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  • Ero parroco
  • Svegliatevi! 1979
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  • Divento sacerdote
  • Alla ricerca della verità
  • Incontro alla verità
  • Divento testimone di Geova
  • Svolta in una carriera sacerdotale
    Svegliatevi! 1971
  • Da un seminario cattolico ai testimoni di Geova
    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1957
  • Che ne è stato dell’inferno di fuoco?
    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 2002
  • Perché un sacerdote ha lasciato la Chiesa
    Svegliatevi! 2015
Altro
Svegliatevi! 1979
g79 8/11 pp. 11-15

Ero parroco

“Vita breve, morte certa; del morire l’ora è incerta;

un’anima solo si ha: se si perde che sarà?

Presto finirà questa vita che hai; l’eternità non finirà mai”.

QUESTI semplici versi che il parroco ci insegnava a cantare, suscitarono in me, ragazzino di 13 anni, il desiderio di bontà e di vita eterna, per cui, attirato anche dall’affetto di due compagni, a quella verde età entrai con loro in seminario.

Passò un po’ di tempo e i miei due amici si stancarono, ma io rimasi e piansi nel salutarli. In quei primi anni la mia vita fu caratterizzata dal forte desiderio di purificarmi dai peccati commessi durante la fanciullezza e ricordo che mi confessavo molto spesso. Tuttavia non ero mosso dall’amore di Dio, ma dalla paura dell’inferno, quotidianamente alimentata dalla meditazione mattutina di mezz’ora sul libro L’apparecchio della morte di “Sant’Alfonso M. dei Liguori”. Alcune delle sue frasi hanno martellato a lungo nella mia mente: “Il fuoco dell’inferno è creato da Dio apposta per tormentare il dannato. . . . Starà nel fuoco come il pesce nell’acqua. Ma questo fuoco non solamente starà d’intorno al dannato, ma entrerà anche dentro le sue viscere a tormentarlo. Il suo corpo diverrà tutto fuoco, sicché bruceranno le viscere dentro del ventre, il cuore dentro del petto, le cervella dentro del capo, il sangue dentro le vene, anche le midolla dentro le ossa; ogni dannato diverrà in se stesso una fornace di fuoco. . . . Sì, perché passeranno tutti questi secoli, si moltiplicheranno infinite volte, e l’inferno sarà sempre da capo”.

Il pensiero delle pene eterne mi assillava di continuo. Per chi ha creduto poco o per niente nell’inferno, questa mia angoscia non sarà forse pienamente comprensibile. Ma provate a mettervi nei panni di un adolescente, ingenuo e sensibile, intimorito dall’onnipresente spauracchio dell’eterno tormento e dalla concezione di un Dio che assomigliava più a un tiranno che a un padre amorevole.

Ricordo, come fosse ora, un episodio significativo della mia adolescenza. Era di sabato; dopo una confessione generale, che riguardava cioè tutta la mia vita, mi trovavo nel cortile. Mentre guardavo il cielo azzurro provai la sensazione di una grande gioia, credevo di aver raggiunto la pace con Dio; ma purtroppo, erano solo emozioni, superficiali sensazioni. Infatti quella stessa sera, mentre mi spogliavo nel buio del camerone, improvvisamente mi balenò un dubbio: questa religione in cui mi trovo sarà vera? Mi venne da dubitare di tutto, perfino della mia fede in Dio.

Quello fu per me l’inizio di una vita di angoscia, fatta di sottili dubbi che anche improvvisamente affiorano nella mente e poi attanagliano il cuore, se nella mente e nel cuore la fede non ha potuto mettere radici profonde. Mi chiedevo: quando passerà tutto questo? I superiori con cui mi confidavo non mi davano delle spiegazioni, né consideravano seriamente ciò che mi causava sgomento, ma si limitavano a dirmi parole come queste: “Figliolo, le tue sono prove che Dio manda a coloro che ama; perfino i grandi ‘santi’ hanno avuto dubbi”.

