LUCA
Approfondimenti al capitolo 2
Cesare O “l’imperatore”. Il termine greco Kàisar è il corrispondente del latino Caesar. (Vedi Glossario.) Il titolo Augusto fu conferito dal senato romano per la prima volta nel 27 a.E.V. a Ottaviano, primo imperatore romano. Questi divenne così noto come Cesare Augusto. A seguito del decreto da lui emanato, Gesù nacque a Betlemme, il che adempì quanto profetizzato nella Bibbia (Da 11:20; Mic 5:2).
terra abitata Qui il termine greco per “terra abitata” (oikoumène) è usato in senso ampio e si riferisce alla terra in quanto dimora degli esseri umani (Lu 4:5; At 17:31; Ro 10:18; Ri 12:9; 16:14). Nel I secolo questo termine era usato anche in riferimento al vasto impero romano, all’interno del quale gli ebrei erano dispersi (At 24:5).
doveva essere censita Probabilmente Augusto emanò questo decreto perché un censimento avrebbe facilitato la riscossione delle imposte e la coscrizione militare. In questo modo, evidentemente adempì la profezia di Daniele secondo la quale un governante avrebbe fatto “passare un esattore per il magnifico regno”. Daniele aveva anche predetto che quel governante avrebbe avuto un successore, definito “uno disprezzato”, durante il regno del quale sarebbe accaduto qualcosa di molto rilevante: “il Condottiero del patto” sarebbe stato ‘infranto’, o ucciso (Da 11:20-22). Gesù venne messo a morte durante il regno di Tiberio, successore di Augusto.
Quirinio [...] governatore della Siria Publio Sulpicio Quirinio, illustre senatore romano, viene menzionato una volta sola nella Bibbia. Inizialmente gli studiosi sostenevano che Quirinio ebbe un solo mandato sulla provincia romana della Siria, all’incirca nell’anno 6, durante il quale scoppiò una ribellione a seguito di un censimento. Di conseguenza contestavano questo passo e dubitavano dell’attendibilità del racconto di Luca, dal momento che Quirinio era stato governatore nel 6 o nel 7 mentre Gesù era nato prima. Tuttavia, nel 1764 fu rinvenuta un’iscrizione che suggerisce con forza che Quirinio abbia assunto la carica di governatore (o legato) in Siria per due volte. Anche altre iscrizioni hanno portato alcuni storici a riconoscere che Quirinio aveva ricoperto la carica di governatore della Siria già in precedenza, in un periodo databile prima dell’inizio dell’era volgare. Fu evidentemente durante quel mandato che ebbe luogo il primo censimento, menzionato in questo versetto. Inoltre, il ragionamento dei critici non tiene conto di tre fattori chiave. (1) Parlando di un “primo censimento”, Luca conferma che ce ne fu più di uno. Evidentemente era a conoscenza di un censimento successivo, avvenuto all’incirca nel 6. Questo censimento è menzionato da Luca nel libro degli Atti (5:37) e da Giuseppe Flavio. (2) La cronologia biblica esclude la possibilità che Gesù sia nato durante il secondo mandato di Quirinio. Concorda invece con la collocazione della nascita di Gesù durante il primo mandato di Quirinio, databile tra il 4 e l’1 a.E.V. (3) Luca è noto per essere uno storico meticoloso, storico che tra l’altro visse nell’epoca in cui accaddero molti degli eventi da lui descritti (Lu 1:3). Oltre a questo, era ispirato dallo spirito santo (2Tm 3:16).
salì dalla Galilea A soli 11 km da Nazaret c’era una cittadina chiamata Betlemme, ma la profezia specificava che il Messia sarebbe venuto da “Betlemme Efrata” (Mic 5:2). Questa Betlemme, definita città di Davide, si trovava a sud, in Giudea (1Sa 16:1, 11, 13). In linea d’aria Nazaret dista circa 110 km da Betlemme Efrata. Ma l’effettivo tragitto attraversando la Samaria (calcolato in base alle strade attuali) poteva essere anche di 150 km. Il viaggio in quel territorio collinare era faticoso e richiedeva vari giorni.
suo Cioè di Maria.
il primogenito Questa espressione implica che in seguito Maria ebbe altri figli (Mt 13:55, 56; Mr 6:3).
mangiatoia Il termine greco tradotto “mangiatoia” è fàtne. Il termine potrebbe indicare sia una sorta di trogolo sia la stalla in cui sono tenuti gli animali. (Confronta Lu 13:15, dove fàtne è reso “stalla”.) In questo brano sembra riferirsi a una sorta di cassone in cui si metteva il foraggio per gli animali, anche se la Bibbia non specifica se questa mangiatoia si trovava al chiuso o all’aperto oppure se faceva parte di una stalla.
