Capitolo 5
Induismo: Ricerca di liberazione
“Nella società indù è usanza religiosa farsi il bagno, appena alzati la mattina, in un fiume vicino oppure a casa se nei pressi non ci sono fiumi o ruscelli. Gli induisti credono che questo li renda puri. Poi, ancora digiuni, si recano al tempio del posto e fanno offerte di fiori e cibi alla divinità locale. Alcuni lavano l’idolo e lo decorano con una polvere rossa e gialla.
“Quasi in ogni casa c’è un angolo oppure una stanza in cui la famiglia può adorare il dio di propria scelta. In certe località una divinità popolare è Gaṇeśa, il dio elefante. La gente lo invoca specialmente al principio di ogni impresa, perché è ritenuto colui che rimuove gli ostacoli. Altrove il principale oggetto di devozione potrebbe essere Krishna, Rama, Śiva, Durga o qualche altra divinità”. — Tara C., Katmandu (Nepal).
1. (a) Descrivete alcune usanze indù. (b) Quali sono alcune differenze fra la concezione occidentale della vita e quella induista?
CHE cos’è l’induismo? Si riduce tutto al concetto ultrasemplificato che ne hanno gli occidentali, cioè venerare animali, bagnarsi nel Gange ed essere divisi in caste? O è qualcosa di più complesso? Risposta: È qualcosa di molto più complesso. L’induismo è un modo diverso di concepire la vita, completamente estraneo ai valori occidentali. Gli occidentali tendono a vedere la vita come un succedersi di avvenimenti nella storia. Gli indù vedono la vita come un perenne divenire in cui la storia umana ha poca importanza.
2, 3. (a) Perché è difficile definire l’induismo? (b) Come spiega uno scrittore indiano l’induismo e il politeismo?
2 Non è facile definire l’induismo, poiché non ha un preciso credo, né una gerarchia sacerdotale né un organo direttivo. Ha però swami (insegnanti) e guru (guide spirituali). Un testo di storia afferma che col termine induismo si intende, in senso largo, “il complesso di credenze e istituzioni sorte dal tempo in cui furono redatti i Veda, i loro scritti antichi (e più sacri), fino ai nostri giorni”. Un’altra fonte dichiara: “Potremmo dire che l’induismo consiste nell’essere seguaci o devoti degli dèi Vishnu [Viṣṇu] o Shiva [Śiva] — o della dea Shakti [Śakti] — o delle loro incarnazioni, dei loro vari aspetti, delle loro consorti o della loro progenie”. Vi sono inclusi in tal modo il culto di Rama e di Krishna (incarnazioni di Viṣṇu), e quello di Durga, Skanda e Gaṇeśa (rispettivamente la sposa e i figli di Śiva). Si afferma che l’induismo abbia 330 milioni di dèi, eppure, dicono, l’induismo non è politeistico. Com’è possibile?
3 Lo scrittore indiano A. Parthasarathy spiega: “Gli indù non sono politeisti. L’induismo parla di un solo Dio . . . I diversi dèi e dee del pantheon indù sono semplici rappresentanti dei poteri e delle funzioni dell’unico Dio supremo nel mondo visibile”.
4. Che cosa abbraccia il termine “induismo”?
4 Gli indù sono soliti chiamare la propria fede sanatana dharma, che significa legge o ordine eterno. Induismoa è in realtà un termine vago che abbraccia un gran numero di religioni e sette (sampradaya) che si sono sviluppate e sono fiorite nel corso di millenni all’ombra della complessa antica mitologia indù. Quella mitologia è talmente intricata che un’enciclopedia afferma: “La mitologia indiana è simile al groviglio della foresta tropicale. Quando ci si addentra in essa si perde il lume del giorno e ogni chiaro senso di orientamento”. (New Larousse Encyclopedia of Mithology) Ciò nonostante, questo capitolo tratterà alcuni aspetti e alcune dottrine di questa fede.
Le antiche origini dell’induismo
5. Che diffusione ha l’induismo?
5 Anche se forse non è altrettanto diffuso quanto altre grandi religioni, attualmente (1990) l’induismo vanta quasi 700 milioni di devoti seguaci, ovvero circa 1 abitante della terra su 8 (il 13% della popolazione mondiale). Comunque la maggior parte d’essi vive in India. È quindi logico chiedersi: Come e perché l’induismo finì per concentrarsi in India?
6, 7. (a) Secondo alcuni storici, in che modo l’induismo raggiunse l’India? (b) Quale leggenda del diluvio ha l’induismo? (c) Secondo l’archeologo Marshall, che forma di religione era praticata nella valle dell’Indo prima che arrivassero gli arii?
6 Secondo alcuni storici, le origini dell’induismo risalgono a oltre 3.500 anni fa, quando un movimento migratorio da nord-ovest portò una popolazione aria di pelle chiara giù nella valle dell’Indo, situata ora in gran parte nel Pakistan e in India. Di lì essa si sparse nelle pianure del Gange e per tutta l’India. Alcuni esperti dicono che le idee religiose di questi immigranti si basavano su antichi insegnamenti iranici e babilonici. Un elemento comune a molte culture e presente anche nell’induismo è una leggenda del diluvio. — Vedi pagina 120.
7 Ma quale forma di religione era praticata nella valle dell’Indo prima che arrivassero gli arii? Un archeologo, John Marshall, parla della “‘Grande Dea Madre’, le cui rappresentazioni sono a volte figurine di donna incinta e per la maggior parte nudi femminili con alti collari e acconciature. . . . C’è poi il ‘Dio Maschile’, ‘subito riconoscibile come un prototipo del Śiva storico’, seduto con le piante dei piedi che si toccano (una posizione yoga), itifallico (che richiama il culto del linga [fallo]), circondato da animali (che descrivono l’epiteto di Śiva di ‘Signore del bestiame’). Abbondano le rappresentazioni in pietra del fallo e della vulva, . . . indicanti il culto del linga e della yoni di Śiva e della sua sposa”. (World Religions—From Ancient History to the Present) Ancor oggi Śiva è venerato come dio della fertilità, dio del fallo o linga. Il toro Nandi è la sua cavalcatura.
8, 9. (a) In che modo uno studioso indù dissente dalla teoria di Marshall? (b) Quali contraccuse vengono mosse a proposito di certi oggetti sacri dell’induismo e del “cristianesimo”? (c) Su che cosa si basano gli scritti sacri dell’induismo?
8 Lo studioso indù Swami Sankarananda dissente dall’interpretazione di Marshall, affermando che in origine le pietre sacre, alcune conosciute come Sivalinga, erano simboli che rappresentavano “il fuoco del cielo o il sole e il fuoco del sole, i raggi”. (The Rigvedic Culture of the Pre-Historic Indus) Egli sostiene che “il culto del sesso . . . non ebbe origine come culto religioso. È un sottoprodotto. È un decadimento dell’originale. È la gente che abbassa al proprio livello l’ideale, troppo elevato perché essa lo comprenda”. Per controbattere la critica occidentale rivolta all’induismo dice che, sulla base della venerazione cristiana della croce, simbolo fallico pagano, “i cristiani . . . sono i seguaci di un culto del sesso”.
9 Nel corso del tempo credenze, miti e leggende dell’India furono messi per iscritto, e oggi formano gli scritti sacri dell’induismo. Benché vasta, questa letteratura sacra non tenta di proporre una dottrina induistica unificata.