Divento sacerdote

Mentre gli anni passavano lentamente, si avvicinava il tempo in cui dovevo decidere del mio futuro. Prima di ricevere il suddiaconato, un ordine che ora non esiste più, sorse in me il desiderio di lasciare il sacerdozio; parlai di ciò al rettore che mi disse. “Ho avuto modo di conoscerti bene e sono sicuro che Dio ti chiama. La responsabilità ricade su di me. Tu devi andare avanti, perché l’uomo ubbidiente vincerà. Se non vai avanti, manchi alla chiamata di Dio, come il giovane ricco, e corri il serio pericolo di andare all’inferno per sempre”.

Venne il giorno in cui espressi davanti al vescovo la mia scelta di andare avanti. Quante pene mi costò la decisione! In quello stesso giorno un mio compagno, che avrebbe dovuto divenire diacono, svenne davanti all’altare (aveva forse anche lui la mia angoscia?) e lo portarono fuori. Egli abbandonò il seminario mentre io, pur invidiandolo, continuai. Ma questa decisione sofferta, accompagnata dal timore dell’inferno, mi affliggeva in così grande misura che ebbi un grave esaurimento. Dopo un periodo di cure, ritornai in seminario e lì, pur non risolvendo i miei problemi, continuai ad andare avanti animato dal desiderio di divenire un buon sacerdote e di fare del bene aiutando le persone a servire e adorare Dio. Fui dunque ordinato sacerdote all’età di 25 anni. Per sette anni sono stato cappellano, cioè aiutante del parroco, in due diverse parrocchie della pianura.

Dalla pianura passai poi alla montagna divenendo parroco in un paesino dell’Appennino nell’Italia settentrionale, che, quando iniziai, aveva 600-700 abitanti. Aria pura e pungente, acque sorgive e vegetazione rigogliosa non compensavano le poche risorse del posto che, gradatamente, è stato abbandonato dalla gente. Ultimamente il paese era abitato soltanto da 400 anime. Sono stato parroco per 17 anni in quel posto e in tutto ho esercitato il sacerdozio per 24 anni.

Posso dire che la gente mi stimava molto e mi considerava un prete buono e servizievole. Ma questa fiducia, anche se mi stimolava, non era abbastanza per me. Potrà sembrare assurdo ad alcuni, ma mi mancavano le basi per una fede profonda. Durante i 12 anni trascorsi in seminario mi avevano, è vero, fatto studiare anche la “Sacra Scrittura” come materia, ma questa era di secondaria importanza rispetto alle altre come la morale, la dogmatica e il diritto canonico. È pure vero che, mentre ero sacerdote, ho tentato più volte di leggere la Bibbia, ma iniziavo senza terminarla. Non avevo intendimento, anzi leggendola secondo la tradizione che mi era stata inculcata, mi ci perdevo; c’era come un velo che mi impediva di apprezzarla.

Faccio un esempio: quando leggevo le parole di Gesù (in Matteo 25:41), “Andatevene da me, voi che siete stati maledetti, nel fuoco eterno preparato per il Diavolo e per i suoi angeli”, anziché intenderle come una rappresentazione di distruzione, cosa che ho potuto comprendere solo più tardi (Matt. 10:28), pensavo subito al tormento eterno; così la lettura mi respingeva presentandomi un dio senza cuore. Quale insegnamento barbaro, fonte di angoscia e di mancanza di fede!

Vennero poi le innovazioni del Concilio Vaticano II, e sull’inferno si leggeva o si udiva spesso che il fuoco non c’era più, o che esso era uno stato di sofferenza per mancanza di amore. Qualcuno diceva anche che Dio non manda nessuno all’inferno. I tradizionalisti invece affermavano che se c’è aumento di delitti, la colpa era dei preti perché la gente, senza credere all’inferno, non ha più timore di Dio.

Era anche il periodo in cui la gerarchia ecclesiastica incominciava a lamentarsi per la crisi fra i sacerdoti. Potete immaginare quale fosse il mio stato d’animo a causa di tutte quelle voci contrastanti che rafforzavano i miei dubbi e di conseguenza il senso di colpa che mi opprimeva, suscitato dal pensiero che avessi poca fede in Dio. Divenni molto depresso. Ricordo che nel corso di una visita specialistica arrivai al punto di dire che mi sentivo come un ateo. Ma in effetti desideravo avidamente cercare delle basi per la mia fede. Dopo un periodo di cure tornai in parrocchia, ma mi resi conto che non ero più in grado di contribuire al benessere dei parrocchiani. Ero ormai ridotto quasi all’inattività, nella monotonia di una vita di indifferenza verso tutto quello che mi circondava.