un posto in cui alloggiare Il termine greco potrebbe anche essere reso “stanza”, come in Mr 14:14 e Lu 22:11.
pastori Per i sacrifici regolarmente offerti al tempio di Gerusalemme serviva una gran quantità di ovini, quindi è verosimile che parte delle greggi che venivano allevate a Betlemme e dintorni fosse destinata a questo scopo.
che dimoravano nei campi Il termine greco qui presente deriva da un verbo composto da agròs (“campo”) e aulè (“cortile”, “luogo esterno”); significa quindi “dimorare all’aperto”, “vivere nei campi”, e implica il trascorrervi la notte. In qualunque stagione dell’anno si possono condurre le pecore al pascolo durante il giorno. Ma in questa occasione i pastori erano nei campi con le loro greggi di notte. Questo dà un’idea del periodo in cui nacque Gesù. In Israele la stagione delle piogge inizia verso la metà di ottobre e dura diversi mesi. Nel mese di dicembre, a Betlemme, come a Gerusalemme, ci sono frequenti gelate notturne. Quindi il fatto che i pastori di Betlemme si trovassero nei campi di notte permette di collocare i fatti in un periodo precedente l’inizio delle piogge. (Vedi App. B15.)
angelo di Geova Vedi approfondimento a Lu 1:11 e App. C3 introduzione; Lu 2:9.
gloria di Geova I primi due capitoli di Luca sono ricchi di richiami più o meno espliciti a espressioni e passi delle Scritture Ebraiche che contengono il nome divino. Nelle Scritture Ebraiche, il termine ebraico per “gloria” compare più di 30 volte insieme al Tetragramma. Alcuni esempi si trovano in Eso 16:7; 40:34; Le 9:6, 23; Nu 14:10; 16:19; 20:6; 1Re 8:11; 2Cr 5:14; 7:1; Sl 104:31; 138:5; Isa 35:2; 40:5; 60:1; Ez 1:28; 3:12; 10:4; 43:4; Aba 2:14. (Vedi approfondimenti a Lu 1:6, 9 e App. C3 introduzione; Lu 2:9.)
che è Cristo Queste parole dell’angelo hanno evidentemente valore profetico, dal momento che fu con il versamento dello spirito santo in occasione del battesimo che Gesù diventò di fatto il Messia, o Cristo (Mt 3:16, 17; Mr 1:9-11; Lu 3:21, 22).
Cristo il Signore L’espressione greca resa “Cristo il Signore” (christòs kỳrios, lett. “Cristo Signore”) si trova solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. L’uso che l’angelo fa di questi titoli era evidentemente profetico, e le sue parole potrebbero quindi essere rese “che deve essere Cristo il Signore”. (Vedi l’approfondimento che è Cristo in questo versetto.) Come si legge in At 2:36, Pietro fu ispirato a spiegare che Dio ha fatto Gesù “Signore e Cristo”. Comunque l’espressione resa “Cristo il Signore” è stata intesa anche in altri modi. Alcuni studiosi hanno suggerito la resa “l’unto Signore”. Altri hanno attribuito a questa combinazione di titoli il significato “il Cristo del Signore”, resa che si trova in qualche traduzione in latino e in siriaco di questo versetto. Sulla stessa falsariga, in alcune traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane (definite J5-8, 10 nell’App. C) si legge mashìach Yehowàh, cioè “il Cristo di Geova”. Per queste e altre ragioni, alcuni hanno attribuito all’espressione di Lu 2:11 lo stesso valore dell’espressione greca resa “il Cristo di Geova” in Lu 2:26.
e sulla terra pace fra gli uomini che egli approva Alcuni manoscritti riportano la resa “e in terra pace, benevolenza verso gli uomini”, lezione che viene adottata da alcune versioni bibliche. Ma la lezione adottata dalla Traduzione del Nuovo Mondo ha riscontri in manoscritti più antichi e autorevoli. La benevolenza di Dio di cui si parla nell’annuncio angelico non è rivolta a tutti gli uomini indipendentemente dal loro atteggiamento e dalle loro azioni. È piuttosto la benevolenza che Dio rivolge a coloro che hanno una fede sincera e diventano discepoli di suo Figlio. (Vedi l’approfondimento uomini che egli approva in questo versetto.)