Gli scritti sacri dell’induismo
10. Quali sono alcuni fra gli scritti più antichi dell’induismo?
10 Gli scritti più antichi sono i Veda, una raccolta di preghiere e inni suddivisa in Rigveda, Samaveda, Yajurveda e Atharvaveda. Furono compilati nel corso di diversi secoli e completati verso il 900 a.E.V. I Veda furono integrati più tardi da altri scritti, fra cui i Brahmana e le Upanisad.
11. (a) Qual è la differenza tra i Brahmana e le Upanisad? (b) Quali dottrine sono esposte nelle Upanisad?
11 I Brahmana stabiliscono come eseguire i riti e i sacrifici, sia domestici che pubblici, e ne descrivono nei particolari il profondo significato. Furono messi per iscritto a partire dal 300 a.E.V. o più tardi. Le Upanisad (letteralmente “sedute intorno al maestro”), note anche col nome di Vedanta e scritte intorno al 600-300 a.E.V., sono testi dottrinali che dichiarano la ragione di ogni pensiero e azione secondo la filosofia indù. In questi scritti furono esposte la dottrina del samsara (trasmigrazione dell’anima) e quella del karma (o karman, la credenza secondo cui le azioni compiute in una precedente esistenza determinano la propria condizione attuale nella vita).
12. Chi era Rama, e dove si trova la sua storia?
12 Un altro insieme di scritti sono i Purana, lunghe storie allegoriche contenenti molti miti indù intorno a dèi e dee come pure a eroi indù. Questa vasta raccolta di scritti indù comprende anche le epopee Ramayana e Mahabharata. Nella prima è narrata la storia del “principe Rama . . . il più illustre di tutti i personaggi contenuti nella letteratura sacra”, secondo A. Parthasarathy. Il Ramayana, risalente forse al IV secolo a.E.V., gode di vastissima popolarità fra gli indù. Narra la storia dell’eroe Rama o Ramachandra, dagli indù considerato un figlio, padre e marito modello. Si ritiene sia il settimo avatara (incarnazione) di Viṣṇu, e spesso il suo nome è invocato come saluto.
13, 14. (a) Secondo una fonte indù, cos’è la Bhagavad-gita? (b) Che cosa significano i termini Sruti e Smriti, e che cos’è il Manu Smriti?
13 Secondo Bhaktivedanta Swami Prabhupāda, fondatore dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna, “la Bhagavad-gītā [parte del Mahabharata] insegna la più alta moralità. . . . La Bhagavad-gītā costituisce dunque la suprema via di religione e di moralità. . . . è in essa, nel suo insegnamento finale, che risiede l’apice della moralità e della religione: abbandonarsi a Kṛṣṇa [Krishna]”. — BG, pagina 371.
14 La Bhagavad-gita (Canto del Beato), considerata da alcuni “il gioiello della saggezza spirituale indiana”, è scritta in forma di dialogo, il quale ha luogo sul campo di battaglia “tra il Signore Śrī Kṛṣṇa [Krishna], la Suprema Persona della Divinità, e Arjuna, Suo intimo amico e discepolo, che Egli istruisce nella scienza della realizzazione del proprio io”. Comunque la Bhagavad-gita è solo una parte della vastissima raccolta di libri sacri indù. Alcuni di questi scritti (Veda, Brahmana e Upanisad) sono considerati Sruti, “uditi”, ovvero “rivelazione”, scritti sacri direttamente rivelati. Altri, come i poemi epici e i Purana, sono Smriti, “ricordati”, ovvero “tradizione”, compilati quindi da autori umani, benché derivati da una rivelazione. Un esempio è il Manu Smriti, che espone la legge religiosa e sociale indù, oltre a spiegare le ragioni del sistema delle caste. Quali sono alcune credenze risultanti da questi scritti indù?
Dottrine e condotta: ahimsa e varna
15. (a) Definite il concetto di ahimsa, e spiegate come lo applicano i giainisti. (b) Che idea aveva Gandhi dell’ahimsa? (c) In che modo i sikh differiscono dagli induisti e dai giainisti?
15 Nell’induismo, come in altre religioni, ci sono certi concetti basilari che influenzano il modo di pensare e la condotta quotidiana. Notevole è quello dell’ahimsa (in sanscrito, ahinsa), o non violenza, per la quale era famoso Mohandas Gandhi (1869-1948), chiamato il Mahatma. (Vedi pagina 113). In base a questa filosofia, ci si aspetta che gli indù non uccidano o si astengano dal nuocere ad altre creature, una delle ragioni questa per cui venerano certi animali come vacche, serpenti e scimmie. Gli esponenti più rigidi di questa dottrina dell’ahimsa e del rispetto della vita sono i seguaci del giainismo (fondato nel VI secolo a.E.V.), che vanno in giro scalzi e portano persino una mascherina per non ingoiare accidentalmente nessun insetto. (Vedi pagina 104 e la foto a pagina 108). All’altro estremo, i sikh sono famosi per la loro tradizione guerriera, e Singh, che significa leone, è un appellativo molto diffuso fra loro. — Vedi pagine 100-101.
16. (a) La maggioranza degli indù come considera il sistema delle caste? (b) Cosa disse Gandhi del sistema delle caste?
16 Un aspetto dell’induismo universalmente noto è quello del sistema delle caste, detto varna, che fa una rigida suddivisione della società in classi. (Vedi pagina 113). Non si può fare a meno di notare che la società indù è ancora stratificata da questo sistema, nonostante esso sia respinto da buddisti e giainisti. Ad ogni modo, come la discriminazione razziale persiste negli Stati Uniti e altrove, così pure il sistema delle caste è profondamente impresso nell’animo degli indiani. In un certo senso è una forma di distinzione di classe che, in maniera analoga seppure in minor misura, si può ancora trovare in seno alla società inglese e in altri paesi. (Giacomo 2:1-9) Così in India ciascuno viene al mondo entro un rigido sistema castale e non c’è quasi nessuna via d’uscita. Inoltre di norma l’indù non cerca una via d’uscita. Per lui quella è la sua sorte predeterminata, inevitabile, il risultato delle azioni compiute durante un’esistenza precedente, o karma. Ma come ebbe origine il sistema delle caste? Ancora una volta dobbiamo rivolgerci alla mitologia indù.
17, 18. Secondo la mitologia indù, come iniziò il sistema delle caste?
17 Secondo la mitologia indù, c’erano in origine quattro caste principali basate sulle parti del corpo di Puruṣa, l’uomo primordiale padre dell’umanità. Gli inni del Rigveda dichiarano:
“Quando ebbero smembrato l’Uomo [Puruṣa], come ne distribuirono le parti?
Che cosa divenne la sua bocca? Che cosa divennero le braccia? Le cosce, i piedi, che nome ricevettero?
“La sua bocca divenne il Brahmano [la casta superiore], il Guerriero [rajanya] fu il prodotto delle braccia,
le sue cosce furono l’Artigiano [vaisya], dai piedi nacque il Servitore [sudra]”. — Dizionario delle mitologie e delle religioni, di Yves Bonnefoy, edizione italiana a cura di I. Sordi, BUR, 1989, pagina 361.
