Terrore in mare
IN MAGGIORANZA eravamo turisti provenienti dall’Italia e da altri paesi europei e tornavamo dalle vacanze trascorse in Grecia. Partiti dalla città portuale di Patras il venerdì mattina, il 27 agosto 1971, ci eravamo diretti a nord-ovest attraverso i mari Ionio e Adriatico per andare ad Ancona, in Italia. Per tutto il giorno di venerdì il tempo fu calmo, ma avanzavamo assai lentamente. Alcune volte sembrava che la nave stesse ferma.
Eravamo sul traghetto greco Heleanna, una ex nave cisterna lunga 171 metri. Nonostante le sue grandi proporzioni, non era difficile vedere che era sovraccarica, giacché oltre mille passeggeri occupavano ogni angolo possibile, insieme a circa 200 automobili. Io ero una dei numerosi passeggeri che non avevano una cabina e cercavo dunque di arrangiarmi alla meglio sul ponte di coperta. Qui molti si godevano il tepore dell’acqua di mare nella piscina e cercavano di abbronzarsi maggiormente al sole.
Quella notte molti di noi dormimmo sul ponte, usando le sedie a sdraio disponibili. Da principio questo non fu spiacevole, ma verso le due del mattino si levò un vento leggero che andò crescendo d’intensità. Il freddo cominciò a divenire penetrante. Parecchi andarono sotto coperta per trovare un luogo più protetto. Io presi la mia sedia a sdraio e li seguii. Nella sala da pranzo molti passeggeri erano già addormentati, quindi trovai un posto e continuai il mio riposo.
Scoppia l’incendio
Alle 5,40 fui svegliata all’improvviso. Le persone correvano avanti e indietro, e fuori vidi un leggero fumo. Qualcuno disse che c’era un incendio. Udii quindi uno dell’equipaggio maledire gli uomini della guardia notturna per non averlo notato prima. Pensai che forse qualcuno aveva gettato una sigaretta accesa dando inizio a un piccolo incendio. Ma i giornali riferirono in seguito che l’incendio era cominciato nella cucina a poppa della nave.
Tornai sul ponte di coperta dov’era il mio bagaglio. Le persone andavano in ogni direzione. Molti avevano già addosso il panciotto di salvataggio. Il fumo aumentava. Alte fiamme si levavano nell’aria verso poppa sul fianco sinistro della nave. Alcuni dell’equipaggio si affrettavano verso l’incendio con estintori.
Mentre l’incendio aumentava, aumentava anche il panico. Donne svenivano, bambini gridavano e uomini protestavano e minacciavano. Alcuni giovani, per avere la prova di quanto accadeva, si fotografavano mentre avevano addosso i panciotti di salvataggio.
Le persone correvano verso le lance di salvataggio da ciascun lato del ponte. Spostai le mie valige, che erano vicine al fuoco, in un altro luogo che sembrava più sicuro. Tenni con me solo una borsa, contenente i documenti e oggetti di valore.
Mi avvicinai a una lancia di salvataggio che alcuni giovani membri dell’equipaggio cercavano a fatica di preparare. Ma sembrava che non andasse bene nulla. Non si poteva calare la lancia perché le pesanti funi usate per questo scopo eran coperte di troppa vernice. Quando si rimediò a questo problema, non funzionava debitamente il verricello per abbassare la lancia.
Sollievo momentaneo; panico maggiore
Frattanto sembrò che l’equipaggio fosse alquanto riuscito a controllare l’incendio con gli estintori. Si vedeva ora solo un piccolo fumo. Dall’impianto di amplificazione acustica, la sola volta che venne usato, giunse il breve annuncio che diede un rafforzante senso di sollievo: NON C’È NESSUN PERICOLO, RIMANETE AI VOSTRI POSTI.
Ma ahimè, i fatti mostravano il contrario. Il forte vento presto sferzò le fiamme, e circa cinque minuti dopo l’annuncio si vedevano di nuovo levarsi verso l’alto. Riaccese dal vento, esse avanzarono furiosamente. Lo spettacolo era terrificante.
Questa volta i passeggeri, presi dalla paura, corsero freneticamente verso le lance di salvataggio. La maggioranza d’essi eran vestiti solo parzialmente, molti indossavano solo il pigiama o la camicia da notte, poiché erano stati a dormire nelle loro cabine. In pochi momenti riempirono le lance di salvataggio. In realtà non sapevano che cosa fare, poiché non avevano ricevuto nessuna istruzione.
L’equipaggio, comunque, cercò di persuaderli a uscire dalle lance, giacché non potevano essere abbassate. Ci fu dunque altra confusione e panico mentre le persone ne venivano fuori. Vidi una signora con un dito completamente schiacciato, che correva in cerca di un medico.
