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  • g80 8/3 pp. 16-20
  • Da idolo del calcio a servitore di Dio

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  • Da idolo del calcio a servitore di Dio
  • Svegliatevi! 1980
  • Sottotitoli
  • Vedi anche
  • La vita di un calciatore famoso
  • Contatti con i testimoni di Geova
  • Aiuto amorevole nel momento di bisogno
  • Due diversi modi di vivere
  • La mia scelta: i risultati
  • Qualcosa di meglio del football professionistico
    Svegliatevi! 1977
  • Che effetto ha lo sport su di voi?
    Svegliatevi! 1978
  • ‘Dopo i fiori, le pietre’: storia di un calciatore
    Svegliatevi! 1981
  • I mondiali di calcio: solo sport?
    Svegliatevi! 1986
Altro
Svegliatevi! 1980
g80 8/3 pp. 16-20

Da idolo del calcio a servitore di Dio

SONO cresciuto in un piccolo villaggio minerario dello Yorkshire, in Inghilterra. Odiavo la scuola e l’unica cosa che mi dava soddisfazione era lo sport. In particolare ero appassionato di calcio.

Un giorno, dopo aver giocato nella squadra della scuola, mi fu chiesto se volevo giocare per il Wolverhampton Wanderers Football Club. La cosa mi lasciò indifferente. Terminata la scuola avrei naturalmente dovuto cominciare a lavorare nella locale miniera di carbone, ma mia madre mi suggerì di andare almeno a Wolverhampton per sentire cosa mi offriva il Club. Così acconsentii.

Fu memorabile. Avvertii un’atmosfera di eccitazione. Il direttore tecnico era un uomo sincero e mi persuase a firmare un contratto coi “Wolves” [“Lupi”], come si chiamava la squadra.

A 17 anni ebbi l’occasione di giocare nella prima squadra. Giocammo a Leicester e vincemmo. La successiva partita fu giocata in casa e segnai. I titoli delle pagine sportive annunciarono: “È nato un nuovo astro!”

La vita di un calciatore famoso

Le uniche volte in cui ero veramente felice era quando giocavo, specie quando segnavo. Ricordo una volta a Preston che feci un goal lanciando la palla a oltre 30 metri. Mi sembra ancora di vedere la palla che fila dritto come un razzo nell’angolo superiore della rete. Feci poi di corsa i 30 metri che mi separavano dai tifosi dei Wolves assiepati dietro la porta, e levai i pugni chiusi, chiedendo loro in effetti se avevano mai visto nulla del genere. La folla rispose gridando a più riprese il mio nome.

Fui scelto varie volte per giocare nell’Under 18 inglese, e infine nella nazionale inglese Under 23. Molti dicevano che era solo questione di tempo e poi avrei giocato nella nazionale inglese.

Il fatto d’essere un giocatore famoso non serviva però a risolvere i miei problemi personali. La mia natura ribelle mi procurava guai; non mi preoccupavo di quello che accadeva agli altri. Ero ridotto così male che il direttore tecnico mi fece andare dallo psichiatra. Ma non cambiai. Poi un giorno conobbi Jean e decidemmo subito di sposarci. Il direttore tecnico della squadra ne fu felice. Sperava che il matrimonio mi avrebbe dato stabilità.

Jean mi piaceva perché era carina. Io piacevo a lei, disse, perché la facevo ridere, ma non ci amavamo veramente. Jean disse che uscire con un famoso calciatore era una cosa, ma era tutta un’altra cosa l’averlo sposato. Dopo poche settimane di matrimonio, la vita divenne tempestosa. Una volta, in un accesso d’ira, gettai addosso a Jean una teiera, che la colpì alla coscia e poi frantumò una porta a vetri. Lei reagì afferrando un paio di forbici e tagliando a pezzi l’ultimo vestito che avevo comprato. Pensai di lasciare Jean e lei, a causa del mio comportamento, minacciò perfino di suicidarsi.

Contatti con i testimoni di Geova

Eravamo sposati da due mesi quando venne alla nostra porta un uomo, che in seguito seppi chiamarsi Ken, e che si presentò come testimone di Geova. Non appena capii che si trattava di una religione gli dissi che non mi interessava. Ma prima di chiudere la porta mi chiese se mi sarebbe piaciuto vedere una terra pacifica. Non risposi alla sua domanda, ma volli dirgli com’erano morti mio padre e la mia sorellina.

Mio padre era stato un uomo benvoluto e rispettato, ed era morto di cancro a soli 42 anni. Ricordavo ancora il senso di amarezza che provai quando fui accanto alla sua tomba. Appena due settimane più tardi morì la mia sorellina. Mia madre ne ebbe il cuore affranto. E non riuscivo a dimenticare quei momenti quando io, un ragazzo di undici anni, avevo portato di sopra la piccola morta nelle mie braccia posandola sul letto. Perché erano accadute queste cose?