Alla ricerca della verità

In quel triste stato avevo una fonte di conforto, un amico, che abitava in un paese confinante. Egli cercava di sollevarmi e di interessarmi a qualche cosa. Spesso si visitavano persone, movimenti cattolici di spiritualità che oggi nascevano e domani non c’erano più. Al principio del 1973 feci diversi abbonamenti a riviste religiose di avanguardia e leggevo di tutto, anche ciò che criticava la Chiesa e i suoi insegnamenti. Ricordo anche che a quel tempo il papa in occasione della Pasqua, lamentandosi dell’esodo del clero, pronunciò una frase che mi ferì profondamente: “Occorre esaminare i singoli casi, ma questi sacerdoti che se ne vanno richiamano il tradimento di Giuda”. Il colpire sempre il sacerdote e il non voler ammettere che la maggiore responsabilità di tutto era proprio la non umana educazione impartita nei seminari, mi indignava. Ma queste letture di avanguardia, accompagnate da ciò che vedevo nella Chiesa, non miglioravano la mia condizione, anzi, stavo scivolando in una china molto pericolosa e credo che avrei potuto rovinarmi definitivamente.

Poi ebbi un incontro nuovo, inaspettato, che cambiò totalmente la mia vita. L’Iddio che ho tanto pregato nell’angoscia e che ho meglio identificato in seguito mi tese una mano e io gli ho allungato la mia con prontezza.

Incontro alla verità

Ho conosciuto il nome “testimoni di Geova” dalla bocca del mio amico. Nel luogo dove abitava c’era a villeggiare una famiglia: il marito cieco, la moglie claudicante e il loro piccolo. Il discorso del mio amico fu pressappoco questo: “Ho fatto una scoperta interessante, nel paese c’è una famiglia di testimoni di Geova; sono ammirati dai villeggianti per il loro contegno corretto, per l’armonia fra di loro e per l’educazione del bambino”.

Pochi giorni dopo intravidi appena questa famiglia mentre camminava nella via del paese. Non li conobbi a quel tempo, ma indirettamente ebbi delle pubblicazioni bibliche e fra queste La Verità che conduce alla Vita Eterna, un piccolo libro tascabile. Lo lessi subito con interesse, colpito dalla sua semplicità; più di una volta mi sono sentito la “pelle d’oca” per l’emozione di aver compreso la mia liberazione, per la certezza che l’errore cominciava a sciogliersi, per il nuovo concetto di Dio che andava delineandosi, per l’idea delle pene eterne che stava dileguandosi, per l’amore e la benignità di Dio che mi attiravano a Lui.

Vi è successo nella vita di aver fatto una scoperta sensazionale, di grande importanza proprio per voi? Se potessi descrivervi visivamente ciò che provavo mentre leggevo quelle nuove spiegazioni, mi paragonerei ad una persona che, dopo aver camminato a lungo, oppressa e preoccupata per la fitta nebbia, scorge i primi raggi di sole filtrare e riacquista il senso dell’orientamento. Che cosa meravigliosa mi stava accadendo! Il vero Dio, Geova, mi dava la vista spirituale per mezzo di un cieco e mi scioglieva le gambe mediante una donna impedita!

Quando ricevetti l’invito di iniziare delle conversazioni con i testimoni di Geova rimasi titubante e, non dimentico della mia appartenenza religiosa, dissi fra me: “Mi pare di imbarcarmi in una bella avventura . . .” Effettivamente incominciò per me un periodo molto difficile, ma l’avventura ha avuto un lieto fine.

