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Domande dai lettori (1)La Torre di Guardia 1972 | 15 novembre
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degli “apostoli”, che fecero questo. — Atti 6:1-6.
Probabilmente verso il 34 o il 35 E.V., Paolo si convertì al cristianesimo. A quel tempo il risuscitato Gesù dichiarò a Paolo che doveva essere mandato a portare il nome di Gesù alle nazioni non giudaiche. Pertanto Paolo doveva essere “apostolo [non semplicemente di una congregazione, ma apostolo o ‘mandato’ del Signore Gesù Cristo] delle nazioni”. (Atti 9:15; 26:14-18; Gal. 1:15, 16; Rom. 1:5; 11:13; 1 Tim. 2:7) L’apostolo Giacomo non fu ucciso da Erode che verso il 44 E.V., per cui sembra che tutt’e dodici gli apostoli fossero ancora vivi quando Paolo ricevette il suo mandato. (Atti 12:1, 2) Comunque, si dovrebbe notare che nessun apostolo fu sostituito a causa di morte; solo Giuda fu sostituito per infedeltà. Non vi sono “successori” dei dodici apostoli. Nella Bibbia nulla fa pensare che Paolo soppiantasse Mattia o che sostituisse qualche altro apostolo.
Benché Paolo riconoscesse d’essere apostolo e avesse tutte le facoltà e le qualità di apostolo di Gesù Cristo, essendo messo da Geova in questa posizione del “corpo” cristiano, Paolo non si incluse mai fra i dodici. (Gal. 1:1; 2:8; 1 Cor. 9:1, 2; 12:27, 28) Piuttosto, elencando quelli ai quali era apparso il risuscitato Gesù, Paolo si menzionò separatamente da “tutti gli apostoli” e dai “dodici”. (1 Cor. 15:5, 7, 8) In I Corinti 15:5 la designazione i “dodici” si riferisce agli apostoli in un tempo anteriore alla scelta di Mattia, ma secondo Atti 1:21, 22 includerebbe Mattia, che allora era associato agli undici.
Nella descrizione della Nuova Gerusalemme, la città celeste in cui si vede che Geova e Gesù Cristo dimorano, leggiamo: “Il muro della città aveva dodici pietre di fondamenta, e su di esse i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello”. (Riv. 21:2, 14) L’evidenza appena presentata ci fa concludere che il nome di Mattia, non di Paolo, era su una delle dodici pietre. Mattia fu apostolo sin dalla fondazione (Pentecoste del 33 E.V.) della nazione spirituale dei 144.000 che formano la Nuova Gerusalemme, la “sposa” di Cristo. (2 Cor. 11:2; Riv. 21:2) È vero che Paolo scrisse molte lettere ispirate. Ma la prima d’esse fu scritta circa diciassette anni dopo che era stata fondata la nazione spirituale, in un tempo in cui la nazione era già cresciuta e includeva migliaia di persone.
Perciò, l’evidenza indica che Paolo non fu uno dei dodici apostoli, i fondamenti secondari della Nuova Gerusalemme. Comunque, fu lo speciale apostolo di Cristo alle nazioni, o ai Gentili, ed egli adempì con zelo questo incarico. — 2 Tim. 4:7, 8.
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Domande dai lettori (2)La Torre di Guardia 1972 | 15 novembre
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Domande dai lettori
● Che cosa significa Galati 3:24 quando dice che la “Legge è divenuta il nostro tutore che conduce a Cristo”? — U.S.A.
La parola greca resa tutore (pai·da·gogosʹ) significa letteralmente ‘condurre fanciulli’. Indicava l’uomo che accompagnava a scuola un bambino e l’andava a prendere. Il tutore o pedagogo consegnava il fanciullo all’istruttore. Era suo dovere proteggere il fanciullo dal danno fisico e morale. Il pedagogo aveva anche l’autorità di disciplinare il bambino e istruirlo in materia di condotta. Talvolta la disciplina poteva essere molto severa.
La Legge data a Israele era molto simile a un tale tutore. Serviva a controllare la condotta degli Israeliti e, se le davano ascolto, li proteggeva dal danno fisico e morale. Come disse Mosè al popolo: “Se ascolterai i comandamenti di Geova tuo Dio, che io oggi ti comando, in modo da amare Geova tuo Dio, da camminare nelle sue vie e da osservare i suoi comandamenti e i suoi statuti e le sue decisioni giudiziarie, allora dovrai continuare a vivere e a moltiplicarti, e Geova tuo Dio ti deve benedire nel paese al quale vai per prenderne possesso”. (Deut. 30:16) Per di più, la Legge tenne uniti gli Israeliti come popolo nonostante la conquista e la dominazione straniera. Preservò le condizioni necessarie per la comparsa del Messia, salvaguardò la Parola di verità di Dio e impedì che la vera adorazione fosse totalmente eclissata e persa di vista.
Ma per l’imperfezione degli Israeliti, la Legge espose le loro trasgressioni e mostrò che erano sotto la condanna. I sacrifici che dovevano offrire sotto la Legge rammentavano continuamente la loro peccaminosità. (Gal. 3:10, 11, 19; Ebr. 10:1-4) Additando così i peccati degli Israeliti, in realtà la Legge li disciplinava e mostrava loro il bisogno d’essere liberati dalla schiavitù del peccato. Quelli che trassero profitto da questa disciplina poterono riconoscere Gesù quale promesso Messia o Cristo. In tal modo la Legge, in effetti, ‘consegnò’ gli Israeliti debitamente disciplinati a Gesù Cristo, il vero Insegnante.
La Legge, come dichiara Ebrei 10:1, “ha un’ombra delle buone cose avvenire”. Perciò doveva cedere il posto alla realtà che “appartiene al Cristo”. (Col 2:16, 17) Avendo un’ombra, la Legge dava un’idea del generale
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