18 Pertanto, si pensava, i brahmani o sacerdoti, la casta più elevata, traevano origine dalla bocca di Puruṣa, la sua parte più alta. La classe politica, cioè guerrieri e re (kshatriya o rajanya), veniva dalle sue braccia. La classe dei commercianti e dei contadini, chiamata vaisya, o vaishya, derivava dalle sue cosce. Una casta inferiore, i sudra, o shudra, gli addetti ai lavori servili, proveniva dalla parte più bassa del suo corpo, i piedi.
19. Quali altre caste vennero all’esistenza?
19 Nel corso dei secoli si crearono caste ancora più basse, i fuori casta e intoccabili o, come venivano affettuosamente chiamati dal Mahatma Ghandi, gli harijan, “persone appartenenti al dio Viṣṇu”. Benché l’intoccabilità sia illegale in India dal 1948, gli intoccabili conducono tuttora un’esistenza grama.
20. Quali sono altri aspetti del sistema castale?
20 Col passar del tempo le caste si sono moltiplicate in corrispondenza di quasi ogni tipo di professione e artigianato in seno alla società indiana. Questo antico sistema castale, che mantiene ogni uomo o donna al proprio posto nella società, è in realtà anche un ordinamento razziale e “comprende distinti tipi razziali che variano da quella nota come stirpe aria [di pelle chiara] alla stirpe predravidica [di pelle più scura]”. Varna, o casta, significa “colore”. “Le prime tre caste erano arie, la gente più bella; la quarta casta, che comprendeva le popolazioni aborigene di pelle scura, era non aria”. (Myths and Legends Series—India, di Donald A. Mackenzie) È una realtà della vita in India il fatto che il sistema castale, sancito dalla dottrina religiosa del karma, condanna in perpetuo milioni di persone a vivere nella miseria e a subire ingiustizie.
Il frustrante ciclo delle esistenze
21. Secondo il Garuda Purana, come influisce il karma sul destino di una persona?
21 Un’altra credenza o dottrina fondamentale che influisce sull’etica e sul comportamento degli induisti, nonché una delle più essenziali, è quella del karma. È il principio secondo cui ogni azione produce le sue conseguenze, positive o negative; esso determina ciascuna esistenza dell’anima trasmigrata o reincarnata. Il Garuda Purana spiega:
“Ogni uomo è il creatore del proprio destino, e anche durante la sua vita intrauterina la forza morale delle opere della sua esistenza precedente influisce su di lui. Che si trovi confinato in una roccaforte su un monte o stia navigando dolcemente sulle onde del mare, che stia al sicuro tra le braccia della madre o sia da lei sollevato da terra, l’uomo non può sfuggire agli effetti delle sue azioni precedenti. . . . Qualunque cosa debba capitare a un uomo in qualsiasi particolare era o tempo, di sicuro lo coglierà allora e in quel giorno”.
Il Garuda Purana prosegue dicendo:
“La conoscenza acquisita da un uomo nella sua nascita precedente, la ricchezza donata in beneficenza durante la sua esistenza precedente, e le opere da lui compiute nella sua precedente incarnazione, precedono la sua anima nel soggiorno d’essa”.
22. (a) Qual è la differenza tra l’alternativa offerta dall’induismo all’anima dopo la morte e quella offerta dalla cristianità? (b) Qual è l’insegnamento biblico circa l’anima?
22 Su cosa si impernia questa credenza? Non ci può essere dottrina del karma senza anima immortale, ed è nel karma che la concezione induistica dell’anima differisce da quella della cristianità. Gli induisti credono che ogni anima umana, jīva o prān,b passi attraverso molte reincarnazioni e forse un “inferno”. Deve sforzarsi di riunirsi con la “Suprema Realtà”, pure detta Brahman (da non confondere col dio indù Brahma). Le dottrine della cristianità, invece, offrono all’anima come alternativa il cielo, l’inferno, il purgatorio o il limbo, a seconda della convinzione religiosa della persona. — Ecclesiaste 9:5, 6, 10; Salmo 146:4.
23. Come influisce il karma sulla concezione induistica della vita? (Confronta Galati 6:7-10).
23 A motivo del karma gli indù hanno la tendenza ad essere fatalisti. Essi credono che il ceto sociale a cui uno appartiene e la sua condizione attuale, non importa se buona o cattiva, siano il prodotto di un’esistenza precedente e pertanto meritati. L’indù può cercar di tenere una condotta migliore perché l’esistenza successiva possa essere più sopportabile. Quindi è più disposto ad accettare la propria sorte di quanto non lo sia un occidentale. Per l’indù tutto è il risultato della legge di causa ed effetto in relazione con la sua esistenza precedente. È il principio secondo cui si raccoglie ciò che si è seminato durante una presunta esistenza anteriore. Tutto ciò naturalmente si basa sulla premessa che l’uomo abbia un’anima immortale che passa in un’altra vita, per diventare o un uomo, o un animale o un vegetale.
24. Cos’è il moksha, e come credono gli indù che si consegua?
24 Qual è dunque il fine ultimo della fede indù? Raggiungere il moksha, che significa liberazione dall’inesorabile ruota delle rinascite e delle diverse esistenze. È quindi un’evasione dall’esistenza corporea, ma non per il corpo, bensì per l’“anima”. “Poiché il moksha, o liberazione dalla lunga serie di incarnazioni, è l’aspirazione di ogni indù, il massimo avvenimento della sua vita è in realtà la sua morte”, afferma un commentatore. Si può raggiungere il moksha seguendo le diverse marga o vie. (Vedi pagina 110). È incredibile quanto questa dottrina religiosa dipenda dall’antico concetto babilonico dell’anima immortale!
25. In che modo la concezione induistica della vita differisce dal punto di vista biblico?
25 Eppure, secondo la Bibbia, questo atteggiamento di sdegno e disprezzo per la vita materiale è diametralmente opposto all’originale proposito di Geova Dio per l’umanità. Quando egli creò la prima coppia di esseri umani, li destinò a un’esistenza terrena felice e gioiosa. Il racconto biblico narra:
“E Dio creava l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Inoltre, Dio li benedisse e Dio disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra e soggiogatela, e tenete sottoposti i pesci del mare e le creature volatili dei cieli e ogni creatura vivente che si muove sopra la terra’. . . . Dio vide poi tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono”. (Genesi 1:27-31)
La Bibbia predice un’imminente era di pace e giustizia per la terra, un’era in cui ogni famiglia avrà il proprio alloggio decente, e salute e vita perfette saranno il destino eterno dell’uomo. — Isaia 65:17-25; 2 Pietro 3:13; Rivelazione (Apocalisse) 21:1-4.
26. A quale domanda si deve ora rispondere?
26 Sorge ora la domanda: Quali dèi deve propiziarsi un induista per conseguire un buon karma?
Il pantheon indù
27, 28. (a) Quali divinità formano la Trimurti indù? (b) Chi sono le loro spose o consorti? (c) Menzionate alcuni altri dèi e dee indù.
27 Anche se l’induismo vanta milioni di divinità, nella pratica effettiva ci sono certi dèi preferiti, intorno ai quali si raggruppano le varie sette all’interno dell’induismo. Tre delle divinità più preminenti sono comprese in quella che gli indù chiamano Trimurti, una trinità o triade di dèi. — Per altre divinità indù, vedi le pagine 116-17.
