Ambasciatore
[gr. prèsbys, anziano].
In tempi biblici uomini maturi, anziani, erano scelti come ambasciatori.
Gesù Cristo venne come “apostolo” o “inviato” di Geova Dio per diffondere “la luce sulla vita e sull’incorruzione per mezzo della buona notizia”. — Ebr. 3:1; II Tim. 1:10.
Dopo che Cristo era stato risuscitato ed era asceso ai cieli, non essendo più in persona sulla terra, i suoi fedeli seguaci furono incaricati di agire in vece sua, come ambasciatori di Dio “in sostituzione di Cristo”. Paolo menziona specificamente il suo incarico di ambasciatore. (II Cor. 5:18-20) Come tutti gli unti seguaci di Gesù Cristo, fu inviato alle nazioni e ai popoli alienati da Geova Dio il Sovrano Supremo: ambasciatori a un mondo che non era in pace con Dio. (Giov. 14:30; 15:18, 19; Giac. 4:4) Come ambasciatore Paolo portava un messaggio di riconciliazione con Dio mediante Cristo e perciò mentre era in prigione disse che era un “ambasciatore in catene”. (Efes. 6:20) Il fatto che era in catene è una dimostrazione dell’atteggiamento ostile del mondo verso Dio e Cristo e il governo del regno messianico, poiché gli ambasciatori da tempo immemorabile sono considerati inviolabili. Ciò rivela la massima ostilità ed era il peggior insulto da parte delle nazioni che non rispettavano gli ambasciatori inviati per rappresentare il regno di Dio retto da Cristo.
Per adempiere il suo ruolo di ambasciatore, Paolo rispettò le leggi del paese, ma rimase strettamente neutrale verso le attività politiche e militari del mondo. Questo era in armonia con il principio che gli ambasciatori dei governi mondani devono ubbidire alle leggi ma non devono giurare fedeltà al paese a cui sono inviati.
Come l’apostolo Paolo, tutti i fedeli seguaci di Cristo, unti, generati dallo spirito, che hanno una cittadinanza celeste, sono “ambasciatori in sostituzione di Cristo”. — II Cor. 5:20; Filip. 3:20.
Il trattamento che uno riserva a questi ambasciatori di Dio determina come Dio tratterà lui. Gesù Cristo espose questo principio con l’illustrazione del proprietario di una vigna che mandò come suoi rappresentanti prima i suoi schiavi, poi suo figlio, che i coltivatori della vigna uccisero. Per questo il proprietario della vigna portò la distruzione sui coltivatori ostili. (Matt. 21:33-41) Gesù fece un’altra illustrazione, quella del re i cui schiavi furono uccisi mentre in qualità di messaggeri invitavano gli ospiti a una festa nuziale. Chi aveva ricevuto in tal modo i suoi rappresentanti fu considerato nemico del re. (Matt. 22:2-7) Gesù affermò chiaramente il principio dicendo: “Chi riceve chiunque io mandi riceve anche me. A sua volta chi riceve me, riceve anche colui che mi ha mandato”. — Giov. 13:20; vedi anche Matteo 23:34, 35; 25:34-46.
Gesù si servì anche dell’opera pacificatrice di un ambasciatore per illustrare che singolarmente abbiamo bisogno di chiedere la pace a Geova Dio e di rinunciare a tutto per seguire le orme di suo Figlio onde avere il favore di Dio e la vita eterna. (Luca 14:31-33) Viceversa illustrò la follia di unirsi a coloro che mandano ambasciatori per contrastare colui al quale Dio conferisce potere regale. (Luca 19:12-14, 27) I gabaoniti sono un buon esempio di come agire con tatto per avere successo nel chiedere la pace. — Gios. 9:3-15, 22-27.
INVIATI PRECRISTIANI
Nei tempi precristiani non esisteva un incarico governativo ufficiale che corrispondesse esattamente a quello del moderno ambasciatore. Non c’erano rappresentanti ufficiali stabili di un governo straniero. Perciò i termini “messaggero” e “inviato” si addicono meglio ai rispettivi incarichi in tempi biblici. Tuttavia il loro rango e la loro condizione erano sotto molti aspetti simili a quelli degli ambasciatori, e alcuni di questi aspetti saranno ora considerati. Tali uomini erano rappresentanti ufficiali che portavano messaggi da un governo o da un sovrano all’altro.
A differenza degli ambasciatori moderni, gli antichi inviati o messaggeri non risiedevano nelle capitali straniere, ma vi erano inviati solo in occasioni speciali e per scopi precisi. Spesso erano persone d’alto rango (II Re 18:17, 18) e il loro incarico era molto rispettato, inoltre era accordata loro l’inviolabilità personale quando visitavano altri sovrani.
Il trattamento riservato ai messaggeri o inviati di un sovrano era considerato come se fosse riservato al sovrano e al suo governo. Infatti quando Raab mostrò favore ai messaggeri inviati a Gerico come esploratori da Giosuè, in realtà agì in tal modo perché riconosceva che Geova era l’Iddio e Re d’Israele. Geova, per mezzo di Giosuè, le mostrò quindi favore. (Gios. 6:17; Ebr. 11:31) L’azione di Anun re di Ammon, a cui il re Davide aveva inviato alcuni servitori in segno di amicizia, fu una flagrante violazione della consuetudine internazionale di rispettare gli inviati. Il re di Ammon diede ascolto ai suoi prìncipi, considerando quei messaggeri come spie, e li umiliò pubblicamente mostrando mancanza di rispetto per Davide e il suo governo. Quest’azione ignobile provocò la guerra. — II Sam. 10:2–11:1; 12:26-31.
All’opposto della consuetudine moderna di richiamare l’ambasciatore quando si rompono le relazioni diplomatiche con un governo, nell’antichità si mandavano messaggeri o inviati nei momenti di tensione per cercare di ristabilire relazioni pacifiche. Isaia parla di tali “messaggeri di pace”. (Isa. 33:7) Ezechia mandò a Sennacherib re d’Assiria una richiesta di pace. Anche se Sennacherib minacciava le città fortificate di Giuda, gli assiri lasciarono passare i messaggeri perché erano inviati di Ezechia. (II Re 18:13-15) Un altro esempio è la storia di Iefte, giudice d’Israele. Egli inviò messaggeri con una lettera di rimostranze contro un’azione errata da parte del re degli ammoniti e per risolvere la disputa sui diritti territoriali. Iefte, per mezzo dei suoi inviati, avrebbe voluto risolvere la cosa senza guerra. A questi messaggeri fu permesso di passare avanti e indietro fra gli eserciti senza incontrare ostacolo. — Giud. 11:12-28.