uomini che egli approva L’espressione originale, che alla lettera può essere tradotta “uomini di benevolenza”, “uomini di buona volontà”, si riferisce evidentemente alla benevolenza mostrata da Dio, e non dagli uomini. Il termine greco eudokìa infatti può anche essere reso “favore” o “approvazione”. In Mt 3:17, Mr 1:11 e Lu 3:22, dove Dio si rivolge a suo Figlio subito dopo il battesimo, viene usato il verbo affine (eudokèo), il cui significato basilare è “approvare”, “dilettarsi”, “compiacersi”, “essere contento”. (Vedi approfondimenti a Mt 3:17; Mr 1:11.) Per questo motivo, l’espressione “uomini di benevolenza” o “uomini di buona volontà” (anthròpois eudokìas) potrebbe essere resa anche “persone che approva”, “persone di cui si compiace”. Quindi l’annuncio angelico si riferisce all’approvazione che Dio estende non agli uomini in generale ma a coloro di cui si compiace perché hanno una fede sincera e diventano discepoli di suo Figlio. Anche se in alcuni contesti la parola eudokìa si riferisce alla benevolenza umana (Ro 10:1; Flp 1:15), spesso denota l’approvazione e la volontà divine (Mt 11:26; Lu 10:21; Ef 1:5, 9; Flp 2:13; 2Ts 1:11). Nella Settanta, infatti, in Sl 51:18 (50:20, LXX) questa stessa parola viene usata in riferimento alla “benevolenza” di Dio.
che Geova ci ha fatto sapere Anche se furono gli angeli a trasmettere il messaggio, i pastori riconobbero che ne era Geova Dio la fonte. Nella Settanta, il verbo greco qui reso “far sapere” è usato per tradurre un corrispondente verbo ebraico in contesti in cui Geova comunica il suo volere agli uomini o in cui degli uomini vogliono conoscere la sua volontà. In questi passi il testo ebraico originale usa spesso il Tetragramma (Sl 25:4; 39:4; 98:2; 103:6, 7). È quindi naturale pensare che quei pastori ebrei abbiano usato il nome divino nel pronunciare questa frase. (Vedi approfondimento a Lu 1:6 e App. C1 e C3 introduzione; Lu 2:15.)
Gesù Vedi approfondimento a Mt 1:21.
il tempo della loro purificazione Cioè della purificazione cerimoniale necessaria per il culto. Secondo la Legge mosaica, una puerpera doveva sottoporsi a un periodo di purificazione lungo 40 giorni nel caso avesse partorito un maschio (Le 12:1-4). Evidentemente questa legge non sviliva la donna e il parto, ma insegnava un’importante verità spirituale: tramite il parto, il peccato di Adamo viene trasmesso da una generazione all’altra. A dispetto di quello che sostengono alcuni eruditi religiosi, anche Maria aveva ereditato il peccato (Ro 5:12). Comunque, quando parlò della “loro purificazione”, Luca non stava includendo Gesù, dal momento che sapeva che lo spirito santo lo aveva schermato dalla condizione peccaminosa di sua madre, una donna imperfetta; quindi Gesù non aveva bisogno di essere purificato (Lu 1:34, 35). È possibile che stesse includendo Giuseppe, il padre adottivo, visto che era stato lui a organizzare il viaggio e che era lui, in qualità di capofamiglia, ad avere la responsabilità di assicurarsi che venisse offerto il sacrificio.
per presentarlo a Geova Come mostra il versetto successivo, il fatto che Gesù fosse portato al tempio dopo la nascita era in armonia con le parole che Geova aveva rivolto a Mosè e che sono riportate in Eso 13:1, 2, 12. Lì veniva comandato ai genitori di “riservare a Geova ogni primogenito maschio”. Inoltre l’espressione “presentarlo a Geova” richiama il brano di 1Sa 1:22-28, dove si narra che il giovane Samuele viene presentato “davanti a Geova” e dedicato al Suo servizio. (Vedi approfondimenti a Lu 1:6; 2:23 e App. C3 introduzione; Lu 2:22.)
Legge di Geova Nelle Scritture Ebraiche l’espressione “Legge di Geova”, che è una combinazione del termine ebraico per “legge” e del Tetragramma, ricorre molte volte. (Alcuni esempi si trovano in Eso 13:9; 2Re 10:31; 1Cr 16:40; 22:12; 2Cr 17:9; 31:3; Ne 9:3; Sl 1:2; 119:1; Isa 5:24; Ger 8:8; Am 2:4.) L’espressione come è scritto (e simili) è usata spesso nelle Scritture Greche Cristiane per introdurre citazioni dalle Scritture Ebraiche (Mr 1:2; At 7:42; 15:15; Ro 1:17; 10:15; vedi approfondimento a Lu 1:6 e App. C3 introduzione; Lu 2:23).