28 La triade consiste di Brahma il creatore, Viṣṇu il preservatore e Śiva il distruttore, e ciascuno ha almeno una sposa o consorte. Brahma è unito a Sarasvati, la dea della conoscenza. La sposa di Viṣṇu è Lakṣmī, mentre la prima moglie di Śiva fu Satī, che commise suicidio. Fu la prima donna che si gettò sul fuoco sacrificale, divenendo così la prima “sati”. Seguendo il suo esempio mitologico, migliaia di vedove indù nel corso dei secoli si sono sacrificate sul rogo funebre del marito, anche se ora questa usanza è illegale. Śiva ha anche un’altra sposa cui vengono dati svariati nomi e titoli. Nella sua forma benevola essa è Parvati e Uma, nonché Gauri, la Splendente. Nella veste di Durga o Kali è una dea terrifica.
29. Com’è considerato Brahma dagli indù? (Confronta Atti 17:22-31).
29 Brahma, pur essendo una figura centrale nella mitologia indù, non occupa un posto di rilievo nel culto praticato dal comune induista. Infatti a lui sono dedicati pochissimi templi, benché sia chiamato Brahma il Creatore. Comunque, la mitologia indù attribuisce il compito di creare l’universo materiale a un essere supremo, principio o essenza, detto Brahman e identificato con la sillaba sacra OM o AUM. Tutti e tre i componenti della triade sono considerati parte di quell’“Essere”, e tutti gli altri dèi sono visti come manifestazioni diverse. Che si adori un dio o un altro come supremo, quindi, si ritiene che quella divinità abbracci tutto. Perciò, anche se venerano apertamente milioni di dèi, quasi tutti gli indù riconoscono un unico vero Dio, che può assumere molte forme: maschili, femminili, o perfino animali. Per tale ragione gli eruditi indù ci tengono a precisare che l’induismo è in effetti monoteistico, non politeistico. Il pensiero vedico posteriore, comunque, respinge il concetto di un essere supremo, sostituendolo con un principio divino o realtà divina impersonale.
30. Quali sono alcuni avatara di Viṣṇu?
30 Viṣṇu, una benevola divinità solare e cosmica, è la figura centrale del culto praticato dai seguaci del visnuismo. Egli appare sotto forma di dieci avatara, o incarnazioni, fra cui Rama, Krishna e il Budda.c Un altro avatara è Viṣṇu Narayana, “rappresentato in forma umana sdraiato dormiente sopra le spire del serpente Śeṣa o Ananta, mentre galleggia sulle acque cosmiche con la sua sposa, la dea Lakṣmī, seduta ai suoi piedi e il dio Brahma che sorge da un loto, il quale spunta dall’ombelico di Viṣṇu”. — The Encyclopedia of World Faiths.
31. Che genere di dio è Śiva?
31 Śiva, comunemente chiamato anche Mahesha (signore supremo) e Mahadeva (grande dio), è la seconda divinità dell’induismo, e il culto a lui reso si chiama śivaismo. È descritto come “il grande asceta, il maestro yogin che siede immerso in profonda meditazione sulle pendici dell’Himalaya, con il corpo imbrattato di cenere e i capelli attorcigliati sul capo”. È anche famoso per “il suo erotismo, come portatore di fertilità e signore supremo della creazione, Mahadeva”. (The Encyclopedia of World Faiths) Il culto di Śiva viene praticato mediante il linga, emblema di carattere fallico. — Vedi le foto a pagina 99.
32. (a) Quali forme assume la dea Kali? (b) Quale parola inglese deriva dal culto d’essa?
32 Come molte altre religioni del mondo, l’induismo ha la sua dea suprema, che può essere sia attraente che terrifica. Nella sua forma più gradevole è denominata Parvati e Uma. La sua forma truce è assunta da Durga o Kali, una dea assetata di sangue che si compiace di sacrifici cruenti. In qualità di dea-madre, Kali Ma (Madre-Terra nera), è la divinità principale dello śaktismo. Viene rappresentata a torso nudo e adorna di cadaveri, serpenti e teschi. Vittime umane strangolate le venivano offerte un tempo da una setta a lei devota, i thug, parola che è entrata nel vocabolario inglese col significato di criminale.
L’induismo e il Gange
33. Perché il Gange è sacro per gli indù?
33 Il pantheon dell’induismo sarebbe incompleto se non menzionassimo il suo fiume più sacro, il Gange. Gran parte della mitologia indù ha relazione col Gange, o Ganga Ma (Madre Ganga), come lo chiamano gli indù devoti. (Vedi cartina a pagina 123). Essi recitano una preghiera che comprende 108 diversi nomi del fiume. Perché i fedeli indù hanno tanta venerazione per il Gange? Perché è strettamente collegato con la loro quotidiana sopravvivenza e con la loro mitologia antica. Credono che un tempo esistesse come Via Lattea nei cieli. Come divenne quindi un fiume?
34. Secondo la mitologia indù, qual è una spiegazione di come venne all’esistenza il Gange?
34 A parte qualche variante, quasi tutti gli indù spiegano la cosa in questo modo: il maragià Sagara aveva 60.000 figli che furono inceneriti da Kapila, una forma di Viṣṇu. Le loro anime sarebbero state condannate all’inferno a meno che la dea Ganga non fosse scesa dal cielo per purificarli e liberarli dalla maledizione. Bhagirathi, un pronipote di Sagara, intercedette presso Brahma perché permettesse alla sacra Ganga di scendere sulla terra. Ma essa, prosegue un racconto, ribatté: “‘Se scenderò come un torrente pieno d’impeto manderò in frantumi le fondamenta della terra’. Perciò Bhagirathi, dopo aver fatto penitenza per mille anni, si recò dal dio Shiva, il più grande di tutti gli asceti, e lo persuase ad ergersi sopra la terra fra le rocce e i ghiacci dell’Himalaya. Shiva si attorcigliò i capelli sul capo e permise a Ganga di tuonare e rimbombare scendendo dal cielo lungo le ciocche dei suoi capelli che assorbirono dolcemente il pericoloso impatto sulla terra. Cosí Ganga gocciolò lentamente sulla terra e scese giù dai monti attraverso le pianure, recando acqua e quindi vita al suolo arido”. — Dall’oceano al cielo, di Edmund Hillary, traduzione di L. Serra, dall’Oglio, 1980, pagina 16.
35. I seguaci di Viṣṇu come spiegano l’esistenza del fiume?
35 I seguaci di Viṣṇu hanno una versione alquanto diversa di come venne all’esistenza il Gange. È contenuta in un antico testo, il Viṣṇu Purana, che dichiara:
“Da questa regione [la sacra dimora di Viṣṇu] procede il Gange, che toglie tutti i peccati . . . sgorga dall’unghia dell’alluce sinistro di Viṣṇu”.
Oppure, come dicono in sanscrito i seguaci di Viṣṇu riferendosi a Ganga, “Visnu-padabja-sambhuta”, che significa “Nata dal piede di loto di Viṣṇu”.