Divento testimone di Geova

Nel periodo di circa sette mesi ebbi sei conversazioni con i testimoni di Geova che a causa della distanza non potevo incontrare più spesso. In quel periodo lessi tutte le pubblicazioni che mi avevano dato e controllai la loro traduzione della Bibbia con la mia versione cattolica. La Bibbia era ormai divenuta il mio libro, fonte di nuovi e logici concetti religiosi, che mi rassicurava interiormente. Un passo decisivo fu quando mi recai la prima volta al luogo di adunanza, la Sala del Regno dei Testimoni di Geova. Mi ci volle coraggio e potete ben comprendere il motivo. L’accoglienza di coloro che successivamente son divenuti miei fratelli nella fede fu molto calorosa, ma non riuscì a far scomparire il mio imbarazzo; francamente mi sentivo come un pesce fuor d’acqua.

A parte questo comprensibile disagio, sono rimasto profondamente impressionato da ciò che ho potuto osservare. Vedendo quelle persone, quegli operai, sul podio, e sentendoli parlare, mi feci un’idea di che persone potevano essere Pietro, Paolo e gli altri apostoli. Specialmente quando ho visto i bambini sul podio, mi è venuto in mente lo zelo di Gesù quando parlava del Padre suo all’età di 12 anni. Sono rimasto colpito nel vedere tutta quella gente con la Bibbia in mano e sfogliarla con cura per cercarvi i versetti. Parlando in seguito con altri sacerdoti ho detto loro che nei luoghi di riunione dei testimoni di Geova si trova tutto quello che un prete ha sempre desiderato avere, cioè della gente innamorata di Dio.

Man mano che le difficoltà aumentavano, cresceva anche la fede per superarle, poiché ora riconoscevo in Geova un Dio clemente e benigno. Delle mie ricerche bibliche non facevo misteri. Ne parlavo apertamente in chiesa e nella scuola presso cui tenevo lezioni di religione, esprimendo concetti nuovi, e a volte lasciavo ad alcuni paesani le pubblicazioni che i testimoni di Geova mi avevano date. La notizia si diffuse ed entrò in quel tempo sulla scena un personaggio che mi aiutò a prendere una decisione: un’insegnante del paese che si mise a vigilare controllandomi col suo comportamento poliziesco. L’insegnamento nella scuola divenne impossibile perché per correggermi mi si interrompeva continuamente. Cessai di recarmi a scuola e invitai i ragazzi e i loro genitori in parrocchia. Compresi che avevo cominciato a mettere le mani all’aratro e da quel tempo, nonostante i tentennamenti e le pressioni, non sono più tornato indietro. Dovevo ora decidere di lasciare definitivamente la Chiesa. I Testimoni, pur rendendosi disponibili per qualsiasi aiuto di cui avessi avuto bisogno, mi fecero riflettere sulla necessità di pensarci bene e di non essere affrettato: ‘Chi vuole costruire una torre’, mi fu suggerito secondo le parole di Gesù, ‘si mette prima a sedere e calcola la spesa’. — Luca 14:28.

Non conoscevo nessuno, non avevo mai svolto un lavoro secolare in vita mia, non avrei avuto un alloggio: Che cosa sarebbe successo? Sarei riuscito a realizzare i miei piani? E gli ostacoli degli amici e parenti che volevano sottopormi a una visita psichiatrica nella convinzione che ero completamente impazzito, li avrei superati? La costante preghiera, in quei giorni difficili, mi fece sentire Geova come il mio luogo di rifugio e mi aiutò a prendere la più importante decisione della mia vita. — Sal. 55:1-7, 16-18, 22.

Il giorno prima di lasciare la parrocchia ebbi la visita del vicario foraneo, rappresentante del vescovo, e del consigliere presbiterale della zona. Erano stati avvertiti e vennero subito: ero stato tanto tempo malato nel passato e mai erano venuti a trovarmi con tanta premura. Ma rimasi fermo nella mia decisione e dentro di me dissi: “Non mi volterò indietro”.

Non fu facile trovare lavoro e alloggio, ma fui amorevolmente assistito dai testimoni di Geova che mi erano vicini. Trovai un lavoro come manovale in una fabbrica di ceramica, molto pesante per uno come me non abituato alla fatica. Quando incominciai, nell’atto di prendere il badile dissi nel mio cuore, “Geova: è per te!” I primi tempi ero così sfinito per la fatica che la sera non vedevo quasi la porta per entrare in casa. Per me era come una sfida e Geova è stato attento alle mie invocazioni per confortarmi.