Ken mi chiese se pensavo che Dio possa mettere tutto a posto. Ricordo di aver detto con enfasi: “Assolutamente no!” Ken mi mostrò allora II Timoteo 3:1-5, e una frase richiamò la mia attenzione, cioè: “Gli uomini saranno amanti di se stessi”. Dissi: “Oggi la gente è così”. Anzi ammisi: “Io sono così!” Spiegò quali sarebbero state le condizioni nel periodo di tempo che la Bibbia chiama “ultimi giorni”. Suggerì di continuare la conversazione la settimana dopo, e acconsentii. Cominciammo a studiare la Bibbia servendoci del libro La Verità che conduce alla Vita Eterna. Jean rise all’idea che io leggessi la Bibbia, ma quando la quarta settimana entrò nella stanza fece una domanda e Ken diede la risposta. Ne fece un’altra, e dopo non molto Jean partecipava allo studio.

Ken ci invitò subito alla Sala del Regno. Essendo molto egocentrico, mi chiesi che impressione avrei fatto. Alla prima adunanza parlavo alla persona seduta accanto a me, pensando di sussurrare, ma un usciere mi chiese gentilmente di stare zitto. Non ne fui certo lusingato. Terminata l’adunanza parecchi si presentarono e mi chiesero come mi chiamavo. Sorpreso che non mi riconoscessero, dissi loro che ero Peter Knowles. Non sapevano neppure che giocavo al pallone. La domanda: “In che squadra giochi?” fu la goccia che fece traboccare il vaso. Pensavo che tutti a Wolverhampton mi conoscessero. Le esperienze di quella sera furono le prime di una lunga serie che mi avrebbero aiutato a vedermi nella giusta luce.

Jean e io continuammo a imparare, ma la cosa difficile per noi era mettere in pratica la Parola di Dio nella nostra vita. Il principio “Il sole non tramonti sul vostro stato d’irritazione” non era mai seguito in casa nostra. (Efes. 4:26) Mi era difficile rilassarmi. Ero sempre irritato, coi nervi a fior di pelle. Anche durante lo studio biblico sedevo su una sedia, poi su un’altra, e spesso finivo per sedermi sul pavimento. Il gioco del calcio mi teneva sotto pressione. Di conseguenza ero teso, e litigavo con Jean. Il fatto d’essere un calciatore famoso non giovava al nostro matrimonio.

Aiuto amorevole nel momento di bisogno

Una cosa che ci fece grande impressione in quel periodo fu la gentilezza della congregazione. Furono straordinariamente ospitali. Com’era diverso quando stavo con altri calciatori! Non ci avevano mai invitato a casa loro, né noi avevamo mai pensato di chiedere che venissero a trovarci. Ma adesso avevamo trovato della gente che era veramente in grado di vivere nel nuovo ordine in merito a cui avevamo studiato.

La stagione 1968-1969 era finita, e durante il ritiro, insieme a vari altri club inglesi, avevamo acconsentito a disputare un torneo negli Stati Uniti per incoraggiare il calcio. Lì mi misi in contatto con i testimoni di Geova. Nelle sei settimane che stemmo nel Kansas uno di loro in particolare mi assisté, accompagnandomi ad alcune adunanze e negli uffici dove alcuni volontari stavano preparando un’assemblea dei testimoni di Geova. Ora, ripensandoci, mi rendo conto che quello fu un momento decisivo del mio progresso spirituale.

Due diversi modi di vivere

Tornato in patria, ebbero inizio gli allenamenti per la nuova stagione, ma la congregazione attendeva con impazienza di andare al Wembley Stadium, non per assistere a una partita di calcio, ma all’Assemblea Internazionale dei Testimoni di Geova “Pace in Terra”. Non dimenticherò mai quella settimana perché oltre ad assistere alla mia prima assemblea, dovetti anche disputare tre partite di calcio. Quella fu un’occasione unica per notare il contrasto fra l’atmosfera degli spogliatoi e lo spirito familiare del congresso. Osservai gli spettatori durante gli incontri, poi li paragonai agli 82.000 presenti della domenica al congresso dei testimoni di Geova. Quella settimana capii molto bene l’enorme differenza che c’è fra essere un famoso calciatore e condurre una vita di santa devozione.

Tuttavia non pensavo ancora che giocare al calcio fosse incompatibile con l’essere testimone di Geova. Una sera invitai il sorvegliante che presiedeva la nostra congregazione ad assistere a una partita dove giocavo. Vincemmo e segnai un goal. Quella sera venne a trovarci a casa e chiacchierammo un po’. Infine gli chiesi cosa pensava della partita. Rimasi esterrefatto quando disse che la persona che aveva visto sul campo era diversa da quella che assisteva alle adunanze nella Sala del Regno. Spiegai che prima di ogni incontro pregavo Geova di aiutarmi a non perdere il controllo. Tuttavia mi disse che sul campo mi comportavo spesso come un gladiatore. Ma non ero convinto.