36. Quale potere credono gli indù che abbiano le acque del Gange?
36 Gli indù credono che il Gange abbia il potere di liberare, purificare, mondare e guarire i credenti. Il Viṣṇu Purana afferma:
“I santi, che si purificano bagnandosi nelle acque di questo fiume, e la cui mente è devota a Kesava [Viṣṇu], ottengono la liberazione finale. Il fiume sacro, quando se ne sente parlare, quando viene desiderato, visto, toccato, ci si bagna in esso, o si inneggia ad esso, giorno per giorno purifica tutti gli esseri. E coloro che, pur trovandosi distanti, . . . invocano ‘Ganga e Ganga’ sono sgravati dai peccati commessi durante le tre esistenze precedenti”.
Il Brahmandapurana afferma:
“Quelli che si bagnano devotamente una volta nelle pure correnti del Gange ottengono la Sua protezione per la propria discendenza da centinaia di migliaia di pericoli. I mali accumulati attraverso generazioni vengono distrutti. Basta bagnarsi nel Gange per essere immediatamente purificati”.
37, 38. Perché milioni di indù affluiscono al Gange?
37 Gli indiani affluiscono al fiume per compiere la cerimonia rituale (puja), che consiste nell’offrire fiori, cantilenare preghiere e farsi applicare sulla fronte da un sacerdote un puntino di pasta rossa o gialla (tilak). Quindi entrano in acqua e fanno il bagno. Molti bevono anche l’acqua nonostante sia fortemente inquinata da liquami, sostanze chimiche e cadaveri. Eppure l’attrattiva spirituale del Gange è tale che l’aspirazione di milioni di indiani è quella di bagnarsi almeno una volta nel loro ‘fiume sacro’, inquinato o no.
38 Altri portano la salma del loro caro defunto a bruciare su roghi presso le sponde del fiume, per poi spargerne le ceneri nell’acqua. Essi credono che questo garantisca la beatitudine eterna all’anima del defunto. Chi è troppo povero per pagarsi un rogo funebre si limita ad avvolgere il cadavere in un sudario e a gettarlo nel fiume, dove viene assalito dagli uccelli necrofagi o semplicemente si decompone. Questo ci porta alla domanda: Oltre a ciò che abbiamo già trattato, cosa insegna l’induismo circa la vita oltre la morte?
L’induismo e l’anima
39, 40. Cosa dice dell’anima un commentatore indù?
39 La Bhagavad-gita risponde così:
“All’istante della morte, l’anima prende un nuovo corpo, così naturalmente come essa è passata, nel precedente, dall’infanzia alla giovinezza, poi alla vecchiaia”. — BG, II.13.
40 Un commento indù a questo verso dice: “Ogni essere è un’anima spirituale, distinta da tutte le altre. A ogni istante essa cambia corpo e si manifesta nella forma di un bambino, di un adolescente, poi di un adulto e infine di un vecchio. Attraverso queste trasformazioni del corpo, l’anima rimane sempre la stessa, non subisce alcun cambiamento. Infine, alla morte dell’involucro carnale in cui è situata, l’anima trasmigra in un altro. Sapendo con sicurezza che l’anima si rivestirà di un altro corpo, materiale o spirituale, per una nuova vita, Arjuna non ha valide ragioni di lamentarsi [della morte]”. — BG, pagina 26.
41. Secondo la Bibbia, quale distinzione si deve fare per quanto riguarda l’anima?
41 Notate che il commentario dichiara che ogni essere è un’anima. Questa affermazione concorda con ciò che la Bibbia dice in Genesi 2:7:
“E Geova Dio formava l’uomo dalla polvere del suolo e gli soffiava nelle narici l’alito della vita, e l’uomo divenne un’anima vivente”.
Ma bisogna fare un’importante distinzione: L’uomo è in se stesso un’anima vivente con tutte le sue funzioni e le sue facoltà, oppure ha un’anima distinta dalle sue funzioni fisiche? L’uomo è un’anima o ha un’anima? La seguente citazione chiarisce il concetto indù.
42. Come differiscono l’induismo e la Bibbia in quanto alla concezione dell’anima?
42 Al capitolo II, verso 17, la Bhagavad-gita dichiara:
“Non può essere annientato ciò che pervade il corpo intero. Nulla può distruggere l’anima imperitura”.
Questo verso è così spiegato:
“Ogni corpo è dunque l’involucro carnale dell’anima, che è percepibile attraverso la coscienza individuale, sua manifestazione esteriore”. — BG, pagina 29.
Pertanto, mentre la Bibbia afferma che l’uomo è un’anima, la dottrina induistica afferma che egli ha un’anima. E fra questi due concetti c’è una differenza abissale, che incide profondamente sugli insegnamenti che da essi derivano. — Levitico 24:17, 18.
43. (a) Qual è l’origine della dottrina dell’immortalità dell’anima? (b) Quali conseguenze ha tale dottrina?
43 La dottrina dell’immortalità dell’anima fu attinta in ultima analisi alle acque stagnanti di conoscenza religiosa dell’antica Babilonia. Da tale dottrina conseguono logicamente le idee relative alla ‘vita dopo la morte’ che caratterizzano gli insegnamenti di tante religioni: reincarnazione, cielo, inferno, purgatorio, limbo, e così via. Per gli indù il cielo e l’inferno sono luoghi intermedi in cui l’anima attende la successiva reincarnazione. Di particolare interesse è il concetto induistico dell’inferno.
Dottrina induista dell’inferno
44. Come sappiamo che l’induismo insegna l’esistenza di un inferno come luogo di pena cosciente?
44 Un verso della Bhagavad-gita afferma:
“Quando si distruggono le leggi familiari, o Janārdana, è inevitabile che gli uomini dimorino nell’inferno”. — I.44, Harvard Oriental Series, Volume 38, 1952.
Un commentario dice: “Coloro che sono molto peccaminosi nella loro vita terrena devono subire diversi tipi di punizione su pianeti infernali”. C’è comunque una leggera differenza rispetto al tormento eterno nell’inferno di fuoco della cristianità: “Questa punizione . . . non è eterna”. In che consiste allora esattamente l’inferno induista?
45. Come vengono descritti i tormenti dell’inferno indù?
45 Quella che segue è una descrizione della sorte che tocca al peccatore, tratta dal Markandeya Purana:
“Quindi gli inviati di Yama [dio dei morti] immediatamente lo legano con terribili capestri e lo trascinano a meridione, tremante per la vergata. Poi è trascinato dagli inviati di Yama, che emanano spaventose, infauste grida attraverso plaghe irte di [piante di] Kusa, spini, formicai, aghi e pietre, con lingue di fuoco che si levano qua e là, cosparse di fossi, dove il sole arde e i suoi raggi sferzano. Trascinato da quegli spaventosi inviati e divorato da centinaia di sciacalli, il peccatore va alla casa di Yama attraverso un varco pauroso. . . .
“Quando il suo corpo è bruciato prova un’arsura terribile; e quando il suo corpo è morso o tagliato prova grande dolore.
“Essendo il suo corpo distrutto in tal modo, una creatura, nonostante cammini verso un altro corpo, soffre perenni sventure a motivo delle proprie azioni sfavorevoli. . . .
“Poi, per essere lavato dei suoi peccati, viene portato in un altro inferno simile. Dopo avere attraversato tutti gli inferni il peccatore assume una vita animale. Poi, passando per vite di vermi, insetti e mosche, animali da preda, moscerini, elefanti, alberi, cavalli, mucche e attraverso altre vite peccaminose e miserabili, egli, venendo alla specie umana, nasce gobbo, o brutto o nano o Chandala Pukkasa”.