Ogni primogenito maschio Il passo di Lu 2:22-24 si riferisce non solo al sacrificio fatto al tempo della purificazione di Maria (vedi approfondimenti a Lu 2:22, 24) ma anche alla legge secondo cui una coppia era tenuta al pagamento di cinque sicli d’argento alla nascita del primogenito. Essendo il primogenito maschio, Gesù era consacrato a Dio e gli apparteneva. Per questo la Legge esigeva che Gesù venisse riscattato dai suoi genitori, Giuseppe e Maria (Eso 13:1, 2; Nu 18:15, 16). Visto che il pagamento doveva essere fatto quando il bambino aveva “un mese o più”, Giuseppe avrebbe potuto pagare i cinque sicli in questa stessa occasione in cui Maria fece la sua offerta per la purificazione, ovvero 40 giorni dopo la nascita di Gesù.
Geova Nell’originale ebraico di Eso 13:2, 12, qui citato, compare il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). (Vedi App. C.)
offrirono un sacrificio Sotto la Legge mosaica, dopo il parto la donna rimaneva cerimonialmente impura per un periodo di tempo stabilito. Alla fine di quel periodo si facevano per lei un olocausto e un’offerta per il peccato (Le 12:1-8).
Legge di Geova Vedi approfondimento a Lu 2:23 e App. C3 introduzione; Lu 2:24.
Due tortore o due piccoli di piccione La Legge consentiva a una donna di pochi mezzi di offrire dei volatili al posto di un agnello, che sarebbe stato molto più costoso (Le 12:6, 8). È chiaro che a quel tempo Giuseppe e Maria erano poveri, il che dimostra che la visita degli astrologi non avvenne quando Gesù era appena nato, ma quando era più grande (Mt 2:9-11). Se avessero già ricevuto i preziosi doni di quegli uomini, Giuseppe e Maria si sarebbero potuti tranquillamente permettere di offrire un agnello quando andarono al tempio.
Simeone Questo nome deriva da un verbo ebraico che significa “ascoltare”, “udire”. Come Zaccaria ed Elisabetta, anche Simeone è definito giusto (Lu 1:5, 6). È inoltre definito devoto, un traducente del termine greco eulabès, usato nelle Scritture Greche Cristiane per definire qualcuno attento e coscienzioso in fatto di adorazione (At 2:5; 8:2; 22:12).
il Cristo O “l’Unto”, “il Messia”. Il titolo “Cristo” deriva dal termine greco Christòs ed equivale a “Messia” (dall’ebraico mashìach); entrambi i titoli significano “Unto”. (Vedi l’approfondimento a Mt 1:1 e l’approfondimento il Cristo di Geova in questo versetto.)
il Cristo di Geova Benché nei manoscritti greci attualmente a disposizione qui compaia alla lettera “il Cristo di Signore” (ton christòn Kyrìou), ci sono valide ragioni alla base della scelta di usare il nome divino nel testo di questo versetto. In copie disponibili della Settanta, questa espressione corrisponde all’ebraico mashìach YHWH, cioè “unto di Geova”, che ricorre 11 volte nelle Scritture Ebraiche (1Sa 24:6 [due occorrenze], 10; 26:9, 11, 16, 23; 2Sa 1:14, 16; 19:21; La 4:20; vedi App. C3 introduzione; Lu 2:26).
Sovrano Signore Il sostantivo greco despòtes ha fondamentalmente il senso di “signore”, “padrone”, “proprietario” (1Tm 6:1; Tit 2:9; 1Pt 2:18). Quando è usato come appellativo rivolto a Dio — come in questo versetto, in At 4:24 e Ri 6:10 — viene reso “Sovrano Signore” per denotare l’eccellenza del suo dominio. Altre traduzioni usano rese come “Signore”, “Padrone” o “Regnante assoluto”. Qui molte traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane usano il termine ebraico ʼAdhonài (Sovrano Signore), ma almeno due di queste (definite J9, 18 nell’App. C) hanno il nome divino, Geova.