In seguito, mentre giocavamo contro il Manchester United, la folla mi tributò una straordinaria ovazione. Gridavano: “Dagli una bella lezione Knowles; segna!” E ogni volta che segnavo impazzivano, gridando ripetutamente il mio nome. A poco a poco mi resi conto che il sorvegliante aveva detto il vero. Molti fra la folla mi trattavano quasi come un dio. Era una forma di idolatria, e sapevo che era errata. Tuttavia non volevo rinunciare al calcio. Ricordo che prima di una partita pregai Geova: “Ti prego, aiutami a fare entrambe le cose. Aiutami ti prego a mantenere la calma e ti prego, Geova, aiutami a segnare tre goal, nel nome di Gesù. Amen”. Ma nel mio cuore sapevo che i miei giorni di calciatore famoso erano contati.

La mia scelta: i risultati

Un giorno, mentre venivo intervistato da un cronista sportivo di fama nazionale, osservai che pensavo di abbandonare il calcio. Corse a chiamare un fotografo, e il giorno dopo la notizia era nelle pagine sportive di tutti i giornali! “Peter Knowles diventa testimone di Geova: pensa di abbandonare il calcio!” Da allora in poi successe tutto in fretta. Sapevo che essere un testimone di Geova e servire Geova con santa devozione poteva recarmi la ricompensa della vita eterna. Il calcio no. Così fissai una data a poche settimane di distanza. La mia ultima partita fu quando giocai contro il Forest di Nottingham.

Tre settimane dopo, Jean e io fummo battezzati per simboleggiare la nostra dedicazione a Geova. A parte la partita che giocai in seguito per mantenere una promessa che avevo fatto a mio fratello Cyril, non sono più tornato alla mia precedente vita nel mondo del calcio.

A quell’epoca nella congregazione c’erano due insegnanti della Bibbia in servizio continuo e dedicammo molto tempo insieme a loro a predicare la buona notizia del Regno di casa in casa. Ci invitavano spesso a entrare e lasciavamo molte copie del libro Verità. Ma era difficile parlare della Bibbia, e per oltre due anni non riuscimmo a iniziare neppure uno studio biblico. Il calcio era l’unica cosa di cui la gente voleva parlare. Da molte parti furono esercitate pressioni per persuadermi a rimettermi a giocare. Ma oltre alle lettere che mi invitavano a tornare al calcio, ne ricevetti parecchie da Testimoni di tutto il mondo che mi incoraggiarono a non rinunciare alla fede. Ora sentivamo veramente di far parte di un’associazione mondiale di fratelli e sorelle. Rimanemmo con essa, e nel giro di sei mesi avemmo il privilegio di dedicare tutto il nostro tempo alla predicazione della buona notizia del regno di Dio, e poi, nove anni dopo, io ho avuto il privilegio di servire come anziano nella nostra congregazione.

Se non avessimo cominciato a servire Geova, non c’è dubbio che Jean e io non saremmo più insieme. La fede ci ha veramente uniti. Ora siamo contenti perché sappiamo cosa riserva il futuro. Naturalmente abbiamo ancora i nostri alti e bassi, ma grazie ai consigli della Parola di Dio, siamo in grado di affrontare qualsiasi problema ci si presenti.

Un versetto della Bibbia che mi colpì veramente fu I Timoteo 4:8, che dice: “L’addestramento corporale è utile per un poco; ma la santa devozione è utile per ogni cosa, giacché ha la promessa della vita d’ora e di quella avvenire”. Pensando alla “vita . . . avvenire”, attendo con ansia vivissima di rivedere sia mio padre che la mia sorellina insieme a molti milioni d’altri, risuscitati qui sulla terra nel giusto nuovo ordine che Dio stabilirà nel prossimo futuro. Considerando la “vita d’ora”, sono di gran lunga più contento che quando giocavo al calcio.

Alcuni forse pensano di poter fare i calciatori professionisti ed essere ugualmente cristiani, ma per me non è stato possibile. Durante le partite, è difficile se non impossibile mantenere la padronanza di sé. Il gioco è enormemente competitivo e spesso incoraggia l’idolatria. Quando ripenso al tempo in cui la folla gridava il mio nome, considerandomi quasi un dio, comprendo quanto può essere pericoloso. Ora mi sento tranquillo. L’adorazione di Geova mi ha dato la pace mentale e molti amici sinceri. Mi ha aiutato ad amare non solo me stesso, ma anche mia moglie e, soprattutto, Geova Dio. — Matt. 22:37-39.

Sono stato un idolo del calcio. Ora l’unica cosa che desidero è di vivere come devoto servitore di Dio. — Da un collaboratore.

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