46, 47. Cosa dice la Bibbia della condizione dei morti, e quali conclusioni possiamo trarre?
46 Confrontate quanto precede con ciò che la Bibbia dice dei morti:
“Poiché i viventi sono consci che moriranno; ma in quanto ai morti, non sono consci di nulla, né hanno più alcun salario, perché il ricordo d’essi è stato dimenticato. Inoltre, il loro amore e il loro odio e la loro gelosia son già periti, ed essi non hanno più alcuna porzione a tempo indefinito in nessuna cosa che si deve fare sotto il sole. Tutto ciò che la tua mano trova da fare, fallo con la tua medesima potenza, poiché non c’è lavoro né disegno né conoscenza né sapienza nello Sceol, il luogo al quale vai”. — Ecclesiaste 9:5, 6, 10.
47 Naturalmente, se come la Bibbia dice l’uomo non ha un’anima, ma è un’anima, ne consegue che non c’è nessuna esistenza cosciente dopo la morte. Non c’è beatitudine e nemmeno sofferenza. Scompaiono tutte le illogiche complicazioni dovute all’“aldilà”.d
Un rivale dell’induismo
48, 49. (a) Riepilogando, quali sono alcuni insegnamenti indù? (b) Perché alcuni hanno messo in dubbio la validità dell’induismo? (c) Chi fu uno che mise in discussione il pensiero indù?
48 Da questo breve esame abbiamo visto che l’induismo è una religione politeistica basata sul monoteismo: la fede nel Brahman, l’Essere supremo, principio o essenza, simboleggiato dalla sillaba OM o AUM, che assume molti aspetti o manifestazioni. È inoltre una religione che insegna la tolleranza e incoraggia a trattare benevolmente gli animali.
49 D’altra parte, alcuni elementi della dottrina indù, quali il karma e le ingiustizie del sistema castale, nonché l’idolatria e i miti contrastanti, hanno indotto alcune persone riflessive a dubitare della validità di questa fede. Fra tali persone ci fu Siddhārtha Gautama, che nacque nell’India nordorientale verso il 560 a.E.V. Egli fondò una nuova fede che non attecchì in India ma fiorì altrove, come verrà spiegato nel prossimo capitolo. Quella nuova fede era il buddismo.
[Note in calce]
a Il termine “induismo” è stato coniato dagli europei.
b Il termine sanscrito di solito tradotto “anima” è ātma, o ātman, del quale però “spirito” è una traduzione più accurata. — Vedi A Dictionary of Hinduism—Its Mythology, Folklore and Development 1500 B.C.–A.D. 1500, pagina 31, e l’opuscolo Victory Over Death—Is It Possible for You?, edito nel 1986 dalla Watchtower Bible and Tract Society of New York, Inc.
c Un decimo avatara, ancora a venire, è quello detto Kalki, “raffigurato come uno splendido giovane che cavalca un magnifico cavallo bianco e brandisce una spada fiammeggiante che semina ovunque morte e distruzione”. “La sua venuta ristabilirà la giustizia sulla terra, e ripristinerà un’era di purezza e innocenza”. — Religions of India; A Dictionary of Hinduism. — Confronta Rivelazione 19:11-16.
d L’insegnamento biblico della risurrezione dei morti non ha alcuna relazione con la dottrina dell’anima immortale. Vedi il Capitolo 10.
[Riquadro/Immagini alle pagine 100 e 101]
Sikhismo: un culto riformato
Il sikhismo, simboleggiato da tre sciabole e un cerchio, è la religione di oltre 17 milioni di persone, per lo più abitanti del Punjab. Il Tempio d’Oro sikh, sito nel mezzo di un lago artificiale, sorge ad Amritsar, la città santa dei sikh. Questi ultimi sono facilmente riconoscibili per il loro turbante blu, bianco o nero: portarlo è una parte essenziale della loro pratica religiosa, come lo è lasciarsi crescere i capelli.
Il termine hindi sikh significa “discepolo”. I sikh sono discepoli del loro fondatore, il guru Nānak, e seguono gli insegnamenti di dieci guru (Nānak più nove successori) i cui scritti sono raccolti nel libro sacro sikh, il Granth Sahib (o Adi Granth). Il sikhismo fu fondato agli inizi del XVI secolo, quando Nānak si propose di prendere il meglio da induismo e islamismo così da fonderli in un’unica religione.
La missione di Nānak si può sintetizzare in una frase: “Poiché c’è un solo Dio, ed Egli è nostro Padre, dobbiamo quindi essere tutti fratelli”. Come i musulmani, i sikh credono in un solo Dio e vietano l’uso di idoli. (Salmo 115:4-9; Matteo 23:8, 9) Seguono la tradizione indù della credenza in un’anima immortale, nella reincarnazione e nel karma. Il luogo per il culto sikh si chiama gurdwara. — Confronta Salmo 103:12, 13; Atti 24:15.
Uno dei grandi comandamenti di Nānak era: “Ricorda sempre Dio, ripeti il Suo Nome”. Dio è definito il “Vero”, ma non gli si attribuisce nessun nome. (Salmo 83:16-18) Un altro comandamento era: “Dividi ciò che guadagni con i meno fortunati”. In conformità a ciò, in ogni tempio sikh c’è un langar, o cucina aperta a tutti, in cui persone di ogni genere possono mangiare gratuitamente. Vi sono disponibili anche stanze in cui i viaggiatori possono trascorrere la notte. — Giacomo 2:14-17.
L’ultimo guru, Gobind Singh (1666-1708), fondò una confraternita di sikh chiamata Khalsa, che osserva le cosiddette cinque K: kesh, capelli lunghi, che simboleggiano la spiritualità; kangha, un pettine per fermare i capelli, che simboleggia l’ordine e la disciplina; kirpan, una sciabola, che rappresenta dignità, coraggio e abnegazione; kara, un braccialetto d’acciaio, che simboleggia l’unità con Dio; kachh, mutande tipo bermuda, che denotano modestia e vengono indossate come segno di freno morale. — Vedi The Encyclopedia of World Faiths, pagina 269.
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Tempio d’Oro dei sikh ad Amritsar, nel Punjab (India)
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Il turbante blu denota una mente aperta come il cielo, nella quale non c’è posto per il pregiudizio
Il turbante bianco sta a indicare una persona santa che conduce una vita esemplare
Il turbante nero rammenta la persecuzione inglese di cui i sikh furono oggetto nel 1919
Altri colori sono questione di gusto personale
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Nel corso di una cerimonia, un sacerdote sikh narra la storia delle armi sacre
[Riquadro/Immagini a pagina 104]
Giainismo: rinuncia e non violenza
Questa religione, col suo antico simbolo indiano della svastica, fu fondata nel VI secolo a.E.V. dal ricco principe indiano Nataputta Vardhamāna, meglio conosciuto come Vardhamana Mahāvīra (titolo che significa “Grande Uomo” o “Grande Eroe”). Egli si diede a una vita di rinuncia e ascetismo. Nell’intento di conseguire la conoscenza, si mise a girovagare nudo “per i villaggi e le pianure dell’India centrale alla ricerca della liberazione dal ciclo nascita-morte-rinascita”. (Man’s Religions, di John B. Noss) Credeva che la salvezza dell’anima si potesse raggiungere solo attraverso un’estrema rinuncia e autodisciplina e un rigoroso rispetto dell’ahimsa, non violenza nei confronti di tutte le creature. Nel perseguire l’ahimsa arrivò al punto di portare con sé una scopa morbida con cui allontanare qualsiasi insetto potesse incontrare nel proprio cammino. Il rispetto che aveva per la vita doveva inoltre salvaguardare la purezza e l’integrità della sua stessa anima.