Non si vedeva venire in soccorso nessuna nave, e mi chiedevo se era stato trasmesso il SOS. Non eravamo lontani dalla costa italiana, poiché la mattina presto ne avevamo visto le luci. In seguito sapemmo che eravamo solo a venticinque chilometri da Torre Canne nell’Italia sudoccidentale. Sembra che non fosse trasmesso il SOS fino alle 6,40, circa un’ora dopo che era scoppiato l’incendio.
Ovunque io guardassi, le facce erano piene di disperazione e terrore. Qui una signora italiana stava per svenire, confortata e incoraggiata dalle figlie. Lì una coraggiosa madre francese dava istruzioni alle figlie adolescenti. Più in là, una coppia legava sistematicamente i panciotti di salvataggio ai propri piccoli, assicurandosi che tutto fosse a posto. Anche le facce di alcuni dell’equipaggio erano pallide come bianchi lenzuoli.
Verso quest’ora si videro all’orizzonte due navi che si dirigevano verso di noi, ma ancora molto lontane. Questo fece provare un certo senso di sollievo. Molti pensarono che le navi mandassero le loro lance di salvataggio per raccoglierci. Infatti, si sparse la voce, da una fonte sconosciuta, che dovevamo andare sotto nel luogo di attesa ed esser pronti a scendere nelle lance di salvataggio quando fossero arrivate. Seguii questo suggerimento e vi scesi anch’io.
Attesa di sotto
Il luogo di attesa era già gremito di persone volte verso le due porte d’uscita. Per fortuna il vento che soffiava poteva penetrare attraverso queste porte, provvedendo un po’ d’aria da respirare.
Qui le persone erano più calme, per quanto alcune continuassero a svenire. Tutte cercavano di confortarsi le une le altre. Ognuno guardava verso il mare aperto con la speranza di veder avvicinarsi una lancia di salvataggio. Attendevamo che l’impianto acustico facesse un annuncio sul da fare, ma non ce ne fu alcuno.
Passò più di mezz’ora, e se il fumo non fosse cominciato a scendere giù per le scale saremmo stati forse sorpresi come topi in trappola e bruciati vivi. Io ero vicina alle scale, e appena vidi il fumo corsi perciò al ponte di coperta. Andai a prua della nave lontana dal fuoco. Molti vi erano già. Denso fumo veniva da dietro il ponte di comando.
Situazione disperata
Fino a questo momento ero stata piuttosto ottimista, sperando che anche se avessimo dovuto perdere automobili e bagaglio, avremmo potuto almeno scampare con la nostra vita. Ora, con le fiamme che ci stavano proprio alle spalle, non c’era più posto per l’ottimismo. Comunque, nonostante il pericolo, rimanevo calma.
Vidi persone che si sporgevano dal parapetto e pensai che fossero state calate delle scale per entrare nelle lance di salvataggio. Ma quando guardai, vidi il mare pieno di gente! Invece di scale, grosse funi erano state legate al parapetto e le persone si calavano in mare. Il ponte era circa quindici metri al di sopra dell’acqua, e l’idea di sospendermi nel vuoto e calarmi giù, senza nemmeno sapere se la nave fosse ferma o no, quasi mi gelò il sangue nelle vene. Non avevo un panciotto di salvataggio e non sapevo dove gli altri avevano trovato il loro.
Guardando verso il ponte di comando, vidi un uomo dell’equipaggio con un panciotto di salvataggio addosso e gli chiesi se me lo dava. Egli se lo tolse e stava per gettarlo giù. Ma vedemmo che il forte vento l’avrebbe portato via, lasciandoci tutt’e due senza panciotto di salvataggio. Quindi lo ringraziai e mi voltai per vedere se ci fosse qualche altro mezzo di soccorso. Vidi allora una ciambella di salvataggio sul ponte. Qualcuno mi disse che quella era anche migliore del panciotto di salvataggio, quindi la presi.
L’avevo appena presa in mano quando un giovanotto, egli stesso senza panciotto di salvataggio, e con una bambina in braccio, mi si accostò, dicendo: “La prego, me la dia. Siamo in quattro e non abbiamo panciotti di salvataggio”. Vicino a lui era la moglie con un altro bambino in braccio. Immediatamente gliela diedi.
Provai pietà per la situazione di questa giovane famiglia. Come avrebbero potuto cavarsela con due bambini? Proprio di fronte a loro era un giovanotto che si preparava a discendere dalla fune. Disperatamente, il padre lo supplicò di prendere uno dei suoi bambini. L’uomo altruisticamente acconsentì e con rara abilità e attenzione cominciò a discendere la fune portando il bambino. Lo spettacolo toglieva il respiro, e in seguito fui lieta di sapere che tutt’e quattro quelli di questa famiglia si erano salvati.