Ma come reagirono i parenti e gli amici? Mi consideravano un povero demente. So per certo che è stato fatto un tentativo per ricoverarmi in una casa di cura per malattie mentali e che qualcuno aveva mandato degli agenti per prelevarmi da casa. Lo specialista del reparto neurologico stava aspettandomi per una visita, ma la missione fallì. In attesa che il bollore dell’opposizione passasse, sono stato ospite di alcune famiglie di Testimoni e affinché fosse difficile ai miei oppositori rintracciarmi, stavo in una casa solo una settimana e poi cambiavo. Questi continui spostamenti mi hanno dato la possibilità di osservare l’armonia che regna nelle famiglie dei testimoni di Geova, dalle quali sono stato molto edificato. Superate poi varie difficoltà per trovare un alloggio definitivo, dall’esterno furono fatte delle pressioni affinché il mio datore di lavoro mi licenziasse; ricordo che i miei compagni lo seppero e intervennero a mio favore minacciando di astenersi dal lavoro, se ciò fosse accaduto.

Colui che da tanto tempo volevo conoscere mi impartì potenza e così potei perseverare e progredire nell’accurata conoscenza. Quale gioia ho poi provato nel parlare ad altri di casa in casa della verità! Non più quel modo che mi sembra ora così umiliante di andare nelle case della gente per elemosinare uva, frumento, uova, fascine, mentre nella terra della mia parrocchia c’era già abbastanza per il sostentamento del clero privilegiato. Non più quel recarmi a benedire le case e le stalle pronunciando la formula di benedizione, mentre le massaie erano intente a cercare il borsellino per l’offerta o le uova da mettere nella cesta che portava con sé l’inseparabile sacrestano! Ora quel visitare le case delle famiglie, che nel passato mi avevano accolto come parroco, era qualcosa di veramente gioioso e dignitoso. Mi recavo da loro non più per chiedere, ma per condividere, per trasmettere loro la cosa più preziosa che avevo ricevuta, l’accurata conoscenza della buona notizia del Regno di Dio.

È così finito il tempo delle notti insonni per l’angoscia e delle pillole per dormire, dei dubbi e del terrore dell’inferno. Superate le difficoltà iniziali è stato per me molto stimolante provare la fatica e la soddisfazione di guadagnarmi il pane col sudore della fronte, per contribuire, a mie spese, alla predicazione della buona notizia. Dopo aver progredito nell’accurata conoscenza della Parola di Dio, il 12 gennaio 1975 ho manifestato pubblicamente la mia vera dedicazione a Geova Dio.

Successivamente ho avuto la gioia di sposarmi con una zelante cristiana. La cerimonia è stata celebrata proprio nel comune dove prima ero cappellano. L’incaricato comunale al quale mi rivolsi (i nostri anziani non erano ancora abilitati a celebrare i matrimoni) mi disse: “Vuole sposarsi di notte?” Le sue intenzioni erano evidentemente quelle di attenuare l’imbarazzo per l’insolito avvenimento: il matrimonio dell’ex cappellano del paese. Naturalmente il matrimonio è avvenuto di giorno, ed è stato un’ulteriore testimonianza per la gente. Quale gioia poter servire l’Iddio Altissimo insieme a mia moglie! Quale privilegio rendermi utile ai fratelli come servitore di ministero della congregazione!

Nel mio servizio di testimonianza ho incontrato alcune famiglie alle quali come parroco avevo insegnato il catechismo e che hanno mostrato interesse per la Parola di Dio accettando uno studio biblico. Sei di loro si sono battezzati: potete comprendere quanto sia stato felice per questo.

Quando il presente è gioioso e il futuro è pieno di promesse, i passati dolori si dileguano. Ora sono un vero e devoto servitore di Geova, ora ho pace e serenità. Rendo grazie a Geova al quale desidero esprimere la mia gratitudine con le stesse parole del profeta: “Ecco, Dio è la mia salvezza. Io confiderò e non avrò nessun terrore; poiché Iah Geova è la mia forza e la mia potenza, e di me è stato la salvezza”. (Isa. 12:2) — Da un collaboratore.

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