Oggi i suoi seguaci, nello sforzo di migliorare il loro karma, hanno un analogo tenore di vita improntato alla rinuncia e al rispetto di tutte le creature. Di nuovo vediamo il potente effetto esercitato sulla vita degli uomini dalla credenza nell’immortalità dell’anima umana.
Oggi questa fede conta meno di quattro milioni di seguaci, la maggior parte dei quali sono in India, nella regione di Bombay e nel Gujarat.
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Un giaina compie atti di culto ai piedi della gigantesca statua (alta 17 metri) del santo Gomateswara, nel Karnataka (India)
[Riquadro/Immagini alle pagine 106 e 107]
Piccolo glossario di termini indù
ahimsa (in sanscrito, ahinsa): non violenza; non uccidere o non nuocere a niente e a nessuno. Base del vegetarianismo indù e del rispetto per gli animali
āśrama: santuario o luogo in cui insegna un guru (guida spirituale)
ātman: spirito; associato con ciò che è imperituro. Spesso erroneamente tradotto anima. Vedi jīva
avatara: manifestazione o incarnazione di una divinità indù
bhakti: devozione a una divinità che porta alla salvezza
bindi: puntino rosso portato sulla fronte dalle donne sposate
brahman: membro della casta sacerdotale, la più elevata nel sistema castale; Brahman è inoltre l’Assoluta Realtà. Vedi pagina 116
dharma: la legge fondamentale di tutte le cose; ciò che determina la giustezza o l’erroneità delle azioni
ghat: scalinata o pontile sulla riva di un fiume
guru: maestro o guida spirituale
harijan: membro della casta degli intoccabili; significa “gente di Dio”, nome affettuoso dato loro dal Mahatma Gandhi
japa: pratica devota consistente nella ripetizione di uno dei nomi di Dio; per tenere il conto si usa il mala, un rosario di 108 grani
jīva (o prān, prāni): l’anima personale o sé
karma (karman): il principio secondo cui ogni azione comporta conseguenze positive o negative per la successiva vita dell’anima trasmigrata
kshatriya: la classe dei professionisti, politici e guerrieri, la seconda nel sistema castale
mahant: santone o maestro
mahatma: santo indù, da maha, grande, e ātman, spirito
mantra: formula sacra, che si crede abbia potere magico, usata nell’iniziazione a una setta e ripetuta nelle preghiere e nelle formule magiche
maya: il mondo inteso come illusione
moksha, o mukti: liberazione dal ciclo delle rinascite; termine del viaggio dell’anima. Altro nome per Nirvana, l’unione dell’individuo con l’Entità Suprema, Brahman
OM, AUM: sillaba mistica che rappresenta Brahman, usata nella meditazione; il suono è ritenuto una vibrazione mistica; usato come mantra religioso
paramatman: lo Spirito del Mondo, l’ātman universale, o Brahman
puja: culto
sadhu: santone; asceta o yogi
samsara: trasmigrazione di un’anima eterna, imperitura
Śakti: il potere femminile o sposa di un dio, in particolare la consorte di Śiva
sraddha: importanti riti compiuti per rendere omaggio ad antenati e aiutare le anime dei defunti a raggiungere il moksha
sudra: operai, la più bassa delle quattro caste principali
swami: insegnante o livello superiore di guida spirituale
tilak: segno sulla fronte che simboleggia che si ha nella mente il ricordo del Signore in tutte le proprie attività
Trimurti: triade indù di Brahma, Viṣṇu e Śiva
Upanisad: antichi poemi sacri dell’induismo. Pure noti come Vedanta, completamento dei Veda
vaisya: la classe dei commercianti e dei contadini; terzo gruppo del sistema castale
Veda: i più antichi poemi sacri dell’induismo
yoga: dalla radice yuj, che significa congiungere o aggiogare; si riferisce all’unione dell’individuo con l’essere divino universale. Popolare come disciplina di meditazione che implica regole della posizione del corpo e della regolazione del respiro. L’induismo riconosce almeno quattro vie principali di yoga. Vedi pagina 110
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Da sinistra: mahant indù; sadhu, in piedi in meditazione; guru del Nepal
[Riquadro a pagina 110]
Quattro vie per raggiungere il moksha
La fede induista offre almeno quattro vie per raggiungere il moksha, o liberazione dell’anima. Sono chiamate yoga o marga, sentieri del moksha.
1. Karma-yoga: “La via dell’azione, o karma-yoga, la disciplina dell’azione. Fondamentalmente karma-marga significa osservanza del dharma a seconda del proprio posto nella vita. Tutti sono tenuti ad adempiere certi doveri, come l’ahimsa e l’astensione dall’alcool e dalla carne, ma lo specifico dharma di ciascun individuo dipende dalla casta cui la persona appartiene e dalle sue circostanze”. — Great Asian Religions.
Questo karma si produce esclusivamente entro i limiti della casta. La purezza castale viene mantenuta sia non sposandosi che non mangiando fuori della propria casta, che è stata determinata dal karma dell’individuo in un’esistenza precedente. Pertanto l’appartenenza a una certa casta non è considerata un’ingiustizia, ma un retaggio che viene da una precedente incarnazione. Nella filosofia induista uomini e donne non sono tutti uguali. Sono divisi in base alla casta e al sesso e, in effetti, al colore della pelle. Di solito più la pelle è chiara più elevata è la casta.
2. Jnana-yoga: “La via della conoscenza, o jnana-yoga, la disciplina della conoscenza. A differenza della via dell’azione, o karma-marga, con le sue prescrizioni relative a ogni aspetto della vita, il jnana-marga fornisce un mezzo filosofico e psicologico per conoscere se stessi e l’universo. Essere, non fare, è il segreto del jnana-marga. [Il corsivo è nostro]. Ciò che più conta, questa via rende possibile ai suoi adepti il moksha in questa vita”. (Ibid.) Esso implica lo yoga introspettivo nonché il distacco dal mondo e un modo di vivere austero. È l’espressione dell’autocontrollo e della rinuncia.
3. Bhakti-yoga: “La forma più popolare nell’odierna tradizione indù. Questa è la via della devozione, bhakti-marga. Rispetto al karma-marga . . . questo sentiero è più facile, più spontaneo, e possono seguirlo persone di qualsiasi casta, sesso o età. . . . Consente il libero fluire dei sentimenti e dei desideri umani anziché doverli dominare mediante l’ascetismo yogico . . . Consiste esclusivamente nella devozione a esseri divini”. E tradizionalmente ce ne sono 330 milioni da venerare. Secondo questa tradizione, conoscere significa amare. Infatti bhakti significa “attaccamento affettivo per il dio di propria scelta”. — Ibid.
4. Raja-yoga: Metodo consistente in “speciali posizioni del corpo, tecniche di respirazione e ripetizione ritmica delle corrette formule per la meditazione”. (Man’s Religions) Ha otto gradi.