tu lasci andare il tuo schiavo Il verbo greco reso “lasciar andare” significa alla lettera “liberare”, “congedare”, “rilasciare”. Qui è usato come eufemismo, nel senso di “lasciar morire”. Morire in pace poteva significare fare una morte tranquilla dopo aver avuto una vita piena o aver realizzato un’ambita speranza. (Confronta Gen 15:15; 1Re 2:6.) La promessa fatta da Dio a Simeone si era realizzata: Simeone aveva visto il promesso “Cristo di Geova”, il mezzo stabilito da Dio per la salvezza. Ora poteva provare pace interiore e serenità, e poteva tranquillamente addormentarsi nella morte fino alla risurrezione (Lu 2:26).
per rimuovere il velo dagli occhi delle nazioni O “per una rivelazione alle nazioni”. Il sostantivo greco apokàlypsis, tradotto “rimuovere il velo”, implica uno “svelamento” o “scoprimento”; spesso è usato in riferimento a rivelazioni di natura spirituale o inerenti alla volontà e ai propositi di Dio (Ro 16:25; Ef 3:3; Ri 1:1). L’anziano Simeone qui parla del piccolo Gesù chiamandolo luce, e specifica che a beneficiare di luce spirituale non sarebbero stati solo gli ebrei e i proseliti ma anche le nazioni dei non ebrei. Le sue parole profetiche sono in armonia con profezie delle Scritture Ebraiche come quelle riportate in Isa 42:6 e 49:6.
il risorgere Il termine greco anàstasis che compare qui è solitamente reso “risurrezione” nelle Scritture Greche Cristiane. (Vedi approfondimento a Mt 22:23.) Le parole di Simeone riportate in questo versetto indicano che le persone avrebbero reagito in modi diversi davanti a Gesù, svelando i ragionamenti dei loro cuori (Lu 2:35). Per coloro che non avrebbero creduto, Gesù sarebbe stato oggetto di disprezzo. Queste persone senza fede lo avrebbero rigettato; per loro Gesù sarebbe stato come una pietra su cui inciampare e cadere, cosa che come predetto avvenne nel caso di molti ebrei (Isa 8:14). Altri invece avrebbero riposto fede in Gesù (Isa 28:16). Questi sarebbero stati metaforicamente risuscitati da uno stato di morte dovuto alle loro colpe e ai loro peccati e sarebbero stati considerati giusti da Dio (Ef 2:1).
una lunga spada Dal momento che nelle Scritture non c’è alcuna indicazione che una spada letterale abbia trafitto Maria, questa espressione va evidentemente riferita alla sofferenza e al forte dolore che provò nel vedere suo figlio morire su un palo di tortura (Gv 19:25).
ti trafiggerà O “trafiggerà la tua anima (vita)”. (Vedi Glossario, “anima”.)
Anna Forma greca del nome ebraico Hannah, che significa “favore”, “grazia”. Parlando del piccolo Gesù a tutti quelli che aspettavano la liberazione di Gerusalemme, Anna agì da profetessa. Profetizzare significa fondamentalmente annunciare o dichiarare messaggi ispirati da Dio, rivelare la volontà divina. (Vedi approfondimento ad At 2:17.)
Non si assentava mai dal tempio Anna era costantemente al tempio, forse dal momento in cui si aprivano le porte fino al momento in cui venivano chiuse, in pratica dal mattino alla sera. Il suo sacro servizio includeva digiuni e suppliche, il che indica che era addolorata per la situazione esistente e desiderava tanto un cambiamento, come altri fedeli servitori di Dio (Esd 10:1; Ne 1:4; La 1:16). Ormai da secoli gli ebrei erano soggetti alla dominazione straniera, e il degrado spirituale aveva intaccato persino il tempio e il sacerdozio. Questa situazione generale spiegherebbe perché Anna e altri “aspettavano la liberazione di Gerusalemme” con tanta impazienza (Lu 2:38).
rendendo sacro servizio O “adorando”. (Vedi approfondimento a Lu 1:74.)
Dio I più antichi manoscritti in greco qui riportano Theòs (“Dio”). Altri manoscritti in greco e traduzioni in latino e siriaco leggono invece “il Signore”. Alcune traduzioni delle Scritture Greche Cristiane in ebraico (definite J5, 7-17, 28 nell’App. C) qui usano il nome divino, perciò l’espressione del versetto potrebbe essere resa “ringraziare Geova”.