In mare
Ora dovevo fare qualche cosa per me stessa. Non c’era tempo da perdere. Il fumo diveniva più denso e il vento più forte. Non avevo altra scelta; dovevo calarmi in mare da una delle funi! Raccolsi tutto il mio coraggio, mi tolsi l’impermeabile, la borsa e le scarpe, e scavalcai il parapetto. Mi tenni stretta alla fune; ma il peso del corpo presto mi tirò giù. A causa della velocità della discesa, mi immersi profondamente nell’acqua. Immediatamente lottai per venire in superficie. Respirai profondamente e cercai di tenermi lontana dalle funi che galleggiavano accanto alla nave.
Fu allora che notai in alcune dita e nel palmo della mano sinistra profonde ferite, ma non sentivo nessun dolore. Il mare era pieno di gente, e una dopo l’altra altre persone continuavano a scendere da sopra. Più di una volta le persone mi caddero addosso, spingendomi sott’acqua.
Cercai di allontanarmi dalla nave, ma non era facile, poiché grosse onde andavano a infrangersi contro di essa. Mi sentii come in mezzo a un gigantesco turbine che mi trascinava sotto la nave, eretta come un enorme e terrificante monte al di sopra delle nostre teste. Era terribile! Vidi chiaramente il pericolo di annegare in qualsiasi momento.
A peggiorare le cose c’era una lancia di salvataggio sospesa sopra le nostre teste. Nessuno sapeva se scendeva o se rimaneva lì a mezz’aria. Quindi mentre il fuoco a bordo avanzava, pezzi di lancia che bruciavano cominciarono a caderci intorno.
Mentre il pericolo aumentava, feci uno sforzo straordinario portandomi a nuoto verso l’elica della nave. Per fortuna la nave era ferma. Raggiunsi l’elica e mi ci aggrappai per alcuni minuti al fine di riprendere fiato e riposarmi un po’. Quindi cominciai a nuotare verso il mare aperto.
Lotta per sopravvivere
Nelle vicinanze era una donna che galleggiava con un panciotto di salvataggio. La udii gridare: “Aiuto, aiuto”, con voce affievolita. Era una donna di mezza età e molto probabilmente non aveva familiarità col mare. Siccome eravamo ancora vicino alla nave, le dissi di cercar di allontanarsi per evitare d’esser colpita dai pezzi incendiati che cadevano. Le presi la mano e nuotando con l’altra, tentai di guadagnare il mare aperto.
Le onde erano grosse, alcune da un metro e mezzo a due metri e mezzo d’altezza, e non era facile nuotare. Ciò nondimeno, continuai a tenere la mano della signora. Mi voltai per vedere come si sentiva, ma la sua faccia sembrava priva di vita. Quando la chiamai, non rispose. Aveva gli occhi mezzo aperti e una calma espressione sul viso. Ma non sapevo se era svenuta o se era morta.
Il mare si andava facendo più mosso, rendendo critica la mia propria situazione, specialmente perché non avevo un panciotto di salvataggio. Inoltre, la veste mi appesantiva, ma non me ne potevo liberare. Non lontano vidi galleggiare sull’acqua una scala di corda mezzo bruciata. Cercai di raggiungerla, poiché poteva aiutarmi a stare a galla, ma non vi riuscii.
Vedevo che non c’era da fare altro che nuotare verso le due navi che avevo viste prima di calarmi in mare. Ora c’era anche una terza nave. Con una mano mi aggrappai al panciotto di salvataggio della signora, mentre con una mano nuotavo contro il mare grosso. Ero tutta sola, realmente come un guscio di noce in mezzo all’immenso mare, con una donna, evidentemente morta, al fianco.
Questo non era per certo incoraggiante, ma non mi sentivo sola e perduta. Dal principio del disastro avevo rivolto i miei pensieri al nostro Creatore, chiedendogli umilmente aiuto e guida in questo difficile momento della mia vita. Non ritenevo certo che egli dovesse salvarmi, ma sapevo che avrebbe potuto salvarmi se questa fosse stata la sua volontà. Invocavo di continuo il suo nome divino Geova, e questo mi diede forza. Non potevo fare a meno di ricordare che avevo letto nella Bibbia, in Atti al capitolo 27, del naufragio dell’apostolo Paolo mentre andava pure in Italia.
Passavano le ore e non c’era nessuna evidenza di soccorso. Le onde divenivano più grosse e più violente. Cercai di tenermi sulla cresta di ciascun’onda che mi colpiva. Reggendomi al panciotto di salvataggio della mia compagna morta avevo qualche aiuto. Ma la continua lotta per mantenermi a galla mi rese molto stanca; la mia forza andava diminuendo.