[Riquadro/Immagine a pagina 113]
Il Mahatma Gandhi e il sistema delle caste
“La non violenza è il primo articolo della mia fede. È anche l’ultimo del mio credo”. — Mahatma Gandhi, 23 marzo 1922.
Il Mahatma Gandhi, famoso per la sua politica della non violenza il cui obiettivo era aiutare l’India a ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna (accordata nel 1947), lottò anche per migliorare la sorte di milioni di indù suoi connazionali. Il professore indiano M. P. Rege spiega: “Egli asserì che l’ahimsa (non violenza) è il valore morale fondamentale, da lui interpretato come interesse per la dignità e il benessere di ogni persona. Respinse l’autorità delle scritture indù quando il loro insegnamento era contrario all’ahimsa, si impegnò coraggiosamente a sradicare l’intoccabilità e il sistema castale gerarchico, e promosse la parità delle donne in tutte le sfere della vita”.
Che ne pensava Gandhi della sorte degli intoccabili? In una lettera a Jawaharlal Nehru, datata 2 maggio 1933, egli scrisse: “Il movimento degli harijan [intoccabili] è troppo vasto per uno sforzo puramente intellettuale. Non c’è nulla di così cattivo al mondo. E tuttavia non posso abbandonare la religione e quindi l’induismo. La vita mi diverrebbe un peso senza l’induismo. Amo il cristianesimo, l’Islam e molte altre fedi attraverso l’induismo. . . . Ma d’altronde non riesco a tollerarlo con l’intoccabilità”. — The Essential Gandhi.
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Il Mahatma Gandhi (1869-1948), rispettato leader indù e insegnante dell’ahimsa
[Riquadro/Immagini alle pagine 116 e 117]
Induismo: dèi e dee del suo pantheon
Aditi: madre degli dèi; dea-cielo; dea dell’Infinito
Agni: dio del fuoco
Brahma: il Dio creatore, il principio della creazione nell’universo. Uno degli dèi della Trimurti (triade)
Brahman: suprema e onnipresente essenza del cosmo, rappresentato dal suono OM o AUM. (Vedi il simbolo qui sopra). Detto anche Atman. Per alcuni indù il Brahman è un impersonale Principio Divino o Assoluta Realtà
Budda: Gautama, fondatore del buddismo; gli induisti lo considerano un’incarnazione (avatara) di Viṣṇu
Durga: sposa o Śakti di Śiva e identificata con Kali
Gaṇeśa: dio dalla testa di elefante, figlio di Śiva, Signore degli Ostacoli, dio della buona sorte. Chiamato anche Ganapati e Gajanana
Ganga: dea, una delle spose di Śiva e personificazione del fiume Gange
Hanuman: dio-scimmia e devoto seguace di Rama
Himalaya: dimora delle nevi, padre di Parvati
Kali: consorte nera (Śakti) di Śiva e dea sanguinaria della distruzione. Spesso raffigurata con un’enorme lingua rossa pendente
Krishna: ottava incarnazione di Viṣṇu, portatore di gioia e divinità della Bhagavad-gita. Le sue amanti erano le gopi o pastorelle
Lakṣmī: dea della bellezza e della fortuna; consorte di Viṣṇu
Manasa: dea dei serpenti
Manu: padre della razza umana; scampato alla distruzione del diluvio mediante un grosso pesce
Mitra: dio della luce. Noto presso i romani col nome di Mithra
Nandi: il toro, veicolo o cavalcatura di Śiva
Nataraja: Śiva danzatore, attorniato da un cerchio di fiamme
Parvati o Uma: dea consorte di Śiva. Assume anche l’aspetto di dea Durga o Kali
Prajapati: Creatore dell’universo, Signore delle Creature, padre degli dèi, dei demoni e di tutte le altre creature. Chiamato in seguito Brahma
Puruṣa: uomo cosmico. Le quattro caste principali furono originate dal suo corpo
Radha: consorte di Krishna
Rama, Ramachandra: la settima incarnazione del dio Viṣṇu. L’epopea Ramayana narra le imprese di Rama e della moglie Sita
Sarasvati: dea della conoscenza e consorte di Brahma il Creatore
Saṣṭhī: dea che protegge le donne e i bambini durante il parto
Śiva: dio della fertilità, della morte e della distruzione; un componente della Trimurti. Simboleggiato dal tridente e dal fallo
Soma: sia un dio che una bevanda rituale, l’elisir della vita
Viṣṇu: dio preservatore della vita; terzo componente della Trimurti
[Fonte]
(Basato su Mythology—An Illustrated Encyclopedia)
[Immagini]
Da sinistra in alto, in senso orario: Nataraja (Śiva danzante), Sarasvati, Krishna, Durga (Kali)
[Riquadro a pagina 120]
Leggenda indù del diluvio
“La mattina portarono a Manu [padre dell’umanità e primo legislatore] dell’acqua per lavarsi . . . Mentre faceva le sue abluzioni, gli capitò tra le mani un pesciolino [Viṣṇu nella sua incarnazione di Matsya].
“Esso gli diede questo comando: ‘Allevami, e io ti salverò!’ ‘Da che cosa mi salverai?’ ‘Un diluvio spazzerà via tutte queste creature: da esso io ti salverò!’ ‘Come devo allevarti?’”
Il pesce istruì Manu su come averne cura. “Allora esso disse: ‘In tale e tale anno verrà quel diluvio. Presta dunque attenzione (al mio consiglio) costruendo una nave; e quando l’acqua del diluvio sarà salita dovrai entrare nella nave, ed io ti salverò da esso’”.
Manu seguì le istruzioni del pesce, e durante il diluvio il pesce tirò la nave fino alla “montagna del nord. Quindi disse: ‘Ti ho salvato. Assicura la nave a un albero; ma non farti isolare dall’acqua mentre sei sulla montagna. Non appena l’acqua si sarà ritirata, puoi gradualmente scendere!’” — Satapatha-Brahmana; confronta Genesi 6:9–8:22.
[Cartina/Immagini a pagina 123]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
Il corso del Gange si allunga per oltre 2.400 chilometri dall’Himalaya a Calcutta e al suo delta nel Bangladesh
INDIA
Calcutta
Gange
[Immagini]
Ganga Ma, sulla testa di Śiva, scende attraverso i suoi capelli
Pellegrini indù presso un ghat si bagnano nel Gange a Varanasi, o Benares
[Immagine a pagina 96]
Gaṇeśa, un dio con la testa di elefante, figlio di Śiva e Parvati, è il dio indù della buona sorte
[Immagini a pagina 99]
Linga (simboli fallici) venerati dagli indù. Śiva (dio della fertilità) raffigurato dentro un linga, e come linga foggiato a colonna policefala a quattro facce
[Immagine a pagina 108]
Monache giainiste con la mascherina (mukha-vastrika), che impedisce agli insetti di entrare in bocca ed essere uccisi
[Immagine a pagina 115]
Culto del serpente, praticato soprattutto nel Bengala. Manasa è la dea dei serpenti
[Immagine a pagina 118]
Viṣṇu, con la sposa Lakṣmī, sulle spire del serpente Ananta e col Brahma a quattro teste su un loto che nasce dall’ombelico di Viṣṇu