Legge di Geova Nelle Scritture Ebraiche l’espressione “Legge di Geova”, che è una combinazione del termine ebraico per “legge” e del Tetragramma, ricorre molte volte (Eso 13:9; 2Re 10:31; 1Cr 16:40; 22:12; 2Cr 17:9; 31:3; Ne 9:3; Sl 1:2; 119:1; Isa 5:24; Ger 8:8; Am 2:4; vedi approfondimenti a Lu 1:6; 2:23 e App. C3 introduzione; Lu 2:39).
tornarono in Galilea Anche se questa affermazione potrebbe far pensare che Giuseppe e Maria siano tornati direttamente a Nazaret dopo aver presentato Gesù al tempio, si deve ricordare che il racconto di Luca è molto conciso. Matteo (2:1-23) fornisce ulteriori dettagli riguardanti la visita degli astrologi, la fuga di Giuseppe e Maria in Egitto a motivo del piano omicida del re Erode, la morte di Erode e il ritorno della famiglia a Nazaret.
i suoi genitori avevano l’abitudine La Legge non richiedeva che le donne fossero presenti alla celebrazione della Pasqua. Comunque, ogni anno, in occasione di questa festa Maria aveva l’abitudine di accompagnare Giuseppe nel viaggio verso Gerusalemme (Eso 23:17; 34:23). Tra andata e ritorno facevano ogni volta circa 300 km in un territorio collinare e con una famiglia sempre più numerosa.
salirono Cioè andarono a Gerusalemme, viaggio che prevedeva un percorso in salita in un territorio collinare e montuoso. (Vedi approfondimento a Lu 2:4.)
far loro domande Dalla reazione di coloro che ascoltavano Gesù si comprende che le sue non erano semplicemente le domande di un bambino curioso (Lu 2:47). Il termine greco tradotto “far [...] domande” in alcuni contesti poteva riferirsi alla sequenza di domande e controdomande usata durante un’istruttoria giudiziaria (Mt 27:11; Mr 14:60, 61; 15:2, 4; At 5:27). Secondo gli storici, alcuni preminenti capi religiosi erano soliti rimanere nel tempio dopo le feste per insegnare presso uno dei grandi portici. La gente poteva sedersi ai loro piedi per ascoltare e far domande.
erano pieni di stupore Il tempo verbale usato nell’originale sembra indicare non uno stupore momentaneo ma prolungato.
rispose Quelle che seguono sono le prime parole di Gesù riportate nella Bibbia. Evidentemente da ragazzo Gesù non aveva piena consapevolezza della sua esistenza preumana. (Vedi approfondimenti a Mt 3:16; Lu 3:21.) Ma è ragionevole supporre che la madre e il padre adottivo gli avessero riferito le informazioni ricevute mediante le visite angeliche e mediante le profezie di Simeone e Anna pronunciate all’epoca del loro viaggio a Gerusalemme 40 giorni dopo la sua nascita (Mt 1:20-25; 2:13, 14, 19-21; Lu 1:26-38; 2:8-38). La risposta data da Gesù indica che in una qualche misura comprendeva la natura miracolosa della propria nascita e lo speciale rapporto che lo legava al suo Padre celeste, Geova.
devo stare nella casa del Padre mio L’espressione greca qui presente in realtà significa letteralmente “devo essere nelle [cose, o affari] del Padre mio”. Ma il contesto mostra che Giuseppe e Maria erano preoccupati perché non sapevano dove si trovasse Gesù, perciò la cosa più naturale è ritenere che Gesù stesse parlando di un luogo, ovvero la “casa [o “dimora”, “cortili”] del Padre” (Lu 2:44-46). In seguito, nel corso del suo ministero, Gesù si riferì espressamente al tempio chiamandolo “la casa del Padre mio” (Gv 2:16). Comunque, secondo alcuni studiosi, l’espressione potrebbe essere intesa in un senso più ampio e tradotta “devo occuparmi delle cose del Padre mio”.
scese Gerusalemme si trovava a circa 750 m sul livello del mare, quindi il verbo greco qui reso “scendere” indica l’azione di lasciare Gerusalemme (Lu 10:30, 31; At 24:1; 25:7; confronta approfondimenti a Mt 20:17; Lu 2:4, 42).
rimase loro sottomesso O “continuò a essere loro ubbidiente”. La forma del verbo greco indica un’azione continua. Quindi, dopo aver stupito i maestri al tempio con la sua conoscenza della Parola di Dio, Gesù tornò a casa e continuò umilmente a mostrare sottomissione ai suoi genitori. La sua ubbidienza era molto più importante rispetto a quella di qualunque altro bambino, perché Gesù doveva adempiere la Legge mosaica in ogni suo dettaglio (Eso 20:12; Gal 4:4).
parole O “cose”. (Vedi approfondimento a Lu 1:37.)