Un elicottero passò alcune volte sopra di noi, cercando apparentemente di trovare i superstiti. Quindi ce ne fu un altro. Lo vidi raccogliere le persone molto dietro a me. Mentre l’elicottero veniva nella mia direzione, feci cenno con la mano per farmi vedere.
In questo momento avevo quasi raggiunto una delle navi verso cui avevo nuotato, ma il vento mi sospingeva verso destra. Avendo rivolto tutta l’attenzione all’elicottero, non avevo visto che c’era già in acqua una lancia di salvataggio che mi si avvicinava. Oh, che sollievo! Che gioia!
Salvataggio
Quando mi raggiunsero, mi gettarono una grossa fune perché mi ci aggrappassi e salissi sulla lancia. Ma non vi riuscii. Ero completamente esausta e avevo un crampo alla gamba destra. Due marinai si sporsero da un lato e mi tirarono dunque sù con le loro forti braccia. Mi coprirono immediatamente con una coperta e mi diedero un sorso di qualche cosa simile al cognac che mi fece vomitare l’acqua di mare ingoiata.
Ero completamente senza forza. Ma quale senso di contentezza esser seduta in quella lancia, liberata dalle braccia di un mare furioso dopo più di tre ore di lotta!
Provai dispiacere per la mia compagna morta. I marinai dovettero abbandonarla in mare, poiché s’affrettavano a raccogliere quelli che potevano trovare in vita. Ma, se non fosse stato per l’aiuto che senza saperlo essa mi aveva dato, non so se avrei potuto sopravvivere.
Con me nella lancia c’erano altri superstiti che erano stati raccolti. Tutti erano avvolti in coperte, e sul loro viso si poteva vedere l’eccessiva stanchezza. La lancia a motore cercava velocemente altri superstiti, e quando fu piena tornò alla propria base, una nave iugoslava chiamata Svoboda, che significa “Libertà”.
L’equipaggio fu estremamente soccorrevole. Essi misero a nostra disposizione quasi tutto ciò che avevano a bordo. Più di cento superstiti erano già sulla Svoboda, compreso il capitano della Heleanna, sua moglie e alcuni altri membri dell’equipaggio.
Confuse emozioni
Il quadro dei superstiti del naufragio era patetico. È vero che potevo vedere sui visi stanchi gioia e soddisfazione, gratitudine per essere sopravvissuti. Tuttavia c’erano alcuni molto malati, alcuni ustionati o con le braccia rotte. E la maggioranza, come io stessa, avevano le mani ferite per essere scivolati giù in mare lungo le funi. Molti erano estremamente preoccupati, non sapendo cosa fosse accaduto ad altri membri della loro famiglia.
Assai commovente fu la scena di un giovane che trovò la sorella. Si buttarono l’uno nelle braccia dell’altro, piangendo, poiché non sapevano cosa fosse accaduto alla loro madre. Il giovane aveva cercato d’aiutarla, ma poi gli eran venute meno le forze. C’era una signora che viaggiava con quattro figli. Due di essi eran sopravvissuti con lei, ma i due più giovani mancavano. In un angolo, senza parola, era seduta una ragazza italiana che aveva visto annegare il padre sotto i suoi occhi. C’era dunque un’atmosfera di profondo cordoglio per molti.
Mentre la Svoboda navigava verso Bari, in Italia, dove arrivammo circa tre ore dopo, cercammo di asciugarci gli abiti al caldo sole e di prenderci un po’ di riposo. Pensavamo tutti a ciò che sarebbe accaduto se l’incendio fosse scoppiato di notte o se fossimo stati più lontani dalla costa. Non ci sarebbe stato nessun superstite. Come stavano le cose, oltre mille erano stati salvati e solo due dozzine circa eran periti.
Le autorità di polizia, giornalisti, infermieri e ambulanze del pronto soccorso erano pronti per noi a riva. Quelli di noi che avevamo bisogno di cure mediche fummo prontamente portati in ospedali, dove ricevemmo cure attente e amorevoli. Fu fatto tutto il possibile per darci sollievo, per cui sono grata. Sempre ricorderò anche con gratitudine i miei amici che vennero a visitarmi e che fecero impressione a quelli che mi stavano attorno nell’ospedale con le loro numerose e spontanee espressioni di sincero amore cristiano.
Non sento più dolore fisico per le ferite subìte. E sebbene la mia perdita materiale fosse considerevole, c’è questa consolazione: Ho ancora ciò che supera ogni prezzo, la mia vita. — Da una collaboratrice.