse Anton, ‘lei è qui a causa della sua fede? Non riesco a capirlo; nessun ministro fa niente del genere. Che cosa crede effettivamente?’ Doveva scoprirlo.
“‘Ma perché il clero non ci dice queste cose?’ fu la sua domanda. ‘Questa è la verità. Ora so perché dovevo venire in questa prigione. Devo dire, caro Franz, che prima di entrare in questa cella ho pregato Dio affinché mi mandasse da una persona credente, altrimenti pensavo di suicidarmi. . . .’
“Passarono settimane e mesi. Quindi Anton mi disse: ‘Prima che io lasci questo mondo, Dio aiuti mia moglie e i miei figli a trovare la verità, così che io possa andarmene in pace’. . . . Un giorno ricevette da sua moglie una lettera in cui ella scriveva:
“‘. . . Come saremmo felici se solo tu potessi leggere la Bibbia e i libri che anni fa acquistasti da quel Tedesco. Ogni cosa è accaduta esattamente come dicono i libri. Questa è la verità per cui non avevamo mai tempo’”.
[Immagine a pagina 172]
Cortile e ingresso del campo di concentramento di Mauthausen, con un gruppo di nuovi arrivati spogliati nudi